domenica 20 febbraio 2011

Federali della Sera. Enrico Cialdini: Quel giorno indossiamo tutti una coccarda tricolore. Schützen in gita. 20 febbraio 2011.

Sezione Forza Magnadora dell’Oltre padania: 
1. Bozen. Schützen in gita: paga la Regione.
2. Bozen. Napolitano a Durnwalder: bene la fedeltà alla Costituzione.
3. Trento. Bastonati dal Fisco. Crescono i contenziosi.
4. Friuli-Venezia Giulia. Volontariato, Friuli Vg primo in Italia: 129 associazioni ogni 100 mila abitanti.

Sezione festa si festa no:
5. Quel giorno indossiamo tutti una coccarda tricolore.
6. Unità d'Italia, l'altra Storia.
1. Bozen. Schützen in gita: paga la Regione. Contributo di 25 mila euro per la ciaspolata sulla neve di Folgaria. BOLZANO. L'Alto Adige non parteciperà alle manifestazioni in occasione del 150º anniversario dell'unità d'Italia. Fra le tante, pare manchino i soldi (circa 120000 euro). E il Trentino, se parteciperà, dovrà farlo a titolo di Provincia e non certo di Regione. Così ha imposto il presidente Luis Durnwalder. Tenuto conto di tutto ciò, lascia alquanto perplessi una recente delibera della giunta regionale: su proposta dello stesso Durnwalder, alla compagnia degli Schützen di Folgaria (pardon, come la definiscono i cappelli piumati sul loro sito web: Viegelreuth) sono stati concessi 25mila euro. Perché? Incredibile ma vero: la quinta edizione della «Passeggiata sulla neve per Schützen e non», ossia una ciaspolata in notturna. Le delibere in realtà sono due. La prima è stata approvata a fine luglio 2010, per i primi diecimila euro tondi tondi. La passeggiata, come si legge, «è promossa dalla Regione in collaborazione con la Schützenkompanie di Folgaria Generale Ignaz Freiherr von Verdross».
Leggendo la seconda delibera, di gennaio 2011, si rileva «come la suddetta iniziativa sia stata autorizzata nel suo complesso e suddivisa per motivi organizzativi, in due momenti distinti; il primo a carattere preparatorio organizzativo e pubblicitario-diffusivo delle manifestazioni culturali e sportive preventivate, il secondo relativo alla realizzazione delle manifestazioni suddette, secondo le finalità del progetto elaborato dalla compagnia degli Schützen». Nella prima delibera si è provveduto ad un iniziale impegno di spesa, ma evidentemente si è poi ritenuto non fosse abbastanza. Perché qualche settimana fa, fra il resto dieci giorni dopo che la manifestazione si era tenuta, «data la valenza dell'iniziativa», si è ritenuto di impegnare ulteriori 15 mila euro (bontà loro: Iva inclusa). Il tutto - e qui la perplessità raggiunge livelli siderali - visto «l'articolo 5 comma 1 e l'articolo 2 lettere b) e c) del Testo unico concernente le leggi regionali sulle iniziative per la promozione e l'integrazione europea». La delibera numero 9/2011 - per chi non dovesse crederci è tutto scritto nero su bianco - è stata approvata da Luis Durnwalder, il presidente, Lorenzo Dellai, il vice, Florian Mussner, assessore. Assenti Martha Stocker e Margherita Cogo. È stata inoltre proposta dal presidente Durnwalder, su richiesta della ripartizione III, minoranze linguistiche e integrazione europea. Per la precisione (la perplessità qui aumenta ancora a dismisura) dall'ufficio per l'integrazione europea e - udite udite - gli aiuti umanitari. Con teutonica precisione, la delibera annota che la decisione è stata presa all'unanimità, una volta «accertata la disponibilità di fondi». Tirando le somme: la ciaspolata degli Schützen viene sostenuta dalla Regione per promuovere l'integrazione europea. La mostra delle regioni al Vittoriano e a Castel Sant'Angelo, quella no. Forse agli assessori regionali sfugge un fatto: l'unità d'Italia è stato il prerequisito storico fondamentale per l'entrata di Alto Adige e Trentino proprio nell'Unione europea.
