lunedì 5 marzo 2012

am:5.3.12/ Dino Pesole: Un macigno, una voragine che inghiotte le risorse pubbliche e costringe a impegnare solo per gli interessi una cifra enorme, 77 miliardi l'anno, secondo gli ultimi dati disponibili. Da quando, e stiamo parlando degli anni Ottanta, il debito pubblico è di fatto raddoppiato, i governi di allora hanno trasferito sulle spalle delle generazioni successive il peso di un macigno che supera e di gran lunga l'intera ricchezza prodotta dal Paese.---Bozen, oltrepadania, Orfeo Donati: E l'assessore provinciale Thomas Widmann lancia l'allarme sulle urgentissime riforme strutturali di cui dobbiamo dotarci per metterci al riparo dai tagli romani. Assessore facciamo un passo indietro: non possiamo negare che fino ad oggi l'autonomia speciale di Bolzano le risorse le ha avute ed in misura più che adeguata. Certamente. Questo è un dato oggettivo così come va detto che non ci è stato regalato nulla.

Solo la crescita può ridurre il peso del debito
Bozen, oltrepadania. Widmann: «In Provincia è l'era dei tagli»
Ticino. I russi rimettono Putin al Cremlino
Ticino. Timeo Danaos et dona ferentes?



Solo la crescita può ridurre il peso del debito
di Dino Pesole
 Un macigno, una voragine che inghiotte le risorse pubbliche e costringe a impegnare solo per gli interessi una cifra enorme, 77 miliardi l'anno, secondo gli ultimi dati disponibili. Da quando, e stiamo parlando degli anni Ottanta, il debito pubblico è di fatto raddoppiato, i governi di allora hanno trasferito sulle spalle delle generazioni successive il peso di un macigno che supera e di gran lunga l'intera ricchezza prodotta dal Paese. Un debito al 120% pone seri problemi di sostenibilità, come abbiamo verificato nelle drammatiche giornate di novembre, quando lo spread tra in nostri BTp e i Bund tedeschi ha toccato la cifra record di 575 punti base. Riusciremo – si chiedono Paolo De Ioanna e Marcello Degni nel libro «La voragine, inghiottiti dal debito pubblico», appena pubblicato da Castelvecchi – uscire dal debito e dalla crisi? Risanare l'Italia e riformare le istituzioni europee è una sfida possibile?
 Interrogativi che andrebbero girati direttamente a chi ha in questo momento in mano le chiavi del futuro dell'Europa, la Germania in primo luogo. Gli strumenti ormai sono sostanzialmente consolidati. La nuova disciplina di bilancio traccia un percorso di rientro dal deficit e dal debito che sulla carta non ammette distrazioni. Si potranno certo invocare, è il nostro caso, gli altri «fattori rilevanti», vale a dire la consistenza del risparmio privato e l'effetto delle riforme strutturali già approvate, ma tutto ciò non ci esimerà dal garantire un deficit sostanzialmente in equilibrio e dal ridurre il debito a un ritmo pari a un ventesimo l'anno, fino al raggiungimento del tetto massimo del 60 per cento.
 De Ioanna e Degni confermano: si può discutere della velocità del percorso di rientro e delle modalità per raggiungere l'obiettivo, «ma nessuno può negare questa necessità». Ed ecco apparire la grande assente in questi mesi di confusa ricerca del rigore avant tout, in un'eurozona alle prese con una crisi senza precedenti: la crescita. Per ridurre stabilmente il debito senza spingere un Paese sull'orlo del tracollo, la via maestra è agire sul denominatore. Equità, rigore e sviluppo: l'ultimo termine – osservano gli autori – racchiude le misure necessarie per accrescere il denominatore. I primi due quelle per diminuire il numeratore. Il rigore è indispensabile, «ma senza la crescita non vi sono grandi speranze».
 La vera sfida che attende l'Europa e il nostro Paese, una volta soddisfatti gli appetiti rigoristi imposti da elettori tedeschi del tutto refrattari a pagare il costo del risanamento di Paesi poco virtuosi, è immaginare un percorso di sviluppo stabile per il Vecchio continente. Sarà tutt'altro che agevole, in un'area unita sotto il segno della moneta ma con sistemi fiscali rigidamente nazionali e priva di un vero governo comune dell'economia. È una scommessa sul futuro, non certo al pari di quelli che De Ioanna e Degni definiscono «vincoli cartacei e ragioneristici», come l'obbligo costituzionale al pareggio di bilancio, con cui «si vorrebbe erigere un'illusoria barriera alla crescita della spesa».
 Non è una mission impossible. Dal prossimo anno dovrà essere proprio il bilancio in pareggio a blindare la discesa del debito. Come ha osservato di recente Giuseppe Pisauro su lavoce.info, «ogni variazione del Pil nominale si tradurrà, quindi, in una variazione del rapporto debito-Pil». Con una crescita reale pari a zero nel 2013 e un'inflazione al 2%, il debito scenderebbe dal 120% al 118 per cento. Nel 2014, con il pareggio di bilancio stabilizzato, una crescita reale dell'1% e l'inflazione al 2%, si scenderebbe a quota 114 per cento. E poi lentamente verso la scalata alla vetta.

