lunedì 28 febbraio 2011

Federali del Mattino. Rispolverare un po' di storia fa male. Come mai voi veneti, che eravate stati i precursori, vi siete fatti fregare dai lumbard? Un tradimento totale. Decidano i veneti, basta che sia uno che non rompa le palle. Fhora i mafhiuxi e i camuristi dal Veneto. 28 febbraio 2011.

Sezione Forza Oltre padania:
Bozen. Il centrodestra dice no su Vetta d'Europa e Alpino.
Bozen. Bolzano, la Procura: "Ogni anno intercettate 150 persone, così fermiamo i pedofili".
Bozen. Obereggen: bambini sulla neve con i poliziotti per sciare in sicurezza.
Merano. Meranesi, più vecchi e più soli. In aumento età media, single e giovani immigrati.
Belluno. Sociale, arrivano altri 55 milioni.
Aosta. “Italiani sì, ma speciali”
Trieste. Pahor come Gandhi.
 
Sezione padani:
Treviso. Il federalismo è un bluff Lega Nord serva di Roma Bossi al guinzaglio di Silvio.
Pavia. Spuntano i market mentre la gente fa meno la spesa.
Venezia. I congressi della Lega in Veneto: Gobbo in netto vantaggio su Tosi.
Reggio Emilia. Disoccupati ancora in aumento e sono soprattutto donne e stranieri.
Ferrara. Cambiano gli aiuti alle famiglie.
Ferrara. Gli industriali bocciano Ferrara.



Bozen. Il centrodestra dice no su Vetta d'Europa e Alpino. Non si toccano né la Vetta d'Italia, né il monumento all'alpino di Brunico. In questo senso, due prese di posizione del centrodestra altoatesino. BOLZANO. Non si toccano né la Vetta d'Italia, né il monumento all'alpino di Brunico. In questo senso, due prese di posizione del centrodestra altoatesino. "Mi opporrò con tutte le mie forze politiche e non, per denunciare la volontà di rappresentare l'Alto Adige come una realtà al di fuori dei confini nazionali che si ravvisa nelle intenzioni di alcuni di cancellare addirittura la denominazione Vetta d'Italia per la montagna che delimita il confine tra Alto Adige e Austria". Lo dice Michaela Biancofiore, deputata Pdl e commenta così la proposta lanciata dei Verdi altoatesini, trentini e tirolesi di ribattezzare la Vetta d'Italia in Vetta d'Europa.
"Nell'anno della ricorrenza dei centocinquantanni dell'Unità d'Italia non solo non è spiegabile ma un ulteriore schiaffo alla storia del nostro Paese e un volgare sgarbo istituzionale nei confronti del nostro Presidente della Repubblica Napolitano che tanto si sta spendendo per ravvivare i valori della patria e che è il sommo garante dell'Unità nazionale", afferma Bianciofiore in una nota. "A lui mi appellerò - prosegue - affinchè mai e poi mai venga cancellato un nome così significativo per l'Italia, per il nostro Paese, che non merita un progressivo strisciante smembramento. L'Italia è membro fondante dell'Europa e ha dato il suo totale contributo in quanto Stato nazionale alla costruzione dell'Europa Unita. Non ha bisogno di dimostrare di essere europeista e di scimmiottare ipotesi'politically correct' utili solo a ridare argomenti agli speculatori etnici".
"Apprendo dalla stampa locale che l On. Holzmann (Pdl) sostiene di essere sostanzialmente d'accordo con lo spostamento del Monumento allAlpino di Brunico e la sua sostituzione, non si capisce perchè, con un altra opera. Esattamente la stessa posizione espressa nei giorni scorsi dal Presidente Durnwalder. Un chiaro esempio di Sindrome di Stoccolma applicato alla politica". Lo sostiene il coordinatore regionale di Futuro e libertà, Alessandro Urzì.
"Il Monumento all'Alpino di Brunico non è nemmeno il Monumento realizzato negli anni Trenta (come affermato da Holzmann) ma una nuova installazione fabbricata dopo gli esiti devastanti di attentati terroristici messi in opera contro l opera originaria", affermo Urzì in una nota. "Voluto dall'Ana il nuovo Monumento all Alpino, violentato poi, esso stesso, da un attentato, è la testimonianza muta dell intolleranza etnica (e come tale un monito da mantenere) e l'espressione della gratitudine della Comunità verso le penne nere impegnate in opere di pace e solidarietà. Insomma - prosegue - gli stessi alpini che hanno sacrificato la vita in Afghanistan. Voltare loro le spalle è una insolenza di cui Futuro e Libertà non intende rendersi complice".
Bozen. Bolzano, la Procura: "Ogni anno intercettate 150 persone, così fermiamo i pedofili". di Susanna Petrone. BOLZANO. Mentre a livello nazionale si torna a parlare del famoso e contestato disegno di legge sulle intercettazioni, definita anche «legge bavaglio», la Procura di Bolzano, con orgoglio, prosegue per la propria strada confermando di essere tra le più efficienti e virtuose d’Italia: il numero delle intercettazioni è rimasto pressochè stabile, mentre scendono i costi. Un trend inziato da Cuno Tarfusser che continua oggi sotto al gestione Rispoli. «In Alto Adige - spiega il capo della Procura - complessivamente ogni anno vengono intercettate tra le 500 e le 600 utenze. Si tratta dunque di 100-150 persone. Un indagato può avere, infatti, fino a quattro numeri diversi: cellulari, telefono di casa, ufficio. A questi numeri si aggiungono tra le 40 e le 50 localizzazioni satellitari. Il numero delle intercettazioni è stabile. Nonostante tutto, in tre anni siamo riusciti a diminuire le spese del Cit, il centro che si occupa di intercettazioni. Basta pensare che nel 2005 si spendevano ancora 800 mila euro, mentre oggi non arriviamo a 250 mila».
Come è possibile abbassare in modo così drastico i costi, senza far calare l’efficienza?