2. Bozen. Napolitano a Durnwalder: bene la fedeltà alla Costituzione. Mano tesa del presidente della Repubblica al presidente della Provincia di Bolzano, soprattutto per il richiamo che quest'ultimo ha fatto alla Costituzione. Il Capo dello Stato ha risposto in pochi giorni alla lettera del governatore. BOLZANO. Mano tesa del presidente della Repubblica al governatore Durnwalder, soprattutto per il richiamo che quest'ultimo ha fatto alla Costituzione.
Il Capo dello Stato ha risposto in pochi giorni alla lettera con cui il presidente dell'Alto Adige spiegava per iscritto le ragioni del suo no personale alle celebrazioni dell'unità d'Italia (AUDIO), dopo una prima missiva del Quirinale in cui si esprimeva «sorpresa e rammarico» per le espressioni con cui Durnwalder aveva motivato la sua decisione di non aderire alle feste. Lo scambio epistolare sembra chiudere il caso, stando a quanto afferma lo stesso presidente altoatesino.
«Il presidente Napolitano mi ha inviato una nuova lettera, che segue a quella che gli ho scritto pochi giorni fa, dai toni pacati e da cui ricavo l'impressione che capisca i miei sentimenti di sudtirolese rispetto all'unità d'Italia», sottolinea Luis Durnwalder.
Quest'ultimo aveva evidenziato nella lettera al Capo dello Stato come «tutti i sudtirolesi si riconoscano nella Costituzione italiana». Un passaggio - che a detta del governatore altoatesino - è stato molto apprezzato dall'inquilino del Quirinale. «Il presidente della Repubblica si è detto soddisfatto, soprattutto riguardo al rispetto della Costituzione ed ai sentimenti del gruppo linguistico italiano che ha tutti i diritti di festeggiare l'unità d'Italia», ancora Durnwalder.
Resta valido l'invito al Capo dello Stato a visitare l'Alto Adige, invito rimarcato dal presidente altoatesino nel recente Forum che si è tenuto nella redazione dell'Alto Adige.
Sembra chiudersi qui uno polemica tra Roma e Bolzano, diventata un caso nazionale, dopo che Luis Durnwalder aveva sottolineato di non voler partecipare alle celebrazioni per l'unità d'Italia, perché «la popolazione sudtirolese non vi si riconosce». Una polemica che - oltre a centinaia di mail e lettere di protesta - giunte al nostro giornale, ma anche a Palazzo Widmann e alle associazioni turistiche altoatesine - aveva visto l'intervento in prima persona di Napolitano. Quest'ultimo rilevava che il presidente della Provincia di Bolzano «non può parlare a nome di una pretesa "minoranza austriaca", dimenticando di rappresentare anche le popolazioni italiana e ladina e soprattutto che la stessa popolazione di lingua tedesca è italiana e tale si sente nella sua larga maggioranza».
Giorgio Napolitano aveva poi espresso «la propria fiducia che l'intera popolazione della provincia di Bolzano possa riconoscersi pienamente nelle celebrazioni della nascita dello Stato italiano, nello spirito dei principi sanciti dagli articoli 5, 6 ed 11 della Costituzione repubblicana». Ed è interessante notare che il presidente della Repubblica si richiama ad alcuni articoli della Costituzione riguardanti proprio le autonomie speciali e le minoranze, laddove si afferma che «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», oppure si sottolinea «la tutela con apposite norme delle minoranze linguistiche».
