venerdì 27 luglio 2012

(5) XXVII.VII.MMXII/ Fincantieri e’ un cancro succhiasoldi, assiso comodamente in quel cesso di Monfalcone, e con alcun interesse reale per Torre Annunziata, perche’ non ama il controllo sociale, preferisce la mafia istituzionale del Friuli Venezia Giulia: e’ questione di contractors, cioe’ di opulente ditte dei famigli.===Gran Bretagna. Nel campo degli investimenti stranieri diretti, spiega una nota, risulta che l'Italia ha avviato 98 progetti, il 7% del totale, e l'1% dei corrispondenti posti di lavoro, vale a dire 1.673, seconda solamente agli Stati Uniti, che hanno registrato una percentuale di progetti del 24% e e del 33% per quanto riguarda i lavori associati. Rispetto alla performance dell'anno precedente, dunque, l'Italia è scalata dal nono al secondo posto.---Il centro studi di viale dell’Astronomia, con l’analisi mensile congiuntura flash, avverte che lo scenario globale è ulteriormente peggiorato. E in Italia la diminuzione del Pil proseguirà. La chiusura del secondo trimestre, con tutti gli indici negativi, annulla «le probabilità di rilancio nella seconda metà dell’anno.

Taranto, operai Ilva bloccano il Municipio
Fincantieri, due ipotesi per salvarla
Non ci sarà ripresa nel 2012. Squinzi "molto preoccupato"
Regno Unito, l'Italia al secondo posto per investimenti
Udin, oltrepadania. Friulano, insegnamento chiesto da 39 mila alunni
Trst, oltrepadania. Nell’Isontino un alunno su due vuole studiare il friulano a scuola

