venerdì 11 marzo 2011

Federali della Sera. 11 marzo 2011. Mattinata difficile. Non abbiamo bisogno che arrivi qualcuno da fuori a sentenziare e a pontificare mettendoci al corrente di opinioni non interessanti. Non si fa. La povertà non è equa e nemmeno democratica. Decine di sindaci e segretari comunali sono alle prese in questi giorni con i bandi per i bonus bebè, per gli affitti agevolati e per altre misure regionali che vengono poi erogate direttamente dagli enti locali. Il dubbio è ormai diffuso: che si fa? Il Carroccio imbavaglia i suoi sindaci. Domenica sit-in della Giovane Italia, domani alle 16 la manifestazione della Sinistra.

Forza Oltre padani:
Bozen. Tommasini: non so se andrò a Roma.
Belluno. «Alpini solo del nord? Ana all'oscuro».
Belluno. Lamon. Il fagiolo inverte la fuga dal Veneto.
Belluno. Lentiai. Piazza Garibaldini intitolata a 3 persone La minoranza non ci sta.
Trento. Nel «ricco» Trentino ci sono 43 mila poveri.
Friul. Turismo Fvg, inchiesta della Corte dei conti su due consulenze.
Gorizia. Welfare e stranieri, interviene Tondo: rimetteremo in discussione la norma.

I fratelli padani (fratelli tra loro):
Treviso. Tricolore negato, Pdl in piazza contro la Lega.
Venezia. Festa del 17 marzo. Un sms zittisce i leghisti.
Gheddafi dice che Bossi gli aveva chiesto finanziamenti.
Milano. La rivelazione: «Pezzano fu indagato per due anni per associazione mafiosa»

Et similia:
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Bozen. Tommasini: non so se andrò a Roma. Cerimonie per i 150 anni: a Bolzano il 17 marzo l'alzabandiera ufficiale. BOLZANO. 150 anni dell'Unità d'Italia. Tutto è iniziato con il rifiuto del presidente provinciale Luis Durnwalder di partecipare alle celebrazioni, a partire da quelle romane. Poi è arrivato Vittorio Sgarbi, che ha buttato altra benzina sul fuoco. Ma a una settimana dal 17 marzo, festa nazionale e data centrale dei festeggiamenti, com'è la situazione? I due assessori italiani Christian Tommasini e Roberto Bizzo non hanno ancora deciso se uno dei due andrà a Roma e chi. 
LA CAPITALE. Nel pomeriggio del 17 marzo è prevista la seduta congiunta delle Camere con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. I due assessori del Pd hanno rivendicato in giunta il loro diritto di partecipare a cerimonie per i 150 anni in veste ufficiale e non a titolo etnico. «Lunedì decideremo durante la riunione del Pd chi farà che cosa, tra me e Roberto Bizzo», anticipa Tommasini. Uno dei due dovrebbe andare a Roma. Il sindaco Luigi Spagnolli ci sarà: «Sono stato invitato alle cerimonia con il presidente Napolitano e ci andrò. Se sarò l'unico, rappresenterò tutto l'Alto Adige». I due assessori devono scegliere tra Roma e Bolzano e, spiega Tommasini, «essere qui il 17 marzo ha una importanza speciale». 
GLI EVENTI LOCALI. L'appuntamento più importante del 17 marzo organizzato dal tavolo di lavoro allestito al Commissariato del governo è il concerto della fanfara dei carabinieri all'Auditorium di via Dante alle 17, preceduto da una sfilata in città. «Esserci è troppo importante», sottolinea Tommasini. Il giorno dopo la fanfara si esibirà a Merano.  Finora l'organizzazione dei festeggiamenti si è mossa in sordina. Una sorta di accordo tacito con la Svp. L'incursione di Michaela Biancofiore con il suo comitato e Vittorio Sgarbi come testimonial rompe la tranquillità e chi ha qualcosa da presentare esce allo scoperto.  Di ieri così un annuncio inatteso, visto come si erano messe le cose. Il cerimoniale del comitato nazionale dei 150 anni prevede per il 17 marzo l'alzabandiera nelle città. Si farà anche a Bolzano e Laives. «Appuntamento alle 8.30 in piazza Municipio», anticipano Spagnolli e Tommasini. A Laives alzabandiera alle 10 e anche lì è prevista la presenza di almeno un assessore provinciale, se l'altro partirà per Roma.  