«Napolitano conosce bene la situazione in Alto Adige e anche con questa lettera dimostra di essere persona seria e corretta», chiude Durnwalder. Sempre sull'unità d'Italia interviene il coordinatore regionale di Fli, Urzì, chiedendosi «come possiamo a Bolzano indignarci per le parole del presidente della Provincia se nello stesso governo, per autentico paradosso, si annida il medesimo spirito antinazionale che contesta le ragioni dell'unità?». È il commento sul voto non unanime con cui il governo - leghisti contrari - ha deciso di dichiarare il 17 marzo festa nazionale.
3. Trento. Bastonati dal Fisco. Crescono i contenziosi. 20/02/2011 08:07. TRENTO - Cresce il contenzioso con il fisco e dunque anche il lavoro delle Commissioni tributarie che, con organici ormai ridotti all'osso, fanno fatica a smaltire i fascicoli. Non mostra invece sostanziali segnali di cambiamento quella che secondo i commercialisti è un'"anomalia" tutta trentina: qui, a differenza di quanto accade in media nel resto del Paese, le cause vengono vinte nella maggioranza dei casi (54%) dall'Agenzia delle entrate e dunque la vita è più dura per il contribuente che vede le proprie ragioni accolte solo nel 33% dei casi. Occasione per fare il punto sullo stato di salute della giustizia tributaria in Trentino è stata la cerimonia di inaugurazione del nuovo anno giudiziario. La relazione quest'anno è stata affidata a Corrado Pascucci, presidente della commissione tributaria di 2° grado.
I dati citati dal magistrato dimostrano che le cause sono in aumento. Il Trentino sin qui si distingueva in positivo: il tasso di litigiosità era tra i più bassi d'Italia con 1,8 ricorsi ogni 1.000 abitanti contro una media nazionale di 5,4. Il livello resta comunque basso, ma i dati degli ultimi due anni mostrano una netta crescita del contenzioso: i ricorsi pervenuti nel corso del 2010 sono stati 1.113 (un centinaio in più rispetto al 2009): quelli decisi 714. Il saldo è dunque negativo: a fine 2010 erano infatti 1307 i ricorsi pendenti. Pascucci infatti segnala «un'evidente capacità di smaltimento inferiore al numero delle sopravvenienze». Cresce dunque l'arretrato delle commissioni di 1° grado nonostante aumenti la produttività dei giudici che in un anno hanno prodotto 714 sentenze rispetto alle 662 del 2009. Discorso analogo si può fare per la Commissione tributaria di 2° grado: nel 2010 sono pervenuti 284 ricorsi e nel sono stati decisi 111. Anche qui il saldo è negativo anche perché sono diminuite le sentenze: le giacenze passano infatti da 248 a 421. L'organo d'appello non gira a pieno regime per ragioni molto semplici: «Il primo e più importante - sottolinea Pascucci - è che il numero dei giudici si è ridotto nel corso del 2010 drasticamente e drammaticamente dai 18 originariamente previsti solamente a 6». In attesa di rinforzi, che dovrebbero arrivare ma non in tempi brevi visto che si stanno predisponendo i bandi, è stato deciso di raddoppiare il numero di procedimenti portati in udienza. Il lavoro è reso più difficile anche dalla crescente complessità della materia: il giudice Pascucci ha citato in particolare i casi delle «frodi carosello» (che di fatto sono triangolazioni organizzate a livello comunitario per frodare l'iva) e i casi che si fondano sul cosiddetto «abuso del diritto». Da più parti si è sottolineato anche che i magistrati contabili (in gran parte sono giudici della giurisdizione ordinaria e magistrati) sono di fatto dei volontari. Il compenso infatti è poco più che simbolico: un centinaio di euro lordi a sentenza da dividere tra 5 soggetti diversi. (Articolo completo sull'Adige in edicola)
4. Friuli-Venezia Giulia. Volontariato, Friuli Vg primo in Italia: 129 associazioni ogni 100 mila abitanti. LUCCA. Il livello di civiltà di un popolo si misura anche dai volontari. Il Friuli Venezia Giulia è la prima regione d’Italia per numero di organizzazioni di volontariato rispetto agli abitanti. Il “premio” al senso civico arriva da Lucca, dove è in programma la prima edizione del Salone dei volontari, un consesso in cui da più voci è stato denunciato lo scarso interesse delle istituzioni per il settore (atteso ma inutilmente il ministro del welfare Maurizio Sacconi; l’unico messaggio dall’esecutivo quello del ministro della gioventù, Giorgia Meloni) e l’allarmante riduzione delle risorse.