Taranto, operai Ilva bloccano il Municipio
Roma - Gli operai dell’impianto siderurgico dell’Ilva di Taranto hanno bloccato le vie di accesso alla città e nel pomeriggio anche la sala consiliare del Comune, dopo che la Procura pugliese ha disposto il sequestro per ragioni ambientali di parte dello stabilimento dove lavorano, che occupa in totale circa 12mila persone.
I lavoratori proseguono lo sciopero a oltranza deciso ieri sera.
La vicenda - che ha creato profonde divisioni nella città - vede da un lato i magistrati, secondo i quali le emissioni dell’impianto hanno messo a rischio la salute di migliaia di lavoratori e di abitanti delle zone circostanti; e dall’altro i sindacati - Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm - preoccupati per il futuro del sito industriale e dei suoi occupati: «Lo sciopero proseguirà finché non otterremo quella che per noi è l’unica soluzione possibile, ossia un blocco cautelativo con gli impianti che rimangono in marcia e la certezza che nulla cambi nella situazione dei lavoratori e delle loro famiglie», ha detto il segretario provinciale della Uilm Taranto, Roberto Basile.
Anche Federacciai ha contestato, in un comunicato, il provvedimento di sequestro deciso dal Gip di Taranto e ha chiesto al governo «di compiere ogni possibile passo per la riapertura dello stabilimento: colpire Taranto significa colpire duramente questa filiera, con conseguenze economiche e sociali drammatiche», scrive Federacciai, secondo cui la vicenda dell’Ilva ripropone «brutalmente il tema della reale possibilità per interi settori dell’industria di base (non solo la siderurgia) di rimanere a operare sul suolo patrio». L’associazione definisce poi «opinabili» le correlazioni tra l’esistenza dell’impianto industriale e salute, che hanno portato al provvedimento del magistrato.
In segno di protesta i lavoratori hanno bloccato i due ponti di accesso a Taranto venendo da Bari (il ponte di pietra e il ponte girevole) e tutte le strade principali della città: la statale 7 via Appia, la statale 172 in direzione Martina Franca e la statale 100 che collega Taranto a Bari. Secondo i sindacati, sono circa 5mila le persone scese in piazza.
Nel pomeriggio, poi, i contestatori hanno bloccato anche la sala consiliare del Comune di Taranto. Non si sono registrati scontri, anche se le forze dell’ordine temono che qualche infiltrato possa approfittare della situazione di tensione.
L’inchiesta della Procura di Taranto, oltre che al sequestro degli impianti, ha portato anche agli arresti domiciliari per otto persone, tra dirigenti ed ex dirigenti dell’Ilva, per concorso in disastro ambientale. Tra questi anche Emilio Riva, fondatore del gruppo Riva che controlla l’Ilva, Nicola Riva, ex presidente di Ilva, e Luigi Capogrosso, ex direttore dell’impianto, una delle poche grandi realtà industriali del Mezzogiorno.
Il ricorso dei legali della società contro il sequestro di parte dell’impianto verrà discusso venerdì prossimo, 3 agosto, davanti ai giudici del tribunale del Riesame di Taranto. Nello stesso giorno cominceranno anche le discussioni sulle misure cautelari nei confronti degli otto indagati.
«Non c’era alternativa al sequestro»
Il sequestro di parte dell’impianto dell’Ilva di Taranto era l’unico provvedimento possibile, ha detto intanto in una conferenza stampa il procuratore generale di Lecce, Giuseppe Vignola: «Non c’era altra possibilità. È stato un provvedimento estremamente sofferto e la sofferenza si coglie in ogni rigo del provvedimento» del Gip Patrizia Todisco, ha detto Vignola, che ha definito «ineccepibile» il lavoro dei periti: «Non può esserci un bivio per la magistratura tra la tutela del posto di lavoro e la tutela dell’ambiente. Esiste l’obbligatorietà dell’azione penale e la necessità di perseguire i reati. Abbiamo operato nel recinto delimitato dal codice Penale».
Il sequestro delle sei aree dell’impianto, inoltre, è stato per il momento solo notificato e non eseguito, come ha voluto chiarire il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, anch’egli presente in conferenza: «Sono stati notificati ed eseguiti i provvedimenti di custodia cautelare personale, solamente notificati per il momento i provvedimenti di sequestro preventivo. La fase di attuazione non è ancora iniziata».
Il procuratore ha spiegato che l’attuazione del sequestro è un’operazione complessa, vista la grandezza del sito in questione, e che l’eventuale disattivazione degli impianti avverrebbe comunque in maniera graduale.
L’Ilva è uno degli impianti siderurgici più grandi d’Europa e nel 2011 ha prodotto 8,5 milioni di tonnellate, il 30% circa della produzione totale italiana. Le sei aree sequestrate sono rappresentate dai parchi minerali, la cockeria, gli altiforni, le acciaierie, l’agglomerazione e il deposito materiale ferroso.

Fincantieri, due ipotesi per salvarla
I sindacati: ora c'è uno spiraglio
Sono contenute nello studio di fattibilità presentato dal Registro navale italiano al ministro dello Sviluppo economico
NAPOLI - Uno studio di fattibilità, con due ipotesi per la salvaguardia del sito industriale di Fincantieri di Castellamare di Stabia, è stato presentato dal Registro navale italiano al tavolo al ministero dello Sviluppo economico a cui hanno partecipato il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, e il sindaco di Castellammare di Stabia, Luigi Bobbio, le organizzazioni sindacali di categoria e confederali.
LE DUE IPOTESI - La prima prevede un bacino più consistente fuori l'area portuale e risorse per 350-360 milioni di euro. La seconda prevede un bacino più piccolo nell'area del porto per 120 milioni di euro. Una riunione per un coordinamento tecnico è stata messa in agenda per il 7 settembre prossimo, e un confronto con le parti sociali è convocato per il 17 settembre.
LE COMMESSE - Sul tavolo ci sono le possibili commesse per il cantiere di Castellammare di Stabia, alla luce anche dell'indicazione emersa circa l'acquisizione che sarebbe stato fatto da parte di Fincantieri di una commessa che porterebbe al cantiere la realizzazione di almeno due navi grandi e di circa 20 navi da crociera fluviali.
SINDACATI - La Cgil Campania ha ribadito la «strategicità della vocazione industriale dello stabilimento di Castellammare, in una situazione di crisi profonda e la necessità di mantenere l'impegno della costruzione del bacino per dotare Castellammare di una infrastruttura fondamentale che sia in grado di rispondere ad un mercato in continua evoluzione». Per il segretario generale della Uilm Campania, Giovanni Sgambati, «finalmente non ci sono più alibi sulle opere infrastrutturali di Castellamare di Stabia. Ora, sia le istituzioni sia Fincantieri devono individuare quale delle due opere realizzare e trovare risorse per fare il bacino». «Sono stati fatti passi avanti importanti nella definizione delle prospettive future per lo stabilimento e ora non c'è tempo da perdere, bisogna lavorare per accelerare i processi e essere operativi già da settembre» dice Lina Lucci, segretario generale della Cisl Campania.