«Grazie ad un serio negoziato tra la Procura e le ditte appaltatrici di questo servizio che ci mettono a disposizione gli strumenti per intercettare. Qualche settimana fa abbiamo firmato un nuovo contratto. Fino al 2010 spendavamo circa otto euro al giorno per ogni utenza intercettata. Da quest’anno il costo è sceso a 6,50 euro. Questo significa che i costi calerano ulteriormente».
Molti pensano che gli inquirenti abbiano meno mano libera sulle intercettazioni. E’ così?
«Assolutamente no. Il codice di procedura penale stabilisce in modo chiaro quando e come si può intercettare. Un inquirente viene a sapere da una fonte che nel quartiere X spaccia il signor Y. L’i nquirente, dunque, inizia con i pedinamenti fin quando ha degli elementi seri in mano che fanno pensare che si tratti di uno spacciatore. Dopodiché presenta alla Procura la richiesta. A quel punto il magistrato che si occupa dell’indagine deve presentare il fascicolo al giudice delle indagini preliminari. Ed è il gip, infine, che decide se avviare le intercettazioni o meno. In alcuni casi il giudice si è anche rifiutato di dare il nulla osta. Tutto questo è regolato dall’articolo 267 del codice di procedura penale. Se il giudice stabilisce che non sussistono i gravi indizi di
reato, gli inquirenti devono proseguire che le indagini standard».
Per quanto tempo vengono portate avanti le intercettazioni?
«Il decreto che viene presentato dal pubblico ministero indica le modalità e la durata delle operazioni. La durata, sempre per legge, non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi sempre di quindici giorni. Dopodiché, almeno così lavoriamo noi a Bolzano, appena gli investigatori hanno raccolto tutte le prove necessarie, sospendiamo le intercettazioni, pur avendo a disposizione altri giorni.
Che compiti ha il Cit?
«Il Cit, centro indagini tecniche, è diretto da un responsabile della Procura ed è un gruppo composto da rappresentanti dei carabinieri, polizia e guardia di finanza. Si tratta di esperti in materia informatica. Sono loro che si rapportano con le ditte che riforniscono gli strumenti per le intercettazioni. Si tengono aggiornati sulle novità nel campo tecnologico ed informatico. Il Cit è il cuore del polo informatico: tutte le intercettazioni vengono filtrate e valutate dal centro. Il materiale svolgimento e la parte tecnica vengono seguiti dal rappresentante della Procura».
Quali sono i reati più frequenti scoperti grazie alle intercettazioni?
«Possiamo dire che l’80 per cento dei casi di pedofilia e reati che riguardano lo spaccio di sostanze stupefacenti vengono scoperti e conclusi con successo grazie alle intercettazioni. Senza sarebbe quasi impossibile fermare un pedofilo, o almeno, si allungherebbero di troppo le indagini. I dati però parlano chiaro: ogni anno vengono fatte tra le 20-30 richieste per quanto riguarda le intercettazioni audio-video. Si tratta sempre di reati di natura sessuale».
Bozen. Obereggen: bambini sulla neve con i poliziotti per sciare in sicurezza. BOLZANO. Imparare a sciare in tutta sicurezza, senza rinunciare al divertimento ma conoscendo limiti e regole da seguire in pista. È il messaggio della manifestazione che si è svolta nel primo pomeriggio di ieri sulle piste di Obereggen. Vi hanno partecipato oltre 120 bambini dell’Ussa, che hanno potuto ascoltare direttamente dagli agenti della Polizia consigli e indicazioni sul tema. Il mega-gruppo è stato diviso in gruppetti più piccoli, di 10-15 bambini l’uno, che scendevano ognuno insieme a un poliziotto su un tratto di pista adiacente all’ovovia. Lungo questo tratto sono state sistemate tre «tappe» coi cartelli. Alla fine della pista, inoltre, è stata sistemata una motoslitta e una barella, per fare vedere come si svolgono i primi momenti dei soccorsi su pista in caso di incidente. La bella giornata - alla quale ha partecipato anche il questore Dario Rotondi - si è conclusa con una bevanda calda per tutti i bambini, che hanno ricevuto anche interessanti gadget per ricordare la bella esperienza sulla neve.
Merano. Meranesi, più vecchi e più soli. In aumento età media, single e giovani immigrati. di Giuseppe Rossi. MERANO. Una città lanciata verso i quarantamila abitanti, sempre più cosmopolita, con i propri residenti che invecchiano a vista d'occhio e che scelgono in numero sempre maggiore di vivere da soli. Questa la fotografia che emerge dai dati pubblicati nei giorni scorsi dall'ufficio statistica del Comune.  Come ogni anno l'Ufficio sviluppo informatico e statistica del Comune di Merano ha elaborato i dati forniti dall'anagrafe e li ha pubblicati in una brochure che è stata diffusa nei giorni scorsi. Una fotografia della città, non solo dal punto di vista dell'incremento demografico, ma che illustra anche aspetti collaterali, quali la presenza di cittadini stranieri (comunitari e non), matrimoni civili e religiosi, divorzi, immigrazioni ed emigrazioni, numero di componenti delle famiglie.  