LA SFIDA SUI COMITATI. Michaela Biancofiore ha presentato il proprio comitato esibendo il logo concesso dal comitato nazionale. Tra i garanti c'è una pattuiglia di big della politica, tra cui i ministri Franco Frattini e Mara Carfagna. Spagnolli sbotta: «Il gruppo di lavoro ufficiale è quello al Commissariato del governo, cui partecipa anche il Comune, e che lavora da mesi. Poi arriva la deputata del Pdl e dice che il suo è il comitato ufficiale. Ma per favore». L'uscita di Vittorio Sgarbi, prosegue Spagnolli, «è risultata assolutamente fuori luogo. Da par suo, Michaela Biancofiore ha dimostrato di essere degna componente della coalizione di governo arrivando all'ultimo momento con l'idea di presentare un comitato garanti dell'unità d'Italia per i 150 anni. Non abbiamo bisogno che arrivi qualcuno da fuori a sentenziare e a pontificare mettendoci al corrente di opinioni non interessanti. La convivenza è arte complessa e difficile. Certe sparate non servono a nulla se non a rendere più difficile un dialogo aperto. Vale per Casa Pound così come per Sgarbi e per qualsiasi altro che voglia venire qui a cavalcare l'onda della protesta». Gli dà man forte Tommasini: «Il gruppo della Biancofiore ha ricevuto il logo, come altri eventi organizzati da associazioni». Da Roma il deputato Gianclaudio Bressa racconta di avere parlato con Giuliano Amato, presidente del comitato nazionale: «L'ho chiamato dopo quello che è successo con Sgarbi. Mi ha spiegato che il comitato della Biancofiore ha semplicemente ottenuto il patrocinio». 
GLI APPUNTAMENTI. «Non è vero che qui fosse tutto fermo», replica Tommasini, ricordando gli appuntamenti coordinati da Palazzo Ducale e altri che hanno come capofila la biblioteca «Claudia Augusta», quindi di fatto la Provincia. Tra questi, il 15 marzo uno spettacolo sui 150 anni a cura di Emilio Franzina in biblioteca. Il 16 marzo, tra gli altri appuntamenti, sarà invece l'Istituto Vivaldi a invitare al concerto «Italia 150 anni di Musica» al teatro Cristallo. La società Dante Alighieri firma molti incontri, insiema Upad, Legacoop, Archivio di Stato, Comune di Merano, Ana e Comune di Laives, Circolo La Stanza. (fr.g.)

Belluno. «Alpini solo del nord? Ana all'oscuro». Perona: «Lor signori fan così: siamo citati negli atti ma non ci avvertono». BELLUNO. L'Associazione Nazionale Alpini non sapeva di quanto Lega e Pdl stavano preparando sugli alpini, non è mai stata consultata, cade dalle nuvole e il suo presidente, Corrado Perona, è alquanto seccato. Non sorpreso. «Quanto è accaduto in Parlamento l'ho appreso dai giornali, loro signori fanno così, qualsiasi sia il partito». Corrardo Perona nel 1955 era sergente al battaglione «L'Aquila» di Tarvisio, conosce bene la calata abruzzese e la mitologia territoriale nata dalla leggenda simbiotica tra mulo e «conducente», in parte falsa perché gli abruzzesi non erano gli unici ad occuparsi di muli, ma bella quando narra di alcune di quelle bestie lasciatesi morire di fame allorché il loro conducente andava in congedo.  Insomma il presidente è tutto fuorché uno sospettabile di derive venetiste. «Però quanto apprendo mi lascia l'amaro in bocca, l'Ana viene citata negli atti parlamentari e poi nemmeno avvertita che stanno legiferando sulla sostanza di cui è fatta, il vincolo indissolubile che lega tra loro le penne nere. Sabato teniamo un comitato di presidenza, ne parleremo, discuteremo». Il presidente si guarda bene dall'esprimere un'opinione sulla proposta di legge «salva alpini» bocciata ieri alla Camera, «qualsiasi cosa fosse magari poteva contenere qualcosa di condivisibile e qualcosa di condivisibile c'è sicuramente, ma come facciamo a saperlo se non ci han mandato un pezzo di carta da leggere?»  L'Ana ha costruito 33 casette prefabbricate per i terremotati dell'Abruzzo, ha raccolto e distribuito 3 milioni di euro, «non abbiamo chiesto ad alcun polititico di tagliare nastri, sventolare tricolori o suonare la fanfara per noi, non ci stupisce il loro disinteresse».  