martedì 24 luglio 2012

(1) XXIV.VII.MMXII/ Roberto Perotti: Il vero segreto dell'Esm è dunque che esso consentirà di fare gli stessi salvataggi di prima, ma senza pesare sui debiti pubblici dei Paesi prestatori e debitori, perché tutte le operazioni sono ora fuori bilancio. In realtà, per il contribuente europeo non cambia nulla. Esso rimane responsabile ultimo degli aiuti elargiti: se il Paese debitore non ripaga, ci rimette il contribuente europeo, esattamente come ora. Questo è un passo indietro pericoloso, perché si riduce la trasparenza e si genera l'illusione di poter ottenere qualcosa dal nulla.

Sicilia e rischio default: martedì incontro Monti-Lombardo           
I tedeschi sull'orlo di una crisi di nervi: la paura corre sui media.
Cisi: Moody's gela la Germania
Le scarse munizioni disponibili per l'Efsf
Quei debiti «fuori bilancio»
Madrid sprofonda sempre di più nella recessione

Sicilia e rischio default: martedì incontro Monti-Lombardo           
Il presidente della Regione dal premier per dimostrare che i conti dell'Isola tengono, nonostante la situazione sia difficile e per rispondere agli attacchi, arrivati in mattinata, dalla stampa straniera
PALERMO. Per dimostrare che la Sicilia non  rischia il default e che «i conti tengono, nonostante la  situazione sia difficile», il governatore, Raffaele Lombardo,  domani si presenterà a Palazzo Chigi con un corposo dossier  predisposto dagli uffici della Regione durante il week-end. Al  premier Monti, Lombardo, nei cui confronti proprio stamani la  Procura di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per reato  elettorale aggravato dall'avere favorito l'associazione mafiosa,  spiegherà che «il vero problema è quello della liquidità,  avere il contante per pagare i fornitori», quindi presenterà  il conto: «Ci è dovuto un miliardo di euro, spero che  arrivi».    
 Sebbene anche il ministro dell'Interno, Anna Maria  Cancellieri, oggi in visita in Sicilia, abbia ribadito che «non  c'è un rischio default» ma «una situazione economica grave  come in altre regioni italiane», l'eco della crisi finanziaria  dell'isola è arrivato sulla stampa estera: l'International  Herald Tribune e il New York Times definiscono la Sicilia come  «la Grecia d'Italia», soprattutto dopo la decisione di  Standard & Poor's di sospendere il rating, confermando BBB+ con  outlook negativo, per «insufficienti informazioni».    
 Ma il governatore non ci sta e ribadisce la tenuta dei conti.  «Abbiamo un debito di 6 miliardi a fronte di un Pil di 80  miliardi, abbiamo un debito che pesa per il 7% sul Pil, quello  dell'Italia pesa per il 120%» incalza, mentre centinaia di  autonomisti, esponenti del Mpa, nel pomeriggio hanno assediato a  Palermo l'ufficio del commissario dello Stato, da cui sarebbe  partito l'affondo nei confronti del governo Lombardo e  dell'autonomia statutaria. A gettare legna sul fuoco è anche un  ex deputato regionale, appena dimessosi per vicende giudiziarie:  Cateno De Luca, leader del movimento 'Sicilia Verà, ha  trasmesso una nota al premier, con «gli artifizi contabili»  che secondo lui «hanno consentito all'attuale governo regionale  di occultare oltre 10 miliardi di debiti».     
All'esito del vertice a Palazzo Chigi è legato a stretto  filo il testo di legge sulla spending review composto da 62  norme, tra cui il «taglio» di circa 2.500 dipendenti della  Regione, attraverso il prepensionamento, oltre a riduzioni di  società pubbliche, canoni di locazione e buoni pasto. Il  provvedimento trasmesso stamattina dall'assessore all'Economia,  Gaetano Armao, però s'è subito arenato in commissione Finanze  dell'Assemblea regionale. Sembra che Lombardo non condivida  alcune norme, a cominciare proprio dalla riduzione del  personale, tagli che vorrebbe evitare, soprattutto in  prossimità della campagna elettorale. Il testo, «bloccatò in  attesa del vertice romano, dovrebbe essere comunque approvato  dall'Ars, come emendamento all'assestamento di bilancio, entro  il 31 luglio, giorno in cui il governatore dovrebbe dimettersi,  come ha più volte annunciato.    
