sabato 8 gennaio 2011

Complimenti Estonia (e pure condoglianze)

di Paul Krugman - 8 gennaio 2011
All'Estonia bisognerebbe fare le congratulazioni, ma forse anche le condoglianze.


Il paese baltico è entrato ufficialmente nell'Eurozona il 1° gennaio, un traguardo notevole che simboleggia la trasformazione da ex provincia sovietica a stato europeo a tutti gli effetti.
Ma il costo di questa avventura finora ha incluso una recessione gravissima. Il Pil ha ricominciato a crescere, ma solo dopo un crollo del 18% dal 2007 e, secondo le proiezioni del Fondo monetario internazionale, non tornerà ai livelli pre-crisi fino al 2015. Anche la disoccupazione è aumentata a quasi il 18% ed è prevista al di sopra del 10% fino al 2014. Quindi, congratulazioni all'Estonia, ma anche condoglianze. Non è stato di certo l'ingresso scintillante nell'euro che le era stato promesso anni fa e che si aspettava.

Bisogna sottolineare che le recenti difficoltà europee con la moneta unica hanno in qualche modo reso giustizia agli "euroscettici", ossia a tutti coloro, politici ed economisti me compreso, che avevano dubbi sul progetto dell'euro fin dall'inizio.

Qual era il motivo di tali perplessità? Gli economisti, come il sottoscritto e Barry Eichengreen, avevano esaminato la valuta proposta applicando la teoria dell'area valutaria ottimale, secondo la quale in sostanza l'adozione di una moneta comune da parte di due o più paesi implica sia costi che benefici.

Il beneficio è la riduzione degli oneri connessi allo svolgimento delle attività economiche. Il costo è la maggiore difficoltà di riallineamento dei prezzi dopo gli "shock asimmetrici", ossia i boom e le crisi che colpiscono alcuni paesi dell'Unione monetaria, ma non altri. Si riduce in presenza di un'elevata mobilità del lavoro, fra le regioni in fase di boom e di crisi, e quando esiste l'integrazione fiscale (un punto sollevato da Peter Kenen, mio collega a Princeton), grazie alla quale una crisi locale può essere parzialmente assorbita tramite prelievi fiscali minori e maggiori trasferimenti da parte di un governo centrale.

Nei primi anni 90 alcuni economisti americani hanno valutato l'euro proposto facendo un confronto tra l'Europa e gli Stati Uniti, che rappresentano il miglior esempio disponibile di area valutaria funzionante di dimensioni continentali. L'Europa è risultata molto meno adatta degli Stati Uniti, data la mobilità del lavoro decisamente inferiore e l'assenza quasi totale di integrazione fiscale. I sostenitori dell'euro si aspettavano guadagni commerciali consistenti, ma i vantaggi effettivi sono stati molto più modesti, deludendo le speranze riposte da alcuni nella moneta unica. La realtà ha dato ragione agli euroscettici del mondo accademico.
Questo non significa auspicare una spaccatura dell'Eurozona, che avrebbe ripercussioni molto gravi, ma possiamo trarre un insegnamento: l'analisi economica ha le sue virtù.
Gli euroentusiasti hanno ignorato le analisi di costi e benefici eseguite da molti economisti. Eppure quei costi e benefici erano, e sono tuttora, importanti.
(Traduzione di Francesca Marchei)

 

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