Laterza: «Ora il Mezzogiorno può occuparsi
anche del Paese»
Ue-17:produzione industria, +1,0% agosto
Polonia terzo Paese al mondo per attrazione
industrie
Crisi: Grecia; disoccupazione devasta fondi
previdenziali
Dalla Calabria alla Basilicata una storia di
abusi e incuria
Il sindaco di Cassano allo Jonio, Giovanni
Papasso, racconta la sua lotta contro il fango
di ANTONIO CORRADO
CASSANO ALLO JONIO - La storia drammatica
di abusi e incuria, che danneggiano irrimediabilmente il nostro patrimonio
culturale si ripete in lungo e in largo nel territorio della Magna Grecia, tra
Basilicata e Calabria.
Lo sa bene il sindaco di Cassano allo
Jonio, Giovanni Papasso, che da dieci mesi combatte la sua battaglia per
salvare gli scavi archeologici di Sibari, dal fango riversato lo scorso 18
gennaio dal fiume Crati. Oggi, dopo dieci mesi, l’area archeologica più vasta
di quella metapontina, invasa da 220mila metri cubi di acqua (a Metaponto ce ne
sono 80mila), è ancora piena di fango.
«Purtroppo è così -ci confessa Papasso, 55
anni, sindaco di Cassano dal maggio 2012- ed io sono pervaso sempre di più da
un sentimento di tristezza, perché al di là dei primi interventi coordinati dal
ministero per i Beni culturali, quello che si avverte oggi è l’impressione dell’abbandono.
Per questa ragione solidarizzo con la popolazione lucana, la Sovrintendenza
regionale, il Comune e la direzione dell’area archeologica di Metaponto. La
storia si è ripetuta e leggo che a Metaponto è la terza volta in cinque anni;
una dato che non si può proprio tollerare.
Qui si sta ancora combattendo per liberare
gli scavi dal fango, abbiamo operato con i fondi Por e la partecipazione del
ministero, ma oggi è ancora tutto fermo, con il parco abbandonato nella melma.
Per tutti noi è un dovere morale, civile e culturale preservare la storia in
modo che venga tramandata ai nostri figli. Non è tollerabile che a Metaponto,
gli scavi facciano da vasca naturale alle piene del Bradano. Apprezzo molto
l’iniziativa del Quotidiano, che ha raccolto tantissime firme di persone molto
importanti, sensibilizzando tutti rispetto a questo tema, perché gli uomini finiscono
ma la storia va avanti».
Papasso lancia l’idea di una battaglia
comune di Basilicata e Calabria per salvare questo patrimonio dalla rovina definitiva.
A Sibari, come anche per certi versi in Basilicata, il sindaco è costretto a
combattere anche contro l’abusivismo, che causa l’allagamento degli scavi. «E’
proprio così -spiega- perché in quella zona gli agrumeti fanno da barriera al
normale deflusso dell’acqua e deviano tutto verso gli scavi. Nei giorni scorsi,
durante un sopralluogo, ho verificato che un agricoltore per accedere al suo
agrumeto ha aperto un varco sulla sponda del fiume indebolendola e mettendo
ancora più a rischio gli scavi. Poi ci sono agrumeti sopraelevati, o realizzati
in Siti di interessi comunitari. Ho emesso diverse ordinanze di eradicazione e
denunce alla Procura, ma finora ho rimediato solo gomme squarciate e graffi
sulla mia auto. Non importa, io vado avanti nella mia battaglia per la
legalità».
Laterza: «Ora il Mezzogiorno può occuparsi
anche del Paese»
Il vice presidente
di viale dell’Astronomia
«Il Sud esce con un
ruolo ampio dalla riforma»
BARI - «Adesso la
sfida del Mezzogiorno è occuparsi non più solo dei propri fatti specifici ma
anche di quelli nazionali». Alessandro Laterza, vice presidente di
Confindustria, sarà l’ultimo con le deleghe per il Sud: la riforma di
Confindustria ha infatti abolito il Comitato Mezzogiorno. Ma il Sud, per
Laterza, cambia solo ruolo, assumendone uno più stimolante.
Come ci si sente ad
essere l’ultimo presidente del Comitato Mezzogiorno, la Confindustria del Sud?
Chi lo fa notare in questi giorni, lo dice facendo sottintendere che adesso il
Mezzogiorno sparisce da Confindustria.
«È oggettivamente
così: io sono l’ultimo presidente del Comitato Mezzogiorno. Non è invece vero
che il Mezzogiorno sparisce da Confindustria. Anzi, nel progetto di riforma di
Confindustria il Sud cambia ruolo e diventa protagonista nazionale e non
esclusivamente titolare dei propri interessi e problemi. E ciò, tra le altre
cose, è garantito dal fatto che ci sarà sempre un vice presidente espresso dal
Sud, anche se non ricoprirà, come avviene fino ad oggi, il ruolo di presidente
del Comitato Mezzogiorno».