Ma un altro caso rischia di sollevare nuove polemiche in  tempi di tagli alla spesa. La Regione ha appena »arruolato«  oltre mille 'rilevatorì, personale esterno, inserito in due  appositi elenchi, che sarà chiamato a svolgere indagini  statistiche per i prossimi tre anni. Il numero è il doppio di  quello del triennio precedente e il ricorso agli esterni viene  motivato con la carenza di personale in una Regione che però  conta 18 mila dipendenti.

I tedeschi sull'orlo di una crisi di nervi: la paura corre sui media.
Schäuble resiste all'assalto della Bild
di Michela Dell'Amico
La crisi dell'euro non lascia speranze e il nuovo attacco speculativo rimbalza sui media tedeschi che – dalla più popolare Bild, agli autorevoli Spiegel o Süddeutsche Zeitung – non nascondono il terrore dell'opinione pubblica di essere travolta. Bild, quotidiano da milioni di copie, affronta l'argomento a partire dall'immagine di un'anziana signora che, preoccupata, conta i soldi che le restano. Il tedesco medio, soprattutto dopo una certa età, soffre per la crisi: affitti, assicurazioni, l'incubo dell'inflazione preoccupano soprattutto i pensionati, che vedono aumentare i prezzi e diminuire le rendite degli investimenti, senza tregua. L'esperto di turno suggerisce come investire in sicurezza - massima sicurezza - visti i tempi. Il motivo - spiegano - sta nei prestiti che la Banca Centrale concede a tassi minimi alle banche, nel tentativo di stimolare l'economia. Ma l'economia di chi? Chi causa la crisi?
In un'intervista che sta facendo il giro del web, Bild chiede senza giri di parole al ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble di rispondere alla domanda: «Perché dobbiamo sborsare noi per le banche spagnole?» Il ministro rassicura: «Sono certo che con questo credito la Spagna sarà più stabile e affidabile». Ma la Bild affonda. «Perché devono essere i tedeschi che devono garantire per le banche spagnole? Gli elettori hanno detto chiaramente basta agli aiuti, perché il governo si ostina in senso opposto?».
Schäuble è certo che la Germania non sarà trascinata nel vortice del debito e spiega che gli interessi tedeschi sono legati a quelli del resto d'Europa quindi, piaccia o no, c'è da digerire. Ma il giornale insiste: «Sarebbe proprio così catastrofica un'uscita della Grecia dall'euro?» Qui il ministro concede che il nuovo governo greco dovrebbe smetterla di chiedere nuovi aiuti e piuttosto impegnarsi per un'attuazione rapida degli impegni presi. «La cosa più importante - precisa – è che il nuovo primo ministro attui il programma stabilito senza ulteriori ritardi» mentre invece la Grecia ha chiesto due anni in più per raggiungere l'obiettivo di un deficit del 2,1% dal 9,3% del 2011. Si calcola che tale proroga potrebbe costare tra i 16 e i 20 miliardi di euro in finanziamenti stranieri.
Un sondaggio su larga scala dell'Ifop Institute pubblicato sullo stesso giornale ha inoltre stabilito che il 78% dei tedeschi e il 65% dei francesi vuole che la Grecia lasci l'Eurozona (come pure il 51% degli spagnoli e il 49% degli italiani). La maggioranza degli intervistati è infatti convinta che Atene non ripagherà il salvataggio. Altri articoli rendono chiara la posizione del quotidiano: «Signora cancelliera, rivedremo mai quei 100 miliardi di euro stanziati per la Spagna?» Sottotitolo: «L'ha fatto di nuovo! E questa volta proprio nel bel mezzo delle ferie. Nuovi miliardi stanziati per pagare i conti dell'euro». Poi una carrellata di eventi e stanziamenti e una conclusione ironica e amara: «Adios Milliardos!»
Populismo da destra a sinistra
Schäuble a parte, la Bild aggancia a queste provocazioni i virgolettati che piovono da ogni parte politica e mettono tutti d'accordo. L'ex ministro delle Finanze Peer Steinbrück (SPD, il partito di sinistra) non ha dubbi: «Sempre più Stati dovranno abbandonare l'euro». Nessun nome, ma tutto chiaro: Grecia e Spagna per prime se ne devono andare. Due parole anche per Frank Schaffler (FDP, i liberali) «Ho detto no (a ulteriori aiuti). Non servirà a risolvere i problemi della Spagna e ci mette a rischio».
