domenica 20 febbraio 2011

Politica economica e Finanza pubblica, 21 febbraio 2011

1. Prezzo dei cereali alle stelle: a causa del clima o della Fed?
2. Il debito privato nel conto delle crisi.
3. Affittopoli? No, è artigliopoli.
4. Boom dei nuovi ricchi cinesi.
5. Banca d'Italia: i servizi pubblici poco efficienti compromettono la crescita del paese.
6. Bce, Trichet:Aumentare i salari ultima delle sciocchezze da fare.
1. Prezzo dei cereali alle stelle: a causa del clima o della Fed? Il legame è incerto.
Pier Carlo Padoan. Capo economista dell'Ocse. Il legame tra il Quantitative Easing (QE) voluto dalla Federal Reserve di Ben Bernanke e l'inflazione alimentare è incerto, anzi non c'è evidenza di questo legame. Certamente la liquidità immessa dalla Fed ha uno spill over in tutto il mondo e infatti si è diretta nei paesi emergenti, in Cina ad esempio, dove peraltro l'impatto inflazionistico è maggiore per via del cambio fisso. Infatti chi assorbe di più non è il prezzo ma il cambio. Che se è flessibile come in Brasile assorbe meglio lo shock, se invece come in Cina è fisso ha un impatto maggiore. Insomma converrebbe anche a Pechino rendere il cambio dello yuan più flessibile. Per quanto riguarda l'inflazione alimentare, ci sono ragioni strutturali e speculative che la causano. L'aumento dei prezzi alimentari è dovuto a insufficienti investimenti e domanda in crescita in Cina e India. Si ripete quello che avvenne nel 2006 e 2008, cioè che la domanda cresce e l'offerta cala. Quanto ai fattori speculativi l'evidenza è mista. Quello che si sa è che lo scambio di contratti (futures sulle commodity) non ha un impatto rilevante.
Le cause sono in Cina. Daniel Gros, Presidente del Ceps. Il Quantitative Easing di Ben Bernanke e la rivoluzione in corso nel mondo arabo: causa o effetto? A mio parere l'origine degli aspetti economici si trova piuttosto in Asia. La crescita dell'economia cinese (e di altri paesi emergenti) spinge la domanda per tutte le materie prime (petrolio, minerali e prodotti alimentari). I prezzi aumentano come pure gli introiti, soprattutto per i produttori di petrolio e minerali. Ma questi Stati (i paesi dell'Opec, la Russia e altri produttori di petrolio) risparmiano buona parte del reddito addizionale che ricevono. Ne consegue un eccesso di risparmio a livello globale con tassi di interesse che vanno verso lo zero.
Ben Bernanke ha soltanto reagito a questa situazione. Si può discutere se il suo Quantitative Easing avrà l'effetto sperato. Ma se qualcuno è responsabile dell'aumento dei prezzi alimentari non è certo il governatore della Federal Reserve, ma l'operaio cinese che passa dalla ciotola di riso al Big Mac e dalla bicicletta all'automobile.
Sbagliano gli emergenti. Eric Chaney, Capo economista di Axa Group Non credo che la politica della Federal Reserve possa essere ritenuta responsabile per il rialzo dell'inflazione delle materie prime. Le mie stime sulle grandi economie emergenti come la Cina, l'India, il Brasile o l'Indonesia dicono che questi paesi sono già surriscaldati e stanno pertanto generando tensioni inflazionistiche globali. Le economie dei mercati emergenti dovrebbero accettare una rivalutazione delle loro valute, al fine di controllare l'inflazione. Il motivo per cui non lo fanno e perché hanno un problema di coordinamento: perché mai il Brasile dovrebbe accettare un apprezzamento del real se lo yuan cinese o il won coreano non si apprezzano anche loro?
Il rischio concreto che si corre in questo momento è che, se i governi dei mercati emergenti non combattono l'inflazione, il compito ricadrà sulle spalle della Banca centrale europea e della Federal reserve, fatto che sarebbe controproducente in questa fase del ciclo economico.