L'Associazione conta sempre meno da quando lo Stato, istituendo l'esercito professionale, ha tagliato la giugulare che irrorava di nuova linfa il legame tra popolo, veci e bocia. Ogni anno. Era la leva obbligatoria, la naja alpina che rinnovava nelle famiglie il senso di una comunità lasciando al figlio il cappello del padre, e al nipote quello portato dal nonno nella memoria condivisa. Inutile dire che i meccanismi dell'esercito professionale e lo squilibrio meridionale nel reclutamento stanno uccidendo tutto questo. Gli iscritti all'Ana calano, «non in percentuale devastante, ma calano - ammette Perona - abbiamo fatto di tutto per rivitalizzare le iscrizioni, siamo andati a prendere gli alpini "dormienti", stiamo per discutere con le nostre 81 sezioni un progetto per rilanciare l'associazione». Eppure non basta, l'Ana sembra pentirsi del permissivismo «entrista» con cui aveva cercato di fronteggiare la situazione all'inizio, il nuovo statuto in discussione, nelle parole del presidente «fisserà regole certe contro "il tutti dentro", è alpino chi porta il cappello e non possono definirsi tali gli "aggregati"», la pletora di servizi civili, protezioni varie e servizi d'ordine da sagra che il cappello se lo comprano la domenica perché fa figo. «Dobbiamo decidere chi siamo e come tener vivo il cuore della nostra tradizione. Non possiamo correre il rischio di pericolosi salti nel buio, saltando ci si rompe la schiena. L'unico autorizzato a portare il cappello alpino in sfilata senza aver prestato servizio nel corpo degli alpini, è il sindaco della località dove si svolge la manifestazione, ove sia evidente il rapporto di collaborazione tra il sindaco e la comunità degli alpini e sia riconosciuto il servizio dato alla popolazione dalla comunità delle penne nere». (e.r.)


Belluno. Lamon. Il fagiolo inverte la fuga dal Veneto. Dal Trentino e da Bolzano arrivano aspiranti coltivatori del legume Igp. LAMON. A tavola non si parla di politica, ma al fagiolo avrà fatto piacere sentire che due nuovi coltivatori sono venuti dal Trentino e dall'Alto Adige apposta per lui. Andrea e Theo si sono presentati al corso del consorzio di tutela. Come loro, tanti altri che credono nel legume con il marchio Igp.  Insieme a loro, erano più di trenta a seguire la prima lezione del corso base di formazione e aggiornamento sulle tecniche di coltivazione del fagiolo, che proseguirà domani, il 18 e il 25 marzo, nella sede della Cmf.  «Un successo, ogni anno è una sorpresa», commenta la presidente del consorzio Tiziana Penco. «E' segno delle potenzialità del prodotto, che è praticamente venduto ancora prima della semina. Vediamo un buon futuro».  Lo confermano le storie di chi crede in un rilancio del settore primario e vuole portare avanti la tradizione. Ci sono tante persone che dopo aver coltivato per anni alla vecchia maniera pur avendo un'altra occupazione, ora vogliono accostarsi alla certificazione Igp, diversi giovani alle prese con il primo insediamento agricolo, altri che lo fanno per hobby, ma anche pensionati e disoccupati pronti a cimentarsi in agricoltura. Come un ragazzo di 36 anni tornato a San Donato da Bergamo con la famiglia che inizierà a coltivare 6 mila metri di terreno.  Originario di Arina, Andrea Canal ha deciso di lasciare il Trentino dopo essere rimasto senza lavoro: «All'inizio non ero molto convinto, poi mi sono deciso, convinto delle possibilità di guadagno e dalla voglia di stare all'aria aperta», racconta. «Ho recuperato il terreno dei nonni. Comincio da mille metri». Come lui, in una specie di secessionismo al contrario, arriva da Bolzano Theo Dall'Ago: «Vorrei piantare il fagiolo su 500 metri», dice. «Vedo che c'è richiesta».  Paolo Pagnussat, pensionato, coltiva da sette anni ed è «interessato ad approfondire le tecniche». Il lamonese Ruggero Giop produce fagiolo da tempo ma adesso ha deciso di iscriversi al consorzio «perché altrimenti non si potrebbe vendere il fagiolo di Lamon come tale. Abbiamo un prodotto di nicchia che è solo nostro su cui puntare». Ron Malacarne punta a «migliorare la produzione nell'azienda di famiglia così da guadagnare di più», mentre Mario Zatta, di Tomo, coltiva «150-200 pali a consumo domestico, dove prima cresceva una varietà diversa di fagiolo, ma voglio cambiare dopo aver assaggiato il vero Lamon». A Vas, la filippina Arceli Arocena, che ha un banco all'agrimercato di Feltre, ha presentato un progetto per bonificare altra terra «per estendere la produzione». Senza dimenticare chi sogna di abbinare l'orto al bed and breakfast per offrire un soggiorno diverso.