Peter Gauweiler (CSU): «Perché i tedeschi che pagano le tasse devono provvedere alla crisi spagnola? Nessuno lo capisce!». Klaus-Peter Willsch (CDU): «Dopo gli Stati dobbiamo salvare anche le banche. Questa politica è sbagliata, stiamo esponendo al rischio anche il nostro Paese». Thomas Silberhorn (CSU): «Unire il debito degli Stati? Il caso Spagna non ce lo permette, non posso essere d'accordo».
Intanto, la Banca federale tedesca fa sapere che la permanenza nella moneta unica sarebbe condizionata all'adempimento di «una politica economica e finanziaria responsabile, che soddisfi i requisiti di una valuta comune e una politica monetaria condivisa», al fine di «evitare tensioni eccessive nell'eurozona». Non va meglio con la stampa "moderata". Anche la Süddeutsche Zeitung, considerato il giornale degli intellettuali liberali della sinistra, non nasconde le proprie preoccupazioni e, come pure il Der Spiegel, incalza: «Il Fondo monetario internazionale ha fatto sapere alla Commissione europea di non essere più disposto a partecipare a eventuali nuovi pacchetti di aiuti per gli ellenici».
Si prosegue con "Berlino boccia nuovi aiuti", "La Grecia si trascina con le riforme, basta alla pazienza", e si sottolinea che i mercati stanno speculando sulla possibilità che la Grecia resti in Europa. «Nuovi sostegni sono impensabili», ha detto anche il ministro dell'economia e vice-cancelliere Philipp Roesler, che non usa mezzi termini e annuncia: «Un'uscita dall'euro dei Paesi molto indebitati non fa più paura».
Cosa si dice di noi
Si parla anche dell'Italia? Pare proprio di sì: la Süddeutsche Zeitung dedica direttamente a noi un lungo articolo che affronta in particolare la situazione della Sicilia. «L'isola può affondare e rendere vani tutti gli sforzi di Monti», si ammonisce. «Tutta l'Italia è in crisi ma in Sicilia la situazione è drammatica - spiega il quotidiano di Monaco -. Il primo ministro Mario Monti avverte che la regione è a un passo dalla bancarotta e spinge alle dimissioni il presidente della regione. Dopo la Grecia - prosegue - l'Italia ha il più alto debito pubblico dell'Eurozona. È in corso un piano di risparmi e le tasse sono state alzate, ma il Sud del Paese può ancora vanificare gli sforzi e trascinare l'Italia intera nella bancarotta. Stessa linea, dicevamo, per lo Spiegel, il settimanale di Amburgo tra i più letti d'Europa, che nella versione online dedica diversi approfondimenti alla questione, e tenta di rispondere alla domanda: «Ha ancora senso tentare di salvare la moneta unica?»
 23 luglio 2012

Cisi: Moody's gela la Germania
Rivisto a ribasso outlook Berlino. Piu' aiuti anche a Italia
24 luglio, 00:44
(ANSA) - NEW YORK, 23 LUG - Moody's gela la Germania.
L'agenzia internazionale di rating rivede al ribasso le prospettive di Berlino, così come quelle di Olanda e Lussemburgo, a 'negative' da 'stabili'. Una decisione sulla quale pesa l'incertezza sul risultato della crisi del debito europea e sui suoi costi, che potrebbero salire. Moody's intravede infatti la possibilità che ci sia bisogno di ulteriori aiuti per i paesi di Eurolandia, soprattutto per Italia e Spagna.

Le scarse munizioni disponibili per l'Efsf
Isabella Bufacchi L'Efsf, l'unico fondo di stabilità dell'Eurozona, potrebbe avere in cassa, disponibili subito, 15 miliardi di euro. Questa somma non è né confermata né smentita dall'Efsf: si tratta dell'ammontare stimato dai traders, derivante da un semplice monitoraggio dei flussi di cassa dell'Efsf, dal confronto tra quantità di soldi in entrata e in uscita. Esiste un disallineamento tra la raccolta effettuata finora dal fondo salva-Stati, tramite emissione di bond e T-bill, e i prestiti erogati a Grecia, Irlanda e Portogallo. Questi 15 miliardi, prendendo per buono il calcolo, sono un «cash buffer», un cuscinetto di liquidità inutilizzata. L'Efsf ne conferma l'esistenza, non la dimensione: mettere fieno in cascina, finanziandosi in eccesso rispetto agli importi delle erogazioni previste nei salvataggi, è tollerato dallo statuto del fondo. Il cuscinetto mette l'Efsf al riparo dalle violente fluttuazioni del mercato, è un margine di flessibilità per cogliere al volo opportunità di finanziamento a costi convenienti.