Per il nono anno consecutivo i residenti in riva al Passirio crescono oltre soglia cinquecento, raggiungendo la cifra di 38.228. In dieci anni la popolazione di Merano è salita di quattromila unità, ma lo scorso anno, come negli anni precedenti, l'apporto principale all'incremento degli abitanti lo hanno dato gli immigrati. Il saldo tra persone nate e morte infatti è positivo di appena 21 unità, mentre la differenza nel flusso migratorio è di 535 persone. Ormai la popolazione straniera residente in città ha raggiunto il 15% del totale: 5.667 cittadini non sono di origine italiana e dopo un flusso migratorio iniziale composto da persone adulte, ora a crescere sono soprattutto le giovani generazioni. In dieci anni, dal 2000 ad oggi i neonati (0-2 anni) figli di cittadini stranieri sono passati da 64 a 217, i bambini in età compresa tra 3 e 5 anni sono saliti da 49 a 245. Ma la fascia d'età più incredibile è quella dei ragazzi compresi tra 6 e 18 anni: in dieci anni sono passati da 122 a 681, con un aumento del 460%. Una grossa parte dell'emergenza scolastica e della fame di nuove classi lamentate dai dirigenti scolastici sta tutta in questi numeri.  A tracciare il quadro della popolazione meranese non sono però solo gli stranieri. I residenti con più di 61 anni di età rappresentano oltre un quarto dei cittadini: oltre 6.600 persone hanno tra 61 e 75 anni, altri 3.400 abitanti sono tra i 75 e i 95 anni mentre 93 meranesi hanno oltre 95 anni. Dieci anni fa gli over sessanta erano 1.500 in meno. Se raffrontiamo il numero degli over 75 (3.500 persone) con il numero di posti letto offerti in città per lungodegenti, nelle case di riposo e in alloggi protetti viene da preoccuparsi seriamente.  Cambia sempre di più anche la struttura delle famiglie meranesi. Dei 18.210 nuclei familiari il 45%, ovvero quasi la metà, è composto da single, persone che vivono da sole. Altre 4.681 famiglie sono composte da due persone. Solo il 10% delle famiglie meranesi è composto da quattro persone. In media il nucleo familiare meranese è composto da 2,2 persone. Cambiano anche le abitudini e il modo di convivere. Lo scorso anno in riva al Passirio sono stati registrati più divorzi che matrimoni: 240 le divisioni legali contro 226 unioni (nella metà dei casi almeno uno dei due sposi è straniero). Ma il dato che fa ancora più specie è che i matrimoni religiosi sono scesi ai minimi storici. Le coppie che lo scorso anno si sono sposate in chiesa sono state appena 35, neppure tre cerimonie al mese. Solo nell'anno 2003 erano stati di meno (29). E pensare che all'inizio degli anni Settanta di matrimoni religiosi ne venivano celebrati uno al giorno. 
Belluno. Sociale, arrivano altri 55 milioni. 17 milioni di euro al fondo indistinto e 15 milioni alle case di riposo. BELLUNO. Sul bilancio 2011 del Veneto, nell'ambito del sociale starebbero per arrivare altri 55 milioni. Si sta ridimensionando il taglio inflitto dalla giunta veneta ad uno dei settori più delicati. Taglio che tante proteste ha sollevato soprattutto in provincia di Belluno da dove, è partito l'allarme.  Le barricate fatte dall'opposizione e l'intervento di qualche consigliere di maggioranza hanno spinto la Regione a rivedere i conti e a stanziare risorse aggiuntive. Per il settore disabilità e infanzia-adolescenza questo rappresenterà una boccata d'ossigeno.  In questo modo il settore dovrebbe poter contare su 55 milioni in più: i 32 recuperati dal fondo sanitario e destinati alla non autosufficienza, i 17 milioni di euro ai Comuni per il fondo indistinto e l'adeguamento del 2.5% del contributo regionale per le rette delle case di riposo.  Fondo indistinto. La buona notizia la porta il consigliere regionale del Pd, Sergio Reolon. «L'opposizione ha posto alla giunta la questione del sociale, del trasporto pubblico locale e del lavoro, come condizione per chiudere il bilancio. E la nostra battaglia sta avendo dei risultati», precisa Reolon che aggiunge: «Venerdì l'assessore Sernagiotto ci ha comunicato che sul sociale verranno stanziate più risorse con cui si potranno ripristinare e garantire quei servizi per disabili e per ragazzi che erano a rischio, se il fondo indistinto fosse stato azzerato».  Case di riposo. Una buona notizia arriva anche per le case di riposo. «Saranno dati circa 15 milioni di euro per le rette delle case di riposo, diminuendo così la somma che gli utenti sono costretti a pagare per poter usufruire del servizio, garantendo l'adeguamento del 2.5% del contributo veneto per le rette, come avveniva negli anni scorsi», dice Reolon. «Il resto andrà al fondo per la non autosufficienza, cercando di sanare il taglio di 28 milioni di euro imposto a livello nazionale. Siamo di fronte ad un risultato importante, che servirà a rendere meno brutto il bilancio regionale».   Tpl. Resta però aperta la partita sul trasporto pubblico locale. «Qui la Regione metterà 44 milioni di euro, anche se noi continuiamo a chiederne altri 30. Se li metteranno chiuderemo il bilancio, altrimenti la battaglia continua», conclude il consigliere veneto. Insomma dalle cifre preannunciate che facevano presagire un anno di lacrime e sangue, alla fine le risorse sono state trovate. «Segno che si trattava di un piano congegnato dalla giunta per eliminare lo stato sociale».  Sull'aumento delle risorse il presidente della Conferenza dei sindaci dell'Usl n. 1, Angelo Paganin si dice contento: «Ma mi riservo di confrontarmi col direttore dei servizi sociali dell'Usl, Angelo Tanzarella, per capire meglio cosa succederà per i nostri servizi.