Troppa liquidità è un danno. Ann Berg, Ex direttore del Chicago board of trade. Io non vedo come Krugman o Bernanke possano separare la re-flazione (inflazione più recessione) del mercato azionario degli Stati Uniti o il grande aumento del prezzo dell'oro (un gioco di inflazione) dal rialzo dei prezzi nei prodotti alimentari, dicendo che i prodotti alimentari sono strettamente guidati dai fondamentali. Molte aziende sollecitano l'acquisto di prodotti agricoli di base come copertura contro l'inflazione, fatto che punta il dito direttamente sulla politica della Fed.
In altre parole, il Quantitative Easing è un fattore che inietta liquidità nel mercato per ridurre i tassi a lunga, ma chi può dire dove va questa liquidità? Certo che l'inflazione alimentare è causata dal calo dell'offerta (causata da investimenti insufficienti), e da un aumento della domanda, ma anche il denaro a basso costo è un fattore che spinge al rialzo i prezzi alimentari visto che il cibo è una commodity perfetta. Infine l'aumento dei tassi di interesse nei mercati emergenti ha scarse possibilità di frenare l'aumento dei prezzi alimentari.
Il QE accelera le quotazioni. È benzina sul fuoco. Fabio Fois. Economista di Barclays capital. La relazione tra QE2, quella che mette sul piatto 600 miliardi di dollari per acquistare T-bill per ridurre i tassi a lunga, e l'aumento dei prezzi delle commodity esiste. È vero che il rally delle commodity esiste ed è determinato da calo dell'offerta (siccità, incendi, alluvioni) e da domanda in aumento (Cina). Ma se tu sei in un mondo dove la liquidità costa poco (come se gli elicotteri gettassero banconote su piazza Duomo a Milano), il mercato si riequilibra e i tassi scendono. Con tanta liquidità in giro cerchi di farla fruttare e quindi vai nei mercati in disequilibrio come quello delle commodity. Ad agosto le materie prime sono aumentate e a novembre c'è stato il QE2. Ti indebiti a poco e compri commodity in un mercato in disequilibrio. Quindi il QE non è la causa degli aumenti ma un fattore di accelerazione dei prezzi. Certo c'è anche il fattore scorte ma la forte iniezione di liquidità facilità il rialzo dei prezzi. L'inflazione alimentare però non avrà un passo veloce perché la componente lavoro nell'Eurozona (che pesa per circa il 40% sul prezzo finale) è pressoché ferma.
Jeffrey Sachs. Stanford University. Crescono i prezzi delle commodity e ancora una volta questo incremento mette in pericolo la crescita globale. Vero è che la produzione di generi alimentari nel mondo è stata colpita dall'aumento della crescita della domanda, dalla siccità e dalla mancanza di investimenti. L'economia cinese è oggi venti volte più ampia di quando iniziò la riforma del mercato nel 1978; l'economia indiana è aumentata di quattro volte dal 1991, quando iniziò la stagione delle liberalizzazioni.
La domanda di risorse in tutto il mondo è aumentata e presto sarà ingovernabile se non ci sarà una scelta a favore delle tecnologie sostenibili e una decisa azione destinata a contenere la popolazione mondiale. Ma il primo e più semplice passo per frenare questi problemi sarebbe quello di cessare con la politica di Quantitative Easing della Federal Reserve. Questo potrebbe sembrare un fatto periferico ma la Fed sta buttando benzina sul fuoco delle materie prime, ignorando i segnali di aumenti dei prezzi degli asset e rischiando un nuovo ciclo di fallimenti.
A CURA DI V.D.R.
2. Il debito privato nel conto delle crisi. Rossella Bocciarelli. PARIGI. Dal nostro inviato. «Parigi val bene una messa». Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, sceglie la storica frase di Enrico IV per spiegare che il compromesso raggiunto ieri, al termine di una faticosa trattativa in sede G-20, è vantaggioso per l'Italia. Tra i parametri che i paesi di vecchia e nuova industrializzazione hanno identificato come necessari per ricondurre sotto controllo gli squilibri globali, accanto a quelli del debito e del deficit pubblico compaiono anche il tasso di risparmio privato e il debito dei privati, secondo la linea di negoziato che l'Italia porta avanti da tempo in sede europea per la riforma del patto di stabilità.
«È stato un G-20 di ordinario lavoro - ha esordito il ministro – nelle fasi drammatiche i G-20 sono drammatici, nelle fasi tranquille sono tranquilli. Tuttavia – ha aggiunto – è passata la tesi giusta, che è anche quella italiana». E ha spiegato: «Se vuoi evitare le crisi devi valutare la stabilità del sistema che è fatto da debiti e finanze pubbliche, ma anche quelle private. Negli ultimi mesi la tendenza è stata a considerare soltanto la finanza pubblica come se tutte le colpe fossero dei governi e tutte le virtù fossero delle banche». Adesso, ha proseguito, la tesi sostenuta dall'Italia in Europa «sta avanzando anche nel G-20. Non è più soltanto una tesi italiana, ma è una tesi del G-20. Non è più solo italiana ma anche di tutti gli altri paesi. E se va bene per il G-20, va bene anche per l'Ecofin». «Già in Europa - ha ricordato ancora il titolare del Tesoro - abbiamo chiesto di considerare il risparmio privato, il debito privato e la bilancia dei pagamenti, tra gli "altri fattori rilevanti". Adesso stiamo avvicinandoci alla decisione finale e la codifica del G-20 ci rende ottimisti».
L'altro aspetto sottolineato ieri da Tremonti riguarda le preoccupazioni per le conseguenze potenziali di una eccessiva volatilità dei prezzi delle commodities alimentari e per gli eventuali abusi di mercato connessi alla speculazione, espresse anche nel comunicato G-20. «Nel 2008 a Osaka abbiamo posto la questione della speculazione, non solo a proposito delle commodities ma anche del petrolio: a quell'epoca il Fondo monetario sosteneva che la speculazione non è un problema. Io invece sono convinto del fatto che la speculazione sia stato il trigger, il motore d'innesco delle rivolte nei paesi del Nord Africa. La mia impressione è che, rispetto ad altre riunioni, l'attenzione sia stata alzata e che si cominci a capire che la speculazione può destabilizzare. C'è il rischio di una cascata di effetti di instabilità. «È una cosa per cui – ha osservato il titolare del Tesoro – pochissimi guadagnano moltissimo e moltissimi perdono tantissimo. Ha destabilizzato e sta destabilizzando tutto il Nordafrica, le rivolte del pane sono innescate dalla speculazione, i prezzi del cibo che sono saliti, e finalmente qualcosa stanno cominciando a comprendere. Noi sono tanti anni che continuiamo a dirlo e ci hanno detto che il mercato fa prezzi giusti. Non sono prezzi giusti, la giustizia impone anche di limitare la speculazione».
E a proposito della tensione politica che sale in tutta l'Africa del Nord il ministro ha commentato: «La democrazia non è come McDonald's: non si esporta. La democrazia è una cosa complessa, sofisticata, che si sviluppa negli anni. La democrazia in Europa è un'eccezione, la sua diffusione è stata complessa e, in fondo, recente». Esiste un problema politico di dimensione biblica, ha osservato ancora Tremonti. «Non è esatto parlare di Libia, Algeria ed Egitto, è bene capire cosa può partire da lì e cosa può arrivare qui». «Lampedusa - ha proseguito il ministro - è a 70 chilometri dalla costa tunisina, e Lampedusa è in Italia e in Europa». Il rischio, nel caso di una pressione migratoria troppo forte «è che si arrivi a un'esplosione dell'estrema destra, già presente in molti governi del Nord Europa».
Ai giornalisti che chiedevano se si fosse parlato della candidatura Draghi alla presidenza della Bce, Tremonti ha replicato: sulla questione «si è espresso il presidente del Consiglio. Io condivido la sua posizione, ma oggi non se ne è parlato. Oggi non mi sembra modo e momento. Quando arriverà il momento, che non è ancora arrivato, si aprirà una discussione». Parlarne oggi, in pratica «può essere controproducente». Infine, a proposito della tassa sulle transazioni finanziarie riproposta al G-20 dalla Francia con il supporto della Germania: «Noi abbiamo sempre avuto una posizione di attesa e di analisi» spiegando che tutto dipenderà alla fine di chi aderisce a quest'ipotesi e che vanno considerati gli eventuali effetti collaterali e di spostamento dei flussi di capitale in un mercato globale e telematico. Poi ha concluso, con un pizzico d'ironia: «Se la virtuosità spinge tanto la Francia, questo paese può fare da apripista».
3. Affittopoli? No, è artigliopoli. Alessandro De Nicola. L'Italia è un luminoso esempio della bontà degli assunti della teoria della public choice elaborata anni fa da James Buchanan e Gordon Tullock. Questa scuola di pensiero si interroga sul fatto se, a fronte di presunti fallimenti del mercato, la cura adatta sia l'interventismo governativo, visto che i fallimenti dello Stato sono molto più gravi. Chi pensa che di fronte a qualsiasi problema la "politica debba fare qualcosa" si immagina pubblici funzionari disinteressati, neutrali e perfettamente informati. Invece brancolano nel buio, sono ottenebrati dai loro pregiudizi e, soprattutto, perseguono un loro interesse personalissimo: essere rieletti i politici, aumentare il proprio potere i burocrati e tutti e due - in molti casi - fare un bel gruzzolo. Le condizioni sono ideali: favorire le lobby o singoli individui porterà la loro riconoscenza, mentre la singola decisione contraria all'interesse generale non è facilmente percepibile dall'elettorato, quindi c'è spazio per la discrezionalità; tanto si gioca coi soldi altrui (quelli pubblici, appunto), non i propri.
Entrano in scena Affittopoli a Milano, Parentopoli a Roma (immortalata su You Tube dal video "Aggiungi un posto all'Atac") e il Cinzia-gate di Bologna. È accaduto tutto negli ultimi giorni: a Bologna l'ex-sindaco Delbono ha patteggiato un anno e sette mesi di reclusione per l'uso illecito di denaro pubblico. Nella capitale la procura ha messo sotto inchiesta l'amministratore delegato dell'Ama (l'azienda municipalizzata che si occupa dei rifiuti) e altri funzionari per una caterva di assunzioni effettuate negli ultimi anni dalla società (le indagini per quelle dell'Atac sono partite a dicembre). A Milano, infine, è scoppiato lo scandalo per i canoni d'affitto spesso bassissimi che 1.064 affittuari pagano per usufruire del patrimonio immobiliare del Pio Albergo Trivulzio.
Per Delbono, lo si sa, fatale fu storia con la sua segretaria Cinzia; a Roma, a prescindere dagli esiti dell'inchiesta penale, è facile riconoscere un episodio di clientelismo su larga scala, con 1.300 assunzioni nel passato biennio su un totale di 7mila dipendenti, alcune delle quali senza concorso e a favore di personaggi la cui incompetenza (come la simpatica cubista che manco si ricordava se aveva fatto il concorso) sembra evidente.
L'episodio che tiene più banco è quello del Pio Albergo Trivulzio, per ora privo di risvolti penali ma che coinvolge alcuni personaggi famosi o semi-famosi, tra cui spicca anche Cinzia Sasso, giornalista di Repubblica e compagna del candidato sindaco Giuliano Pisapia.
Quest'ultimo si è molto adirato per la polemica che lo ha investito. La Sasso vive nell'appartamento da 22 anni, prima di aver conosciuto Pisapia, ha disdetto il contratto (anche se vive ancora lì) e non è affatto dimostrato che lo abbia ottenuto in modo preferenziale e non tramite una regolare assegnazione pubblica. E, in ogni caso come colpevolizzare l'avvocato, da tutti reputato un galantuomo, di una cosa simile? Nel suo sito si legge che da sindaco «eserciterà i suoi poteri di indirizzo e di controllo e imporrà una gestione che generi dal patrimonio immobiliare del Comune i ricavi necessari a finanziare altre attività sociali».
