sabato 26 febbraio 2011

Federali della Sera. Ricapitoliamo: non c'è più lavoro e non c'è più democrazia. E' rimasta la Repubblica per le altre regioni, anche se in Valle d'Aosta l'astro di Augusto ci ha riportati indietro ai tempi dell'Impero. La domanda era: sussistono o meno i motivi di festeggiare? Festeggiare cosa? Una minestra di cavoli e carciofi ci resterebbe sullo stomaco. 26 febbraio 2011.

Sezione celebrazioni in Oltre padania:
Aosta. Domenica si celebra l'anniversario dell'Autonomia e dello Statuto della Valle d'Aosta.
Aosta. In Valle d'Aosta ha senso festeggiare l'Unità d'Italia?

Sezione smog padano:
Treviso. Oltre 2 mila case Ater a prezzi low cost.
Venezia. L’unità e il duello veneto nel Carroccio Maroni con Tosi: «Viva l’Italia, federale».
Venezia. David Codognotto a giudizio con rito immediato.
Venezia. Smog, processo a Conta. Il giudice dà via libera all’azione popolare.
Ventimiglia. Ventimiglia dichiara guerra agli evasori.

Sezione legge omnibus:
Roma. Milleproroghe, zero Camere, un presidente - l'Abc.
Aosta. Domenica si celebra l'anniversario dell'Autonomia e dello Statuto della Valle d'Aosta. 26/02/2011. AOSTA. Domani, 27 febbraio, si celebra il 65° anniversario dell'Autonomia della Valle d'Aosta ed il 63° anniversario dello Statuto Speciale. A Palazzo regionale, dalle 10.30, si terrà la cerimonia ufficiale con gli interventi del presidente del Consorzio degli enti locali della Valle d'Aosta, Elso Gerardin; del presidente del Consiglio regionale, Alberto Cerise; del presidente della Regione, Augusto Rollandin.
Un po' di storia dello Statuto speciale. Lo Statuto Speciale è la carta fondamentale della Regione autonoma della Valle d'Aosta, ne regola l'ordinamento generale così come la Costituzione della Repubblica italiana è la legge fondamentale dello Stato, in quanto rappresenta la base della convivenza civile. Nella Costituzione vengono fissati i principi ed i fini che lo Stato si pone e regolati i rapporti con e fra i cittadini. Lo Statuto speciale, che è una legge costituzionale, fissa le competenze della nostra Regione ed i rapporti della Regione con lo Stato.
La Costituzione della Repubblica Italiana è stata approvata nella seduta dell'Assemblea Costituente del 22 dicembre 1947 ed è promulgata il 27 dicembre 1947 dal Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, mentre è entrata in vigore il 1 gennaio 1948
Le radici dello Statuto speciale della Valle d'Aosta vanno indietro nel tempo, ma noi partiamo dal 10 gennaio 1948 quando, dopo la promulgazione della Costituzione, la Commissione parlamentare dei 18 iniziò l'esame degli Statuti speciali regionali.
Lo Statuto speciale venne promulgato con legge costituzionale n. 4 del 26 febbraio 1948.; tre anni dopo la promulgazione dell'Autonomia della Valle d'Aosta.
Autonomia che venne sancita da due decreti luogotenenziali: il n. 545 riguardante "l'ordinamento amministrativo della Valle d'Aosta" e il n. 546 riguardante "Agevolazioni di ordine economico e tributario a favore della Valle d'Aosta". Entrambi sono stati promulgati il 7 settembre del '45 mentre sono entrati in vigore il gennaio del 1946. In particolare il decreto luogotenenziale n 545 ha soppresso la provincia di Aosta dando vita alla circoscrizione autonoma e indicava gli organi che l'amministravano: un Consiglio di venticinque membri, un Presidente e una giunta di cinque membri.
Aosta. In Valle d'Aosta ha senso festeggiare l'Unità d'Italia? La parola a Rivolin e Louvin. Aosta - Anche in Valle d'Aosta i festeggiamenti dell'Unità d'Italia hanno creato alcune polemiche e messo in luce posizioni diverse tra le forze politiche. Noi abbiamo chiesto a Joseph Rivolin e a Paolo Louvin di esprimere il loro parere.
