Mercoledì 21 Marzo 2012
19:50
Scritto da Domenico Bonvegna
Ognuno festeggia a modo suo
il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, io l’ho fatto leggendo il libro di
Tommaso Romano, Sicilia 1860 - 1870. Una storia da riscrivere, pubblicato da
ISSPE(Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici),Palermo 2011 (pp.151).
Alcuni capitoli.soprattutto quelli riguardanti le insorgenze, le rivolte del
popolo siciliano contro il nascente Stato liberale sabaudo che dopo aver
conquistato il Regno delle Due Sicilie di Francesco II, imponeva tasse e la
leva obbligatoria indiscriminata, con città e paesi della Sicilia in stato
d’assedio, mi ricordano tanto le recenti rivolte dei forconi del gennaio
scorso. Non per nulla sui giornali, in televisione, si evocavanovecchi fantasmi
dell’indipendentismo siciliano, del brigantaggio, dell’insorgenza
clericale-borbonica degli anni subito dopo il 1860. A questo proposito scriveva
in quei giorni il quotidiano online siciliainformazioni.com: “Mentre nelle
piazze i Forconi, Forza d’Urto e Vespri agitano vecchie e nuovi problemi
siciliani e tipicamente meridionali, il web è teatro di una guerra combattuta
da sigle ‘extraparlamentari che si richiamano alle ragioni delle popolazioni
del Mezzogiorno d’Italia. Ci sono siti e blog sulfurei, che affiancano, ma non
troppo, i movimenti parapolitici: le associazioni e i movimenti duosiciliani e
borbonici. ‘Sud indipendente’, la sigla più gettonata, e Insorgenza,
culturalmente di Destra”.
Certo non intendo forzare
gli eventifacendoli diventare quello che non sono: la rivolta dei forconi
contro il caro benzina non è una rivolta legittimista borbonica,
indipendentista o autonomista, però leggendo le pagine del libro di Romano,
qualche similitudine traspare qua e là.
Il libro consta di 10
capitoli e di ben 27 pagine di bibliografia, basterebbe solo questo dato per
scrivere che il testo può essere definito culturalmente e scientificamente
corretto e ben documentato.
Il processo di conquista del
nuovo Stato liberale in Sicilia si è attuato attraverso gli apparati
burocratici a cominciare dai Prefetti giunti nell’isola affiancando
direttamente il dittatore Garibaldi, prima con Antonio Mordini e poi con tutti
gli altri. Il regime che si instaurò in Sicilia fu subito caratterizzato da
pesanti restrizioni alla libertà personale, con tasse e misure come la
coscrizione obbligatoria, che apparvero subito al popolo, logico compimento di
una sostanziale e ferrea occupazione, in cui Prefetti, Questori, Polizia e
Forze armate reprimevano anche violentemente – come si documenta nel libro –
moti popolari, insorgenze spontanee.
Di queste rivolte, il testo
di Romano fa un elenco circonstanziato dei vari movimenti più o meno
organizzati che si ritrovarono a combattere, magari strategicamente insieme,
contro il nuovo statalismo prevaricatore del neonato Regno d’Italia. Troviamo,
da una parte, repubblicani, radicali, garibaldini delusi e dall’altro fronte, clericali,
cattolici, regionisti, vecchi e nuovi autonomisti, indipendentisti, e poi il
cosiddetto Partito Borbonico e Legittimista, che “non era in realtà- scrive
Romano - composto da un gruppo ristretto di nostalgici e che comunque, forse
per comodità o per reale paura, veniva indicata dalle autorità del regno
sabaudo, nei rapporti ministeriali e in quelli di politica interna, come
‘regista’ (anche sotto mentite spoglie, addirittura repubblicane) di ogni
sommossa, di ogni critica o dissenso”.(pag. 14)
Dopo l’unificazione, per
almeno un decennio, in Sicilia, ma anche a Malta e a Marsiglia, troviamo
diversi esponenti borbonici, anche se la gran parte, in particolare i nobili
come i Tancredi Falconeri o i Consalvo Uzeda, protagonisti dei romanzi del
Gattopardo o del Vicerè, erano già transitati nel nuovo regime per difendere
vecchi e nuovi privilegi insieme ai grandi proprietari terrieri e agli
speculatori fattisi ricchi con nuovi “affari”. La Chiesa Cattolica, dopo una
prima infatuazione “patriottica” e filogaribaldina, la maggior parte si ritrovò
nel fronte conservatore e tradizionale e in più casi, in quello legittimista e
borbonico, patendo persecuzioni e arresti per tutto il decennio.