Nella tre giorni di lavori, tra le altre cose, è stato presentato l’ultimo rapporto della banca dati, aggiornato a gennaio 2011, del Centro nazionale di volontariato (Cnv). Ne viene fuori che, come spesso avviene, l’Italia corre a due velocità, con il Sud fanalino di coda rispetto al Nord, anche in questo caso. Nelle regioni settentrionali operano quasi 30 mila organizzazioni, in quelle centrali 11.500, in quelle meridionali appena 12.400. Complessivamente sono circa 53 mila. Le organizzazioni censite in Italia dal Cnv (comprensive di quelle iscritte agli albi regionali e provinciali) sono 52.813. Le regioni sul podio sono Lombardia (7.284), Veneto (5.878), Piemonte (5.620).
Ma se si confrontano con la popolazione residente, spicca in alto il Friuli Venezia Giulia, con 128,9 organizzazioni ogni 100 mila abitanti; all’opposto la Campania con 27,9. Se poi, a questi numeri, aggiungiamo le associazioni di volontariato “non registrate” al Cnv, ma comunque presenti nel Registro regionale, i numeri del Friuli Vg sono ancora più importanti, come ha spiegato l’assessore Roberto Molinaro: «Un’organizzazione di volontariato ogni 900 abitanti, oltre il 4 per cento della popolazione impegnata in attività solidali che spaziano dalla sanità al sociale al socio-sanitario, dalla protezione civile alla cultura all’ambiente. Attualmente sono 1.300 le organizzazioni regolarmente iscritte nel Registro regionale, alle quali va aggiunto un ulteriore centinaio di associazioni che operano senza iscrizione, per un totale di 50 mila volontari. Una rete di attori - ha detto l’assessore - che lavora a favore del territorio, della comunità e delle persone più fragili, garantendo servizi importanti per la coesione sociale e per veicolare valori positivi anche fra le nuove generazioni».
A Lucca, tra le altre cose, per cercare di migliorare le attività dei volontari e per dar loro «uno slancio», Giuseppe Zamberletti, il padre della Protezione civile, chiede un Dipartimento ad hoc incardinato nella Presidenza del Consiglio. Proporrà - come già fece trent’anni fa facendo nascere la Protezione civile - l’avvio di una riflessione in tal senso al sottosegretario Gianni Letta. E i tempi possono essere anche brevi, purchè - osserva - si abbia voglia di farlo.
5. Quel giorno indossiamo tutti una coccarda tricolore. Dalla Lega a Durnwalder, così i «nemici» hanno aiutato a rendere il 17 marzo una ricorrenza vera. Indro Montanelli sosteneva che a Bossi, un giorno, avremmo dedicato monumenti nelle piazze italiane, di fianco a quelli di Giuseppe Garibaldi. Lo considerava, infatti, un patriota involontario. Esaltando l'inesistente Padania, la Lega ci ha obbligati a ragionare sull'Italia esistente.
Fingendo di disprezzare la nazione, ha risvegliato il nostro sentimento nazionale (poco a tanto che sia). A Umberto Bossi ha dato una mano Roberto Calderoli. Uno e l'altro persone più ragionevoli di quanto vogliano far credere: lo prova il fatto che la Lega s'è tenuta lontana dalla violenza. Definendo «una follia costituzionale» la festa nazionale del 17 marzo, il ministro della Semplificazione - nomen omen - ne ha decretato il successo.
Il nostro tribalismo è talmente radicato che, per combinare qualcosa, dobbiamo trovare un avversario. Il 150° dell'Unità si trascinava tra comitati comatosi, mostre periferiche e i discorsi eccitanti come tisane. Gli avversari dell'epoca - gli austriaci, la Chiesa cattolica - sono buoni amici dello Stato italiano. La sinistra, a lungo sospettosa del tricolore, oggi lo sventola con convinzione. Uno sbadiglio gigantesco stava per coprire l'anniversario. Ci hanno pensato l'altoatesino Luis Durnwalder e l'europarlamentare Mario Borghezio: un monumento anche a loro, per favore. Il primo ha spiegato che «il gruppo linguistico tedesco non ha nulla da festeggiare»; il secondo ha distillato perle di saggezza radiotelevisiva. «Il festival di Sanremo è una festa padana», ha spiegato a Radio 24. Poi, turbato dall'inno all'inno (di Mameli), ha cambiato idea: «Benigni? Peggio di Ruby. Fa semplicemente schifo il prostituirsi di un artista alle esigenze della retorica di una parte del Paese contro l'altra».
A questo punto, direi, è fatta. Il 17 marzo si avvia a essere una vera festa, nuova e sentita. Tenessimo i negozi chiusi, potremmo approfittarne per pensare. Un'attività che non ha conseguenze immediate sul prodotto interno lordo; ma non fa mai male. Potremmo trovare, per esempio, un modo originale di celebrare insieme un giorno fondamentale della nostra storia comune. Il 25 aprile è la festa del sollievo, il 2 giugno il sigillo di una decisione civile, il 4 novembre la commemorazione di una vittoria militare. Il 17 marzo dovrebbe essere il ricordo gioioso di un momento epico (diciamolo: non sono molti, nella nostra storia).
Epico: come la rivoluzione francese, l'indipendenza americana, la vittoria inglese contro i nazisti. L'Italia a metà dell'Ottocento era rock. Andate a Pavia, visitate la mostra «Le università erano vulcani». Guardate i ritratti dei fratelli Cairoli - quattro su cinque caduti per la patria che sognavano - e vedrete ragazzi italiani: stesse facce, stessi occhi, stesse espressioni. La casa della mamma Adelaide - piazza Castello, angolo strada Nuova - era la base di Garibaldi in una città che Ugo Foscolo aveva infiammato, anni prima, declamando «O italiani, io vi esorto alle storie perché niun popolo più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare...». Un riassunto folgorante della nazione di ieri e di oggi.
Una nazione che Roberto Benigni sembra aver svegliato, uscendo prepotentemente dal recinto dei Five Millions Club (i cinque milioni di italiani che acquistano i quotidiani, leggono qualche libro e discutono di questi temi). Venti milioni di telespettatori sono tanti. Ma ricordiamoci che siamo una nazione specializzata in buone intenzioni che quasi mai riusciamo a trasformare in buoni comportamenti (anche perché ora non ce lo chiede più nessuno, mentre prima ce lo chiedevano nel modo sbagliato).
Ringraziare Benigni e Bossi, idealmente uniti nel loro diverso patriottismo, è un buon punto di partenza. Ma non basta. Bandiere ne abbiamo sventolate molte; balconi ne abbiamo addobbati; fasce tricolori ne abbiamo viste tante, di traverso a petti non sempre meritevoli. Il rischio di rivedere il già visto, giovedì 17 marzo, è forte.
Perché non portare allora una coccarda tricolore, quel giorno? Francesi, inglesi, tedeschi e americani, in occasioni particolari, mettono all'occhiello bandiere, distintivi e papaveri. È un segno collettivo che denota una scelta personale: le bandiere si guardano, una coccarda s'indossa. I leghisti di stretta osservanza non lo faranno? Non è un problema. Loro, come abbiamo visto, aiutano in altro modo. Beppe Severgnini
6. Unità d'Italia, l'altra Storia. Le strade del Sud dedicate al "macellaio dei meridionali". di MARISA INGROSSO – la Gazzetta del Mezzogiorno. Chissà se lo sanno. Chissà se quelli che abitano nelle piazze e nelle vie intitolate ad Enrico Cialdini sanno chi fu quell’uomo. Sulla targa leggono «generale». Ma lo sanno contro chi combatté? Sanno che il suo nomignolo era «macellaio dei meridionali»? Facendo una ricerca su alcuni stradari abbiamo verificato che questa toponomastica è presente in Puglia da nord a sud. Per esempio, a Monopoli, Carbonara, Altamura, Rutigliano, Giovinazzo e Bitonto (Bari); Barletta, Andria e Bisceglie (Bat); San Severo (nel Foggiano); Nardò e Trepuzzi (nel Salento); San Pancrazio Salentino (Brindisi); Massafra (Taranto). In Basilicata c’è via Cialdini a Stigliano (in provincia di Matera).
E allora è bene chiarire che questo generale modenese Enrico Cialdini fu, obiettivamente, un capace condottiero. Portò l’esercito sardo-piemontese alla vittoria contro i Borbone (la famiglia regnante nel Mezzogiorno). Poi ebbe l’incarico di guidare la repressione del brigantaggio (il movimento armato che si opponeva ai Piemontesi e rivoleva i Borbone sul trono), e anche qui riuscì nell’intento. Ma va pure detto che, sotto il suo comando, le truppe si accanirono sulla popolazione del Sud. Con lui vi furono carneficine di civili.
Giusto per fare due esempi, ai suoi ordini, il 17 febbraio 1861, fu letteralmente rasa al suolo Mola di Gaeta, a colpi di cannone. Poi, dopo l’unità d’Italia, con Cialdini nominato luogotenente dell’ex Regno delle Due Sicilie e, sotto il suo comando supremo, i bersaglieri ebbero mano libera nel vendicare un gruppo di loro commilitoni. Per l’esattezza, quarantacinque soldati che furono trucidati da briganti e contadini. Gli insorgenti meridionali si abbandonarono a raccapricciante crudeltà: il corpo del tenente Augusto Bracci fu decapitato e la testa fu portata in trionfo.
Per risposta, i bersaglieri non diedero la caccia agli assassini. Non effettuarono rastrellamenti a raffica, arresti a decine. No, i bersaglieri, il 13 agosto 1861, piombarono negli abitati di Pontelandolfo e Casalduni e fecero carne da porco. Le testimonianze dell’epoca riferiscono di militari addestrati e armati fino ai denti che entravano in casa di civili e - prima di appiccare il fuoco - uccidevano la gente con la baionetta e a fucilate. Al termine del massacro, quasi si fecero vanto di aver ridotto i due paesi in cenere.
Aurelio Lepre (in La storia. Dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento, Zanichelli ed.) riporta le parole di uno dei militari, un ufficiale dell’esercito che fu testimone: «Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne distrutto». E Giovanni De Matteo in Brigantaggio e Risorgimento (Alfredo Guida ed.), scrive che il giorno dopo la carneficina il luogotenente colonnello Gaetano Negri, telegrafò al comando generale la lieta novella. Questo il testo del messaggio: «Giovedì 14 agosto 1861. Ieri all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora».
Al massimo responsabile di quelle stragi, la Puglia e la Basilicata hanno tributato il riconoscimento più ambito, eternandone il ricordo. Spesso le vie sono in posizione centrale. Addirittura, a Barletta, in via Cialdini, sorge la scuola elementare. Invece, a chi lottò sul fronte opposto, agli insorgenti che affrontarono le milizie di Cialdini, non è stato intitolato alcunché. Non risultano vie, vicoli o tratturi, a ricordo di Pontelandolfo, di Casalduni, o delle vittime civili della conquista del Sud Italia da parte del Nord.
È giusto? È sbagliato? Ciascuno, oggi, è libero di valutare.
 

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