Non ci sarà ripresa nel 2012. Squinzi "molto preoccupato"
Martedì un incontro informale con il presidente del Consiglio Mario Monti, ieri mattina un colloquio telefonico con il Capo dello Stato Giorgio Napolitano: la sintesi che il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, fa del clima delle due conversazioni (sul tema della crisi economica, in Italia e in Europa) è netta: c'è «molta preoccupazione, molta preoccupazione».
Non sono di conforto gli ultimi dati. Il centro studi di viale dell’Astronomia, con l’analisi mensile «congiuntura flash», avverte che «lo scenario globale è ulteriormente peggiorato. E in Italia la diminuzione del Pil proseguirà». La chiusura del secondo trimestre, con tutti gli indici negativi, annulla «le probabilità di rilancio nella seconda metà dell’anno».
Per uscire dalla crisi, dice il centro studi di Confindustria, «quasi tutto ora dipende dall’evoluzione del quadro in Eurolandia, che sempre più appare intrappolata in una spirale depressiva, a causa non tanto di aggiustamenti ineluttabili quanto dell’incertezza e dei danni che la gestione europea della crisi provoca, tra l’altro con politiche di risanamento troppo restrittive», con l’azione della Bce frenata «da vincoli politico-culturali più che istituzionali».
Intanto, i sindacati sono scesi ancora in piazza, e ancora sul tema degli esodati: Cgil, Cisl, Uil e Ugl hanno incalzato il governo perchè apra un confronto, convocando presto un incontro, e lavori ad una soluzione che copra la totalità dei casi di chi, dopo la riforma previdenziale, deve affrontare una finestra di tempo in cui ha perso lavoro e ammortizzatori sociali e non ha ancora una pensione.

Regno Unito, l'Italia al secondo posto per investimenti
Per l'anno 2011-2012, l'Italia è il secondo investitore della Gran Bretagna, generando quasi 2.000 posti di lavoro. Nel campo degli investimenti stranieri diretti, spiega una nota, risulta che l'Italia ha avviato 98 progetti, il 7% del totale, e l'1% dei corrispondenti posti di lavoro, vale a dire 1.673, seconda solamente agli Stati Uniti, che hanno registrato una percentuale di progetti del 24% e e del 33% per quanto riguarda i lavori associati. Rispetto alla performance dell'anno precedente, dunque, l'Italia è scalata dal nono al secondo posto.
A livello globale, la maggior parte degli investimenti è stata nel campo dei servizi (44%), che hanno registrato un aumento del 4% rispetto allo stesso periodo del 2010-2011 e hanno generato il 45% dei posti di lavoro; all'ultimo posto, invece, troviamo l'e-commerce, che ha avuto una percentuale dell'1% soltanto. Complessivamente, gli investimenti sono stati 1.406 e sono diminuiti del 2% rispetto al 2010, generando 112.659 posti di lavoro. I posti di lavoro sono aumentati del 19%, e la maggior parte è stata in acquisizioni, joint ventures e fusioni, che hanno portato al 45% dei lavori associati, nonostante questo campo abbia registrato la percentuale più bassa di investimenti (11%).
Dividendo i vari progetti in base al settore, invece, la performance più deludente è stata nei servizi per il business, che ha generato il 4% dei posti di lavoro e il 5% degli investimenti. A seguire troviamo il settore creativo, con il 5% dei posti di lavoro e il 6% degli investimenti e, distanziandosi poco, quello della tecnologia informatica, che registra il 5% dei lavori associati e il 7% degli investimenti. Il settore con la percentuale di posti di lavoro piú alta è quello dell'ingegneria avanzata (15%), con una percentuale del 10% dei progetti, mentre quello con il maggiore livello di investimenti è il settore dei servizi informatici (17%), generando l'8% dei posti di lavoro. Complessivamente, i nuovi posti di lavoro sono stati 52.741 (26% in più), i posti di lavoro conservati 59.918 (aumento del 14%), per un totale di 112.659 (19% in più), mentre i progetti sono stati 1.406, il 2% in meno rispetto al 2010-2011.

