sabato 5 maggio 2012

pm_5.5.12/ La terra dei basilischi, degli emigranti ex immigrati dal mare, del petrolio del nord, e del grano duro “Senatore Cappelli”, l’unico accettabile per quel fanatico perfezionista di mio nonno. - Tasso di imprenditorialità tra i più bassi d’Italia, scarsa propensione all’internazionalizzazione, aziende troppo ancorate alla spesa pubblica e al mercato interno, crollo dell’erogazione di prestiti bancari, emorragia di posti di lavoro soprattutto nel settore dei servizi. Ecco, in estrema sintesi, le metastasi di un’economia lucana malata, in piena recessione.

Maro': tribunale Kochi autorizza partenza Enrica Lexie
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Basilicata, è recessione «Aggrappati» a turismo e agroalimentare
Viaggio nella povertà. A Potenza dilaga tra i professionisti
Aprile 2012: tasso di inflazione più alto dal 2008
Comuni in bancarotta, la Croazia vacilla

Maro': tribunale Kochi autorizza partenza Enrica Lexie
05 maggio, 12:53
NEW DELHI - L'Alta Corte di Kochi ha autorizzato oggi la partenza della Enrica Lexie. Lo ha reso noto il direttore generale della compagnia armatrice, Pio Schiano. ''Confermo che il tribunale ha emesso l'ordine - ha detto all'ANSA Schiano - ed ora mancano solo alcune pratiche presso le autorita' portuali e doganali''.