Bozen, oltrepadania. Widmann: «In Provincia è l'era dei tagli»
L'assessore invoca "subito riforme strutturali a costo anche di sacrifici impopolari"
di Orfeo Donatini
BOLZANO. I rapporti fra autonomia speciale e governo dei tecnici è corretto sul piano formale quanto disastroso su quello concreto dei finanziamenti: lo scorso anno, dopo la firma del Patto di Milano con il vecchio governo Berlusconi e poi con il decreto "Salva Italia" dell'attuale esecutivo Monti, Bolzano ha perso qualcosa come un miliardo e mezzo di euro (più del 20% di un bilancio annuale) nel 2011 ed in previsione ha ulteriori salassi per circa 600 milioni quest'anno e di altri 800 per il prossimo anno. E l'assessore provinciale Thomas Widmann lancia l'allarme sulle «urgentissime riforme strutturali di cui dobbiamo dotarci per metterci al riparo dai tagli romani». Assessore facciamo un passo indietro: non possiamo negare che fino ad oggi l'autonomia speciale di Bolzano le risorse le ha avute ed in misura più che adeguata. «Certamente. Questo è un dato oggettivo così come va detto che non ci è stato regalato nulla. Tuttavia oggi il ragionamento da fare è un altro, ovvero quello che a far bene si sarebbe dovuto fare in tempi di "vacche grasse"». Ossia quale? «Semplicemente quello delle riforme strutturali di cui la nostra Provincia ha assoluta necessità se vogliamo continuare a garantire ai nostri concittadini la qualità dei servizi che abbiamo fino ad oggi loro erogato». Quando parla di "vacche grasse" lo fa al passato, evocando per l'oggi le "vacche magre" ma soprattutto facendo intuire ritardi nelle scelte strategiche. E' così? «E' inutile girarci intorno: la nostra situazione economica non è più quella di una volta ed oggi siamo tutti chiamati a fare scelte anche dolorose e impopolari». Dunque tagli, tagli e ancora tagli. Ma a cominciare da cosa? Dal personale? «Non dobbiamo fare ragionamenti semplicistici del tipo: visto che vanno in pensione circa mille dipendenti provinciali all'anno, significa che se blocchiamo il turn-over in dieci anni avremo 5.000 dipendenti in meno. Non è così che si può ragionare. Primo perché ai nostri dipendenti ci teniamo, secondo perché prima dobbiamo capire - e ripeto siamo già in ritardo - quale modello amministrativo e organizzativo vogliamo avere». Va bene la prudenza per il personale e la sanità che da soli sono comunque due capitoli che si portano via quasi 3,5 miliardi del bilancio, ovvero ben più della metà. Ma allora dove si può mettere mano? «Beh dobbiamo chiederci se possiamo permetterci tutti i sussidi che eroghiamo oggi, a partire non solo da quelli sociali, ma anche da quelli per l'economia, per le infrastrutture, per lo sport o per le strade. In ogni caso voglio ripetere il concetto: potremmo anche tagliare tutto e subito, ma non basterebbe. Ci vogliono quelle riforme strutturali che ci consentano di cambiare modello con tutta la gradualità necessaria». Si rende conto che sta prospettando questo quadro a poco più di un anno dalle elezioni? «Me ne rendo perfettamente conto, ma credo che se vogliamo continuare ad essere dei politici seri, come abbiamo dimostrato di essere in questi ultimi decenni, dobbiamo imboccare subito una strada diversa. Fatta di sacrifici, di priorità e, se necessario, anche di scelte impopolari. In caso diverso non è che avremo una strada alternativa da percorrere: non ne avremo proprio. In sintesi: o facciamo subito le riforme necessarie o fra due, massimo tre anni, saremo fermi. E su queste cose non c'è alcuna valutazione etnica da fare».

