lunedì 25 novembre 2013

XXV.XI.MMXIII – Il Nord si ribellerà. Cos’e’, una minaccia o una promessa?

Crisi nera a Palermo: nel 2013 chiuse oltre mille imprese
I nuovi poveri sono i pensionati e i giovani
Basilicata: pochi tributi, molta spesa. Le società petrolifere devono pagare
Il Governo mantiene gli accordi, in legge stabilità arrivano 110 milioni per i lavoratori precari
Imprese, contribuenti.it: l'export corre grazie al sud.
Made in: Comi, Germania non europeista guida fronte 'no'




Crisi nera a Palermo: nel 2013 chiuse oltre mille imprese
25 novembre 2013 - 12:41 - Cronaca Regionale,Economia
La crisi del commercio e del turismo colpisce anche nel 2013 la provincia di Palermo: nei primi 10 mesi di quest’anno si sono registrate 1002 chiusure di imprese. E sempre la provincia del capoluogo dell’Isola e’ in testa alla classifica regionale per il record negativo di cessazioni di attivita’ nel settore alimentare: oltre cento imprese hanno calato la saracinesca.
E’ quanto emerge dai dati dell’osservatorio di Confesercenti che a livello nazionale, da gennaio a ottobre, ha registrato la cessazione di 60 mila aziende. In Sicilia si sono rilevate le perdite di imprese di maggiore consistenza. “Se da un lato – commenta il presidente di Confesercenti Palermo, Mario Attinasi – assistiamo ad un piccolo ma incoraggiante segnale di ripresa (da gennaio ad ottobre sono nate 543 nuove imprese nel settore del commercio e del turismo), dall’altro ci ritroviamo a fare i conti con le banche, col sistema fiscale e con le pubbliche amministrazioni. Punto centrale – spiega Attinasi – e’ ad esempio l’accesso al credito. Gli istituti bancari devono tornare a dare fiducia alle imprese. Va poi rimodulato il sistema fiscale e contributivo. Con la crisi che viviamo e’ divenuto insostenibile. Le imprese non riescono a pagare oggi neanche i propri contributi. Infine il rapporto tra le pubbliche amministrazioni e le imprese. Le aziende hanno bisogno di un supporto, di un sostegno concreto. Spesso per regolamenti e leggi ormai inadeguate e obsolete le pubbliche amministrazioni finiscono, invece, per danneggiare la vita stessa delle imprese”.

