Martedì 27 Marzo 2012 12:31
Scritto da Domenico Bonvegna
Seconda parte
Nella
presentazione presso il Palazzo Jung a cura della Provincia di Palermo, del
libro Sicilia 1860 - 1870. Una storia da riscrivere, edito da Isspe, l’autore
Tommaso Romano, prendendo la parola hasottolineato, che anche sela storiografia
ufficiale non lo ha scritto, la Sicilia ha avuto il suo brigantaggio,lesue
rivolte di popolo,sia nelle città, che nei piccoli centri contro il nuovo Stato
unitario sabaudo. E se nei decenni prima, negli anni delle cosiddetteinsorgenze
del popolo italiano contro gli eserciti francesi di Napoleone, la Sicilia non
insorse, adesso con il cosiddetto Risorgimento, definito da O’ Clery, la
Rivoluzione italiana, la Sicilia insorge eccome. Il libro di Romano partendo
dall’impresa “garibaldina”, che fu sostanzialmente un’operazione di pirateria
internazionale, sostenuta dal piccolo Piemonte e dall’Inghilterra, parte dalle
stragi di Bronte,poi affronta l’argomento del naufragio e della morte di
Ippolito Nievo, che aveva preso le distanze da ciò che riguardava l’Esercito
Meridionale di Sicilia e da come stava evolvendo la situazione politica e
militare dell’Italia. Infatti, il Nievo non condivideva più come si stava
comportando il nuovo Stato. Ecco perché è stato fatto sparire insieme al suo
Resoconto sulla gestione dell’impresa garibaldina.
Segue
il racconto e siamo al 3 capitolo, sull’ultima eroica resistenza borbonica
della Real Cittadella di Messina, caduta il 13 marzo 1861. Romano per questo
argomento rinvia al recente volume curato insieme a Nino Aquila, La Real
Cittadella di Messina 13 marzo 1861 l’ultima bandiera borbonica in Sicilia
(Thule, Palermo 2011).
Nel 4
capitolo il libro si occupa dei plebisciti farsa che si svolsero il 21 ottobre
1860, con ridicole votazioni, senza alcuna segretezza di voto, fra pochi intimi
notabili, dei quali molti garibaldini ammessi al voto in più sezioni
elettorali. Gli elettori furono 575.000 (il 25% di 2.232.000), votarono
432.762. Di cui soltanto 667 contro l’annessione allo Stato sabaudo. Si
racconta di un villano che gridò: Viva Francesco II…Fu ucciso all’istante.
Vittorio Emanuele II presente a Palermo per la cerimonia unitaria, assicurò ai
siciliani di instaurare un governo di riparazione e di concordia. Parole
paradossali in confronto a quello che succede nei giorni successivi. “Il
governo regio - scrive Francesco Renda -fu tutto che di riparazione e di
concordia(…)lo Stato unitario nell’isola presentò subito caratteri
autoritari(…)
Alle
violenze e repressioni ai danni delle popolazioni siciliane, volute prima dai
garibaldini e poi dai regi piemontesi in funzione di conquista e di dominio,
rispondono soprattutto, gli strati popolari, a cominciare dal clero
intransigente, che oppone una vera e propria resistenza, con caratteri diversi
il più delle volte dai fenomeni di brigantaggio meridionale. Tuttavia sono
caratteri significativi da farli ricordare“ai troppi che ancora tendono a
minimizzarli come episodi localistici, oggetto di curiosità di storiografi
municipali destinati ad essere relegati fra le sommosse anarchicheggianti e
utilitariste, capeggiate e strumentalizzate da lestofanti o da aristocratici e
clericali occulti e reazionari”.(pag.54)
Il 5
capitolo fa riferimento al 1862, un anno nodale per l’intensità delle
repressioni dell’esercito del Regno d’Italia sui civili. In questo anno i
latifondisti acquistano molto e si arricchiscono, mentre i braccianti agricoli
si impoveriscono e così molti giovani si diedero alla macchia anche per
sfuggire alla coscrizioni obbligatoria entrando, per necessità o per combattere
gli invasori piemontesi, nelle bande di campagna. Secondo Romano occorre