Ticino. I russi rimettono Putin al Cremlino
di Redazione
La vera novità potrebbe essere quella lacrima: Vladimir Putin si è commosso davanti ai suoi, quando è andato a reclamare la vittoria davanti alle mura del Cremlino. Non avrà bisogno di un secondo turno. Lo “Zar” ha ottenuto l’obiettivo di ridiventare per la terza volta presidente della Russia al primo turno elettorale. Ma a molti non piace la durata del suo nuovo mandato, ora allungato a sei anni, con la possibilità di ricandidarsi mantenendo il potere sino al 2024, ossia un quarto di secolo: meno solo di Stalin. Soltanto Putin potrà dimostrare che questo non è, come sostengono alcuni analisti, «l’inizio della sua fine», ma l’inizio di una nuova fase. Una sfida ardua. «Abbiamo vinto in una lotta onesta, non daremo questa vittoria a nessuno», ha detto ieri a 100mila fan raccolti in piazza quando, a pochi minuti dalla chiusura dei seggi, gli exit poll assegnavano al premier uscente il 64,3% delle intenzioni di voto, 7 punti in meno del 71,3% con il quale aveva trionfato nel 2004.
Il leader comunista Ghennady Zyuganov è al secondo posto con il 17% e, a sorpresa, l’oligarca Mikhail Prokhorov quasi al 10%. «Cominceremo un nuovo movimento politico. Ho vinto la mia battaglia», ha detto il magnate ai suoi, promettendo che scenderà in piazza lunedì sera insieme all’opposizione per denunciare i brogli. Zyuganov (comunisti) ha ottenuto meno del suo partito al voto alla Duma del dicembre scorso, e ha già annunciato che non riconoscerà il risultato del voto: «È disonesto, illegittimo». Il nazionalista Vladimir Zhirinovsky ha conservato il suo 8% e il socialista Serghei Mironov dal 12% del suo partito Russia Giusta a dicembre si è ridotto a un misero 3%.
Le denunce di brogli
Ieri nei seggi di Mosca e altre città era in corso la battaglia degli osservatori, molti dei quali allontanati dallo scrutinio, altri che cercavano di impossessarsi di copie dei verbali o di denunciare manipolazioni. Già nella giornata del voto gli osservatori – inclusi perfino quelli dello stesso Putin, per non parlare dell’opposizione – hanno denunciato centinaia di casi di brogli, soprattutto le cosiddette “giostre” con elettori da altre regioni che arrivano a votare organizzati in gruppo in seggi diversi da quelli di residenza, e girano più seggi per ripetere l’operazione. Le migliaia di web-cam installate su ordine di Putin in tutti i seggi della Russia comunque sono servite a qualcosa: il risultato elettorale in un seggio nel Daghestan è stato annullato già ieri, dopo che gli osservatori via internet hanno rilevato l’inserimento di decine di schede nelle urne da parte dei membri della commissione elettorale.
05.03.2012