I nuovi poveri sono i pensionati e i giovani
Tra spese di medicinali e bollette sono in forte difficoltà anche tutte le famiglie monoreddito dell'area etnea
CATANIA - I nuovi poveri di Catania? Sono pensionati, giovani e nuclei familiari monoreddito. È quanto emerge da una ricerca che la Cisl etnea ha effettuato, in collaborazione con l'Università degli studi di Catania, su un campione di oltre duemila famiglie. I catanesi sono stati interpellati su crisi, recessione e tassazione e la fotografia che è venuta fuori è un quadro fatto di solitudine, spese elevate per farmaci e bollette, con i nuovi poveri che hanno pudore nel rivolgersi a strutture di assistenza. Le zone più a rischio? Quella metropolitana con i quartieri storici etnei, dove la situazione è più critica che in altre aree. Anziani soli con pensioni inadeguate, donne tra i 45 e 64 anni in nuclei familiari senza reddito, adulti con famiglie numerose e reddito insufficiente, tutti cittadini catanesi costretti a cambiare stile di vita per la povertà che li ha colpiti, ma anche timorosi nel rivolgersi ad associazioni di assistenza. Le criticità prevalenti in provincia di Catania e le nuove povertà che la crisi ha fatto emergere, sono state svelate dalla ricerca condotta dalla Cisl e dalla Fnp Cisl etnee, con la collaborazione del Dipartimento di Scienze politiche dell'Università di Catania, su un campione di 2269 intervistati nell'ambito del convegno «Famiglia e povertà, welfare sostenibile per le nuove povertà», che ha registrato anche le analisi e le proposte scaturite dalla ricerca.
LA STATISTICA - La ricerca è stata condotta su tre aree: Metropolitana con i quartieri di Catania Barriera, Picanello e Fortino, e i comuni di Gravina, Mascalucia, Misterbianco, San Pietro Clarenza e Paternò, la zona Ionica con Aci Sant'Antonio, Acicastello, Acireale, Giarre, Riposto e Viagrande; e, infine, la fascia Pedemontana - calatina con Adrano e Caltagirone. Il 26% degli interpellati non percepisce alcun tipo di reddito, il 20% ha perso il lavoro negli ultimi due anni e il 36% del campione sul quale sono stati rilevati i dati non possiede una casa di proprietà.
SOLITUDINE E POCA INFORMAZIONE - «I profili venuti fuori dalla ricerca - ha spiegato Simona Gozzo, docente di Sociologia, del Dipartimento di Scienze Politiche e sociali dell'Università di Catania - sono tre: il primo si caratterizza per la solitudine, la mancanza di informazioni rispetto alle strutture e ai servizi di assistenza e l'elevata spesa per farmaci, casa e bollette. Il secondo è tipico di soggetti che dichiarano di aver cambiato stile di vita per mancanza di reddito, motivi di salute o per questioni familiari. Il terzo profilo è caratterizzato da soggetti dal reddito assente o non sufficiente e con famiglia numerosa, che cambiano stile di vita per cause connesse al lavoro e che conoscono le strutture di volontariato. Un'ulteriore problematica è riferita ai soggetti giovani che vivono in nuclei familiari con minori e che, pur in condizioni precarie, vengono aiutati dal nucleo familiare da cui, verosimilmente, ancora dipendono».
IL DRAMMA SOCIALE - Per quanto riguarda le criticità per area, si sono distinti i profili prevalenti nelle tre aree ionica, metropolitana ed extra-metropolitana del catanese per meglio orientare la programmazione degli interventi socio-assistenziali. Il profilo più problematico risulta essere quello metropolitano, caratterizzato da condizioni sostanzialmente insostenibili sul piano economico, con un'alta incidenza di famiglie senza reddito o con reddito insufficiente per far fronte alle spese mensili. L'area pedemontana e quella del Calatino si presentano con meno problematiche, mentre alla ionica non si associano specifiche criticità. «Un dramma sociale», così lo ha definito Marco Lombardo, segretario generale Fnp Cisl Il segretario generale della Cisl Rosaria Rotolo ha quindi invitato tutte le forze sociali e le istituzioni a identificare le maggiori criticità definendo le priorità di azione per migliorare l'intero sistema del welfare etneo.
25 novembre 2013

Basilicata: pochi tributi, molta spesa. Le società petrolifere devono pagare
Siamo una regione fiscalmente non autonoma. Il perno ruota sempre attorno alle compagnie petrolifere: molto cambierebbe se avessero la domiciliazione fiscale dove estraggono. Con Ires e Irap, senza aumentare le royalties, la Basilicata avrebbe maggiori opportunità
di VALERIO PANETTIERI
POTENZA - La Basilicata è un fanalino di coda nell’economia italiana. E il lavoro che propone Giuseppe Tralli dal blog Basilicatapost.it è una analisi che ci riporta sistematicamente al punto di partenza nel dibattito sulla questione petrolifera in Basilicata. Come è possibile che in una regione colonizzata da Eni e Total ci si ritrovi comunque a fare i conti con una situazione economica che non permette alcun tipo di crescita? Vero, con le royalties la lucania ha potuto garantire un servizio sanitario che nel resto del meridione si invidia, ma potremmo anche fermarci qui. Il discorso era stato accennato quando Total ha inaugurato a Corleto Perticara, pochi mesi fa, la scuola di formazione per 54 lucani che dopo un percorso di studi di tre anni potranno lavorare all’interno dell’azienda. Non c’è nessuna voglia, da parte delle grandi multinazionali petrolifere, di domiciliare parte delle proprie aziende in Basilicata. Così ancora oggi si discute di percentuali e royalties mentre in sostanza le grandi compagnie continuano a non pagare Irap e Ires non essendo domiciliate in Basilicata. E questo è, diciamolo, un problema. Lo è perché non tanto dall’Irap ma dall’imposta sul reddito delle società, con una aliquota piuttosto alta si potrebbero fare entrare non pochi spiccioli alla Basilicata. In realtà il sistema di tassazione prevede che il denaro arrivi allo Stato, che poi dovrà redistribuirlo alle Regioni.
Si tratta comunque di un punto di partenza necessario se, come a quanto pare vuole fare il neo governatore Pittella, si vorrà chiedere di più allo Stato in merito alla gestione e allo sfruttamento del territorio lucano. È vero anche che la fiscalità è piuttosto pressante in Italia (circa il 34%) ma comunque, a quanto pare, non tanto da intaccare i giganteschi patrimoni petroliferi. Vale quindi la pena discutere di royalties o si può fare un piccolo passo in avanti nella discussione? Diciamo che è una base solida per ridiscutere anche della distribuzione della ricchezza in Basilicata. Se è vero che le compagnie devono restare è giusto che per loro sia oneroso. la battaglia, sul piano politico, non sarà poi tanto facile: non si può obbligare un’azienda a domiciliarsi, tutto questo mentre lo Stato discute anche se sia giusto o meno distribuire le royalties in tutto il territorio nazionale.
lunedì 25 novembre 2013 08:01