Nel Parlamento a Torino o a
Firenze a opporsi contro i misfatti e le angherie del Regno sabaudo c’era Vito
D’Ondes Reggio e Emerico Amari. Da ricordare il marchese Vincenzo Mortillaro di
Villarena, capo dei legittimisti, una grande personalità del mondo culturale
siciliano e protagonista della vita palermitana, robusto studioso e
intellettuale vivace. Buon conservatore, cattolico in politica e
tradizionalista nelle idee. Nel libro, Romano lo contrappone all’altro studioso
siciliano, Michele Amari, che essendo agli antipodi della concezione politica
ed etica di Mortillaro, ebbe maggior successo e quindi è più conosciuto.
“La Sicilia ebbe pure il suo
brigantaggio interno, originato per la gran parte da renitenti alla leva e da
contadini disperati dalle tassazioni spropositate, i quali coadiuvarono – come
avvenne per la rivolta del Sette e mezzo a Palermo nel 1866 – i ribelli.
Brigantaggio che, oggettivamente, ebbe caratteri diversi rispetto al
brigantaggio meridionale, di cui molto si è già scritto, anche se in questo
ulteriore caso ricerche e ipotesi rimangono per gran parte sul tappeto e tutte
da esplorare, andando oltre i rapporti di polizia e dei Prefetti, fonti
importanti ma, certamente, di parte”. (pag.15)
Il professore Tommaso
Romano, fondatore e direttore della Casa editrice Thule, nel 2011 si è
festeggiato il quarantesimo compleanno, ci tiene a precisare che l’obiettivo di
“Sicilia 1860-1870. Una storia da riscrivere”, non è quello di “alimentare
nostalgie incapacitanti, ma guardare all’avvenire della Sicilia e del Sud,
ripercorrendo le tappe di una realtà tragica che ancora scontiamo
pesantemente”.Pertanto ci sentiamo parte integrante della Storia italiana, ma
nello stesso tempo, vogliamo conservare l’onore del nostro essere meridionali,
non per inutili rivendicazioni o per un semplice ritorno del maltolto (che pur
ci spetterebbe!)
Nel 1° capitolo, “Dopo
l’invasione: Bronte e non solo”, già nel titolo, l’autore fa intravedere che
non c’è da ricordare solo la pur nota rivolta contadina di Brontecon
conseguente eccidio, “in quella torrida estate del 1860- scrive Romano - non pochi furono i tumulti in vari paesi
poveri della Sicilia a seguito delle mancate promesse: Regalbuto, Polizzi
Generosa, Tusa, Biancavilla, Racalmuto, Nicosia, Cesarò, Randazzo, Maletto,
Petralia, Resuttano, Montemaggiore, Castelnuovo, Capaci, Castiglione,
Collesano, Centuripe, Mirto, Caronia, Alcara Li Fusi, Nissoria, Mistretta,
Cefalù, Linguaglossa, Trecastagni, Pedara. Tumulti che nascevano appunto
dall’illusione, dalla constatazione della mancata promessa di abolire la tassa
del macinato e altre imposte e balzelli, nonché dal tradimento dell’atto del 2
giugno 1860, firmato da Francesco Crispi, dall’inganno relativamente alla
divisione delle terre dei demani comunali molti dei quali, invece, assegnati ai
garibaldini combattenti o ai loro eredi, se caduti”. (pag. 20)
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