Con voce distesa, Schiano ha aggiunto che "le pratiche residue dovrebbero prendere poco tempo" e che la partenza della petroliera potrebbe avvenire "già in serata o domattina". Il console generale Giampaolo Cutillo, che rappresentava il governo italiano nelle procedure dell'Alta Corte, ha indicato che "dopo l'accettazione da parte dei giudici delle garanzie bancarie e degli impegni riguardanti le condizioni poste per il rilascio dell'unità, restano solo le pratiche per i permessi ordinari alla partenza".
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Basilicata, è recessione «Aggrappati» a turismo e agroalimentare
POTENZA - Tasso di imprenditorialità tra i più bassi d’Italia, scarsa propensione all’internazionalizzazione, aziende troppo ancorate alla spesa pubblica e al mercato interno, crollo dell’erogazione di prestiti bancari, emorragia di posti di lavoro soprattutto nel settore dei servizi. Ecco, in estrema sintesi, le metastasi di un’economia lucana malata, in piena recessione. Un quadro generale inquietante che si cerca di «mitigare» scorgendo venature di ripresa tra le pieghe del dossier sulla congiuntura regionale, base di discussione della «Giornata dell’economia» organizzata dalla Camera di Commercio a Potenza. Non resta che aggrapparsi a tre aspetti per alimentare un minimo di fiducia nel futuro: le buone performance di imprese che, al netto della Fiat, hanno rapporti di interscambio con l’estero; la riduzione della perdita di posti di lavoro nell’industria rispetto al 2010; la crescita dei settori turismo e agroalimentare in cui ci sembrano esserci ampi margini di manovra per creare occupazione e reddito. Ma veniamo ai dati più significativi del rapporto.
Produzione Nel 2011 il volume di produzione industriale ha fatto registrare in Basilicata il -4,3% che è superiore alla media del Mezzogiorno (-3,7%) e dell’Italia (-1,8%). La crisi produttiva non ha fatto sconti ai principali settori industriali e neanche alle classi dimensionali. A fine 2011 la recessione ha interessato il 58% di imprese manifatturiere (contro il 33% rilevato nel primo trimestre).
Cig Le difficoltà di tenuta dell’apparato industriale regionale trovano riscontro nell’ulteriore espansione degli interventi di sostegno della cassa integrazione guadagni, arrivati a sfiorare i 10 milioni di ore nel 2011, cui corrisponde un’eccedenza di manodopera pari a circa il 10 per cento dei dipendenti totali dell’industria a livello regionale. L’ampio ricorso alla Cig ha contribuito a rallentare la caduta dei livelli occupazionali nel settore, ma costituisce un potenziale fattore di crescita della disoccupazione in caso di mancato reintegro dei cassintegrati nel ciclo produtivo, più probabile laddove sono stati attivati interventi straordinari e in deroga.
lavoroCon riferimento agli indicatori sintetici del mercato del lavoro, il tasso di occupazione regionale è risalito di mezzo punto percentuale rispetto al 2010 e, attestandosi al 47,6 per cento, un valore superiore di 3,6 punti alla media meridionale, ma molto al di sotto di quella nazionale (56,9%). Ancora più significativo il miglioramento del tasso di disoccupazione, sceso dal 13 al 12 per cento, anche in considerazione della «tenuta» dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro della popolazione in età lavorativa, invariati al 54,2 per cento. L’apparente paradosso di un sistema produttivo che continua ad espellere manodopera, per cui aumentano i disoccupati ex-occupati, ma crea occupazione aggiuntiva, di cui beneficiano le persone in cerca di primo impiego e gli ex-inattivi (in calo tra i senza lavoro) trova spiegazione dove si consideri il carattere temporaneo che sembrerebbe assumere gran parte della nuova occupazione. In altri termini, la crisi costringe le imprese a ridurre gli organici ed a ricorrere a manodopera temporanea per far fronte ad eventuali variazioni dell’attività.
servizi Al ridimensionamento dell’industria è corrisposto un calo dell’attività nei servizi, indeboliti dal crollo della domanda interna, soprattutto della spesa per consumi delle famiglie. Il commercio ha accusato flessioni record del fatturato che, nell’ultimo trimestre del 2011, hanno raggiunto il 9 per cento, con difficoltà riscontrabili anche nella grande distribuzione.
natalità imprese La crisi e il clima di sfiducia hanno determinato una sensibile riduzione della nascita di nuove aziende. La Basilicata è al penultimo posto in Italia per tasso di imprenditorialità (sta peggio solo la Sicilia). La bassa propensione a «fare impresa» contribuisce ad accentuare il fenomeno dell’invecchiamento della compagine imprenditoriale con evidenti problemi di ricambio generazionale che si tradurranno nella chiusura di molte aziende, soprattutto nel comparto artigianale. Cresce, di contro, l’importanza dell’imprenditoria femminile, che sembra aver retto meglio all’urto della crisi rispetto a quella maschile.
credito In Basilicata, come nel resto d’Italia, c’è una marcata stretta creditizia, resa ancora più grave dall’allungamento dei tempi di pagamento, sia del settore pubblico che tra le imprese. A livello regionale, poi, vi è una vera e propria emergenza insolvenza, con un ammontare delle sofferenze bancarie che nel 2011 è aumentato di oltre il 60 per cento, per un’incidenza sul totale degli impieghi che supera addirittura il 20 per cento nel caso dei finanziamenti destinati alle imprese.
exportTra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, l’export regionale aveva mostrato una decisa ripresa, bruscamente interrottasi nel secondo trimestre dello scorso anno e poi trasformatasi in «crollo» nelle frazioni successive, con flessioni nell’ordine del 15-20 per cento. Molto è imputabile a limiti strutturali delle nostre imprese che possiamo sintetizzare in: elevata «dipendenza» da un unico settore (l’industria dell’auto); scarsa presenza di aziende che operano in una dimensione internazionale; un «made in Basilicata» che non ha rapporti con i mercati esteri più dinamici. Eppure, in alcuni settori come l’agroalimentare, i segnali di crescita ci sono stati anche nel 2011, testimoniando la presenza di significative potenzialità di apertura internazionale di molte produzioni locali.
Turismo L’industria delle vacanze si conferma anche nel 2011 trainante per l’economia lucana, nonostante la caduta dei consumi delle famiglie che tagliano sempre di più su viaggi e visite. I dati dell’Apt (azienda di promozione turistica) segnalano una significativa ripresa del movimento turistico nella regione, sia sul versante delle presenze che degli arrivi, dopo un 2010 all’insegna della stazionarietà. Il numero di pernottamenti nelle strutture ricettive, in particolare, ha messo a segno un incremento del 3,9 per cento su base annua (circa 73 mila in più), tornando a sfiorare i 2 milioni, come nel 2005. D’intensità relativa quasi analoga la crescita degli arrivi (+3,6 per cento) che, per la prima volta, hanno superato le 500 mila unità.