esaminare attentamente il fenomeno isolano del banditismo: “da un lato i
contadini poveri esasperati uniti ai piccoli proprietari disingannati da un
fisco mai tanto esoso, e dall’altro, gran parte di quanti, riuniti in bande,
spronavano la povera gente alla rivolta sociale e politica. In tutti vi era il
sistematico rifiuto della coercizione derivata dall’unificazione e la palese
delusione rispetto alle speranze e alle illusioni del 1860”. Pertanto, mettere
in luce queste cose, “non mira a donare un’aureola romantica alle bande dei
briganti siciliani, tende solamente ad evidenziare come certi mali antichi si
moltiplicarono anche esponenzialmente, al punto che una ingente massa di
uomini, e in qualche caso anche di donne, si organizzarono, con l’aiuto delle
popolazioni indigene, in cima a montagne aspre e inaccessibili, per far fronte
alla feroce persecuzione poliziesca che travalicava il mantenimento dell’ordine
pubblico divenendo, assai spesso, licenza deliberata e violenta gratuita a
spese, non solo dei briganti, ma anche delle popolazioni e financo dei bambini
inermi”. (pag. 75)
Il
nuovo Stato unitario, attraverso i prefetti venuti da Torino, è incapace di
comprendere le tradizioni, i costumi, la psicologia, la religiosità del popolo
siciliano, inoltre ancora più grave è quell’idea folle di voler esportare e
imporre un modello impossibile per i siciliani, quello del vecchio Regno Sardo.
Il professore Romano tranquillamente ammette che il brigantaggio siciliano si
sovrapponeva in modo nuovo dopo l’unità alla delinquenza comune, raggruppando
renitenti, scontenti, reduci di azioni oppositive al nuovo governo locale e
nazionale, sradicati, ma anche ex soldati e impiegati del passato regime
borbonico…”.(pag. 76)
Il 17
agosto, Palermo e tutte le provincie della Sicilia furono dichiarate in stato
di assedio. Il 28 agosto tocca a Catania, “si intima di non portare armi in
città e che in caso di tumulto, chi fosse arrestato con le armi indosso sarà
fucilato”. Interessante la rivolta popolare che scoppiò a Castellamare del
Golfo, cittadina della provincia di Trapani. Una insorgenza contro “le tasse
esose e la leva obbligatoria, schierata ad affrontare il comune nemico,
raffigurato da rappresentanti militari e civili del nuovo stato, visti come
oppressori decisi a tutto”.(pag.80) Per sedare la rivolta il Sottoprefetto di
Alcamo chiese rinforzi a Palermo che mandò due navi da guerra pieni di soldati.
Tra i giustiziati va ricordata Angela Romano, una bambina di appena nove anni.
La
repressione del generale Savona che si scagliò contro i renitenti di
Castellamare, Alcamo e Monte San Giuliano, fu giudicata un “un bene per la
Patria, per far uscire la Sicilia, “dal ciclo che percorrono tutte le nazioni
dalla barbarie alla civiltà”. In questo capitolo si accenna ai fatti di
Fantina, in provincia di Messina, vicino Barcellona, dove alcuni sbandati
volontari garibaldini, trovano rifugio nel piccolo centro agricolo, un reparto
militare al comando del maggiore Giuseppe C. De Villata, li cattura e subito
dichiarandoli disertori li fucila.Secondo mio fratello, i volontari di Fantina
sono morti probabilmente senza percepire il motivo. Sull’eccidio di Fantina,
Antonio Ghirelli scrisse: “l’episodio di Fantina rimase del tutto sconosciuto
alle cronache ufficiali del risorgimento italiano(…)mentre avrebbe dovuto
suggerire severe riflessioni sulla ferocia con cui i vincitori imposero la loro
legge nel Mezzogiorno, tanto nei confronti del ‘brigantaggio’ più o meno
filoborbonico, quanto e forse ancor più rigorosamente rispetto agli esponenti
del Partito d’Azione, ai volontari garibaldini e agli affiliati alla Giovane
Italia”.(pag. 88)
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