Joseph Rivolin
Un giorno di vacanza in più fa piacere a tutti; ma credo che chi ha veramente a cuore le sorti dell'Italia e il suo avvenire, in questo momento, pensi che sarebbe meglio tirarsi su le maniche, darsi da fare e lavorare, piuttosto che fare feste (e festini...).
Paolo Louvin
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Ma prima di esserlo stato, almeno sulla carta (costituzionale) è stato qualcosa di molto diverso, nelle diverse epoche che hanno seguito la sua presunta "unità formale". Prima tutti sotto a un re, popoli e genti con storie diverse, riuniti con la forza delle guerre. Chissà perché sono chiamate "guerre di liberazione" sempre dai vincitori? Forse solo perché sono loro a scrivere la storia? L'Italia di allora, quella del 1861, non era quella di oggi. All'appello mancavano ancora diverse regioni: il Veneto, il Friuli, Roma e lo Stato Pontificio, il Trentino-Alto Adige e la Venezia Giulia, territori che sarebbero entrati negli anni successivi. Perché mai tutti costoro dovrebbero festeggiare l'unità di qualcosa al quale 150 anni fa non appartenevano? Ed in particolare perché dovrebbero festeggiarlo quegli italiani che si sono sentiti strappar via da accordi politici e trattatati dalla loro madre naturale? Sta stretta questa unità d'Italia a molti. A genti del nord padane che non riconoscono la fratellanza con la capitale ladrona e con un sud mafioso (anche se le infiltrazioni della mafia al nord stanno fortunatamente riducendo il gap).
Sta stretta a chi sente, a nord-est, il richiamo della madre lingua tedesca e non si sente simile, lui asburgico, ai borbonici statalisti che hanno pervaso con la loro mentalità il tessuto amministrativo nazionale. Sta stretta ai siciliani che vorrebbero un'indipendenza ancor maggiore. Ai valdostani che vorrebbero più soldi. Ai disoccupati che vorrebbero più lavoro. Ma non era una Repubblica democratica, fondata sul lavoro? Bene. Anzi male. Non c'è più lavoro. E non c'è più democrazia. In Valle d'Aosta il voto è controllato, ad familiam quando non ad personam. Controllano la partecipazione ai referendum. Se ti comporti in modo autonomo paghi. Ricapitoliamo: non c'è più lavoro e non c'è più democrazia. E' rimasta la Repubblica per le altre regioni, anche se in Valle d'Aosta l'astro di Augusto ci ha riportati indietro ai tempi dell'Impero. La domanda era: sussistono o meno i motivi di festeggiare? Festeggiare cosa?

Treviso. Oltre 2 mila case Ater a prezzi low cost. Duemila case Ater in vendita nella Marca a tariffe low cost. Il consiglio regionale ha approvato il piano di vendita straordinaria degli alloggi: sconti fino al 40 per cento. Dunque gli inquilini potranno acquistare le case realizzate entro fine 1990 a prezzi di mercato scontati dal 25 al 45%. Dopo una discussione di 3 giorni, con le opposizioni a dare battaglia specie sulla questione sfratti, ok al piano straordinario di vendita delle case Ater.
L'efficacia del provvedimento sarà subordinata all'approvazione di un piano sull'uso dei proventi delle vendite per realizzare nuova edilizia residenziale.  Sarebbero duemila gli alloggi nella Marca che, secondo una prima stima, potranno essere acquistati. Gli uffici dell'Ater sono al lavoro: il numero delle vendite potrebbe salire a 2.700. Prima di procedere l'Ater dovrà acquisire il parere del Comune in cui si trova l'alloggio, quindi far approvare il piano dalla giunta regionale, sentita la commissione competente.
Gli inquilini avranno 180 giorni di tempo per rispondere all'Ater. In caso di accettazione, dovranno versare subito il 25% del valore pattuito (contro il 50% inizialmente previsto), dilazionando poi il pagamento in non più di 10 anni.