Questa frase è, a mio parere, la maggior colpa di Pisapia, il quale pare non aver compreso la questione. Dopo Tangentopoli ci sono stati tre sindaci: qualcuno di loro avrebbe detto un frase tipo «gestirò le case senza criterio e facendo favoritismi?». No di certo: tutti ad affermare trasparenza e correttezza. E perché Pisapia si sente meglio degli altri? In realtà, non sono gli uomini ma il sistema da cambiare: Bologna, Roma, Milano son tre casi da manuale di amministratori pubblici che, gestendo ricchezza non propria, si comportano come i massimizzatori di utilità descritti da Buchanan e Tullock, dimostrando incompetenza, pregiudizi e interesse personale. La soluzione, a Milano, è separare gli artigli pubblici dal patrimonio, vendendo tutto e subito: sarà il mercato a decidere i prezzi. Finché non lo capisce, Pisapia rimarrà pure un gentiluomo, ma prigioniero di un'ideologia dannosa per i cittadini. Lui come i suoi finora immobili opponenti.
4. Boom dei nuovi ricchi cinesi. R.Es. Secondo una ricerca firmata dal Centro studi di Confindustria, la classe benestante cinese sarà numericamente pari a quella equivalente di Francia, Germania e Italia messe insieme in meno di quattro anni, entro il 2015: 201 milioni di persone, pari al 14,5% della popolazione, prossime ad aumentare fino a 424 milioni entro gli ultimi mesi del 2020, «una grandezza paragonabile a quella di tutta la popolazione dell'Europa occidentale».
Nel 2010 è avvenuto anche lo storico sorpasso numerico della borghesia cinese nei confronti della borghesia tedesca: Global Insight, ponendo come base di benessere i 30mila dollari pro capite, ha segnalato che oggi in Cina ci sono almeno 95 milioni di individui ad aver raggiunto tale traguardo, contro i circa 81 milioni della Germania. Il rapporto di Global Insight, società di analisi economiche e finanziarie, dimostra che anche in termini privati «la rilevanza della classe benestante cinese raddoppierà ogni cinque anni nel prossimo decennio».
Anche in termini di Pil - prosegue la nota del Csc di Confindustria – la rilevanza della classe benestante cinese raddoppierà ogni cinque anni fino al 2020. Dati il numero di individui e il Pil pro capite medio di 30mila dollari, il Pil totale attribuibile alla classe benestante nel 2010 era di 2.863 miliardi di dollari, il 4,2% del Pil mondiale. Nel 2015, grazie alla crescita dei redditi e della popolazione, raddoppierà a 6.020 miliardi di dollari, il 7,1% del Pil mondiale. Nel 2020 raggiungerà i 12.710 miliardi, il 12,2% del Pil mondiale. Pure in termini di consumi privati, la rilevanza della classe benestante cinese più che raddoppierà ogni cinque anni nel prossimo decennio.
Il peso dei consumi privati sul Pil della Cina nel 2010 è stimato a quasi il 36% (calcolato sui valori nominali). Se il paese porterà a compimento gli obiettivi di stimolo della domanda interna, tale peso potrebbe raggiungere il 45% nel 2015 e il 50% nel 2010. Nel 2009, il consumo privato dell'intera Cina pesava l'8% su quello mondiale, calcolato a parità del potere d'acquisto, e l'8,7% nel 2010.
I consumi della classe benestante erano il 36% del Pil cinese nel 2010, 34,3% se valutato in dollari a prezzi del 2005. Ciò corrisponde a 981 miliardi di dollari (il 34,3% di 2.863 miliardi, il Pil totale della classe benestante), ovvero il 2,6% dei consumi mondiali.