Viaggio nella povertà. A Potenza dilaga tra i professionisti
di MASSIMO BRANCATI
Che a Potenza aumentino sempre di più i poveri non è un fatto puramente statistico. Si percepisce. Basta guardare ai tanti cittadini che si rivolgono alla Caritas, alle parrocchie e alle altre «sentinelle» della solidarietà sparse nel capoluogo, come i sei gruppi Vincenziani. La vera novità di quest’ultimo periodo è che tra chi chiede una mano non ci sono più soltanto disoccupati, senza tetto, emarginati o extracomunitari, ma impiegati, operai, professionisti, avvocati, categorie che nell’immaginario collettivo sono al riparo da problemi economici: aumentano in maniera esponenziale le persone che si rivolgono alla diocesi di Potenza per avere un aiuto, per una bolletta che non si riesce a pagare. La situazione, insomma, sta diventando davvero incandescente e l’intero sistema della solidarietà, di fronte alle pressanti richieste, rischia di andare in tilt.

STATISTICHE - Percentuali che fanno rabbrividire e che fotografano una situazione generale preoccupante. Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat, infatti, il 22,5 per cento delle famiglie lucane arriva a fine mese con molta difficoltà. L’istituto di statistica, in particolare, evidenza che il 29,1 per cento delle famiglie non riesce a sostenere spese impreviste, il 26,2 per cento non ha soldi per vestiti, il 14,2 per cento dichiara di non aver avuto soldi per le spese mediche, il 12,9 per cento non riesce a riscaldare la casa adeguatamente, il 12,3 per cento è stata in arretrato con le bollette, il 5,8 per cento non ha avuto soldi per spese alimentari.

IN CITTÀ - Ottocento famiglie potentine vivono con un reddito (saltuario) che non tocca i 300 euro mensili. E siccome al peggio non c’è mai fine, diciamo pure in questa platea di poveri ci sono ben 364 nuclei familiari che non hanno alcun reddito. Sono i principali dati frutto di una rilevazione statistica dell’Osservatorio sulle povertà allestito dalla Caritas Diocesana che, percentuali alla mano, lancia qualche altro spunto di riflessione. Le famiglie residenti nel capoluogo sono all’incirca 15.000. Quelle indigenti, dunque, risultano essere il 5,5% (percentuale sottostimata rispetto alla situazione reale), di cui ben l’11,5% abita nel quartiere di Bucaletto. All’interno degli 800 nuclei familiari che vivono tra stenti e disperazione, 111 lamentano problematiche abitative, circa il 13%. Il 15,5% (129 famiglie) ha problemi familiari (separazione, divorzio, allontanamento, conflittualità); il restante 55,9% ha un reddito inadeguato rispetto alle normali esigenze di vita (famiglie monoreddito, pensionati, vedovi, lavoro part-time, lavoro nero). L’1,4% ha avuto o ha problemi di detenzione e giustizia; il 3,5% problemi di dipendenza da droga o da alcol e il 2,2% ha all’interno della famiglia un disabile. Il grado d’istruzione è molto basso (licenza elementare, media inferiore, analfabetismo) nel 3,4% dei casi, e nel 5,3% delle famiglie vi sono persone affette da gravi patologie.
«La povertà, sul nostro territorio - sottolinea il presidente della Caritas di Potenza, Michele Basanesi - sta diventando una vera e propria emergenza, di cui si parla troppo poco e ancor di meno sono le iniziative volte alla diminuzione del fenomeno. Sta aumentando moltissimo il numero di persone che si rivolge a noi, una mole di richieste che non riusciamo a soddisfare in pieno, anche perché i prezzi sono aumentati, compreso quelli dei generi alimentari, e le risorse sono limitate. Ci dobbiamo rendere conto - conclude Basanesi - che affidarsi solo alle istituzioni è sbagliato. Gli enti hanno problemi di bilancio. Dobbiamo mobilitarci tutti: chi sta bene, non ha problemi economici dovrebbe farsi carico delle problematiche di quanti vivono con pochi spiccioli in tasca».