I prezzi di vendita degli alloggi saranno quelli di mercato, ridotti del 45% per gli inquilini con reddito imponibile da 0 a 13 mila euro, del 35% da 13 a 31 mila euro, del 25% sopra i 31 mila euro. Per una famiglia inserita nella fascia di reddito più bassa, un appartamento del valore di 100.000 euro costerà 65.000 euro. Secondo le stime dell'ufficio patrimonio dell'Ater, la media della spesa per un alloggio popolare si aggirerà fra i 45 ed i 50 mila euro.
Gridano vittoria Pd e Sinistre, con Puppato e Pettenò che hanno fatto cancellare il comma 6, quello sullo sfratto. «Avevamo ragione noi, altro che Fanton. Era un norma gravissima» attacca la capogruppo Pd.
«Sarà colpa delle sinistre se, con le nuove norme, avremo ritardi infiniti nel settore case popolari» controbatte Pierantonio Fanton, rappresentante del Comune nell'Ater.
«Abbiamo evitato la svendita del patrimonio Ater» denuncia il consigliere regionale Pietrangelo Pettenò (Sinistra).
Venezia. L’unità e il duello veneto nel Carroccio Maroni con Tosi: «Viva l’Italia, federale». Il sindaco che festeggia e il gelo di Zaia. Il ministro si schiera con il leader veronese. Ma a Treviso litigano Muraro e Pdl. Blitz «tricolore» in Comune. VENEZIA — «Viva l’Italia federale ». L’assist del ministro dell’Interno Roberto Maroni al sindaco di Verona Flavio Tosi è arrivato dalla sala «Dino Buzzati » della Fondazione Corriere della Sera, durante la presentazione del libro «Viva l’Italia» di Aldo Cazzullo. Proprio due giorni fa, al palazzo della Gran Guardia di Verona, il primo cittadino leghista aveva accettato di ripetere in pubblico il titolo del volume di Cazzullo, aggiungendo però l’aggettivo «federale». E prendendo, così, le distanze dal governatore veneto Luca Zaia, che «Viva l’Italia» non l’ha mai detto, né con né senza aggettivi. A Milano il ministro del Carroccio ha sposato la stessa linea di Tosi: verso la fine del convegno, incalzato dal moderatore Giuseppe Di Piazza, alla domanda: «Ministro, se la sente di dire viva l’Italia?» ha risposto esattamente come il sindaco veronese: «Viva l’Italia federale».
Già all’inizio dell’incontro Maroni aveva mostrato segnali di apertura verso il titolo-slogan del libro: «Il titolo lo condivido, condivido tutto quello che è positivo, anche se Viva l’Italia non vuol dire uniformare il Paese ma valorizzare le diversità, che non sono un limite bensì la nostra ricchezza». E quando il moderatore gli ha chiesto se fosse orgoglioso di essere italiano, Maroni ha adottato l’escamotage di citare tutti i livelli di governo del territorio: «La vera identità italiana è legata al Comune, al campanile. Io mi sento orgoglioso di vivere nel mio comune, nella mia provincia, nella mia regione, nel mio stato e in Europa ». «Quello che diceva anche Ciampi», ha commentato l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, sul palco tra i relatori. A Treviso, intanto, non si finisce di litigare sui festeggiamenti per l’unità d’Italia. I Giovani Democratici ieri pomeriggio hanno distribuito piccole spille tricolori ai consiglieri comunali che entravano a Palazzo dei Trecento. L’iniziativa non ha avuto una calda accoglienza: pochi l’hanno appuntata al petto, i leghisti l’hanno rifiutata o infilata in tasca, in linea con le direttive di partito, il Pdl ha accettato senza indossarla, anche nel centrosinistra qualcuno ha preferito rinunciare.