Belluno. Lentiai. Piazza Garibaldini intitolata a 3 persone La minoranza non ci sta. LENTIAI. La scelta di intitolare la piazza della frazione di Canai ai Garibaldini lentiaiesi fa discutere. Non per la bontà dell'iniziativa quanto per la strana approssimazione che il gruppo di minoranza in consiglio comunale, ravvisa nella delibera. Il documento indica tra i Garibaldini partiti dalla zona per combattere e costruire l'Italia unita, solo tre nomi di persone nate a Canai. Mentre dalle fonti storiche, secondo la capogruppo della lista civica Flavia Colle, le cose stanno in maniera diversa.  «Dalla delibera di Giunta - spiega Flavia Colle - si evince che i nominativi dei Garibaldini che partirono dal nostro Comune sono Tremea Sante, Tremea Nicoletto e Rigo Francesco Giuseppe nati tutti a Canai. Considerata l'importanza dell'evento sia per l'aspetto storico-culturale che educativo e poichè la delibera è stata trasmessa alla Prefettura, sarebbe stato doveroso che la giunta avesse riportato le fonti bibliografiche e archivistiche dalle quali emergono le notizie. Nel verbale di deliberazione si legge infatti che Tremea Sante "scomparve nella battaglia di Bezzecca. Il suo corpo non fu probabilmente mai ritrovato, perche i registri parrocchiali non solo non ne segnalano la morte, ma non fanno cenno alcuno al successivo matrimonio della sua vedova".  E ancora, Tremea Nicoletto: "Garibaldino nel 1859/60, nel 1866 con il cugino Sante Tremea e Francesco Giuseppe Rigo di Canai... Tutti e tre questi personaggi combatterono a Bezzecca il 21 luglio 1866, ultima battaglia degli italiani contro l'Austria».  La capogruppo per sostenere le sue ragioni ha «scomodato» lo storico Francesco Vergerio che nella pubblicazione sulla storia dell'antica contea di Cesana (così si chiamava Lentiai) nel 1931 sostiene che i garibaldini lentiaiesi furono molto più di tre.  «Come si evince dal testo - dice Colle - i nostri compaesani che combatterono nelle guerre risorgimentali furono parecchi, e pare che i tre citati nel verbale di Giunta siano stati presenti nelle campagne del 1859/60, ma non alla battaglia di Bezzecca. Vista l'importanza dell'evento, sarebbe opportuno che la Giunta mettesse a conoscenza della popolazione le fonti d'archivio dalle quali ha tratto le notizie riportate nella delibera, non fosse altro per fugare ogni dubbio di verità storica. Sapere infine che ben 32 Lentiaiesi sentirono il dovere di combattere per il Risorgimento italiano per donare ai posteri un paese libero e unitario, non può che rappresentare un'ulteriore nota di orgoglio per tutta la nostra comunità».  La cerimonia di intitolazione della piazza, che ospita un parcheggio in parte pubblico e in parte privato, nelle vicinanze della chiesa di Santa Giuliana, si terrà giovedì della prossima settimana in occasione dei festeggiamenti per il 150esimo dell'Unità d'Italia. Il monito della minoranza è chiaro: «Il riconoscimento va a tutti o a nessuno».