IL CARO-VITA - La crisi e la crescente povertà si riflettono anche sulle abitudini alimentari. Le famiglie lucane – riferisce l’Oss ervatorio Economico della Cia - limitano la spesa alimentare sino al 49 per cento (il 38 per cento ha ridotto il pane e il 48 per cento la carne bovina) rispetto al 2008. I lucani, quindi, continuano a comprare poco e, quando lo fanno, passano per sconti e promozioni commerciali o cercano il massimo risparmio nelle cattedrali del «low-cost ». Significa che oggi, quasi 6 famiglie su 10, riempiono di meno le buste della spesa, spesso perdendo anche in qualità del prodotto. Il 60 per cento cambia addirittura menù; mentre il 35 per cento è costretto a optare per prodotti di qualità inferiore. Analoga la percentuale di chi si rivolge agli hard discount (i cui acquisti nel 2011 sono cresciuti di oltre 3 per cento) o guarda esclusivamente alle «promozioni» commerciali. Una situazione che non sembra destinata a cambiare, visto che le difficoltà economiche delle famiglie restano forti e che il clima di fiducia è sempre più basso.

Aprile 2012: tasso di inflazione più alto dal 2008
Di Delia Cascini  | 05.05.2012 14:53 CEST
L'inflazione acquisita per il 2012 è  pari al 2,7%. Lo dichiara l'Istat che nelle stime preliminari per aprile calcola l'inflazione di fondo, al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi,  al 2,3% (al netto dei soli beni energetici, il tasso di crescita tendenziale dell'indice dei prezzi al consumo resta stazionario al 2,2%).
La stabilizzazione dell'inflazione ad aprile, spiega l'Istituto di statistica, è il risultato della stazionarietà (al 4,2%) del tasso di crescita tendenziale dei prezzi dei beni, accompagnato da un lieve rallentamento di quello dei servizi (2,2% dal 2,3% del mese precedente). Sotto il profilo settoriale, nel mese di aprile i più rilevanti effetti di sostegno alla dinamica congiunturale dell'indice generale vanno imputati ai beni energetici regolamentati e non regolamentati (rispettivamente +2,2% e +2,0%).
Impatti da non sottovalutare  derivano, inoltre, dagli aumenti su base mensile dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,3%) e dei ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,2%). Nel dettaglio, guardando i diversi comparti, i maggiori incrementi congiunturali dei prezzi rilevati nel mese di aprile toccano le divisioni Servizi ricettivi e di ristorazione (+1,7%), Trasporti (+1,3%) e Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (+1,1%).
In diminuzione nel mese, invece, risultano i prezzi delle Comunicazioni (-1,1%) e dei Prodotti alimentari e bevande analcoliche (-0,1%). Su base annua, i maggiori tassi di crescita interessano le Bevande alcoliche e tabacchi (+7,8%), i Trasporti (+7,4%) e l'Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (+6,9%). Mentre i prezzi delle Comunicazioni e dei Servizi sanitari e spese per la salute risultano in flessione (rispettivamente -2,1% e -0,2%). Inoltre, sulla base delle stime preliminari, l'indice armonizzato dei prezzi al consumo per i Paesi dell'Unione europea (Ipca) aumenta dello 0,9% sul mese precedente e del 3,8% in termini tendenziali (lo stesso valore di marzo).
Ad aprile il rincaro annuo del cosiddetto carrello della spesa, cioè i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza (dal cibo ai carburanti), è del 4,7% un valore, superiore al tasso d'inflazione (3,3%), che risulta il più alto da settembre 2008.
"Tradotto in termini di costo della vita, significa che una famiglia di tre persone spenderà, per fare la spesa di tutti i giorni, 635 euro in più su base annua, mentre per una famiglia di quattro persone la stangata sarà di 686 euro all'anno". È  quanto calcola il Codacons. "È  evidente che aumentare ad ottobre l'Iva significherebbe una ulteriore spinta sui prezzi già alle stelle", aggiunge.
Secondo il Codacons, infatti, "l'effetto sull'inflazione sarebbe variabile tra l'1,32% e l'1,74%, a seconda che scattino anche gli arrotondamenti e le speculazioni".

