sabato 22 gennaio 2011

Notizie dall’Unione europea, 22 gennaio 2011

Politica ed economia:
1. Locomotiva tedesca a tutto gas.
2. In Germania fiducia degli imprenditori al record da 20 anni.

Finanza e debito pubblico:
3. La camicia di forza del buy back.


1. Locomotiva tedesca a tutto gas. Beda Romano. FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente. L'economia tedesca ha iniziato il 2011 con grande ottimismo, confermando il rapporto pubblicato solo qualche giorno fa nel quale il governo federale ha rivisto al rialzo le stime di crescita per quest'anno. La speranza a questo punto è che la Germania possa trascinare gli altri paesi della zona euro, e in particolare l'industria italiana che è spesso un fornitore di primo piano delle imprese tedesche.
L'indice dell'istituto Ifo di Monaco, che riflette la fiducia di circa 7mila imprese tedesche, è salito in gennaio ai massimi degli ultimi 20 anni, a 110,3 da 109,8 in dicembre. Si tratta del nono aumento mensile consecutivo. Il sotto-indice relativo alla situazione attuale è calato leggermente, probabilmente a causa di un calo delle vendite al dettaglio post-natalizie. L'indicatore relativo alla situazione a sei mesi, è invece salito nuovamente. «L'economia tedesca ha iniziato l'anno con grande vigore - ha spiegato ieri l'istituto Ifo in un comunicato -. Soprattutto sul fronte delle esportazioni le aziende vedono grandi opportunità». La Germania sta contribuendo in grande stile alla modernizzazione dei paesi emergenti, vendendo beni di consumo e d'investimento, così come servizi e prodotti finanziari. Nel 2011 l'export potrebbe superare i mille miliardi di euro.
Il governo federale ha annunciato mercoledì nuove stime di crescita per quest'anno: la previsione è salita dall'1,8 al 2,3% (si veda Il Sole 24 Ore di giovedì). Dopo la recessione del 2009, quando il prodotto interno lordo è crollato del 4,7%, la Germania è in evidente ripresa. Nel 2010 la crescita è stata del 3,6%. La disoccupazione è scesa ed è ormai ai minimi degli ultimi 20 anni. Il merito va alla nuova competitività dei prodotti tedeschi. Secondo l'istituto Ifo gli imprenditori «hanno continuato nelle scorse settimane ad aumentare il funzionamento degli impianti e ormai il loro uso è a livelli superiori alla media». La speranza degli economisti è che anche la domanda interna, e in particolare i consumi, partecipino alla ripresa nei prossimi mesi, complice il calo della disoccupazione. Resta però l'incertezza, tenuto conto dell'invecchiamento della popolazione.
I dati pubblicati ieri fanno ben sperare sul futuro del resto della zona euro, tanto più che a gennaio sono saliti di nuovo anche l'indice Insee di fiducia delle imprese francesi - ha guadagnato sei punti rispetto al mese precedente, attestandosi a 106 punti - e quello delle imprese belghe: l'indicazione non è banale tenuto conto del fatto che il Belgio è un paese di passaggio di import-export e riflette bene l'andamento dell'economia europea nel suo insieme. «Molti paesi approfitteranno del dinamismo tedesco», afferma Chris Williamson, capo economista di Markit, un centro-studi.
Qualche giorno fa a Berlino, Anton Börner, il presidente dell'associazione Bga che raggruppa gli esportatori tedeschi, ha ricordato che l'industria tedesca si avvale di numerosi fornitori nel Nord Italia, in Ungheria o nella Repubblica Ceca. «Creiamo posti di lavoro in tutti questi paesi», ha affermato. A titolo di esempio, nel 2009, l'Italia era il primo paese fornitore della Germania nel delicatissimo settore delle macchine utensili.
2. In Germania fiducia degli imprenditori al record da 20 anni. Bufacchi, Cellino, Romano. Inizio del 2011 contrassegnato dall'ottimismo per l'economia tedesca. L'indice dell'istituto Ifo di Monaco, che riflette la fiducia di circa 7mila imprese tedesche, è salito in gennaio ai massimi degli ultimi 20 anni. Si tratta del nono aumento mensile consecutivo. Trovano conferma le nuove stime, rese note mercoledì dal governo tedesco, che hanno corretto al rialzo dall'1,8% al 2,3% la crescita per quest'anno. Oltre a farsi strada all'estero con l'export di prodotti industriali, la Germania ha intercettato la domanda di servizi in rapida crescita nei grandi paesi emergenti. Ora l'auspicio è che la locomotiva tedesca possa trainare gli altri paesi della zona euro.
I dati sul clima delle imprese in Germania, ma anche in Francia e Belgio, hanno messo le ali all'euro, che ieri ha raggiunto quota 1,36 sul dollaro, ai massimi degli ultimi due mesi. Bene le Borse europee (Milano +1,38%) e spread in calo per i bond di Grecia e Irlanda rispetto ai titoli tedeschi.
3. La camicia di forza del buy back. Riccardo Sorrentino. Ora la Germania chiede il conto. Disposta ad ampliare i compiti dell'Efsf, il fondo di salvataggio, vuole però in cambio grandi riforme. In questo modo il Cancelliere Angela Merkel può tener calmo il suo elettorato e i partner del governo, preservando la struttura di Eurolandia (e dell'Unione, se il meccanismo fosse davvero allargato anche agli altri paesi Ue).