La parola Sud,
comunque, nel Consiglio delle rappresentanze regionali per le politiche di
coesione scompare.
«Il Consiglio delle
rappresentanze regionali per le politiche di coesione è un organismo più
importante: chiamarlo Consiglio, nel gergo confindustriale, non è irrilevante,
significa che è un organo di rango superiore rispetto al Comitato. Ne faranno
parte i 20 presidenti regionali, di cui 8 del Sud, che quindi assumeranno anche
un ruolo più importante rispetto a quello rivestito adesso. E tutti avranno uno
stesso peso, il Molise varrà come la Lombardia».
Ma è giusto che
Lombardia e Molise abbiano pari dignità?
«Nel caso specifico
sì, perché è un Consiglio delle rappresentanze regionali. Il rapporto tra la
Confindustria del Molise e la Regione Molise è lo stesso che intercorre tra la
Confindustria lombarda e la Regione Lombardia».
Torniamo alla
domanda precedente. Il Sud che scompare dal nome.
«Adesso si parla di
coesione. E la coesione è un fatto tecnico, va dal Nord al Sud, sebbene sia
chiaro a tutti che ha maggiore rilevanza al Sud».
Da una parte si
parla di coesione e dall’altra si stabilisce l’alternanza alla presidenza del
Consiglio tra Centro-Nord e Sud. Insomma, da una parte si cancella il Sud
immergendolo nel resto del Paese, dall’altra il Mezzogiorno mantiene una sua
rilevanza assestante. Non è poco coerente?
«No. Perché i
livelli sono differenti. Da una parte c’è il Consiglio delle rappresentanze
regionali per le politiche di coesione dove, appunto, le politiche regionali
devono dare riconoscimento a ciò che le regioni possono offrire, siano del Nord
o del Sud. Dall’altra c’è il Comitato di coesione territoriale con 8
rappresentanti del Sud e 3 del Nord, sempre presieduto da un imprenditore
meridionale, in cui si riconosce che la coesione ha maggiore rilevanza al Sud.
La vera sfida del Mezzogiorno, però, è nel Consiglio».
Qual è la sfida?
«La scommessa del
Mezzogiorno è passare da occuparsi dei propri fatti specifici a quelli nazionali.
Se è vero che lo sviluppo del Paese non può prescindere dal Sud, il Sud si deve
mobilitare in una sfida di sistema generale. In pratica, deve dimostrare di
poter dare un contributo al sistema Paese».
È con questi
argomenti che è riuscito a trasformare l’iniziale ostilità degli imprenditori
meridionali alla riforma confindustriale a due soli voti di astensione in
giunta, quelli dei campani Sabino Basso e Mauro Maccauro?
«Inutile negare che
la discussione intensa, al nostro interno, c’è stata. E ciò, oltre a essere
fisiologico, è anche sano. Poi, però, si arriva a un punto in cui ci si rende
conto della necessità di rivisitazione della macchina complessiva di
Confindustria. E quindi il progetto passa all’unanimità con due sole
astensioni, tra l’altro motivate dal desiderio di capire più a fondo il
meccanismo complessivo della riforma. Io, quindi, le considero un auspicio a
una prossima compiuta partecipazione anche della Campania».
Sono possibili
modifiche della riforma licenziata dalla giunta fino all’approvazione da parte
dell’assemblea nella prossima primavera?
«Sono possibili
modifiche e anche più. Perché il documento su alcune tematiche pone delle
questioni lasciandole appositamente aperte. Ad oggi abbiamo approvato delle
linee programmatiche che fissano dei principi che, se da una parte, ovviamente,
non possono essere stravolti, dall’altra vengono affidati alla fase di
attuazione. Penso, per esempio, al principio delle aggregazioni tra le
Confindustrie territoriali. L’indirizzo c’è, ma come si dovrà attuare è un
discorso ancora aperto, bisognerà metterlo in pratica. Adesso è partito il
processo costituente».
L’obiettivo è di
passare dalle attuali 120 associazioni territoriali a 50, anche con meccanismi
di incentivazione. Si è fatto un’idea di come dovrebbero cambiare Puglia,
Campania e Sicilia?
«Le mie idee le
tengo per me, dovranno essere le associazioni territoriali a evidenziare i
progetti più praticabili. Si vuole ridurre il numero ma, si badi, nessuno ha
mai detto che in presenza di un’aggregazione sparirà un’associazione e resterà
in piedi solo l’altra: ci saranno comunque due sedi. Non è un fatto di muri, ma
una questione di sinergia di servizi».