Su tutti si è alzato il grido del vicesindaco Giancarlo Gentilini, da sempre tutore del tricolore: «Io non accetto questi regali dai figli di chi bruciava la bandiera in piazza, ma solo da chi crede nei valori della patria, come gli alpini». E sempre sullo stesso tema si scornano gli alleati nel centrodestra di Marca. Il segretario provinciale del Pdl Maurizio Castro ritiene «intollerabili » le affermazioni del presidente leghista della Provincia, Leonardo Muraro, che ha definito l’unità «una tragedia » per le regioni del Nord. Castro ha invitato i suoi a una forma di protesta: dapprima sembrava dovessero alzarsi tutti durante le sedute di consiglio e giunta, alla fine chiederanno invece un consiglio monotematico: «O la Lega si allineerà, o saremo costretti a prendere posizione, basta con le strumentalizzazioni che mirano alla secessione». Muraro replica: «Castro arriva tardi, ci sarà già un consiglio con un ordine del giorno sul 150˚». L’alleanza fa scintille, ma Castro sottolinea: «Non tutti i leghisti vedono l’Italia come Muraro. Ci sono esempi virtuosi come Tosi a Verona, portatore di un patriottismo autentico». Alessandra Dal Monte Silvia Madiotto
Venezia. David Codognotto a giudizio con rito immediato. Sarà processato il 4 luglio l'ex assessore della Lega accusato di concussione e calunnia. di Giorgio Cecchetti. VENEZIA. David Codognotto, l'ex assessore di San Michele al Tagliamento arrestato in settembre, sarà processato il 4 luglio. Il pm Stefano Ancillotto ha chiesto e ottenuto il giudizio con rito immediato per l'esponente della Lega Nord accusato di concussione e calunnia. Il rappresentante della Procura veneziana ha chiesto il rito immediato in modo da saltare l'udienza preliminare e celebrare il processo davanti ai giudici del Tribunale di Venezia prima possibile. Il giudice dell'udienza preliminare Michele Medici ha ritenuto che le prove nei confronti dell'imputato siano evidenti e lo ha mandato a giudizio. Non è escluso che il suo difensore, l'avvocato Renzo Fogliata, scelga la strada del rito abbreviato in modo da non finire in aula e da ottenere, in caso di condanna, una pena scontata di un terzo, come prevede il codice. Codognotto è rimasto in carcere quattro giorni, quindi altri tre mesi agli arresti domiciliari e ha ottenuto la scarcerazione il 5 gennaio scorso. Ad accusare Codognotto è stato l'allora amministratore delegato della squadra di calcio del Portosummaga Andrea Mio - che milita in serie B - ma non solo, c'è anche un «pizzino», finito agli atti dell'inchiesta, che lo stesso Codognotto avrebbe scritto di suo pugno e fatto arrivare all'imprenditore: lo avrebbe compilato nel timore di essere intercettato e ascoltato.
Nel biglietto c'erano le indicazioni per la consegna della busta con i 15 mila euro poi trovata sul cruscotto della sua automobile parchreggiata sotto il Municipio: c'era scritto pure l'ora esatta della consegna, entro le 11; il tipo d'involucro (doveva usare una busta di plastica). Segnalava soprattutto la composizione della mazzetta (dovevano esserci 100 biglietti da 100 euro e altri 100 da 50). Soldi che Andrea Mio doveva consegnare all'assessore per evitare che l'amministrazione di San Michele chiedesse la restituzione di un finanziamento di 76 mila euro da un fondo regionale per un torneo di calcio giovanile alla fine abortito. Il reato di calunnia, anch'esso grave anche se meno della concussione, è stato invece contestato perchè, difendendosi, Codognotto ha sostenuto che durante una riunione, in cui erano presenti anche il direttore generale del Portosummaga Gianmario Specchia e il presidente del Consorzio turistico di Bibione Adamo Zecchinel, il presidente della squadra Giuseppe Mio, nonno di Andrea, gli avrebbe offerto una tangente.
Una circostanza che gli imprenditori portogruaresi hanno sempre negato. Dopo aver interrogato Specchia e Zecchinel, il pubblico ministero Ancilotto ha deciso di chiedere il giudizio dell'ex assessore anche per aver calunniato Giuseppe Mio, accusandolo falsamente di aver cercato di corromperlo.