Il Governo mantiene gli accordi, in legge stabilità arrivano 110 milioni per i lavoratori precari
L'emendamento è stato avanzato alla Commissione bilancio del Senato, così come era stato annunciato nei giorni scorsi anche dopo l'incontro con il governatore Scopelliti. I fondi per il 2014 sono destinati ai lavoratori socialmente utili, ma dovranno essere divisi con Palermo e Napoli
CATANZARO - Arrivano 110 milioni per il 2014 per i lavoratori socialmente utili della Regione Calabria. Lo prevede un emendamento del governo alla legge di stabilità che l'esecutivo si accinge a presentare in commissione Bilancio del Senato. Nei giorni scorsi la protesta dei lavoratori socialmente utili si era fatta molto dura, fino a presidiare palazzo Campanella (GUARDA LE FOTO). Resta solo un dubbio, ancora da chiarire completamente rispetto ai reali contenuti: i fondi, infatti, dovrebbero essere divisi con Napoli e Palermo. Occorre capire in che proporzioni e se quelli previsti per la Calabria basteranno a garantire un risultato concreto.
Ad annunciare la decisione del Governo era stato nei giorni scorsi il governatore Giuseppe Scopelliti. «Più volte a Roma, nel corso di riunioni con il vicepremier Angelino Alfano - aveva detto il governatore - avevo sollecitato il Governo ad occuparsi concretamente delle problematiche del precariato calabrese». L’emendamento, per come era stato annunciato, prevede che all’articolo 7 della legge di stabilità 2014, il comma 6 aggiunga un passaggio «per fare fronte all’eccezionale necessità di risorse finanziarie da destinare ai lavoratori socialmente utili e a quelli di pubblica utilità della Regione Calabria e altresì ai lavoratori di cui alla legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15». 
Di fatto si tratta dell'autorizzazione alla spesa di circa 110 milioni di euro per l’anno 2014. «Nell’emendamento in questione - afferma Scopelliti - sono presenti infatti le risorse per la copertura delle mensilità del 2013 a cui la Regione ancora non aveva fatto fronte».
"IL NORD SI RIBELLERA'" - Alla notizia dei fondi per i precari è seguita una polemica innescata dal capogruppo della Lega Nord in Senato, Massimo Bitonci, che ha detto: "Per i disoccupati, esodati e cassintegrati del Nord non c'è nemmeno un euro ma quando si tratta degli amici clientelari assunti come lavoratori socialmente utili i soldi si trovano sempre. Come se già non fossero sufficienti i 99 milioni regalati agli Lsu di Napoli e Palermo il governo si è preoccupato di presentare un emendamento per altri 110 milioni solo per gli Lsu calabresi. Governo Letta vergognati. Il Nord si ribellerà".
venerdì 22 novembre 2013 20:09