Udin, oltrepadania. Friulano, insegnamento chiesto da 39 mila alunni
Molinaro: c’è stato un incremento del 29%, disponibili 2 milioni in un biennio. Pittoni: il governo vuole declassarlo da lingua a dialetto, ma lo impediremo
di Maura Delle Case
 UDINE. Sono complessivamente 39.236 gli alunni delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado che hanno richiesto l’insegnamento della lingua friulana nelle scuole del territorio regionale per il prossimo anno scolastico, con un incremento del 29% rispetto alle richieste dell’anno in corso (erano 30.250). Questo l’esito del monitoraggio effettuato dalla Direzione generale dell’Ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia e comunicato all’Assessorato regionale all’istruzione.
 «È un esito importante, quasi novemila alunni in più, che giustifica appieno le scelte che la Regione ha fatto in questi ultimi mesi, con la redazione dell’elenco dei docenti in possesso dei requisiti per l’insegnamento e con l’approvazione del piano applicativo - evidenzia l’assessore Roberto Molinaro - che trovano un indispensabile supporto nello stanziamento, confermato nel recente assestamento di bilancio, di un milione di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013. Con tali risorse, infatti, dal prossimo mese di settembre sarà possibile avviare gradualmente, per almeno un’ora settimanale, l’insegnamento nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie per complessivi 31.600 alunni. Parallelamente gli studenti delle scuole secondarie di primo grado, complessivamente 7.563, continueranno a essere coinvolti in progetti specificatamente previsti dal piano dell’offerta formativa».
 Intanto, contro il “declassamento” del friulano, promosso lingua minoritaria dalla legge 482 e ripiombato tra i dialetti dal governo Monti nella sua proposta di spending review, è sceso in campo il senatore della Lega Nord, Mario Pittoni, che allo scopo ha presentato in commissione bilancio del Senato un apposito emendamento soppressivo. Ottenuto il parere favorevole della commissione istruzione (di cui Pittoni è membro), la proposta sottoscritta dal parlamentare friulano è stata accantonata dalla commissione bilancio (assieme ad altri 300 emendamenti sui 1.800 presentati) e dovrebbe confluire – l’ultima parola è della ragioneria dello Stato - nel maxi-emendamento al Dl il cui approdo in aula è previsto per oggi. Motivo del contendere, ricordiamolo, è il comma 16 dell’articolo 14 in cui il Governo riconosce per aree caratterizzate da specificità linguistiche solo quelle nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera.
 «Nella relazione tecnica – riferisce Pittoni – si legge che l’interpretazione della norma si rende opportuna perché alcune Regioni estendono il significato di specificità linguistica anche a territori dove si parla un particolare dialetto usando la legge 482/99 relativa alle norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche tra cui il friulano, l’occitano e il sardo. Con quattro righe – tuona Pittoni – quattro solerti funzionari ministeriali non solo decidono, citandola, d’ignorare una legge dello Stato, ma si arrogano pure il diritto di decidere quali siano lingue vere e quali semplici dialetti».
 L’emendamento soppressivo, di cui il parlamentare leghista è primo firmatario, punta a far stralciare il comma incriminato, non tanto per il suo effetto immediato – in Regione comporterebbe il venir meno di 10 dirigenti scolastici, 40 in Italia -, ma per il suo configurarsi come un pericoloso precedente, «inaccettabile – conclude Pittoni - tanto nella forma che nella sostanza».