Venezia. Smog, processo a Conta. Il giudice dà via libera all’azione popolare. Se gli enti locali non si costituiscono, tocca ai cittadini. E le regioni padane si coalizzano, ma dal 2012. VENEZIA — L’ex assessore regionale all’Ambiente Giancarlo Conta, accusato dal pm Giorgio Gava di omissione d’atti d’ufficio per non aver contrastato l’inquinamento da smog tra il 2005 e il 2010, tornerà di fronte al gup di Venezia Roberta Marchiori il prossimo 12 aprile. E contro di lui ci potrebbero essere non solo le associazioni ambientaliste (Wwf e Legambiente), ma anche cinque Province e altrettanti Comuni capoluogo veneti. Nell’udienza di venerdì il giudice ha infatti dato il via libera alla costituzione di parte civile degli ambientalisti (bocciata invece l’Aduc) e all’azione popolare dei «cittadini»—legati ai Radicali — Claudio Bedin per Padova, Franco Fois per Venezia, Elia Lunardelli e Raffaele Ferraro per Treviso, Fiorenzo Donadello per Vicenza e Laura Vantini per Verona. Allo stesso tempo, però, proprio perché la legge prevede l’azione popolare solo in caso di inerzia dell’ente pubblico, il gup Marchiori ha dato incarico alla cancelleria di integrare nel contraddittorio Province e Comuni capoluogo: nella prossima udienza dovranno dire se vogliono o meno costituirsi parte civile e solo allora decadrebbe l’azione popolare.
In questo modo dovranno però scoprire le carte. «Dovranno decidere se stare dalla parte dei cittadini oppure dalla loro - attacca Maria Grazia Lucchiari, del Comitato nazionale Radicali Italiani - nella gran parte dei comuni veneti non si attuano i piani di rientro dall'inquinamento da polveri sottili ». «Sono relativamente tranquillo - replica Conta -. In cinque anni da assessore ho fatto tutto quello che potevo fare, ogni anno ho attuato un piano, chiedendo a Province e Comuni di attuare azioni comuni, ma poi ognuno ha fatto ciò che ha voluto. Si poteva fare di più? Sì, con più risorse. Non a caso né il mio predecessore, né il mio successore hanno fatto di meglio». Sembra dargli ragione l’incontro che si è tenuto giovedì nella sede della Regione Lombardia. Gli assessori all’Ambiente della pianura padana, compreso il veneto Maurizio Conte, si sono detti tutti d’accordo sull’idea di unirsi per abbattere le Pm10 con limitazioni, incentivi e campagne di sensibilizzazione. Non prima, però, del 2012, costringendo i cittadini ad un’altra annata di «camera a gas». «Sono necessari provvedimenti utili, condivisi e socialmente accettati - spiega Conte - la richiesta che ci viene dal territorio è quella di un coordinamento delle misure ». Conte ha anche insistito sulla necessità di fare pressione sul governo per controlli e sanzioni sui tir inquinanti alla frontiera. «Non possiamo - ha concluso - chiedere sacrifici ai nostri cittadini, che poi vengono vanificati dai mezzi stranieri». Alberto Zorzi Laura Lorenzini
Ventimiglia. Ventimiglia dichiara guerra agli evasori. 26 febbraio 2011 patrizia mazzarello. Tempi duri per evasori e cittadini morosi a Ventimiglia. Primo comune in Liguria e tra i primi in Italia, adeguandosi anche a quelle che sono le nuove linee guida nazionali, la città di confine ha infatti affidato ad una nuova società partecipata, la "Ventimiglia servizi" il compito di dare la caccia ai cittadini che hanno evaso tasse e tributi. Siglato accordo informatico con Agenzia delle entrate, Enel, Italgas e Catasto.
Complice una singolare alleanza con l'agenzia delle entrate, Italgas, Enel e Catasto, il Comune realizzerà una rete informatica in grado di accertare anche tasse e tributi diversi da quelli dovuti all'ente. L'obiettivo che si vuole raggiungere è duplice: riportare nelle casse del Comune i tributi evasi dai cittadini, ma anche concorrere a sconfiggere l'evasione che si registra in altri ambiti, ottenendo in cambio una sorta di premio.