Trento. Nel «ricco» Trentino ci sono 43 mila poveri. 11/03/2011 08:34 TRENTO - La crisi si abbatte fortemente anche in Trentino, che non può più essere riconosciuto come «isola felice». Lo dicono i dati dell'indagine conoscitiva sulla povertà e l'esclusione sociale elaborati dalla Quarta commissione permanente del Consiglio provinciale: a vivere sotto la soglia di povertà oggi sono 43 mila persone, che rappresentano l' 8,2% della popolazione totale. L'indagine, ha spiegato il presidente della commissione Mattia Civico, ha cercato di fotografare la più aggiornata situazione nella nostra provincia partendo dalle cifre dell'Osservatorio permanente per l'economia e il lavoro e dal servizio statistica provinciale.
Accanto a questo nel corso del 2010 sono state sentite diverse associazioni ed enti. Pur ritrovandoci in una situazione leggermente migliore a quella nazionale, i risultati sono comunque inquietanti. La povertà non è equa e nemmeno democratica: il rischio di non raggiungere la soglia minima di sostentamento nella popolazione risulta essere il doppio nelle donne rispetto all'uomo mentre è di cinque volte maggiore per lo straniero . Ad essere colpiti sono anche i giovani al di sotto dei 25 anni e gli over 65 mentre la povertà è addirittura otto volte maggiore per chi oggi si trova senza un titolo di studio per non parlare poi dei disoccupati e degli inattivi. I campanelli d'allarme si fanno ancora più sentire quando si parla delle famiglie, perché in Trentino negli anni la rete familiare si è notevolmente indebolita soprattutto in presenza di nuclei numerosi o monogenitoriali. Secondo i dati raccolti, la soglia di povertà in cui sono cadute l'8,7% delle famiglie trentine è influenzata da diversi fattori di cambiamento demografico e sociale quali l'aumento delle separazioni, l'incremento del numero dei nuclei familiari composti da single, il sorgere di diverse forme di coabitazione, l'incremento dell'età della prima maternità, il cambiamento dei ruoli di genere all'interno delle famiglie, la difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia e l'incremento del numero di anziani sopra i 75 anni.
Oggi il 75% delle famiglie vive in una casa di proprietà ma purtroppo uno dei problemi che si trovano ad affrontare è proprio quello della casa, che secondo l'analisi va ad assorbire il 50 % del reddito familiare colpendo soprattutto quei giovani che ad oggi non dispongono di una adeguata situazione economica propria oppure dei genitori. Si tratta cioè di famiglie che dimezzano le risorse affettive ed economiche ma non certamente le spese. Una mamma sola con uno o più figli oppure un uomo solo sono purtroppo le categorie più vulnerabili. Tutto questo rientra nelle cosiddette «nuove povertà» rappresentate nell'insicurezza, la precarietà, l'instabilità e la fragilità delle relazioni. Le difficoltà si ritrovano però anche per le famiglie troppo numerose o con figli minori in quanto a richiedere il sostegno della Provincia, attraverso il « reddito di garanzia» , per il 40% sono famiglie con più di 4 figli e il 60% con figli minori.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il Trentino, si ritrova con una percentuale di occupati del 66.6% , superiore alla media sia italiana che dell'intero Nord-Est ma peggiore se si confronta con Bolzano, dove gli occupati arrivano al 70% e con il Tirolo con il 74%. L'indagine conferma inoltre che gli iscritti alla mobilità, risultano 3.939 nel 2009 con un aumento del 35%. L'indagine sarà discussa in consiglio provinciale e le ipotesi di lavoro che saranno proposte per migliorare la situazione riguarderanno il rafforzamento del principio di sussidiarietà, il sostegno ad enti no profit e l'incremento di un approccio integrato.

Friul. Turismo Fvg, inchiesta della Corte dei conti su due consulenze. di Anna Buttazzoni. Dopo le auto blu, la magistratura indaga su servizi di promozione ed enogastronomici
UDINE. Due consulenze della Turismo Fvg, una per la promozione e organizzazione di servizi turistici e l’altra per la promozione del settore enogastronomico, sono sotto la lente d’ingrandimento della Corte dei conti, che ha aperto un’inchiesta. Dopo l’utilizzo delle auto blu da parte dell’Agenzia, indagine ancora in corso, la Guardia di Finanza su indicazione del Procuratore generale Maurizio Zappatori ha acquisito gli atti sui due incarichi.
Le due consulenze sono state affidate a fine dicembre 2008 dal direttore della Turismo Fvg, Andrea Di Giovanni, e sono state ultimate nel 2010. La prima, per marketing, comunicazione, promozione e commercializzazione del prodotto turistico della Regione, è stata assegnata a Claudio Tognoni, per un anno, rinnovabile, e per un compenso di 83 mila e 400 euro lordi annui. Tognoni, cui nel 2009 era stato rinnovato l’incarico, ha concluso la propria “opera intellettuale” – come recitava il contratto – il 31 ottobre 2010. Il secondo incarico, invece, per la programmazione strategica del prodotto turistico enogastronomico e la promozione del prodotto stesso, è stata assegnata a Michelangelo Boem, anche questa per un anno, rinnovabile, per un compenso di 78 mila 840 euro lordi annui. Boem, cui nel 2009 la consulenza era stata confermata, ha concluso l’impegno per la Turismo Fvg nel settembre 2010. Oggi, però, la Corte dei conti vuole capire se l’affidamento di questi incarichi è stato legittimo.
I due maxi-compiti erano già stati nel mirino di alcuni consiglieri di maggioranza e opposizione, quando la gestione dell’assessorato al Turismo era del vicepresidente della Regione, Luca Ciriani (Pdl), mentre da ottobre 2010 è stato consegnato a Federica Seganti (Lega). A marzo dello scorso anno due interrogazioni – una per incarico – erano state presentate dal consigliere regionale Roberto Marin (Pdl) a Ciriani, documenti critici sulla portata dei due compiti e sull’affidamento a Tognoni e Boem. A inizio agosto, invece, la Turismo Fvg aveva pubblicato sul proprio sito internet due avvisi pubblici – finiti nel mirino del consigliere regionale del Pd Sergio Lupieri – per l’affidamento di due consulenze, quelle in scadenza pochi mesi dopo, a Boem e Tognoni, per lo stesso importo e per le stesse mansioni. Un bando in scadenza il 2 settembre e che poche settimane più tardi venne annullato, complice anche uno scontro tra Pdl e Lega proprio sull’assegnazione dei due incarichi, perché a ottobre il Turismo è passato alla gestione leghista.
Da novembre, dunque, la Turismo Fvg non ha più tra le proprie spese le due maxi-consulenze, ma ha anche cambiato organizzazione e Seganti ha detto più volte di avere in mente di assegnare alcune mansioni a un dirigente già dipendente della Regione e altre forse attraverso un nuovo bando.

Altra inchiesta, invece, è quella che riguarda l’utilizzo delle auto di servizio da parte del direttore Di Giovanni e altri due responsabili di servizi. Un’inchiesta su cui Zappatori ha disposto nuove verifiche dopo aver esaminato i documenti richiesti e ottenuti dalla Regione e averli considerati insufficienti a fugare ogni dubbio. Ora le indagini che colpiscono la Turismo Fvg sono due e su entrambe il commento di Zappatori è uno solo: «Non ho nulla da dire».

Gorizia. Welfare e stranieri, interviene Tondo: rimetteremo in discussione la norma. Gorizia ammetterà «con riserva» le domande di inserimento degli immigrati nelle graduatorie. UDINE. La rivolta dei requisiti continua: ieri, dopo i casi di Majano e Zoppola, si è scoperto che il Comune di Gorizia ammetterà «con riserva» gli immigrati nelle varie graduatorie per i servizi sociali. Poi saranno affari della Regione. E mentre l’opposizione conferma il pressing, il presidente Renzo Tondo esce allo scoperto: la Giunta è pronta a rimediare agli errori compiuti.
La via mediana. Decine di sindaci e segretari comunali sono alle prese in questi giorni con i bandi per i bonus bebè, per gli affitti agevolati e per altre misure regionali che vengono poi erogate direttamente dagli enti locali. Il dubbio è ormai diffuso: che si fa? Si seguono le ordinanze dei tribunali, che fanno giurisprudenza, o la legge regionale? Molti stanno pensando a una sorta di via di mezzo, che rappresenta anche un modo raffazzonato per evitare problemi: è il caso del Comune di Gorizia, che ammetterà «con riserva» le domande di inserimento degli immigrati nelle graduatorie per il welfare.