 Ebbene, questi 15 miliardi (o quanti essi siano), non sono le munizioni accumulate dall'Efsf per scendere in campo contro la speculazione e abbattere lo spread tra Bonos, BTp e Bund. Nulla toglie che all'occorrenza il cash buffer pensato per agevolare i prestiti a Grecia, Irlanda e Portogallo possa essere dirottato sullo scudo anti-spread. La Spagna ha ottenuto dall'Eurozona un impegno di supporto fino a 100 miliardi per la sola ricapitalizzazione delle banche: il fondo di stabilità avrà pronti 30 miliardi di Efsf-bond entro fine luglio per parare un'emergenza sul solo fronte caldo delle banche spagnole (il modello è quello già adottato per ricapitalizzare le banche greche). Nulla di più. Se Madrid, per ipotesi, questo venerdì dovesse firmare un Memorandum of Understanding mirato ad attivare gli acquisti dei Bonos sul primario e sul secondario da parte del fondo di stabilità, l'Efsf potrebbe – teoricamente – procedere ai primi interventi già il lunedì successivo. Basterebbe trasferire il cuscinetto da 15 miliardi alla Banca centrale europea la quale, in veste di banca agente, deciderebbe sull'intervento da farsi.
 Una quindicina di miliardi potrebbe rivelarsi sufficiente per realizzare interventi per tre, quattro settimane, limitatamente al secondario dei titoli spagnoli. La Bce, lo scorso agosto, quando iniziò ad acquistare BTp e Bonos, lo fece la prima settimana per oltre 20 miliardi, successivamente per circa 15 miliardi: con una ripartizione, non ufficiale ma stimata dagli addetti ai lavori, di due terzi sull'Italia e un terzo sulla Spagna. L'Efsf, esaurito sui Bonos il buffer di liquidità destinato a Grecia, Irlanda e Portogallo, sarebbe costretto in piena estate ad affrettarsi a ripristinarne uno nuovo, per alimentare gli acquisti futuri sui Bonos (mai dare ai mercati la sensazione di aver finito le munizioni) e prepararsi alle erogazioni greche, irlandesi e portoghesi.
 L'emissione di Efsf-bond più grande finora ha avuto luogo lo scorso 10 luglio, per 6 miliardi: è molto difficile, per non dire impossibile, che l'Efsf riesca a finanziarsi sui mercati a un ritmo di 15-20 miliardi alla settimana per alimentare le potenziali necessità dello scudo anti-spread, oltre agli aiuti per Grecia, Irlanda e Portogallo. Per domare lo spread, l'Efsf dovrebbe anche essere messo nella condizione di annunciare e difendere a oltranza un tetto massimo al rendimento dei titoli spagnoli: le risorse per tale impresa le ha solo la Bce.
 Lo scudo eretto dall'Efsf rischia di avere meno fortuna dei primi interventi Bce. Quando la banca centrale intervenne sui titoli italiani e spagnoli, la scorsa estate, nessuno sapeva che sarebbe stato un creditore privilegiato, come emerse poi dalla ristrutturazione dei titoli di Stato greci. Se l'Efsf (creditore pari passu, stesso livello dei privati) dovesse attivarsi sullo scudo, il mercato non si darebbe pace, temendo che i suoi acquisti si riverserebbero in settembre sul bilancio dell'Esm, creditore privilegiato. Cuscinetto a parte, lo scudo anti-spread – così come intuibile dagli annunci di Consiglio europeo ed Eurogruppo – non funziona. E questo i mercati lo sanno bene: gli attacchi contro Bonos e BTp anche ieri sono la prova che lo scudo, neanche come deterrente, per ora funziona.

Quei debiti «fuori bilancio»
 Roberto Perotti
Ci sono due modi legittimi per ridurre il debito pubblico lordo di un Paese: un avanzo di bilancio o una cessione di asset pubblici. C'è un terzo modo, che è però solo un inganno pericoloso: nascondere il debito fuori bilancio. Senza che nessuno ne parli, i Paesi europei stanno spesso utilizzando questa terza via.