L'input per questa singolare strategia per dare la caccia ai cittadini che non hanno pagato i tributi comunali ed erariali, come detto, è di ambito governativo ed è figlio della riforma fiscale federale. In quanto si ritiene che a livello locale sia più facile individuare evasori e morosi. Ben presto le indicazioni verranno messe nero su bianco con precise direttive agli enti locali. Ma Ventimiglia, spesso pioniera in iniziative di questo tipo, ha voluto portarsi avanti. E sarà tra le prime in Italia a sperimentare il progetto.
«In primo luogo abbiamo esaminato l'attuale situazione delle morosità relative ai tributi comunali - spiega il sindaco Gaetano Scullino - per capire lo stato delle cose. Poi, la Giunta comunale ha chiesto ai tecnici competenti di attivare tutti gli strumenti necessari per un'efficace azione di recupero nei confronti di coloro che non hanno adempito al proprio dovere».
Il primo passo, da parte del Comune, che ha già ricevuto il via libera dal consiglio comunale, sarà quello di sottoscrivere un contratto con la "Ventimiglia servizi", società partecipata che si occupa della gestione delle entrate comunali.
Quindi sarà realizzata una piattaforma informatica, cioè una vera e propria banca dati che consentirà la gestione integrata dei dati: una sorta di database unificato che sarà a disposizione degli uffici comunali preposti come l' ufficio tributi, l'ufficio commercio, l'edilizia e l'anagrafe. Il 2011 servirà per la fase preparatoria ma entro il 2012 il servizio sarà operativo.
La banca dati che andrà a raccogliere le informazioni registrate attraverso gli uffici competenti, come detto, sarà inoltre integrata dalla banca dati dell'Agenzia delle entrate, del Catasto, dell'Enel, dell'Italgas.
Un vero e proprio incrocio di "informazioni" insomma, finalizzato a confrontare la situazione reale dei contribuenti con quanto viene dichiarato per contrastare l'eventuale evasione dei tributi locali (Ici, Tarsu, tassa sulla pubblicità, e occupazione suolo pubblico) ma anche di quelli erariali.
«Questo progetto - sottolinea il consigliere comunale Alberto Folli, commercialista e presidente della società partecipata Ventimiglia Servizi - nasce su input delle nuove indicazioni nazionali, che verranno presto inserite nei provvedimenti che sostiuiscono quella che un tempo era la legge Finanziaria e in base ai quali i Comuni devono partecipare attivamente e in prima linea alla lotta contro l'evasione. I vantaggi sono duplici: si riducono le perdite per il Comune e si concorre ad una sorta di premio per gli enti locali, che verrà stabilito sulla base di quanto recuperato dall'evasione».
Roma. Milleproroghe, zero Camere, un presidente - l'Abc. di Michele Ainis. Milleproroghe, zero Camere, un presidente. Dietro al terzo voto di fiducia imposto dal governo al Parlamento nell'arco d'una settimana (un record di cui non c'è da menar vanto), dietro l'ennesimo maxiemendamento votato dai deputati a denti stretti, si staglia l'azione solitaria d'un uomo che le nostre istituzioni hanno lasciato in solitudine: Giorgio Napolitano. Lui reagisce, richiama all'ordine i cantanti, e almeno in questo caso gli evita di prendere una stecca. Ma il coro rimane stonato, ed è ormai l'ora di dire basta, di trovare un rimedio permanente.
Sta di fatto che le nostre istituzioni parrebbero impegnate in una partita a rubamazzo, e che la partita dura da fin troppo tempo. Funziona così: il Parlamento ha smesso di legiferare, sicché legifera il governo per decreto. Ogni decreto viene presentato alla firma del capo dello Stato, che ne controlla i requisiti d'urgenza, la legittimità costituzionale, infine l'omogeneità dei contenuti, dato che una minestra di cavoli e carciofi ci resterebbe sullo stomaco. Dopo di che comincia il lavoro delle Camere, che hanno 60 giorni per convertire il decreto governativo in una legge. E in genere se li prendono tutti, come è avvenuto puntualmente anche in relazione al milleproroghe: 50 giorni soltanto per l'esame in prima lettura del Senato.