5. Banca d'Italia: i servizi pubblici poco efficienti compromettono la crescita del paese. Servizi scadenti e costosi, con un permanente dislivello tra nord e sud. Questo l'impietosa immagine del nostro paese che emerge da una ricerca della Banca d'Italia sulla qualità e l'efficienza dei servizi pubblici, che sottolinea: «Notevoli ritardi» nel confronto internazionale e «ampi divari territoriali». Sotto la lente di palazzo Kock sono finiti i servizi offerti a livello centrale, e cioè istruzione, giustizia, i servizi regionali (sanità), e quelli locali (trasporti locali, rifiuti, acqua, distribuzione del gas e asili nido). Un'analisi importante e strategica perché, come sottolinea Bankitalia «la quantità e la qualità dei servizi pubblici influiscono sulla competitività di un'economia e sul suo tasso di crescita potenziale».
Il confronto in Italia
«In generale si segnalano significativi ritardi del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese». I divari sulla qualità e sull'efficienza riguardano tutti i servizi analizzati. Le differenze territoriali riscontrate sembrano derivare da «differenziazioni non tanto nei livelli di spesa quanto nel grado di efficienza nell'utilizzo delle risorse impiegate», riconducibile in molti casi ai diversi modelli organizzativi o alla regolamentazione. Per consentire agli amministratori di individuare i problemi e di intervenire efficacemente per risolverli - conclude l'analisi - «è fondamentale che informazioni sulla qualità dei servizi e, più in generale, sul funzionamento della cosa pubblica siano disponibili e adeguatamente diffuse».
Il confronto con l'estero
Nel confronto internazionale le performance delle regioni del Nord sono «in alcuni casi sensibilmente inferiori a quelle rilevate nei paesi più virtuosi». È il caso del sistema giudiziario in cui la durata dei procedimenti è significativamente superiore a quella riscontrata nei principali partner europei. In base agli indicatori della Banca Mondiale, per risolvere una controversia commerciale in Italia nel 2010 occorrevano 1.210 giorni contro una media Ocse di 510 e dell'Unione europea di 549. Va un po' meglio per l'istruzione e la sanità, dove il nord del Belpaese risulta «sostanzialmente in linea» con gli stati esteri più virtuosi.
Le conclusioni
Considerato il ruolo che i servizi pubblici svolgono nel sostenere la crescita nel lungo periodo e la necessità per il nostro Paese di contenere le spese, diventa necessario secondo Bankitalia «che servizi pubblici migliori siano realizzati soprattutto attraverso recuperi di efficienza nella loro fornitura, e non con l'impiego di maggiori risorse». La razionalizzazione della spesa pubblica erogata a livello decentrato - aggiunge lo studio - «acquista particolare rilevanza nella prospettiva dell'attuazione del federalismo fiscale, che garantirà una copertura integrale solo delle spese relative alle funzioni fondamentali».
6. Bce, Trichet:Aumentare i salari ultima delle sciocchezze da fare. Presidente Eurotower: Nuocerebbe alla riduzione disoccupazione. Fonte: © TM News - Pubblicata il 20/02/2011. PARIGI - Aumentare i salari sarebbe l'ultimo errore da fare in Europa, perché nuocerebbe alla riduzione della disoccupazione. Lo ha dichiarato il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, in un'intervista a 'Europe 1', ricordando che "non si può fare nulla contro l'aumento dei prezzi dei carburanti e dei prezzi delle materie prime, ma possiamo evitare quelli che si chiamano gli effetti di secondo giro, ovvero l'aumento di tutti gli altri prezzi, compresi naturalmente i salari". "Aumentarli - ha detto - sarebbe l'ultima delle sciocchezze da fare"."Vedendo i successi e gli insuccessi nella zona euro, è perfettamente chiaro che coloro che hanno controllato i loro costi hanno avuto successo in termini di riduzione di disoccupazione, che è l'obiettivo principale della maggior parte dei Paesi" ha aggiunto. Trichet ha sottolineato soprattutto il successo "rimarcabile" della Germania, che ha ridotto la disoccupazione durante la crisi.Trichet ha poi riaffermato che la lotta all'inflazione, "un'imposta sui più poveri", resta "la costante priorità" della Banca centrale europea.

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