giovedì 14 giugno 2012

Vuoi deve’ che un analista finanziario americano ci libera dai padani?

Il Financial Times dà ragione a Bossi: Europa unita più piccola e solo con il Nord Italia
di Elysa Fazzino
Un'Europa più piccola e compatta, come l'impero di Carlomagno, con il Nord Italia insieme a Francia, Germania e i Paesi del Benelux: per qualcuno - all'interno degli Stati fondatori dell'Ue - è il modello ideale di unità europea. E' quanto scrive sul Financial Times Tony Barber, in un'ampia analisi che nota come l'Europa sembri gravitare verso il suo nucleo centrale.



Se Francia e Germania riescono a tenere in vita una qualche forma di unità europea, scrive l'opinionista, sarà una federazione politica o un'unione fiscale di ampiezza limitata. («L'Europa su un canovaccio più piccolo»).
Accanto al sogno, «appannato», di un'Europa unita – osserva Barber - c'è l'incubo di un continente lacerato da una «crescente crisi del debito sovrano e del sistema bancario». La crisi finanziaria «sta mettendo alla prova come mai prima d'ora la capacità di resistenza delle democrazie europee basare sul welfare state e la durabilità del processo d'integrazione post-1945». Se i leader europei non superassero questo test, avverte, «le potenziali ripercussioni per il mondo» e per il posto dell'Europa nel mondo andrebbero oltre i tristi presagi che circolano nei circoli imprenditoriali e finanziari sui sistemi bancari devastati e sul disordine economico mondiale.

La crisi – sottolinea il Ft - «minaccia di scucire il tessuto dell'integrazione focalizzando le frustrazioni degli elettori del Nord e del'Ovest – francesi, tedeschi e olandesi – sui Paesi più poveri del Sud e dell'Est - greci, polacchi e rumeni».
In termini economici, alcuni Paesi sono meno padroni del loro destino. Grecia, Irlanda e Portogallo sono sotto stretta sorveglianza estera. Spagna e Italia perseguono programmi d'austerità, «redatti in parte sotto pressione esterna», che schiacciano la crescita economica e aumentano la disoccupazione, ma «fanno poco per attenuare i costi punitivi di indebitamento sui mercati finanziari».
Il timore di una spaccatura dell'eurozona sta rinazionalizzando i mercati, avverte il Ft: gli investitori ritirano fondi dai Paesi «partner» e li parcheggiano in patria. Acquisti su larga scala di titoli pubblici italiani e spagnoli da parte delle istituzioni finanziarie italiane e spagnole «hanno creato una connessione allarmante» tra debito sovrano e banche che deve essere spezzata per sventare il rischio che si distruggano a vicenda.

Un'uscita della Grecia, a parte il pericolo di contagio finanziario su altri Paesi, «rischia di avere profonde conseguenze politiche», sottolinea Barber. Sarebbe la prima volta che un Paese che vi ha aderito abbandona il processo di integrazione europea. E non è un Paese qualsiasi, ma un Paese considerato come «fonte e origine» della civiltà europea. Se ciò accadesse, sarebbe impossibile presentare l'integrazione «come un processo irreversibile che coinvolge tutta l'Europa».
In realtà, precisa l'opinionista del Ft, un ideale «snellito» di unificazione era già nella mente dei leader europei quando vararono il Trattato di Lisbona del 2009, che per la prima volta prevede la possibilità che un Paese lasci l'Ue. «Molti politici UK, in gran parte inglesi, vorrebbero fare proprio questo».
Esistono dubbi – continua - anche su quanto i Paesi europei occidentali vedano l'integrazione come un modello che comprenda tutti gli Stati ex comunisti. «Deplorano l'allontanamento dell'Ungheria dagli standard democratici Ue e condannano la corruzione e il crimine organizzato in Bulgaria e Romania».

«Per alcuni, negli Stati membri fondatori dell'Ue, l'ideale di unità non è l'impero romano, che includeva Londra e Costantinopoli, ma l'impero medievale di Carlomagno, che consisteva essenzialmente in Francia, Paesi del Benelux, Germania e Nord Italia».
Ma anche un'Europa più piccola, fa notare Barber, dovrebbe fare i conti, come fa l'Ue oggi, con i bassi tassi di crescita a lungo termine, il debito eccessivo, la stagnazione demografica, i sistemi pensionistici sovraccarichi e la concorrenza di potenze non europee. E c'è anche un problema di sicurezza nazionale e spesa militare: con gli Stati Uniti sempre più concentrati su Asia-Pacifico, i governi europei dovrebbero rafforzare la spesa per la difesa in un momento di tagli alla finanza pubblica e resistenze della popolazione ai tagli del welfare.
In questo clima di tensioni, «potrebbe essere difficile per i partiti politici che hanno governato l'Europa dal 1945 – socialdemocratici, centristi e centrodestra – mantenere il controllo di fronte a sfidanti radicali e non convenzionali che attraggono consensi dall'Austria e dalla Finlandia all'Olanda e all'Italia».

Per quanto riguarda l'Eurozona, la crisi ha intensificato gli appelli a un'integrazione più stretta. Al vertice I'Ue del 28 e 29 giugno saranno presentate proposte di unione. Ma è un obiettivo di medio termine e la strada per arrivarci è dura.
Il Ft approfondisce in un riquadro la spinta all'unione politica. La crisi di legittimazione sta spingendo alcuni veterani di Bruxelles ad argomentare che i 17 Paesi dell'eurozona debbano fare i loro preparativi legislativi nell'ambito di una «spinta d'avanguardia a una maggiore integrazione». «Ma una tale mossa di rottura indebolirebbe l'unità del mercato unico e, alla fine, la stessa unione».

Dopo avere messo in evidenza i contrasti tra francesi e tedeschi, Barber osserva: «Le divergenze franco-tedesche non sono niente di nuovo nella storia Ue. Può darsi che le due nazioni trovino un modo per tenere in vita una qualche versione dell'unità europea. Ma se lo fanno, sarà una federazione politica o un'unione fiscale di portata limitata. Non tutti i 27 Stati membri Ue ne faranno parte. Se la fortuna dell'Europa tiene, in futuro sarà libera. Ma sarà qualcosa meno che intera», conclude echeggiando le parole pronunciate dal presidente Usa George Bush senior a Mainz nel 1989, sul finire della Guerra Fredda: «Che l'Europa sia intera e libera».
 14 giugno 2012

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