Imprese, contribuenti.it: l'export corre grazie al sud.
COMUNICATO STAMPA 23.11.2013
Economia
ROMA - Grazie alla diffusione nel mondo della "Dieta mediterranea", cresce nei primi 6 mesi del 2013 l'export dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici italiani verso il Nord America con +4,3 per cento, la UE con +3,2 per cento, ed il sud Asia con 2,6 per cento.
In media, le esportazioni dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici sono aumentate del +3,9 per cento dei primi sei mesi del 2013, con il Sud in crescita del +12,7 per cento, il Centro del +6,9 per cento, mentre dati negativi si registrano nel Nord est con -1,1 per cento e nel nord ovest con -0,8 per cento.
La Sicilia batte tutti con +23,8 per cento, seguita dalla Campania con +18,2 per cento e Puglia con +12,3 per cento. Bene anche il Lazio con +7,5 per cento, l'Abruzzo con +6,8 per cento ed il Molise con +6,2 per cento.
Nello stesso periodo decrescono nell'export tutti i paesi concorrenti ad ec! cezione della Spagna con +2,2 per cento e Portogallo con +1,7 per cento. Male va la Francia con il -4,2 per cento, la Germania con il -3,3 per cento e la Gran Bretagna con -2,6 per cento.
È quanto diffuso dal presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani Vittorio Carlomagno, nel corso del convegno su «Dieta mediterranea e sviluppo economico" organizzato dal Centro Studi e Ricerche Sociologiche "Antonella Di Benedetto" di Krls Network of Business Ethics nell'ambito del progetto YAMABELL 2.0, promosso dall'Associazione Contribuenti Italiani, che si rivolge alle imprese che sono interessate a lavorare in rete avvalendosi dell'esperienza di Teams professionali di Business Conselors e Coaches Aziendali, con la mission di supportare, promuovere e sviluppare l'aggregazione di piccole e medie imprese, italiane ed europee, su programmi comuni, centrati sui mercati esteri.
"L'aggregazione, o rete d'imprese, - ha affermato Vittorio Carlomagno - può offrire una ri! sposta ai limiti dimensionali delle nostre aziende, favorendone l'accesso all'estero e accrescendo o diversificando la gamma di prodotti e servizi offerti"
"Contribuenti.it intende promuovere tali iniziative - ha concluso Vittorio Carlomagno - incentivando i processi di cambiamento delle aziende italiane, adeguandole agli standard internazionali (Europa, Usa e Giappone), rendendo il sistema economico più competitivo".
Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani
L'ufficio stampa Infopress 3314630647 – 0642828753

Made in: Comi, Germania non europeista guida fronte 'no'
21 novembre, 18:26
(ANSA) - STRASBURGO, 21 NOV - E' la Germania a guidare nel Consiglio Ue il fronte del 'no' alla proposta per il 'made in', sostenuta da Italia, Francia e Spagna. E' la denuncia lanciata dall'europarlamentare di Forza Italia Lara Comi, che ricorda come venerdì scorso un blocco di paesi, guidato appunto dalla Germania, abbia frenato nuovamente l'avanzamento della proposta Tajani-Borg nella riunione dei rappresentanti permanenti dei 28 a Bruxelles. Con la Germania, a quanto si apprende, sono schierati una quindicina di paesi tra cui Svezia, Olanda, Gran Bretagna, e Finlandia. "Si critica tanto il nostro Paese in sede europea, ma è questo l'europeismo portato avanti dalla Germania" dice Comi.
 "La battaglia per ottenere nuove regole sul 'made in', che l'Italia porta avanti con forza da anni, rischia ancora una volta di vedere uno stop per l'opposizione dei Paesi del Nord Europa - afferma la deputata Fi - A capo del fronte del 'no' c'è la Germania. La commissione Mercato interno del Parlamento, di cui sono membro, ha approvato lo scorso ottobre la nuova proposta di Regolamento relativa alla sicurezza dei prodotti di consumo presentata da Antonio Tajani, responsabile Ue per l'industria e Tonio Borg, commissario alla Salute. L'articolo 7 prevede l'indicazione di origine dei prodotti, ma anche stavolta, in seno al Consiglio, l'armata dei Paesi contrari sta bloccando la sua adozione".
 "La presidenza del Consiglio, affidata alla Lituania, ha tentato venerdì scorso di presentare un compromesso che potesse far incontrare i due punti di vista divergenti - aggiunge la parlamentare che sabato prossimo a Milano parteciperà alla tavola rotonda 'Leggere l'etichetta' - Ma la contrarietà resta.
Da una parte ci sono i Paesi del Sud Europa, Italia, Spagna, ma anche la Francia, favorevoli al marchio d'origine. Contrari i Paesi del Nord con in testa la Germania".
 Comi sottolinea l'importanza del provvedimento, che da quasi dieci anni rimbalza fra le istituzioni europee, ricordando che la tracciabilità dei prodotti è indispensabile per combattere la contraffazione dei prodotti, "un mercato del falso che vale 200 miliardi di euro l'anno a livello mondiale e 17 miliardi in Italia, con una perdita di 185 mila posti di lavoro". (ANSA).

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