Trst, oltrepadania. Nell’Isontino un alunno su due vuole studiare il friulano a scuola
Boom di domande per l’insegnamento facoltativo. Iscrizioni cresciute del 30% rispetto a un anno fa Molinaro: «Interesse che giustifica le nostre scelte». In arrivo un milione di euro per progetti e lezioni
di Roberto Urizio
TRIESTE. È boom di richieste per il friulano a scuola. Sono 39.236 gli alunni delle scuole dell’infanzia, elementari e medie ad avere fatto richiesta per l’anno scolastico 2012/2013, nelle zone in cui la legge approvata nel 2007 dal Consiglio regionale ha reso possibile l’insegnamento della lingua friulana.
 Secondo il monitoraggio elaborato dalla Direzione dell’Ufficio Scolastico Regionale e comunicato all’Assessorato regionale all’istruzione, il dato supera del 29% (circa novemila richieste in più) quello del 2011/2012. Un trend di crescita che porta al 70% degli iscritti gli alunni che frequenteranno le ore di lezione di friulano contro il 55% del passato anno scolastico, quando a fare richiesta per imparare la marilenghe a scuola erano stati 30.250 alunni.
Nella provincia di Udine sono 32.455 gli alunni che vogliono studiare il friulano (il 74% degli iscritti contro il 61% dell’anno scorso quando ci furono circa settemila richieste in meno), a Gorizia 1.574 (circa 500 in meno rispetto al passato anno scolastico, ma in termini percentuali il 55% degli iscritti contro il 46% di un anno fa), ma il vero boom è a Pordenone dove il numero assoluto è più che raddoppiato (da 2.325 a 5.207), passando dal 30% al 57% degli iscritti. Numeri che soddisfano l’assessore regionale all’istruzione, Roberto Molinaro: «È un risultato importante che giustifica appieno le scelte che la Regione ha fatto in questi ultimi mesi, con la redazione dell’elenco dei docenti in possesso dei requisiti per l’insegnamento e con l’approvazione del piano applicativo – evidenzia Molinaro – che trovano un indispensabile supporto nello stanziamento, confermato nel recente assestamento di bilancio, di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013». Risorse che consentiranno, dal prossimo mese di settembre, di attivare gradualmente l’insegnamento per almeno un’ora settimanale nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie, mentre gli studenti delle scuole secondarie di primo grado continueranno ad essere coinvolti in appositi progetti previsti dal piano dell’offerta formativa per almeno 30 ore nel corso dell’anno scolastico.
Nello specifico, hanno fatto richiesta di insegnamento del friulano (per le scuole statali e paritarie) 10.883 alunni delle scuole dell’infanzia (erano 8.153 per il passato anno scolastico), 20.790 alunni delle elementari (rispetto ai 16.175 del 2011/2012) e 7.563 ragazzi delle scuole medie (5.922 l’anno scorso) con una crescita sostanzialmente lineare in tutti i gradi. «L’aumento delle richieste dell’insegnamento è davvero incoraggiante in un momento dove il Governo, di fatto, vuole declassare la lingua friulana a dialetto locale – precisa ulteriormente Molinaro – anche perché in tutti i Comuni delimitati le scelte sono state superiori al 50% degli alunni iscritti, intorno al 55% nelle province di Gorizia e Pordenone e con un 74% nella provincia di Udine. Non è quindi una scelta di pochi ma di una maggioranza delle famiglie, alla quale la scuola è chiamata a corrispondere. Il Governo regionale – conclude l’assessore – farà la sua parte affrontando le non poche difficoltà di carattere operativo ed economico, consapevole che le lingue minoritarie continuano ad essere uno dei fondamenti della specialità regionale».

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