Aosta. “Italiani sì, ma speciali”: i valdostani festeggiano l’Autonomia e lo Statuto. Aosta - Con una sobria cerimonia in palazzo regionale sono stati celebrati i pilastri che sorreggono l’autogoverno regionale da più di sessant’anni. Sullo sfondo, i 150 anni dell’unità d’Italia. Rollandin: “il federalismo deve diventare realtà”. L’Autonomia valdostana compie 65 anni. L’età della pensione, secondo coloro che sostengono la necessità di abolire o ridimensionare le regioni a statuto speciale. Come ogni anno l’anniversario è stato debitamente celebrato nella sala delle manifestazioni di place Deffeyes. I tre presidenti della Regione, del Consiglio regionale e del Celva hanno sottolineato nei loro corposi interventi l’importanza dell’Autonomia e dello Statuto Speciale per la Valle d’Aosta. Se l’anno scorso la chiusura era stata affidata all’ensemble Les voix de la Tour, quest’anno non ci sono state esibizioni musicali, e la cerimonia è terminata con il classico vin d’honneur. Tre le parole d’ordine sottolineate dai relatori, che, con la retorica tipica delle celebrazioni ufficiali, non hanno esattamente infiammato la platea: Responsabilità, dialogo e sacrificio. Valle d’Aosta e Unità d’Italia. D’altra parte, il clima risente della crisi economica e politica generale, e l’austerità è d’obbligo. Sullo sfondo, è stato più volte evocato un altro importante anniversario, il centocinquantenario dell’unità d’Italia, che richiama immediatamente la questione del rapporto tra Regioni autonome e Stato centrale. Se qualcuno in questa occasione si aspettava un discorso più nello stile di Luis Durnwalder, presidente della Provincia autonoma di Bolzano, è rimasto deluso. Forse gli altoatesini, o sudtirolesi, come afferma il loro rappresentante istituzionale, non si sentono italiani, ma i valdostani sì. Secondo Alberto Cerise, presidente del Consiglio regionale, ragioni storiche e culturali ci hanno resi cittadini italiani di lingua francese, o francoprovenzale, almeno nel nostro stato originario. L’identità italiana dei valdostani, ha ribadito, è fuori discussione, ma si realizza nel costante dialogo con le radici francofone della popolazione, che 150 anni di appartenenza a una comune patria italiana non hanno soffocato. Insomma, siamo italiani speciali. Anche Augusto Rollandin ha reso omaggio, fin dalle sue prime parole, all’italianità dei valdostani, che – ha ricordato - come gli altri parteciparono al Risorgimento e alla Lotta di Liberazione. Piuttosto, ha aggiunto, il contributo essenziale dei valdostani andrebbe ricercato nel loro attaccamento al federalismo, di cui furono i primi teorici.
Il federalismo “chez nous”
L’esperienza autonoma valdostana andrebbe, secondo il presidente, studiata e presa a modello, ma così non è. “Oggi si discute di federalismo fiscale senza che ci sia un’impostazione federale della Repubblica, senza Senato Federale” ha affermato. “I progetti di legge presentati dai parlamentari valdostani e dal Consiglio regionale per l’istituzione di un bicameralismo perfetto non sono mai stati discussi. La soppressione dei ministeri che assumono competenze ormai chiaramente delle regioni, pur decisa con referendum abrogativi, non ha mai avuto esito”.
L’appello per il Nord Africa
I temi più caldi dell’attualità non sono stati tenuti del tutto fuori dalla porta. La situazione dell’Africa mediterranea, scossa da rivolte e da un vento di rinnovamento, ha offerto alcuni spunti di riflessione ad Alberto Cerise, che ha fatto appello alle istituzioni europee affinché si adoperino perfezionando le politiche dell’accoglienza e dell’integrazione, evitando lo scontro sociale. di Elena Tartaglione 27/02/2011
Trieste. Pahor come Gandhi. «Lui ha mostrato come si fanno le rivoluzioni». Rispolverare un po' di storia fa male. Di fronte a certe testimonianze verrebbe quasi da cedere all'impulso di dimenticare per vivere meglio, ma un'esistenza senza ricordi si ridurrebbe soltanto a una mera sopravvivenza.  Le memorie di Boris Pahor, classe 1913, arrivano dritte come raffiche sul cuore e ci rimangono conficcate dentro. Lo scrittore ha presentato al Centro Candiani di Mestre il suo ultimo libro, Piazza Oberdan, edito da Nuova Dimensione, grazie all'Anpi regionale Veneto, all'Anpi provinciale Venezia, all'Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea e alla collaborazione con la Fondazione Villa Emma - ragazzi ebrei salvati, che ha prodotto il documentario «In cammino» con Boris Pahor.  Gli storici Giulia Albanese e Fausto Ceccotti dialogano con lo scrittore mentre racconta la sua storia partendo dalla descrizione della celebre piazza di Trieste, città dove da sempre vivono molti sloveni di cittadinanza italiana. E' una storia di violenza senza fine, quella di Pahor, che ha come sfondo la furia rabbiosa contro le minoranze slovene, iniziata molto prima dell'instaurarsi del fascismo, quando viene soltanto giustificata e legittimata. I protagonisti della storia di Pahor sono persone ridotte a corpi: trasformati in numeri, intirizziti dal freddo, impiccati nel silenzio, coperti da dissenteria, privati della propria lingua. E' una storia, la sua, che si può leggere seguendo quando e quanto ha potuto parlare la sua lingua. E' infatti la svalutazione della lingua parlata da una minoranza una delle forme di violenza più subdole, sommata all'obbligo di italianizzare nomi e cognomi.  Già il nome della piazza dimostra che senso può avere togliere anche solo una consonante: Oberdank (Wilhelm e non Guglielmo), figlio di una slovena e di un italiano, modifica il suo nome per marcare la sua italianità; verrà poi impiccato nella piazza dagli austriaci nel 1882. Proseguendo troviamo il Tribunale, al tempo teatro di memorabili fucilazioni contro antifascisti sloveni, sia nel 1930 che nel 1940. Vicino a Via Carducci ecco l'edificio della Gestapo con le celle dalle quali fuoriuscivano urla così disperate da attraversare i muri. Infine, nascosto per buona parte da un edificio, fa capolino quella che una volta era la Casa della Cultura slovena, ridotta a brandelli dall'incendio doloso del 1920, appiccato da fascisti, a cui Pahor assistette da bambino. Riesce a studiare a Padova letteratura italiana che insegnerà tutta la vita, perseguendo quella che è stata definita «una profonda onestà intellettuale», fino a quando è costretto ad arruolarsi e partire per la Libia. Tornato a Trieste decide di sostenere i partigiani sloveni contro l'occupazione italiana, ma viene catturato e spedito in diversi campi di concentramento (Natzweiler, Dachau e Bergen Belsen). A Natzweiler un medico francese scopre che parla sloveno e lo usa come interprete e traduttore per i russi e i polacchi, salvandogli la vita. Da questa esperienza scriverà l'opera che lo porterà a essere candidato come Nobel per la Letteratura, Necropoli, tradotta soltanto nel 2007 (dal 1967) da Fazi Editore. Infine, non manca un riferimento alla questione della foibe, che tanto ha fatto polemica. Pahor sostiene che gli storici hanno ormai appurato che si tratta di un numero inferiore di vittime rispetto a quelle che l'Italia ha sempre dichiarato e che non sono soltanto italiani. Non che la quantità faccia la differenza quando si parla di morti, ma il punto per lo scrittore è quello di raccontare come stanno le cose. Per Pahor le foibe non rappresentano un episodio di violenza circoscritto, ma un episodio complesso che inizia molto prima di quell'evento. Professore, dopo aver visto un secolo di storia non pretendiamo che abbia una soluzione rapida su come affrontare episodi di violenza che si ostinano a ripresentarsi, ma un'indicazione ci sarebbe di conforto. «Bisogna leggere Gandhi - risponde - Una rivoluzione è necessaria. E Gandhi ha mostrato come».