 In questi giorni è partita l'ennesima campagna di geremiadi contro la Germania: questa volta è colpa di quei fannulloni dei giudici costituzionali, che si prendono ben 50 giorni (incluse le ferie) per esaminare la costituzionalità del nuovo fondo salva-Stati, l'European stability mechanism (Esm). Ma perché tutta Europa è così ansiosa di sotterrare il vecchio fondo salva-Stati, l'European Financial Stability Mechanism (Efsf)? Dopotutto, e contrariamente alle prime impressioni, non c'è molta differenza fra i due fondi: possono prestare più o meno la stessa cifra, 500 miliardi, e più o meno alle stesse condizioni.
 L'entusiasmo per l'Esm ha un altro motivo: esso consente di nascondere i costi dei salvataggi al contribuente europeo. Per prestare un miliardo alla Grecia, il vecchio fondo doveva indebitarsi per un miliardo, che veniva attribuito pro quota al debito pubblico di tutti i 17 membri. Se il fondo avesse prestato tutti i quasi 500 miliardi della sua capacità, il debito pubblico italiano sarebbe aumentato di 78 miliardi, circa il 5 percento del Pil.
 L'Esm si finanzia invece con una dotazione di capitale di 700 miliardi. Ma la quota sottoscritta è molto modesta: 80 miliardi divisi tra 17 Paesi. Essa è però sufficiente perché l'Esm sia riconosciuto da Eurostat come un'"istituzione internazionale della UE" che può autonomamente indebitarsi ed erogare aiuti finanziari, incluse "linee di credito", proprio come una banca che fa leva sul capitale per moltiplicare attivi e passivi; il tutto senza aumentare il debito dei singoli paesi. I restanti 620 miliardi di capitale sono callable capital, che i Paesi possono essere chiamati a versare in caso di difficoltà nel rimborso dei prestiti; anch'essi, in quanto come passività "contingenti", non entrano nella definizione di debito pubblico. Infine, contrariamente a quanto si pensava qualche giorno fa, solo l'Esm potrà prestare direttamente alle banche, senza transitare dal debito pubblico del Paese debitore.
 Il vero segreto dell'Esm è dunque che esso consentirà di fare gli stessi salvataggi di prima, ma senza pesare sui debiti pubblici dei Paesi prestatori e debitori, perché tutte le operazioni sono ora fuori bilancio. In realtà, per il contribuente europeo non cambia nulla. Esso rimane responsabile ultimo degli aiuti elargiti: se il Paese debitore non ripaga, ci rimette il contribuente europeo, esattamente come ora. Questo è un passo indietro pericoloso, perché si riduce la trasparenza e si genera l'illusione di poter ottenere qualcosa dal nulla.
 Qualcosa di simile è avvenuto, su scala più piccola, in questi giorni in Italia. Il Ministero dell'Economia ha "dismesso" la Fintecna e la Sace, vendendole alla Cassa Depositi e Prestiti; il ricavato di 10 miliardi verrà usato per ridurre il debito pubblico. Ma la CdP è partecipatata per il 70% dal Ministero dell'Economia, e per il 30% dalle fondazioni bancarie, che sono formalmente enti di diritto privato ma in realtà, come sanno anche i sassi, sono controllate dal settore pubblico. Lo Stato ha dunque trasferito due società dalla sua mano destra alla sua mano sinistra, ma il debito pubblico scenderà, come d'incanto, di 10 miliardi.
 Come è potuto avvenire? Semplicemente, perchè dal 2003 la CdP è una SpA e non fa più parte formlmente delle Amministrazioni pubbliche, di cui Eurostat calcola il debito pubblico che leggiamo ogni giorno sui giornali. Ma questa è solo una questione di definizioni. Nella sostanza, queste società rimangono pubbliche esattamente quanto prima, e le loro eventuali perdite stanno sulle spalle del contribuenete esattamente quanto prima. Il presidente di Cdp, Franco Bassanini, obietterebbe che «Cdp non usa risorse pubbliche. Impiega risorse private, i risparmi di 25 milioni di italiani»(vedi Il Sole 24 Ore del 15 luglio). Secondo questa logica, Intesa Sanpaolo non è dei suoi azionisti perchè usa i depositi dei suoi clienti per svolgere la sua attività. E poco consola che anche Francia e Germania abbiano le loro Cdp, e che siano meno capitalizzate e trasparenti della consorella italiana.
