venerdì 13 gennaio 2012

Il nostro futuro dipende dalla politica italiana

di Rolf Gustavsson – 7 gennaio 2012
[Articolo originale "Politiken i Italien avgör vår framtid" di Rolf Gustavsson]
Pubblicato in: Svezia
Traduzione di ItaliaDallEstero.info



Tutto dipende dall’Italia. È questa la conclusione di una serie di previsioni per il 2012. Il ragionamento è stato formulato nel modo più esplicito in un editoriale pubblicato prima di capodanno sul Washington Post: il futuro dell’economia mondiale dipende dalla capacità dell’Europa di risolvere la crisi del debito, ma l’Europa non può farlo se l’Italia non mette in ordine le sue finanze.
L’Italia è insomma troppo grande perché la si possa lasciar fallire.

Mario Monti, attualmente sia presidente del consiglio che ministro dell’economia italiano, ha letto l’editoriale del Washington Post ed è palesemente a disagio nell’essere indicato come protagonista di questo dramma globale. Monti sa cosa c’è in gioco. E sa anche che il tempo stringe e che le difficoltà sono enormi.
A fine anno, Monti ha tenuto un’inconsueta conferenza stampa. Per circa due ore, il professore ha dissertato della crisi e delle strategie del governo usando un alto livello di astrazione.
Con i tagli del primo pacchetto anticrisi (il decreto “salva-Italia”) Monti ha frenato la caduta verso l’abisso, ma adesso bisogna aspettare il giudizio dei mercati. Lo Stato avrà bisogno di un prestito di circa 100 miliardi di euro nel primo trimestre e Monti cerca disperatamente di far abbassare gli interessi.
Le parole, però, da sole non bastano a guadagnare il rispetto del mondo. Adesso si tratta di mostrare anche la propria fermezza dando il via a quella modernizzazione che per decenni in Italia è stata trascurata. Già tra due settimane Monti presenterà il contenuto concreto di un programma di riforme per la crescita.
Sarà un programma basato più sui princìpi che sui soldi. Di soldi, infatti, non ce ne sono. Monti ha invece tanti princìpi che vorrebbe vedere applicati.
Sono gli stessi che ha portato avanti in modo così rigoroso a Bruxelles, nei dieci anni alla Commissione europea: le richieste liberali di una concorrenza più libera e più aperta e di maggiore flessibilità. È qui che lo aspettano i problemi più grandi, ed è qui che dovrà sviluppare il suo talento pedagogico, perché nella società italiana non c’è particolare entusiasmo per le dottrine del libero mercato. Anzi, ciò porterà ad uno scontro frontale con le diverse costellazioni, ormai stabili, di corporazioni, gilde e associazioni più o meno informali – a volte criminali – che costituiscono la rete di protezione della società civile.
Le resistenze più forti verranno probabilmente dalle organizzazioni sindacali, se e quando Monti si farà paladino della ”flexsecurity” danese sul mercato del lavoro italiano. Ma persino l’idea di liberalizzare un piccolo settore come quello dei taxi può portare un governo italiano alla rovina.
Dalla sua parte, Monti ha solo una debole, inefficiente e opaca burocrazia. Oltretutto, per realizzare i suoi princìpi, Monti dipende dall’accordo con i grandi partiti in parlamento, dove si trova la classe politica più privilegiata d’Europa. Finché essa, malgrado tutti i duri pacchetti di riforme, apparirà come una casta di intoccabili, la vecchia diffidenza nei confronti dello Stato italiano rimarrà. Gli ambiziosi princìpi di Mario Monti presuppongono che in Italia si compia una rivoluzione culturale.

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