Treviso. Il federalismo è un bluff Lega Nord serva di Roma Bossi al guinzaglio di Silvio. Un tradimento totale. Franco Rocchetta giudica così vent'anni di Lega Nord. Quell'8 febbraio 1991 lui c'era, a Pieve Emanuele (vicino Milano), al congresso cui la pubblicistica fa risalire la nascita del Carroccio, anche se Rocchetta la sposta indietro di 14 mesi, al 4 dicembre 1989, alla firma dell'atto costitutivo in quel di Bergamo. «Città scelta non a caso - puntualizza - ma per la sua lunga storia con la Serenissima». Fatto sta, che 20 anni dopo, il fondatore della Liga veneta, eletto presidente federale della Lega Nord nel 1991 e nel 1994, bolla il suo ex partito come «servo di Roma e dello Stato di Milano», il segretario federale Bossi come lo ritrae Giannelli nelle vignette sul Corriere («al guinzaglio di Berlusconi, fin dall'inizio») e ne ha persino per l'amico Gobbo: «Mai visti a Treviso tanti tricolori e tempietti nazionalisti come oggi, neanche durante il Regno d'Italia e il fascismo».  Potrebbero dirle che lei parla da uomo ferito, che proprio in queste ore la Lega è a un passo dal coronamento del sogno federalista...  Il federalismo è un mantra di cui si riempiono la bocca, in realtà questo cosiddetto federalismo municipale, farraginoso e macchinoso, è una beffa.  Però è la stessa Lega che, da Calderoli a Zaia e Muraro, si dissocia dalle celebrazioni del 150º dell'Unità d'Italia. Questo almeno le farà piacere.  Lo dicono a parole ma nei fatti puntellano lo staterello italiano, lo stato della mafia e della camorra. Anzi, sa che le dico? Che se è vero che hanno fatto sparire i libri di Saviano dalle biblioteche, è una vergogna. Anche se Saviano non mi entusiasma. Ma io li ho fatti i comizi, a Napoli, ai tempi in cui predicavamo e scrivevamo fhora i mafhiuxi e i camuristi dal Veneto.  Ce l'avevate anche con i terroni.  Lo smentisco. Il 7 aprile 1979, all'hotel Due Torri a Verona, sono io che convoco tutti i movimenti autonomisti d'Italia, dai tirolesi ai siciliani e ai sardi.   E le scritte «Forza Etna» sui cavalcavia?
Provocazioni. Che abbiamo ripetutamente denunciato.  Mi deve spiegare una cosa: come mai voi veneti, che eravate stati i precursori, vi siete fatti fregare dai lumbard?  È una storia lunga. Se proprio devo sintetizzare, dico che la lacerazione dell'autunno 1983, con l'assemblea ai Trecento, qui a Treviso, fu il frutto di un'infiltrazione della Dc nelle nostre file, la Dc che ci voleva morti. Questo lo scrive anche Giorgio Galli nella sua storia di 50 anni di Democrazia cristiana.  E fu così che Bossi prese il sopravvento.  Nel 1987 il complotto si ripete e non riusciamo a confermarci in Parlamento. La Lega lombarda conquista due seggi, uno dei quali per Bossi. Dal quel momento lui ha paginate sui giornali ogni volta che apre bocca in piazza Duomo a Milano. E i telegiornali di Canale 5.  Allude a un appoggio della Finivest?  Ha presente le vignette di Giannelli? Bossi al guinzaglio di Berlusconi. Poi, fra l'87 e l'89, lui sparisce per un mese e quando torna è un altro. Da scialbo che era, si trasforma in un grande comunicatore. La scuola Publitalia.  Però Bossi sparava contro Dc e Psi, Berlusconi stava con Craxi...  Invece le dico che Bossi ci chiese di negare l'autorizzazione a procedere contro Craxi, in Parlamento.  Ma poi come votò il gruppo?  Grazie al voto segreto, trionfò il doppio gioco.  A quando risale il suo primo incontro con Bossi?  Ottobre 1981. A Brescia, con un gruppo di federalisti mantovani e veronesi, eravamo andati a incontrare un editore della Brianza, volevamo fare un giornale dei movimenti autonomisti del Nord. C'era una contessina milanese, austriacante, e al suo fianco, cavalier servente, questo giovane nostalgico di Napoleone con tanti foglietti in cui declinava le parole-chiave del dialetto lombardo.  Quale fu poi la ragione della rottura fra voi due?  Fra le 20 ragioni, ne indico un paio. Nel '92 Bossi ci fa comprare la sede di via Bellerio. Quattordici miliardi. Mistero assoluto sulla provevienza di quei soldi. C'è un libro, "Unto del Signore", in cui dicono che il finanziamento lo portò Fiorani. E poi era il trionfo della sua logica anti-federalista, centralista, feudale. Con tanto di simbologia della spada. Oggi siamo al tribale, con l'investitura del figlio Renzo. Ho i miei dubbi che Bossi sia mai stato autenticamente federalista. Lui sogna lo Stato di Milano. Qualche anno dopo, scoprimmo che lui e Speroni erano stati candidati nella Lista per Trieste (il Melone, ndr) nel 1983, formazione che noi avevamo respinto perché antislovena, dichiaratamente antifederalista e ipernazionalista. Quanto a Maroni, altro che fondatore: io lo vidi per la prima volta a Roma, alla riunione degli eletti nel '92. E sa come fu scelto quale capogruppo? 
Pavia. Spuntano i market mentre la gente fa meno la spesa. di Stefano Romano. PAVIA. Aumentano i supermercati ma la spesa diminuisce: è la fotografia della situazione pavese che si ottiene mettendo a confronto i dati dell'Istat sui consumi delle famiglie nel 2010 con quelli di Infocommercio sugli insediamenti locali della grande distribuzione. In una provincia che conta già 73mila metri quadrati di grande distribuzione e si avvia a superare i 100mila con la costruzione dei centri commerciali di Borgarello e Albuzzano, così, si scopre che la spesa per gli alimentari è scesa dello 0.4 per cento in un solo anno.
I consumi a picco. Nel 2010, a livello nazionale, i consumi di generi alimentari sono calati dello 0.3 per cento. In provincia di Pavia è andata anche peggio con un calo dello 0.4 per cento. Il calo dei consumi ha colpito più i negozi di vicinato della media e grande distribuzione: nei primi la spesa è diminuita dello 0.6 per cento, mentre nelle seconde è aumentata dello 0.7 per cento. Analizzando il dato provinciale ancor più nel dettaglio, si scopre che la crisi del piccolo commercio è più accentuata a Pavia che nel resto d'Italia dove il calo della spesa è stato "solo" dello 0.4 per cento.
I discount tengono. Un quadro simile è giustificato sostanzialmente dalla crisi che ha tolto potere d'acquisto alle famiglie che risparmiano anche sulla spesa alimentare e cercano ocasioni di risparmio. La conferma si trova nella tenuta dei discount, spermercati senza servizi ma a basso costo. A Pavia, però, perfino questi fanno peggio che nel resto d'Italia: la media nazionale indica per i discount una crescita dell'1.3 per cento, mentre i dati locali si fermano allo 0.8 per cento.
I colossi tremano. Particolarmente significativo il dato Istat relativo alla spesa negli ipermercati, ovvero i centri commerciali con almeno 12mila metri quadrati destinati alla vendita. In Italia hanno fatto segnare un rallentamento dello 0.3 per cento, mentre a Pavia il calo delle vendite è stato ancor più accentuato allo 0.4 per cento. L'avanzata non si ferma. Otto ipermercati, quattro grandi superfici integrate che sostanzialmente sono la stessa cosa, una superficie di vendita di 73.721 metri quadrati: esaminando i dati di Infocommercio si scopre che a Pavia la grande distribuzione è il doppio rispetto alla media italiana. E passando in rassegna i progetti già pronti o in arrivo ci si rende conto che nel giro di due anni i metri quadrati di grande distribuzione potrebbero superare quota 100mila. C'è il piano di Borgarello con 15mila metri in dirittura d'arivo, c'è quello da 24mila metri di Albuzzano, ci sono i 100mila metri totali (non solo di vendita) che il Pgt di Pavia prevede attorno al Carrefour sulla vigentina. Poi ci sono 32mila metri tra uffici e media distribuzione a Motta San Damiano alle porte di Pavia nell'area ex Chatillon ancora da bonificare. Non basta? Sulla direttrice per Genova, 20 chilometri da Pavia, ci sono già autorizzati 600mila metri di media ditribuzione attorno al complesso Iper di Montebello.
Venezia. I congressi della Lega in Veneto: Gobbo in netto vantaggio su Tosi. di Filippo Tosatto. VENEZIA. A dispetto dei toni edulcorati della «Padania», è una Lega tutt’altro che monolitica quella che emerge dai congressi in corso nel Veneto. Un partito popolare e sfaccettato, animato da un nuovo flusso di uomini e donne. Che pesca nel bacino tradizionale della sinistra, miete il voto operaio - lo slogan «Case e lavoro prima ai veneti», pur rudimentale, ha lasciato il segno - e conta iscritti alla Cgil (succede nel Trevigiano e nel Vicentino) tra i suoi delegati.
Che prova a fare l’asso pigliatutto e a tagliare l’erba sotto i piedi dell’alleato-rivale Pdl, scalzandolo dal ruolo di campione del popolo irrequieto delle partite Iva.
Ma i congressi sono anche l’occasione di una conta interna, appena attenuata dall’unanimismo di facciata gradito al senatùr. Tra i due contendenti in lizza, il segretario veneto uscente Gian Paolo Gobbo e il sindaco di Verona Flavio Tosi, certo. Ma anche in chiave generazionale, dove l’ansia al rinnovamento della base fa sì che a Belluno un outsider di 22 anni, Diego Vello, conquisti la segreteria surclassando nei consensi il più quotato concorrente Franco Gidoni. Un’operazione, quella dei giovani «rottamatori» del Carroccio, tentata anche a Vicenza, con meno fortuna però; perché se al primo turno il giovane sfidante Roberto Grande - grande ammiratore di Luca Zaia - è riuscito a superare Roberto Fongaro (delfino del potente Stefano Stefani), al ballottaggio nulla ha potuto contro la veterana Marita Busetti, sindaco di Thiene e fiduciaria dei big.
Gobbo versus Tosi, si diceva. Le percentuali, finora, segnano un largo vantaggio, nell’ordine del 65-70%, del trevigiano prediletto da Umberto Bossi. Che presenta un bilancio indubbiamente lusinghiero - Lega primo partito del Veneto, un governatore col fazzoletto verde a Palazzo Balbi - a fronte dalle diffidenze che circondano il veronese; giudicato da più parti troppo «tricolore» dopo le esternazioni favorevoli alla celebrazione dell’Unità d’I talia, e bersaglio di colpi bassi, tipo il rumor fasullo che lo voleva in procinto di traslocare nell’ovile di Sacconi.
La partita, però, non è ancora conclusa. Senza storia Treviso - che plebiscita il gran capo - in archivio Venezia (candidato unico e vincente Paolo Pizzolato), Tosi prepara la riscossa domestica: a Verona il congresso si svolgerà il 23 marzo e il sindaco punta a un successo scoppiettante. Anche Padova si avvia al voto: Gobbo conta supporter fidati (a cominciare dai parlamentari Bitonci e Goisis) però il segretario uscente Maurizio Conte, che ha lasciato il timone del partito per entrare nella giunta regionale, è schierato con Tosi; a succedergli potrebbe essere Roberto Marcato, il dinamico vicepresidente della Provincia molto apprezzato dalla base del Carroccio.
Ma aldilà degli organigrammi, come si caratterizza il dibattito interno? Detto che i congressi leghisti si svolgono a porte chiuse (non proprio il massimo della trasparenza), dovunque si segnalano punte elevate di partecipazione dei militanti. Attenzione, questa categoria nel vocabolario “padano” ha un significato preciso: indica gli iscritti che, dopo un anno di attività da “sostenitori”, ricevono il visto definitivo dai tre gradi statutari (sezione, circoscrizione, provinciale) e - trascorsi altri sei mesi di “buona condotta” - ottengono pieni diritti nel partito.
Ebbene, nei loro interventi prevale l’aspirazione al federalismo, terra promessa della lunga marcia leghista, che diluisce gli umori separatisti e diventa appello pressante ai capi perché, dal Governo in giù, tengano la guardia alta, memori dello choc referendario sulla devolution.
E la questione morale, leggi arresto per mazzette del consigliere di Zero Branco Giuseppe Barison e incriminazione per frode fiscale del consigliere provinciale vicentino Massimo Signorin? Brutti colpi alla «diversità» rivendicata rispetto alla partitocrazia romana arraffona. «Punti di debolezza», sospira preoccupata Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia di Venezia; maldigeriti e tuttavia giudicati - finora, almeno - non sintomatici.
Morale della favola: l’esito della corsa a due sembra già delineato ma non è escluso che Gobbo, incassato il successo, decida in autonomia di pilotare la successione. In pole position? Un terzetto comprendente il segretario trevigiano Gianantonio Da Re, il capogruppo al Senato Federico Bricolo e il sottosegretario Giampaolo Dozzo. Tant’è. A suo tempo Umberto Bossi, reduce dalla “ cena degli ossi” di Calalzo, ne ha tracciato l’identikit con un fine aforisma politico: «Decidano i veneti, basta che sia uno che non rompa le palle»
Reggio Emilia. Disoccupati ancora in aumento e sono soprattutto donne e stranieri. Nel 2010 la disoccupazione sul territorio reggiano è aumentata, confermando purtroppo una tendenza che si trascina ormai da due anni e vede il mercato del lavoro in forte difficoltà. Sulla base dei dati raccolti dai Centri per l'impiego della Provincia di Reggio, al 31 dicembre scorso i disoccupati erano 23.599 (2.157 in più rispetto ai 21.442 dell'anno scorso): di questi, 7.055 sono stranieri, concentrati principalmente nella zona della città e nei distretti della Bassa. Molto penalizzate anche le donne. Tuttavia, qualche segno di ripresa comincia a intravvedersi. «E noi - dice il vice presidente della Provincia Pierluigi Saccardi - continueremo a sostenere famiglie, lavoratori e imprese».  «La situazione resta pesante, ma il mercato del lavoro locale mostra anche alcuni, deboli, ma confortanti segni di ripresa - commenta il vicepresidente della Provincia Pierluigi Saccardi - Nel 2010, ad esempio, le assunzioni sono state 83.288, oltre 5.000 in più rispetto all'anno precedente, ma purtroppo ancora insufficienti a fronte del grande numero di lavoratori disoccupati nella nostra provincia. Inoltre, gran parte di queste assunzioni avviene con contratti a tempo determinato, mentre quelle a tempo indeterminato sono una netta minoranza e in ulteriore, lieve flessione rispetto all'anno scorso. E' il sintomo di come il sistema produttivo reggiano stia ancora vivendo un momento di incertezza».  Tornando ai dati raccolti dai Centri per l'impiego, prevale la disoccupazione femminile che rappresenta circa il 60% del totale (ma circa il 50% dei disoccupati stranieri): inoltre, la forbice con la disoccupazione maschile si allarga vistosamente quando si analizzano i dati dei disoccupati da oltre 12 mesi e ancora di più con l'aumentare dell'anzianità di disoccupazione, a dimostrazione di come la fascia di popolazione con maggiori difficoltà sia composta in gran parte da donne. Sul fronte della disoccupazione giovanile il quadro è invece rimasto stabile, «ma l'attenzione deve rimanere vigile e proprio sui giovani si dovrà continuare a lavorare nella direzione di rendere disponibili opportunità di formazione professionale mirate», continua il vicepresidente Saccardi. In aumento anche i lavoratori in mobilità, ovvero che hanno perso un posto di lavoro a tempo indeterminato: nel 2010 erano 4.882 rispetto ai 3.915 dell'anno prima, con una leggerissima prevalenza della componente maschile. «La Provincia continuerà a sostenere le famiglie, le persone che non trovano lavoro e le stesse imprese», conclude Saccardi ricordando le tante iniziative da tempo messe in campo attraverso l'Unità anticrisi, «dal protocollo con le banche per l'anticipazione sociale della cassa integrazione al piano straordinario di interventi formativi, al progetto che proprio in questi giorni consentirà di attivare tirocini formativi al Tribunale, realizzando al contempo un'attività di supporto all'istituzione giudiziaria e di sostegno, anche economico, ai 12 disoccupati per ora coinvolti».
Ferrara. Cambiano gli aiuti alle famiglie. Oggi benefici solo a 50 nuclei con 4 figli. Il Comune: platea da allargare. Ferrara viene spesso citata tra le città con le politiche più avanzate in favore delle famiglie. Siamo, ad esempio, tra i 28 centri italiani ad avere una Family card, la tessera che aiuta con sconti e contributi i nuclei numerosi. La realtà è però molto meno da vetrina perchè i beneficiati sono pochi intimi: in arrivo novità.  La Family card è stata istituita nel 2008 contando anche sul sostegno governativo, grazie al quale ha potuto operare su due binari: un contributo diretto e sconti sulle tariffe di acqua e rifiuti. Nei due anni seguenti ai beneficiari sono arrivati 1.000 euro cash all'anno e risparmi piuttosto consistenti in bolletta, ma il problema di base è sempre stato il numero molto ridotto di famiglie incluse nel programma. Si parla di 50 nuclei in tutto, una cifra pressochè simbolica. La barriera all'ingresso «non sta tanto nel limite di reddito richiesto per il contributo governativo, 25mila euro di Isee - spiega Tullio Monini, responsabile del settore per conto dell'Istituzione scuola - Possono rientrarvi anche famiglie con due redditi "normali", certo non dei professionisti. La vera selezione la fa il vincolo di avere almeno 4 figli sotto i 26 anni di età, che rende la Familiy card effettivamente accessibile a pochi». I requisiti numerici, in città, ce l'hanno 109 famiglie in totale, che vengono dimezzate dal tetto di reddito. Possiedono la card anche un certo numero di extracomunitari residenti, dotati di carta di soggiorno. Già per quanto riguarda il 2010 le condizioni sono cambiate, venendo a mancare il contributo statale: niente sconti tariffari, resta il rimborso di 800 euro in caso di Isee fino a 15mila euro e 400 con Isee superiore (fino al tetto massimo), ma con priorità in ordine crescente e fino all'esaurimento del budget di 25mila euro. Ieri è scaduto il termine di presentazione delle domande, di sicuro non si amplierà la platea dei beneficiati.  E' però in vista una significativa novità che dovrebbe consentire una spalmatura degli aiuti su molte più famiglie: il Comune parla di diverse centinaia di nuclei. Si tratta anzitutto di ridurre da 4 a 3 il numero dei figli, di abbassare la soglia Isee e anche di allargare la card alle famiglie monogenitoriali seppur con un solo figlio. Sono proprio queste ultime a soffrire di più in questa situazione di crisi, stando alle analisi di Palazzo municipale, anche se una card di questo tipo perderebbe ogni contatto con l'originale progetto legato alla numerosità familiare. C'è poi l'idea di introdurre scontistiche anche in negozi e servizi privati, come suggerito tra l'altro da Mario Sberna, presidente dell'Associazione famiglie numerose, il quale a livello nazionale preme anche per tariffe agevolate nei trasporti pubblici per l'intera famiglia. Le novità sono già state valutate dal Consiglio di amministrazione dell'Istituzione scuola e vanno ora vagliate dall'amministrazione comunale. Bisogna vedere, poi, quanti soldi saranno stanziati.
Ferrara. Gli industriali bocciano Ferrara. Unica in regione con indicatori economici sotto la media nazionale. Se l'Emilia-Romagna nel suo complesso continua ad essere una delle locomotive dello sviluppo economico italiano, altrettanto non si può dire per la provincia di Ferrara, unica ad arrancare dal punto di vista economico nell'ambito regionale. Ben cinque province della Regione sono infatti nella top ten della fotografia scattata dall'area Mezzogiorno di Confindustria sugli 'Indicatori economici e sociali regionali e provinciali'. Brilla, in particolare, Rimini, che guida la Regione ed è, in Italia, seconda solo a Milano.  Gli indicatori dell'associazione degli industriali sono stati elaborati per evidenziare il grande divario fra nord e sud e non lasciano spazio a dubbi: le prime posizioni della graduatoria - elaborata tenendo conto del pil pro capite, ma anche degli aspetti sociali e di qualità delle vita delle province italiane (dall'occupazione ai depositi bancari, dagli anni di studio ai consumi di energia) - sono occupate quasi esclusivamente da città del Nord. Mentre all'estremo opposto si trovano solo città del Sud.  Posta uguale a 100 la media nazionale del periodo 2008-2009, l'indicatore sintetico per la Provincia di Rimini è di 139,14. Un risultato positivo, trainato dall'industria del turismo, che offre l'immagine di una Regione che ha resistito meglio di altre alla crisi. Anche perchè, subito dopo, arrivano Ravenna (quinta con 134,33), Bologna (settima con 129,83), Parma (ottava con 122,35) e Reggio Emilia (nona con 122,04).  Non ci sono altre regioni che possano vantare una performance così positiva, almeno per quanto riguarda le prime dieci posizioni dove ci sono due province lombarde (Milano e Mantova) e insieme a Trieste, Verona e Aosta: una fotografia che, pur facendo emergere un dato rincuorante per l'Emilia-Romagna, denuncia una situazione problematica in termini di disparità a livello nazionale. Basti pensare che l'indicatore della città più sviluppata (Milano, 145,15) è ben superiore al doppio di quella più depressa (Enna, 61,24)  E' a ridosso delle prime posizioni Modena (dodicesima con 121,06), mentre restano più staccate Piacenza (27ª con 109,83) e Forlì-Cesena (33ª con 108,00). A chiudere la classifica, per quanto riguarda l'Emilia-Romagna, è la provincia di Ferrara, unico territorio regionale che si trova sotto, sia pur di poco, la media nazionale: è infatti 53ª con un indicatore di 99,10.  Fra le città di medio-grandi dimensioni è incoraggiante il dato di Bologna, che è preceduta da Milano e Trieste, ma che ha un indicatore sensibilmente migliore di Firenze, Roma, Torino e Genova.  Il dato ferrarese risente in gran parte dalla scarsità di investimenti effettuati e soprattutto dalla crisi di alcune grosse aziende che hanno fatto ricorso sistematico dalla cassa integrazione. Una rispesa economica che si fa sempre più difficile e lenta a Ferrara, nonostante timidi segnali incoraggianti.

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