Michelangelo
Borrillo
Ue-17:produzione industria, +1,0% agosto
Ma -2,1% su base annuale in Eurozona
14 ottobre, 11:01
(ANSA) - BRUXELLES, 14 OTT - La produzione
industriale nell'Eurozona a agosto ha registrato un aumento di +1,0% rispetto
al mese precedente; a luglio la produzione era scesa dell'1,0% su giugno. Lo
rileva Eurostat che per l'insieme della Ue-28 indica un aumento dello 0,5%. Su
base annuale, ovvero rispetto ad agosto 2012, la produzione industriale è in
calo, tanto nei 17 paesi della moneta unica (-2,1%) quanto nei 28 della Ue
(-1,6%). I cali più marcati, in Svezia (-7,9%), Grecia (-7,5%), Irlanda
(-5.9%),Italia(-4,6%)
Polonia terzo Paese al mondo per attrazione
industrie
Unica nazione della Ue a evitare la
recessione del 2009
12 ottobre, 10:52
(ANSA) - VARSAVIA - Secondo le classifiche
Bloomberg la Polonia è il migliore paese della Comunità economica europea sul
versante affari. Nel rapporto Fdi Intelligence (Financial Times) la Polonia ha
guadagnato il terzo posto a livello mondiale, dietro la Cina e gli Usa, come
migliore 'location' per i progetti manifatturieri. Secondo il report sulla
Attrattività europea stilato da Ernst & Young, nei prossimi tre anni la
Polonia sarà il secondo Paese più attrattivo in Europa (dopo la Germania) in
termini di investimenti. Il report ha messo in luce in Polonia una situazione
macroeconomica stabile, annotando che il paese è stato l'unico della Ue ad
evitare la recessione del 2009, e che da quando la crisi si è verificata la
Polonia ha raggiunto la crescita più elevata non solo nell'area ma in tutta
l'Unione. Un report della Banca Mondiale sugli Affari nel 2013 conferma che la
Polonia ha guidato la classifica globale dei paesi più innovatori. Il Paese ha
rilanciato la capacità di fare affari attraverso quattro riforme in campo
istituzionale e in quello dei regolamenti, rendendo più facile registrare una
proprietà, pagare le tasse, applicare i contratti, e risolvere le insolvenze.
Il valore degli Investimenti Diretti Esteri che la Polonia ha attratto nel 2011
ha raggiunto 13.567 miliardi di euro, con un incremento del 30% rispetto
all'anno precedente. Il numero dei nuovi progetti di investimento è in costante
crescita, specialmente nei settori automotive, ricerca e sviluppo, elettronica
e chimica. Il mercato polacco, forte di 38 milioni di consumatori, è uno dei
più grandi d'Europa. La favorevole collocazione del Paese, nel centro del
vecchio continente dove le maggiori vie di comunicazione si intersecano, rende
possibile esportare merci verso tutti i Paesi europei e così raggiungere più di
500 milioni di consumatori. Mentre il debito pubblico è un problema per molti
Paesi, il rapporto tra debito pubblico e Pil in Polonia è significativamente
sotto la media (57%). La valutazione del clima per gli investimenti per gli
imprenditori esteri sta migliorando di anno in anno. Tutti questi fattori,
uniti alla sicurezza internazionale del Paese e alla sua stabilità garantita
dalla sua appartenenza alla Nato e alla Ue, fanno della Polonia un partner
credibile e importante per gli investitori stranieri. (ANSA).
Crisi: Grecia; disoccupazione devasta fondi
previdenziali
14 ottobre, 10:25
(ANSAmed) - ATENE, 14 OTT - Il continuo
aumento della disoccupazione in Grecia - che a luglio ha toccato il 27,6% -
oltre a una pesante ricaduta sul benessere delle famiglie ha avuto pure un
devastante effetto sulle finanze del principale Istituto di Previdenza Sociale
ellenico, l'Ika, che dal 2009 ha visto i contributi versati dai lavoratori
ridursi di quasi un quarto. Dall'inizio della crisi economica, sei anni fa,
l'Ika ha perso quasi il 24% dei contributi, la maggior parte dei quali (il
77,65%) proveniva dai lavoratori nel settore delle costruzioni edilizie.
Secondo dati ufficiali, l'Ika si attende di
chiudere l'anno incassando contributi per 10,78 miliardi di euro, con un vero e
proprio crollo di 5,08 miliardi rispetto a quanto incassato quattro anni fa
quando l'istituto aveva 460.794 iscritti più di oggi. Dei 10,78 miliardi che
entreranno nelle casse dell'istituto, l'Ika dovrà pagarne 9,56 in pensioni
entro la fine dell'anno.(ANSAmed).
Nessun commento:
Posta un commento