 L'unico criterio sostanziale per stabilire se si è ridotto il debito pubblico è se si è ridotto il peso sulle spalle del copntribuente futuro. Le alchimie finanziarie, come sappiamo dalla crisi del 2008, nascondono i problemi temporaneamente ma alla lunga fanno solo danni.

Madrid sprofonda sempre di più nella recessione
Luca Veronese
 Sempre più profonda la recessione dell'economia della Spagna. A quattro giorni dall'Eurogruppo che ha dato il via libera al piano di aiuti da 100 miliardi di euro per le banche iberiche e mentre crescono i timori che l'Europa sia costretta a intervenire per salvare l'intero Paese, la Banca centrale di Madrid ha diffuso nuovi allarmanti dati sull'attività spagnola: nel secondo trimestre il prodotto interno lordo è sceso dello 0,4% rispetto ai primi tre mesi dell'anno quando già il Pil era calato dello 0,3 per cento. «L'attività economica spagnola è tornata a contrarsi a un ritmo più intenso rispetto ai trimestri precedenti» - spiegano gli esperti dell'istituto guidato da Luis Maria Linde - come risultato delle difficoltà di tutti i Paesi europei e delle misure di austerity introdotte dal Governo di Madrid. Su base tendenziale, rispetto al primo trimestre del 2011, la diminuzione dell'attività economica è stata invece dell'1 per cento. Nella seconda recessione in quattro anni resta molto debole la domanda interna che «ha subito una flessione più accentuata rispetto al trimestre precedente», mentre l'export ha mostrato una «ripresa moderata».
 Dopo aver aperto male e aver perso oltre il 3% la Borsa di Madrid ha chiuso in recupero a -1,1% sostenuta dalla decisione della Consob spagnola di bloccare le vendite allo scoperto per tre mesi con l'obiettivo di «ridurre l'estrema volatilità dei mercati» e «assicurare il mantenimento della stabilità finanziaria». Sono saliti ancora, ben oltre la soglia del default, invece i rendimenti dei titoli del debito pubblico: i bonos decennali ha raggiunto al termine della mattinata il 7,5% - un nuovo massimo da quando esiste la moneta unica - mantenendosi poi sopra il 7,4 per cento: nel 2013 la spesa per interessi aumenterà - come ha ammesso lo stesso Governo - del 30% superando i 38 miliardi di euro.
 Impotente di fronte alla pressione degli investitori, soprattutto in questi mesi estivi con i mercati molto sottili, il Governo conservatore di Mariano Rajoy insiste nel chiedere un'azione più decisa della Banca centrale europea in funzione anti-spread. Oggi il ministro dell'Economia Luis de Guindos si incontrerà a Berlino con Wolfgang Schäuble: secondo le indiscrezioni pubblicate dal britannico Guardian, il responsabile delle Finanze tedesco cercherà di convincere il Governo di Madrid a chiedere un salvataggio da 300 miliardi di euro al quale dovrebbero contribuire l'Unione europea e il Fondo monetario internazionale. De Guindos anche ieri ha tuttavia ribadito in Parlamento che «la Spagna non ha bisogno di essere salvata perché è un Paese solvibile e necessita solo di tempo e finanziamenti» aggiungendo che le tensioni di questi giorni sono «ancora una volta provocate da comportamenti irrazionali dei mercati». Sulla stessa linea il commissario Ue alla Concorrenza, lo spagnolo Joaquin Almunia, secondo il quale «è urgente e necessario che il fondo salva-Stati europeo venga utilizzato per ridurre gli spread».
 Resta sempre alta l'attenzione anche sui conti pubblici della Spagna. La regione di Valencia, la prima a chiedere il salvataggio statale perché incapace di sostenere le scadenze del debito e la spesa corrente per la sanità, ha quantificato i, 3,5 miliardi il proprio fabbisogno di liquidità. Mentre tra le altre Regioni a rischio (almeno sei compresa la ricca Catalogna) Murcia ha deciso ha deciso di aderire agli aiuti del Governo centrale per 300 milioni di euro.
 «La Spagna si trova in una situazione limite. Ed è sempre meno probabile che riesca a cavarsela da sola, senza un salvataggio totale», ha affermato Kenneth Rogoff, ex capo economista dell'Fmi e docente di Harvard.


Nessun commento: