sabato 7 gennaio 2012

Federali_mattino_8.1.12. La nebbia agli irti colli - Piovigginando sale, E sotto il maestrale urla e biancheggia il mare; Ma per le vie del borgo - Dal ribollir dè tini - Va l'aspro odor de i vini - L'anime a rallegrar. Gira sù ceppi accesi - Lo spiedo scoppiettando: Sta il cacciator fischiando - Su l'uscio a rimirar - Tra le rossastre nubi - Stormi d'uccelli neri, Com'esuli pensieri, Nel vespero migrar. Giosue’ Carducci.---In Italia oltre due persone su tre in cerca di lavoro si affidano a un'intermediario che puo' essere un parente o anche un sindacato.---Nella Penisola chi bussa alle porte di amici, parenti o sindacati è, infatti, pari al 76,9%, una quota superiore alla media dell'area euro (68,9%), a quella dell'Unione europea nel complesso (69,1%) e soprattutto circa doppia a confronto con quella di Paesi come Germania (40,2%), Belgio (36,8%), Finlandia (34,8%).---L'Istat fa rientrare gli scoraggiati nel grande bacino degli inattivi, quelli che né hanno né cercano un'occupazione. Un esercito che da sempre in Italia si aggira intorno ai 15 milioni di persone.

Ansa. SCHEDA: Ecco come si cerca posto in Italia e Ue
Lavoro: in Italia 2 su 3 ricorrono a parenti, amici o sindacati
Lavoro, il ritratto dell'Italia nepotista
Lavoro, record di scoraggiati
Sviluppo del Mezzogiorno, Monti incontra gli enti locali
Veneto, padania. Disoccupazione oltre il tetto del 7%
Grecia: dubbi Fmi, deve fare di piu'



Ansa. SCHEDA: Ecco come si cerca posto in Italia e Ue
Dati Eurostat sul secondo trimestre 2011
07 gennaio, 21:24
Dal ricorso ad amici e parenti alla pubblicazione di annunci di lavoro, ecco le principali strade percorse per trovare un'occupazione in Italia e in Europa, secondo dati Eurostat, espressi in percentuale, riferiti al secondo trimestre del 2011.

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 METODO                                               ITALIA   UE 17   UE 27
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 Chiedere amici-parenti-sindacati              76,9     68,9    69,1
 Rivolgersi direttamente a datore lavoro 64,8     61,1    61,1
 Diffondere il curriculum                           63,9     68,8    71,5
 Svolgere test-colloqui-esami                   34,2     20,5    17,8
 Rivolgersi a centri pubblici impiego        31,9     52,4    56,1
 Pubblicare-rispondere annunci lavoro      31,4     42,0    44,4
 Contattare centri privati impiego             18,0     24,8    22,6

Lavoro: in Italia 2 su 3 ricorrono a parenti, amici o sindacati
77% vuole approcci informali, 32% va da centri pubblici impiego
07 gennaio, 20:43
ROMA - In Italia oltre due persone su tre in cerca di lavoro si affidano a un'intermediario che puo' essere un parente o anche un sindacato. Ricorrere a chi si conosce gia' e', cosi', la prima strada che si percorre per trovare un posto. A certificare le ''usanze'' degli italiani a caccia di un impiego e' Eurostat nel rapporto 'Methods used for seeking work', secondo dati aggiornati al secondo trimestre del 2011.
Nella Penisola chi bussa alle porte di amici, parenti o sindacati e', infatti, pari al 76,9%, una quota superiore alla media dell'area euro (68,9%), a quella dell'Unione europea nel complesso (69,1%) e soprattutto circa doppia a confronto con quella di Paesi come Germania (40,2%), Belgio (36,8%), Finlandia (34,8%). Anche se nel Vecchio continente c'e' chi fa peggio, e' il caso della Grecia (92,2%), ma pure di Irlanda e Spagna.
Nell'Unione europea, inoltre, si fa molta pubblicita' del proprio curriculum, del proprio percorso di studi, (68,8% Ue 17 e 71,5% Ue 27), una modalita' che viene anche seguita in Italia ma con una percentuale inferiore (63,9%), tra le piu' basse, in particolare a confronto con Irlanda e Slovenia, dove quello che Eurostat definisce come lo Study advertisement e' praticato da piu' di nove persone su dieci in cerca di lavoro.
L'Italia risulta anche tra i Paesi che meno fanno affidamento agli annunci di lavoro che compaiono sulla stampa o sul web, con solo il 31,4% che si rende disponibile a una precisa prestazione o risponde a un'offerta di impiego. Insomma, gli italiani credono poco nei contatti a distanza e privilegiano di gran lunga gli approcci diretti e informali. Non a caso e' anche al di sotto dei valori medi europei la quota di coloro che si rivolgono ad operatori istituzionali, come i centri pubblici per l'impiego (31,9%), addirittura l'Italia e' penultima nell'eurozona, alle spalle solo di Cipro, con una forte distanza dalla Germania (82,8%).
Un discorso simile vale per i centri privati di impiego, come possono essere le agenzie del lavoro. In generale, in tutta Europa chi contatta soggetti privati per essere assunto e' una minoranza, ma in Italia la fetta e' ancora piu' risicata (18,0%). Tornado alle preferenze degli italiani, la seconda via scelta per trovare un'occupazione consiste nel chiedere direttamente al datore di lavoro, sempre secondo le tabelle di Eurostat oltre sei persone su dieci in cerca si rivolge al principale. Molto probabilmente si tratta di una modalita' favorita dalla struttura produttiva del Paese, con tantissime piccole e medie aziende, dove, quindi, e' piu' facile entrare in rapporto con i 'capi'.

Lavoro, il ritratto dell'Italia nepotista
Il nostro Paese tra quelli che meno fanno affidamento agli annunci sul web e sulla stampa
MILANO - In Italia oltre due persone su tre in cerca di lavoro si affidano a un intermediario che può essere un parente o anche un sindacato. Ricorrere a chi si conosce già è, così, la prima strada che si percorre per trovare un posto. A certificare le «usanze» degli italiani a caccia di un impiego è Eurostat nel rapporto Methods Used for Seeking Work, secondo dati aggiornati al secondo trimestre del 2011. Nella Penisola chi bussa alle porte di amici, parenti o sindacati è, infatti, pari al 76,9%, una quota superiore alla media dell'area euro (68,9%), a quella dell'Unione europea nel complesso (69,1%) e soprattutto circa doppia a confronto con quella di Paesi come Germania (40,2%), Belgio (36,8%), Finlandia (34,8%). Anche se nel Vecchio continente c'è chi fa peggio, è il caso della Grecia (92,2%), ma pure di Irlanda e Spagna. Nell'Unione europea, inoltre, si fa molta pubblicità del proprio curriculum, del proprio percorso di studi, (68,8% Ue 17 e 71,5% Ue 27), una modalità che viene anche seguita in Italia ma con una percentuale inferiore (63,9%), tra le più basse, in particolare a confronto con Irlanda e Slovenia, dove quello che Eurostat definisce come lo «study advertisement» sia praticato da più di nove persone su dieci in cerca di lavoro.
GLI ANNUNCI SUL WEB - L'Italia risulta anche tra i Paesi che meno fanno affidamento agli annunci di lavoro che compaiono sulla stampa o sul web, con solo il 31,4% che si rende disponibile a una precisa prestazione o risponde a un'offerta di impiego. Insomma, gli italiani credono poco nei contatti a distanza e privilegiano di gran lunga gli approcci diretti e informali. Non a caso è anche al di sotto dei valori medi europei la quota di coloro che si rivolgono ad operatori istituzionali, come i centri pubblici per l'impiego (31,9%), addirittura l'Italia è penultima nell'eurozona, alle spalle solo di Cipro, con una forte distanza dalla Germania (82,8%). Un discorso simile vale per i centri privati di impiego, come possono essere le agenzie del lavoro. In generale, in tutta Europa chi contatta soggetti privati per essere assunto è una minoranza, ma in Italia la fetta è ancora più risicata (18,0%). Tornando alle preferenze degli italiani, la seconda via scelta per trovare un'occupazione consiste nel chiedere direttamente al datore di lavoro, sempre secondo le tabelle di Eurostat oltre sei persone su dieci in cerca si rivolge al principale. Molto probabilmente si tratta di una modalità favorita dalla struttura produttiva del Paese, con tantissime piccole e medie aziende, dove, quindi, è più facile entrare in rapporto con i capi.

Lavoro, record di scoraggiati
1,5 milioni di italiani hanno rinunciato a cercarlo
In Italia la crisi ha portato sempre più persone a rinunciare alla faticosa e deludente ricerca di un posto, in altre parole ad arrendersi a un mondo del lavoro bloccato. E così gli scoraggiati hanno sfondato la soglia di un milione e mezzo, raggiungendo la quota più alta dall'inizio delle serie storiche dell'Istat, ovvero da sette anni.
Ecco che nel terzo trimestre del 2011 si è toccato l'apice, con 1 milione e 574 mila italiani che affermano di essersi tirati fuori dal mercato perché ritengono impossibile essere assunti. Il balzo rispetto allo stesso periodo del 2010 è stato del 6,5% (+95 mila unità). Impressiona ancor di più la crescita dal 2004, quando il popolo degli scoraggiati superava di poco il milione.
Da allora, quindi, circa 500 mila persone sono passate dalla parte di chi non è più a caccia di un impiego, rassegnandosi ad andare avanti senza un proprio reddito da lavoro. Coloro che restano a casa perché non credono di poter avere un contratto risultano fuori dalla stime ufficiali sulla disoccupazione, ma la loro avanzata di certo rappresenta un indice dello stato di salute dell'economia e del mondo lavorativo.
 L'Istat fa rientrare gli scoraggiati nel grande bacino degli inattivi, quelli che né hanno né cercano un'occupazione. Un esercito che da sempre in Italia si aggira intorno ai 15 milioni di persone. Come è facile immaginare, più spesso chi si arrende è donna ed è residente al Sud.
Le proporzioni però sorprendono: se si guarda al genere, i due terzi sono femmine (1,031 milioni) e, se si fa riferimento al territorio, si ritrova lo stesso rapporto a danno del Meridione (1,105 milioni), con due scoraggiati su tre del Mezzogiorno. Fin qui si sono considerati gli scoraggiati in senso stretto, ma se a questi si aggiungono quelli in senso lato, coloro che affermano di non cercare lavoro perché in attesa di precedenti azioni di ricerca, allora la cerchia si amplia di 719 mila persone, un gruppo in forte crescita su base annua (+63 mila unita', +9,6%).
Ecco che dalla somma dei due gruppi si ottiene un numero di 2,293 milioni. Analizzando le altre cause che portano all'inattività, sempre nel penultimo trimestre del 2011 risultano in lieve aumento anche coloro che abbandonano la ricerca di un posto per motivi familiari (+1,3%), un rialzo trainato a sorpresa dagli uomini (+18,5%); mentre è calata la quota di chi esce dal mercato per ragioni legate allo studio e alla formazione professionale (-0,4%).

Sviluppo del Mezzogiorno, Monti incontra gli enti locali
7 Gennaio 2012
Il Presidente Monti apprezza l’attenzione dei mezzi di informazione allo sviluppo del Mezzogiorno, obiettivo che e' al centro dell’agenda del Governo, a partire dall’intesa sottoscritta con le Regioni il 15 dicembre scorso a Palazzo Chigi. Nelle prossime settimane il Governo italiano porterà all’attenzione delle istituzioni europee le iniziative avviate nel Sud e i primi risultati, dando conto dell'attuazione degli impegni assunti sul rilancio di questa area del paese nel vertice Euro del 26 ottobre 2011. In vista di queste scadenze, il Presidente Monti intende incontrare il 17 gennaio, insieme ai Ministri Barca, Passera e Profumo, gli enti locali dalla cui azione e attenzione dipende una rafforzata strategia di sviluppo per il Mezzogiorno, in un quadro di leale collaborazione tra tutti i livelli di governo.

Veneto, padania. Disoccupazione oltre il tetto del 7%
Mai così male in Veneto, nel 2007 era al 3%. L’agenzia regionale per il lavoro: «Finiti gli ammortizzatori». La Cgil: «A gennaio oltre 450 aziende in stato di crisi»
VENEZIA — Per la prima volta il tasso di disoccupazione in Veneto supera quota 7% ( i l dato nazionale è l’8,6%). A lanciare l’allarme, all’indomani dell’uscita degli ultimi dati Istat sul lavoro in Italia, è il segretario regionale della Cgil Emilio Viafora. «Le proiezioni di Veneto Lavoro, per i l quarto trimestre 2011, indicavano un aumento del tasso al 6,5%—afferma il segretario della Cgil Veneto —. Oggi, con le rilevazioni provvisorie Istat, invece, possiamo dire che tale quota è stata sorpassata. Siamo oltre il 7%. Un dato molto preoccupante, se si pensa che solo nel 2007, cioè prima della crisi, il Veneto poteva vantare un tasso di disoccupazione del 3%». Per il Veneto si tratta di un brusco risveglio. Nella prima parte del 2011, infatti, il tasso di disoccupazione era sceso in modo sensibile, passando dal 6,3% dell’ultimo trimestre 2010 al 5,4% del primo trimestre 2011; per proseguire con un 4,4% nel secondo trimestre 2011 e quindi 4,5%, del terzo 2011. Quindi l’impennata.
Anche «Veneto Lavoro», che solo tra un mese renderà noto il suo consueto report trimestrale, conferma il trend negativo. «Già nelle previsioni del terzo trimestre avevamo notato un fortissimo rallentamento di tutto il quadro economico, soprattutto per quanto riguarda la produzione industriale - afferma Sergio Rosato, direttore dell’agenzia regionale -. Purtroppo, dunque, quella che è stata annunciata non è una sorpresa. Quando cala la produzione industriale, infatti, vi sono subito ripercussioni sul fronte occupazionale. Diminuiscono i tempi determinati e l'interinale. Altrettanto non succede in altri settori ». Ma perché questa brusca accelerata del tasso disoccupazione, passato nel giro di pochi mesi dal 4,5 al 7%? «Il tasso al 4,5% in realtà era "mascherato" - spiega Rosato -. Per due motivi: la rilevazione era stata fatta nel periodo estivo, cioè quando ci sono molti lavori stagionali. Inoltre, con la fine dell’estate, sono andati esaurendosi molti ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione. Ecco perché adesso ci troviamo con così tanti lavoratori "per strada". Purtroppo per ritrovare una disoccupazione al 7% in Veneto bisogna tornare indietro agli anni Novanta. Neanche nel 2009, cioè nell’acme della crisi, la disoccupazione aveva conosciuto simili livelli. Ci si era fermati al 5,9%».
Le involuzioni occupazionali sono tuttavia la conseguenza di una difficoltà complessiva dell’intero sistema. A sottolinearlo è di nuovo il segretario regionale della Cgil, Viafora, che cita il numero delle aziende che si trovano attualmente in «crisi». «Al 31 dicembre contiamo ben 457 aziende che hanno avviato o che stanno affrontando un processo di richiesta di ammortizzatori sociali, di ristrutturazione o addirittura di chiusura - evidenza il segretario -. Anche questo un dato molto serio. In questo inizio 2012 abbiamo una minore incidenza di casse integrazione, ma una crescita notevole di licenziamenti collettivi e individuali. Parliamo di un aumento del 24% rispetto allo stesso periodo del’anno scorso». I settori più in crisi sono sempre li stessi: edilizia abitativa, legno, arredamento. Ma c’è anche chi nella crisi sta facendo affari. «Oro e agroalimentare continuano a crescere - chiude Viafora -. E, in genere, chi ha puntato forte sull’esportazione ».
Giovanni Viafora

Grecia: dubbi Fmi, deve fare di piu'
Riforme al palo, privatizzazioni sotto aspettative
07 gennaio, 18:43
(ANSA) - ROMA, 7 GEN - Dubbi del Fmi sulla capacita' della Grecia di ridurre il debito. Secondo quanto pubblicato dal tedesco Der Spiegel, la Grecia dovra', a parere del Fondo, fare di piu' per consolidare le proprie finanze. In alternativa i creditori privati dovranno svalutare piu' di quanto previsto o i paesi di Eurolandia dovranno partecipare con maggiori risorse al salvataggio di Atene. Critiche anche alla mancanza riforme: la riscossione delle tasse e le privatizzazioni sono infatti inferiori alle aspettative.

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