Comuni in bancarotta, la Croazia vacilla
Illuminazione pubblica spenta, asili chiusi, dipendenti senza stipendio causa casse vuote. Ma c’è chi non fa pagare le tasse
di Mauro Manzin
TRIESTE. Illuminazione pubblica spenta, telefoni muti, le fontane a secco e gli asili senza bambini. Non è uno scenario del dopo bomba bensì la cruda realtà che sta fagocitando moltissimi comuni croati ridotti oramai sull’orlo della bancarotta e con le casse irrimediabilmente vuote al punto da non poter pagare i propri addetti. Kutjevo, Saborsko, Hravtska Kostajnica e Slatina sono solo alcuni dei 479 comuni croati (ma prima del 1992 ce n’erano appena 104) alle prese con un enorme deficit di bilancio e il cui destino sembra essere solamente la bancarotta. I problemi si accumulano, le entrate comunali sono sempre inferiori e lo Stato non ha soldi per cercare di risanare quello che ancora può essere risanato.
Prendiamo l’esempio di Saborsko. In cassa non c’è più una kuna. Gli addetti non vengono pagati e, se non avverrà un miracolo, a breve agli uffici municipali verranno tagliati i telefoni e l’erogazione dell’acqua. Il colpo di grazia alle già asfittiche casse municipali lo ha dato la sentenza del tribunale che ha condannato il comune a pagare 132mila euro allo Stato, ossia l’ammontare delle spese illecite effettuate dal suo sindaco per questo motivo condannato a 14 mesi di reclusione.
A Hrvatska Kostajnica, per l’ordinaria amministrazione e gestione dei servizi municipali, avrebbero bisogno di 260mila euro e almeno altri 500mila per far funzionare gli asili e la biblioteca. Sono già scattati i primi licenziamenti mentre i pagamenti vengono effettuati con grave ritardo. A Kutjevo avevano previsto in bilancio di avere a disposizione due milioni di euro, si sono ritrovati con un milione scarso. Risultato: i dipendenti non sanno se saranno pagati a fine mese mentre l’illuminazione pubblica in città e in quindici rioni periferici è stata tagliata.
Ma il Comune più inutile della Croazia, a detta di molti, è Saborsko, nella regione di Karlovac, 874 abitanti che detiene tra l’altro il poco onorevole record della più alta percentuale di bilancio destinata alla paga dei dipendenti e alle spese materiali: l’88% del bilancio. Per lo sviluppo, i servizi municipali, ossia per tutto quello per cui un comune è operativo resta solo il 12%.
Il settimanale croato Forum ha calcolato, esaminando i bilanci di tutte le aree metropolitane del Paese (127 in tutto quando prima del 1992, anno in cui c’è stata la riforma degli enti locali, aree metropolitane erano solo Zagabria e Spalato) che la metà di esse non riuscirebbe a sopravvivere senza l’iniezione di aiuti dallo Stato che lo scorso anno hanno toccato quota 264 milioni di euro. In Croazia ci sono tante aree metropolitane quante ce ne sono in Gran Bretagna. La burocrazia delle autonomie locali contava nel 1992 28mila unità, oggi si oltrepassa quota 40mila. Un apparato decisamente sovradimensionato che costa allo Stato croato qualcosa come 3 miliardi di euro l’anno.
In questo bailamme economico-burocratico l’unico Comune a ricevere una valutazione negativa dalla magistratura contabile è stato quello di Velika Kopanica, 3750 abitanti nella regione della Posavina (Est) che ha dato i natali all’eminente pedagogo croato Ivan Filipovi„. Il suo sindaco tre anni fa proprio alla vigiglia delle elezioni è stato condannato per falsa testimonianza grazie alla quale un gruppo di suoi amici ha potuto beneficiare di aiuti statali per l’agricoltura. Eppure è stato lo stesso rieletto. Così siede sullo scranno del primo cittadino da oltre dieci anni. Il suo segreto? Semplice: nessun cittadina deve pagare nulla, nessuna tassa, nessun balzello al Comune. Una sorta di zona franca auto-dichiarata, un paradiso fiscale in miniatura, una sorta di terra promessa per gli italiani massacrati dai balzelli del governo Monti.


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