martedì 1 novembre 2011

Messaggi per la famiglia Gini

Non possiamo aspettare l'Europa. Tutto dipende da noi
Editoriale di Roberto Napoletano
«Pigs» in affanno ma soffrono anche Francia e Germania
Isabella Bufacchi




Non possiamo aspettare l'Europa. Tutto dipende da noi
Editoriale di Roberto Napoletano
I mercati peggiorano per almeno due buoni motivi. Il primo è che l'accordo europeo è meno progredito di quanto si attendevano gli investitori. Restano in piedi vincoli e inghippi tecnici di ogni genere, la capacità di azione dell'Efsf, il Fondo salva-Stati, rimane colpevolmente lenta, il sostegno alle banche (a partire dalla Grecia) compare sulla scena ma appare incerto, la zoppìa dell'Europa (c'è la moneta, mancano politiche fiscali e di bilancio comuni) non è stata neppure scalfita.

Il secondo motivo, purtroppo, riguarda direttamente noi. La situazione italiana è quella che è, le cose da fare (le sanno tutti, le conosce bene di certo anche il nostro premier) sono state annunciate, ma si è aspettato più di due mesi non per farle bensì per riprodurle, in modo incompleto, in una lettera di impegni inviata e approvata con riserva dall'Unione europea. La situazione (specificamente la nostra) si è deteriorata tra un'esitazione e l'altra, ci siamo messi in questo pasticcio da soli e da soli possiamo (dobbiamo) uscirne.

I tempi dell'Europa sono i tempi dell'Europa, i trattati sono i trattati dell'Europa e dicono, ad esempio, che la Bce deve operare in un contesto e con prerogative diverse da quelle in cui opera la Federal Reserve negli Stati Uniti. Ridurre questi tempi e cambiare i trattati si può e si deve (pubblichiamo nella stessa pagina un manifesto del Sole per l'Europa in cinque punti) ma è bene tenere a mente che il processo sarà lungo, faticoso, non privo di insidie di ogni tipo. I tempi dell'Italia sono i tempi dell'Italia, dipendono da noi non da altri. Dipende da noi (non da altri) se le pensioni di anzianità sono sparite dal menù della lettera di impegni o se non si affrontano, con la necessaria incisività, le due questioni centrali che riguardano l'insostenibilità del prelievo fiscale e contributivo che grava su imprese e lavoratori e il fardello del quarto debito pubblico mondiale che ipoteca il futuro di tutti i cittadini italiani.

La domanda da porsi oggi è una sola: siamo capaci davvero di fare sia quello che continuiamo ad annunciare nella lettera (riforma del mercato del lavoro e del pubblico impiego, pensioni di vecchiaia a 67 anni, dismissioni, liberalizzazioni, meno tasse sul capitale delle imprese) sia quello che nella lettera non c'è ma va fatto (pensioni di anzianità, redistribuzione dei pesi fiscali, interventi diretti a ridurre in modo significativo il debito pubblico)? Non possiamo permetterci di aspettare l'Europa, dobbiamo dimostrare di essere padroni del nostro tempo. Lo spread del BTp con i titoli pubblici tedeschi che supera il muro dei 400 punti esprime la credibilità che ha, sul mercato, lo Stato italiano.

Questo giornale, in tempi non sospetti, ha chiesto prima al ministro dell'Economia e poi al presidente del Consiglio di valutare un passo indietro, ha invocato successivamente la responsabilità etica che viene prima di quella politica. Ci permettiamo di sottolineare oggi che la debole credibilità incide pesantemente sui tassi di interesse che lo Stato italiano paga per collocare i suoi titoli, sul costo del denaro che le imprese devono pagare alle banche, sulla pesantezza per le famiglie delle rate dei mutui nuovi e di molti dei vecchi. L'elenco potrebbe continuare.

Ce n'è abbastanza perché tutti si facciano un esame di coscienza e ne traggano le debite conseguenze. L'Europa arriverà, l'Italia o risponde oggi (anzi ieri) o firma la sua condanna. Non c'è nulla di più immorale di fare pagare alla piccola Italia, e ai suoi cittadini, il conto di una crisi globale che viene da fuori e che noi italiani (per una volta) non abbiamo contribuito a determinare. Sta in noi, ripeterebbe oggi Carlo Azeglio Ciampi. Ci sono uomini e forze politiche, nel Governo e nella maggioranza, e non solo, in grado di accogliere questo appello? Con le parole si è giocato già troppo e questi giochi hanno un costo che viene pagato dalla comunità dei cittadini. Chi ha a cuore il futuro del Paese deve essere in grado di assicurare l'obbligo etico dell'azione. A nessuno si potrebbe perdonare di avere messo in pericolo il lavoro e il risparmio degli italiani.
 1 novembre 2011

«Pigs» in affanno ma soffrono anche Francia e Germania
Isabella Bufacchi
 ROMA
 Nell'arco di poco più di un anno, dallo scoppio del problema greco nel maggio 2010, il rischio-Italia è stato classificato "semi-core", poi "quasi-periferico" e infine "periferico". Agli albori della crisi, l'Italia era valutata al fianco del Belgio e comunque molto vicina alla Francia, il più debole degli Stati "AAA": erano i tempi in cui gli investitori esteri acquistavano BTp quando disinvestivano da Grecia, Irlanda e Portogallo. Poi la percezione dell'Italia è peggiorata a Paese "quasi-periferico", allineato alla Spagna come fonte potenziale del l'escalation delle turbolenze. Infine da questa estate il rischio-Italia è divenuto totalmente "periferico" e raggruppato tra gli Stati più problematici come Grecia, Irlanda e Portogallo o addirittura peggiore di questi perché di portata sistemica. Quando invece, per la correzione dei conti pubblici italiani per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, è la minore in tutta Europa.
 L'Italia tuttavia a grandi linee non è cambiata molto strutturalmente nell'arco di questi ultimi 18 mesi: crescita fiacca, debito/Pil nell'orbita del 120% ma abbastanza stazionario, deficit/Pil tra i più bassi d'Europa, avanzo primario in miglioramento. Essendo cambiata però radicalmente la percezione del mercato sul rischio-Italia, le vendite dei BTp da parte di grossi portafogli esteri hanno fatto lievitare il costo del debito pubblico e il rating sovrano è stato retrocesso di qualche gradino, uscendo dalla categoria della doppia "A". La stessa sorte che è toccata a turno a Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. I punti deboli dell'Italia come l'instabilità politica, la perdita di competitività, la rigidità del mercato del lavoro, la cattiva qualità della spesa pubblica, la bassa crescita ora pesano di più, mentre i punti di forza come la solidità del sistema bancario, la contenuta correzione dei conti pubblici per arrivare al pareggio di bilancio, il basso debito privato vengono attenuati dal contagio e dalla fuga verso la qualità.
 Prima dell'esplosione del debito pubblico greco e prima ancora del trasferimento delle sofferenze bancarie sul bilancio dello Stato irlandese - i due shock che hanno portato alla bancarotta Grecia e Irlanda - il rischio-Paese nell'eurozona era considerato estremamente omogeneo, con differenziali tra i rendimenti dei titoli di Stato espressi in poche decine di punti percentuali e rating sovrani molto uniformi.
 La crisi del debito pubblico europeo, esasperata da una buona dose di contagio, ha ampliato gli spread e imposto una violenta divergenza nelle valutazioni del rischio-sovrano espresse dai rating e dai costi dei credit default swap. Un ridisegno che non ha colpito solo l'Italia. Irlanda e Portogallo per esempio sono stati retrocessi da Moody's alla categoria dei rating speculativi, poco sopra la Grecia, mentre l'Italia è comunque rimasta singola "A".
 Il debito-Pil italiano, per esempio, è cresciuto meno tra il 2007 e il 2010 rispetto a tutti gli altri Stati (Irlanda +71%, Grecia +37,4%, Spagna e Portogallo +24%, Germania +18,3% e Francia + 17,8%). Nel mercato dei credit default swap, dove l'Italia ha un costo di protezione contro il default pari a 445 punti, la Francia è comunque arrivata a quota 174 (il livello più alto per uno stato "AAA"), la Germania a 83, il Belgio a 267 e la Spagna a 336. Anche gli spread sopra i Bund si sono tutti allargati con la crisi del debito sovrano: la Francia è a 107 punti, l'Olanda a 41, il Belgio a 234 per menzionare alcuni stati "core" e "semi-core". Questa rivalutazione, che non lascia la Germania illesa, è un segnale che quando trema l'intera impalcatura dell'euro, tutti i 17 Stati rischiano di finirne sotto le macerie.
 L'analisi del rischio-Paese intanto si è fatta sempre meno europea e sempre più domestica, per tener conto delle singole realtà nazionali: le vecchie valutazioni sono state riesaminate e corrette perché l'appartenenza alla moneta unica europea e la camicia di forza del Trattato di Maastricht e di Lisbona non assegnano a nessun titolo di Stato dell'eurozona l'etichetta di risk free. Persino Germania e Francia sono meno affidabili perché in prospettiva potrebbero essere chiamati a pagare il conto finale delle crisi di liquidità e solvibilità degli altri Stati.
 In questa operazione di rivalutazione complessiva di tutti gli Stati dell'eurozona, la comunità finanziaria internazionale dovrà prima o poi abbandonare le macro-aree (core, semi-core, quasi-periferico e periferico) che accelerano il contagio e approfondire il confronto tra singoli Paesi per assegnare all'Italia una sua dimensione che prende le distanze da Irlanda, Portogallo e Grecia su deficit/Pil, avanzo primario, prospettive di crescita, costo del debito pubblico, risparmio e debito privato, solidità del sistema bancario.

La mappa del «rischio sovrano»
Il doppio «shock»
 L'esplosione del debito pubblico greco e prima ancora il trasferimento delle sofferenze bancarie sul bilancio dello Stato irlandese sono stati i due grandi shock che hanno portato a un ribaltamento nella mappa del rischio-Paese nell'eurozona, fino a quel momento considerato estremamente omogeneo, con differenziali tra i rendimenti dei titoli di Stato espressi in poche decine di punti percentuali e rating sovrani molto uniformi.
 Si ampliano gli spread
 La crisi del debito pubblico europeo ha ampliato gli spread e imposto una violenta divergenza nelle valutazioni del rischio-sovrano espresse dai rating e dai costi dei credit default swap.
 Il debito italiano
 Il debito-Pil italiano è cresciuto meno tra il 2007 e il 2010 rispetto a tutti gli altri Stati (Irlanda +71%, Grecia +37,4%, Spagna e Portogallo +24%, Germania +18,3% e Francia + 17,8%).
 Tensioni a vasto raggio
 Nel mercato dei credit default swap, dove l'Italia ha un costo di protezione contro il default pari a 445 punti, la Francia è comunque arrivata a quota 174 (il livello più alto per uno stato "AAA"), la Germania a 83, il Belgio a 267 e la Spagna a 336.

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