In astratto c'è poco da obiettare. Ovunque, i salvataggi sono consistiti nello spostare i debiti da istituzioni più vulnerabili a quelle meno vulnerabili: dalle aziende di credito agli stati e ora, in Eurolandia, a un fondo centrale che - indebitato a sua volta con tutti i governi Ue - potrebbe acquistare titoli di stato dei paesi deboli in un'operazione di buy back.
L'esperimento sembra dover iniziare con la piccola Grecia, anche per valutare la reazione dei mercati e le ripercussioni sui conti delle banche che hanno sottoscritto bond di Atene, ma l'idea tedesca - secondo il Wall Street Journal e il Financial Times - è quella di adottare il meccanismo per tutti i paesi periferici. Il fondo che nel 2013 prenderà il posto dell'Efsf potrebbe quindi riacquistare sul mercato i titoli di stato a un prezzo inferiore (per esempio 80) di quello di emissione (convenzionalmente fissato a 100). Sugli investitori ricadrebbe la scelta di accettare l'offerta di 80, se considerano il bond a rischio, o di aspettare l'eventuale rimborso a scadenza del capitale (a 100).
Funzionerebbe? «È difficile dire se questa è una soluzione per rendere di nuovo sostenibile il debito: dipenderà dal prezzo di mercato o dal prezzo di acquisto al momento in cui l'operazione viene effettuata», spiega Laurence Boone di Barclays. Gli acquisti da soli non bastano, infatti. Spostare i debiti e distribuire meglio le perdite, se sostenibili, non è sufficiente. Occorre anche aumentare la capacità di ripagare il dovuto, o almeno una gran parte. È per questo che la Germania insiste sul tema della condizionalità.
Nulla di nuovo: sono obblighi chiesti anche dall'Fmi in cambio dei suoi prestiti. L'obiettivo è stimolare la crescita e destinare il reddito così generato a pagare le intemperanze e gli sprechi del passato. Secondo il Wsj la Germania starebbe pensando a qualcosa di molto simile alle "sue" riforme, anche se il quotidiano ricorda solo l'innalzamento dell'età pensionistica, l'abolizione di ogni legame (in stile "scala mobile") tra salari, pensioni e l'inflazione, l'obbligo di bilanci pubblici in pareggio e l'armonizzazione dei sistemi fiscali. Le basse tasse irlandesi danno ancora molto fastidio, evidentemente...
Si può discutere se queste misure, che sembrano puntare soprattutto a stabilizzare, forse congelare, i conti pubblici, siano sufficienti a stimolare la crescita. C'è quindi la possibilità che la Germania, in concreto, chieda anche di più. In ogni caso il meccanismo crea due problemi. Uno tecnico, l'altro invece strategico. Se gli acquisti dell'Efsf richiedono, come mossa preliminare, l'apertura di una "trattativa" per definire il programma di intervento, il solo inizio di una procedura di salvataggio potrebbe causare effetti sui mercati difficilmente prevedibili. Si corre il rischio di arrivare troppo presto, e scatenare - come in una profezia che si autoavvera - il problema che si vorrebbe risolvere; o troppo tardi.
Poi c'è il problema del conformismo, che uccide l'innovazione. Sono noti i danni causati ai paesi emergenti causati dai programmi "a taglia unica" (one-size-fits-all) dell'Fmi. Quanta armonizzazione può allora sopportare la ricca Europa senza perdere slancio? Se un coordinamento, in un'Unione monetaria, è assolutamente necessario, l'appiattimento è la critica più fondata al progetto europeo.
Modelli perfetti non esistono. Le economie ricche devono le loro fortune alla coesistenza di sistemi e politiche diverse in un'area più o meno omogenea. Così è stato per l'Europa, per il federalismo degli Stati Uniti - privo delle gerarchie della "sussidiarietà" che tanto piacciono a Bruxelles - e per il Giappone postfeudale. Così è anche per molti paesi emergenti. Quanto deve il miracolo cinese alla concorrenza di Hong Kong? Non può sfuggire che il partito comunista, a Pechino, stia "simulando" un sistema policentrico prima creando le zone economiche speciali, poi dando a ciascuna regione diverse priorità di sviluppo. Altrettanto si può dire dell'hi tech indiano, nato in un mondo quasi parallelo rispetto al capitalismo oligarchico e "di stato" lì dominante. È da queste esperienze che si sta sviluppando l'idea - la punta più avanzata sono le charter cities immaginate dall'economista Paul Romer, il teorico della crescita endogena in odore di Nobel - di una "concorrenza tra regole" o "riforme".
L'Unione europea si è fondata finora su un equilibrio tra armonizzazione e autonomia che è stato non solo la sua fortuna, ma anche la sua storia di lungo periodo. Il tentativo di creare un'Europa made in Germany - oltre a basarsi sul presupposto che il successo tedesco possa continuare a lungo, cosa di cui molti dubitano - rischia di alterare l'intero progetto. È sicuramente difficile resistere alle pressioni, quando si chiamano i paesi più "razionali" a pagare per le proprie intemperanze - di questo in fondo si parla - ma è anche vero che il prezzo potrebbe essere troppo alto per tutti. Anche perché qualche sistema alternativo - come quello delle linee di credito flessibili dell'Fmi, privi di condizioni - sono in fondo a disposizione. Almeno in alcuni casi.

Nessun commento: