mercoledì 10 novembre 2010

In che mani mettere Pompei?


di TOMMASO MONTANARI
10 novembre 2010 - Manager o sovrintendente, questo il problema. Ma i crolli non scuotono le granitiche certezze del ministro Bondi
Il crollo di Pompei non scuote le granitiche certezze di Sandro Bondi. Per il ministro, il problema centrale della conservazione e della tutela continua ad essere l’assenza di «cultura manageriale». In piedi sulle macerie — in una sorta di mesto e velleitario «predellino dei beni culturali» — egli ha annunciato che il soprintendente di Pompei sarà affiancato da un manager, e che tutto dipenderà da una Fondazione privata. Così la bacchetta magica dell’ideologia torna a brillare tra le mani di chi dovrebbe invece misurarsi con la realtà. Del resto, l’atto più memorabile del tramontante ministero Bondi è stata l’istituzione della direzione generale per la valorizzazione e il suo contestuale affidamento al supermanager degli hamburger Mario Resca. Non che Bondi si sia inventato qualcosa di nuovo. Egli si è limitato ad allargare (certo decisivamente) l’esiziale falla aperta nel 2001 dal centrosinistra con l’introduzione della separazione tra tutela e «valorizzazione» nel Titolo V della Costituzione. Ed è esattamente questa separazione ciò che Bondi vorrebbe applicare a Pompei. Ma si tratta di una pessima idea: tanto nelle premesse poste da Giovanna Melandri, quanto nelle conseguenze tratte da Sandro Bondi. Se oggi possediamo il patrimonio storico e artistico che possediamo, infatti, è perché esso è stato bene amministrato da persone che lo conoscevano profondamente, cioè da storici dell’arte e da archeologi. E non si può separare l’amministrazione dalla conoscenza, perché ciò equivarrebbe non solo a separare, ma a contrapporre, il fine e i mezzi. E qui, però, bisogna intendersi: a cosa serve il patrimonio culturale? Se serve ad aumentare la cultura e a fondare una cittadinanza consapevole (come si ricava dall’articolo 9 della Costituzione) esso non può essere affidato a un manager, così come non lo può essere una scuola. Nella fattispecie, l’uscita di Bondi è del tutto inconferente con il problema attuale, perché l’eventuale manager di Pompei non lavorerebbe certo per l’oscura, quanto vitale, manutenzione ordinaria, ma piuttosto per i rutilanti Grandi Eventi, capaci di portare reddito e visibilità: cioè farebbe esattamente ciò che ha fatto il commissario, con i risultati che vediamo. E, del resto, una simile diarchia, oltre che sbagliata concettualmente, sarebbe fallimentare praticamente, perché non potrebbe che portare ad un conflitto permanente (chi avrebbe l’ultima parola, l’archeologo o il manager?), ad una completa paralisi e ad un sistematico rimbalzo di responsabilità. Questo vuol dire che le soprintendenze italiane sono il migliore dei mondi possibili? Certo che no. Il paradosso della violenta azione di Bondi contro le soprintendenze è che essa obbliga a difenderle, e impedisce di sottoporle alla critica anche radicale che meriterebbero: esattamente come avviene per la magistratura attaccata da Berlusconi, o per l’università massacrata da Tremonti. Proprio come la magistratura e l’università, il sistema della tutela è infatti afflitto da diffuse sacche di potere irresponsabile, di incompetenza, di incapacità amministrativa e di clientelismo. Ma si tratta comunque di un sistema prezioso e insostituibile, che non va delegittimato, svuotato dall’interno, depresso nella competenza tecnica e affiancato da un costoso doppione: esso va piuttosto governato, vagliato, e messo in grado di funzionare perché torni all’altezza della sua storia e dei suoi compiti. Sandro Bondi dovrebbe nominare subito il nuovo soprintendente speciale di Pompei, dovrebbe mettergli a disposizione un finanziamento adeguato (magari restituendo l’enorme avanzo di cassa che fu riassorbito ai tempi di Buttiglione) e dargli gli strumenti per spenderlo (e per spenderlo soprattutto in tutela, e in ricerca per la tutela); dovrebbe assumere (e pagare decentemente) gli archeologi e il personale necessarî; e dovrebbe darsi da fare direttamente, come ministro, costruendo un sistema di coordinamento operativo tra soprintendenza ed enti locali. Infine, dovrebbe controllare il lavoro del soprintendente, e destituirlo senza esitazione se non dovesse essere all’altezza. Insomma, Bondi dovrebbe governare bene l’esistente, invece che progettare inutili, e anzi dannose, rivoluzioni ideologiche. Ma il tempo del ministro e quello del governo sembrano giunti al termine, e si intravede già una campagna elettorale in cui tutti prometteranno la salvezza del patrimonio culturale. Intanto a Pompei continua, e continuerà, a piovere.
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