Ticino. Timeo Danaos et dona ferentes?
 di Matteo Caratti - 03/05/2012
Ma guarda un po’! Ci fu un tempo, durato decenni e che sta ora forse per chiudersi, nel quale l’alta finanza elvetica con mire internazionali sosteneva economicamente solo i grandi partiti borghesi. Così la grossa banca x versava al partito borghese y, possibilmente con una certa discrezione, una determinata somma per aiutarlo a svolgere il suo mandato. Se interpellati, i presidenti del partito beneficiato dicevano che non potevano/volevano dire chi versava cosa. Anzi, assicuravano che neppure i loro deputati eletti a Berna sapevano (o meglio dovevano sapere) quanto una determinata banca versava al loro partito... per non restarne influenzati. Inutile dire che l’impressione era di trovarsi di fronte a una ridicola recita: figuratevi se un deputato Plr, Ppd o Udc al Nazionale o agli Stati non sapesse se una determinata banca figurava nella lista dei finanziatori del suo partito!
Di ieri la novità. Credit Suisse, seguendo il modello Raiffeisen, potrebbe adottare un nuovo metodo di finanziamento dei partiti.
Un metodo che mira a sostenere tutte le formazioni politiche presenti in parlamento con una somma forfettaria calcolata in base al numero degli eletti.
Il cambiamento è epocale per almeno tre motivi. Primo, perché viene finalmente ammesso pubblicamente, persino pubblicizzato, quello che le parti (il partito e la banca) facevano sinora il possibile per nascondere, ovvero l’esistenza di finanziamenti e persino la loro entità; secondo, perché non ci saranno più, almeno per questi tipi di aiuti, i partiti di serie A (che ricevono) e quelli di serie B (che non ricevono); terzo, perché i presidenti di taluni partiti di governo non potranno più raccontarci la favoletta del “tenevamo segreti quei versamenti per non influenzare i nostri deputati nelle loro autonome scelte”, visto che da adesso in poi si saprà quanto riceveranno a deputato.
Ma perché mai si è giunti a questo cambiamento di strategia? Perché una delle maggiori banche svizzere, se le cose andranno in questa direzione, ha voluto finanziare persino quei partiti che fanno il tiro al piccione con la finanza e con quelle banche che, per i loro comportamenti troppo disinvolti all’estero, stanno indebolendo assai il segreto bancario?
Semplicemente perché si sentono con l’acqua alla gola: con gli Usa vi sarà presto un’assistenza facilitata grazie all’accordo fiscale siglato, mentre l’Europa (che su questo dossier sembra aver trovato unità d’intenti) rinizia a puntare i piedi.
La scorsa settimana il professor Sergio Rossi, così affermava in un suo interessante intervento andato in onda suRete 2(Plusvalore) dall’emblematico titolo “Salviamo le banche dai banchieri”: “Invece di continuare a sognare il passato, affannandosi per conservare ciò che resta del segreto bancario, i banchieri svizzeri dovrebbero preoccuparsi del futuro, che non permetterà loro di avanzare per inerzia come hanno fatto negli ultimi settant’anni. Per essere competitive le banche svizzere dovranno reinventarsi a breve e lungo termine, dato che nell’immediato futuro non potranno più contare sul sostegno politico ormai compromesso dai loro comportamenti illegali negli Usa, e che nei prossimi 10 o 20 anni la Svizzera dovrà accettare volente o nolente lo scambio automatico delle informazioni bancarie con un numero crescente di nazioni sempre più agguerrite”. Parole chiarissime.
Ora non ci resta che attendere per capire se le banche, che potrebbero cambiare atteggiamento nei confronti di certi schieramenti politici sinora ignorati, lo faranno immaginandosi di avere anche un qualche tornaconto. In tal caso il sostegno politico, che è già ai minimi, potrebbe risentirne ulteriormente, D’altro canto sarà interessante analizzare anche l’atteggiamento dei partiti che sinora hanno ricevuto poco o nulla: sarà ispirato più al motto “a caval donato non si guarda in bocca” o a quello “timeo Danaos et dona ferentes”?

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