Tutto qui? Magari. Il guaio è che i parlamentari non rinunciano a correggere il testo originario del decreto, lo gonfiano come un otre di vino, lo annacquano aggiungendovi liquidi d'ogni colore e sapore. E di nuovo il milleproroghe fa scuola: da 4 a 9 articoli, da 25 a 196 commi. Finché il governo non confeziona un maxiemendamento buttando tutto dentro un solo articolo, che a leggerlo per intero ci metti una nottata. A quel punto il presidente potrebbe rifiutarne la promulgazione, ma come fa, è sotto ricatto: se lo rinvia alle Camere scadono i 60 giorni, e la manovra economica se ne va per aria. Sicché ammonisce, invia messaggi ai presidenti delle assemblee legislative (lo ha fatto il 22 febbraio, ed è riuscito quantomeno a ottenere il ripristino d'un testo omogeneo), oppure promulga "con riserva", dice sì anche se avrebbe voglia di pronunziare un mezzo no (è il caso della lettera inviata ai medesimi signori il 22 maggio 2010).
Insomma il governo sequestra il Parlamento, quest'ultimo sequestra il presidente. Ma nella nostra Carta c'è una via d'uscita a questo scempio: basta vederla. O meglio le soluzioni sono due, e l'una non esclude affatto l'altra.
Primo: i termini. L'articolo 77 indica 60 giorni per la conversione dei decreti, l'articolo 73 assegna un mese al presidente per la promulgazione. Dunque non si può chiedere alle Camere di lavorare in metà tempo per salvaguardare il tempo concesso al Quirinale, altrimenti il loro esame sarebbe un po' troppo sommario. Però nemmeno si può domandare al presidente di rinunziare al mese che gli spetta, altrimenti la promulgazione si risolverebbe in un timbro notarile. Le norme costituzionali vanno prese sul serio tutte quante, e l'articolo 73 non è meno importante dell'articolo 77. Ne deriva che il rinvio presidenziale d'una legge di conversione non comporta giocoforza la decadenza del decreto: libero il presidente, e libero pure il Parlamento. D'altronde l'articolo 77 s'esprime in questi termini: «I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione». E nei 60 giorni la conversione parlamentare c'è, manca soltanto l'atto di promulgazione.
Secondo: il controllo del capo dello Stato. Dov'è scritto che consista in un prendere o lasciare? Se le Camere aggiungono norme estranee al testo primitivo del decreto, è su queste che il presidente può accendere il rosso del semaforo, dato che sul decreto aveva già fatto lampeggiare il verde. Se per di più tali norme sono eterogenee, se sono altresì incostituzionali, non gli resta che un rimedio estremo: promulgazione parziale. È vero che l'articolo 74 della Costituzione si riferisce alla promulgazione della "legge", però la legge evocata dai costituenti è un corpo unico, non due corpi o ventidue stretti in un'unica casacca.
Le leggi omnibus sono una frode alla Costituzione, perché si rendono oscure ai cittadini e perché confiscano la libertà di voto dei parlamentari, chiamati a pronunziare un sì oppure un no in blocco al momento della votazione conclusiva. Tanto per dire, a noi elettori non potrebbe mai succedere, non almeno da quando la Consulta (sentenza n. 16 del 1978) ha bocciato un referendum radicale contro 97 articoli del codice penale, e lo ha bocciato proprio per proteggere la libertà del nostro voto, per impedire che venga coartato.
Insomma senza aspettare i tempi biblici cui s'espone il progetto di revisione costituzionale depositato in Senato all'avvio della legislatura, peraltro nell'indifferenza generale, la promulgazione parziale, e dunque il rinvio parziale d'una legge, sarebbe possibile fin d'ora. D'altronde vanta numerosi precedenti nell'ordinamento regionale. È sufficiente avanzare una lettura evolutiva della Costituzione, al passo, mi pare, con i tempi. 26 febbraio 2011
 

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