Nelle prossime settimane, la Giunta comunale approverà con un’apposita delibera le linee guida per la compilazione delle graduatorie legate alle agevolazioni previste dai servizi sociali per le fasce meno abbienti. «L’orientamento tecnico - ha spiegato l’assessore al Welfare, Silvana Romano - è di raccogliere in ogni caso le richieste degli stranieri residenti sul territorio comunale da meno di 10 anni, ammettendole “con riserva” ma tenendole in considerazione nel fabbisogno necessario all’espletamento del bando». Poi il faldone sarà girato alla Regione, che dovrà decidere che fare. La proposta goriziana è stata presentata sia al recente incontro di Codroipo, al quale ha preso parte anche l’assessore regionale alla Sanità, Vladimir Kosic, che nella riunione dell’Anci di mercoledì a Spilimbergo.
Il presidente. La giornata di ieri, al rientro dall’India, è stata per Renzo Tondo un fitto via vai tra ministeri e incontri a Roma. Il tema forte in agenda era quello di Unicredit. Ma i sindaci che pressano sul territorio, le richieste dell’Anci non potevano rimanere inascoltate. Così, al telefono dalla capitale, Tondo ha voluto rassicurare i primi cittadini. La Giunta affronterà a breve la questione dei requisiti di residenza per l’accesso ai servizi sociali. «Affronterò la questione - ha detto Tondo - approfondendo il tutto dal punto di vista tecnico. In effetti, stavolta, la Lega ha tirato troppo la corda». «Se sono stati fatti degli errori - ha spiegato Tondo – li correggeremo». L’affaire immigrazione dovrà finire per forza nell’ordine del giorno dei prossimi incontri politici di maggioranza.
L’opposizione. Dal Pd non smettono gli inviti a rivedere tutte le leggi che prevedono i requisiti. «Mi rivolgo a Tondo – ha detto ieri Gianfranco Moretton –, facendo appello alla sua storia politica affinché ponga fine a ciò che accade sul versante del welfare regionale».

Treviso. Tricolore negato, Pdl in piazza contro la Lega. Domenica sit-in della Giovane Italia, domani alle 16 la manifestazione della Sinistra. Sul tricolore scoppia a Castelfranco la guerra tra Pdl e Lega. Dopo la notizia del «no» al tricolore all'esterno dell'auditorium di Salvatronda dato dalla giunta Dussin al comitato frazionale, i giovani berluscones vanno all'attacco.
«Ennesimo gesto di irriverenza politica della Lega - dice Claudio Bergamin - domenica saremo in piazza Giorgione per difendere il tricolore».
Il sit-in del movimento Giovane Italia ha il sapore di un guanto di sfida al Carroccio. Centrodestra di nuovo spaccato. Ancora una volta sono gli «juniores» del Popolo della libertà a sparare a zero sugli alleati di governo (da tempo ormai i «seniores» del partito sono assenti dalla scena politica).
Oggetto del contendere il tricolore. Il tutto a pochi giorni dal 17 marzo quando si festeggeranno i 150 anni dell'Unità d'Italia. La bufera sul Carroccio è scoppiata dopo il «no» secco della giunta Dussin alla richiesta del comitato frazionale di Salvatronda di esporre il tricolore fuori dall'auditorium.
«Non solo la Provincia è l'unica in Veneto a non essersi adoperata per le celebrazioni del 17 marzo rendendoci ridicoli agli occhi dei nostri corregionali - dice il coordinatore della Giovane Italia, Claudio Bergamin - ma adesso si aggiunge il nostro Comune che sotto la veste di impedimenti burocratici fantasiosi vieta l'esposizione di un simbolo che rappresenta la nostra storia e i nostri valori. Ci chiediamo quanto sia opportuna per il Pdl un'alleanza con questa Lega alle provinciali di maggio. Il comitato frazionale faccia da solo ed esponga il tricolore infischiandosene del burocratese».
All'attacco anche la Federazione della Sinistra. «E' triste prendere atto di come la Lega in ogni occasione utile si nasconda dietro a motivazioni burocratiche per scagliarsi contro l'Unità d'Italia - dice Simone Marconato della Federazione della sinistra - noi esporremo il tricolore e chiediamo a tutti di fare altrettanto. Invitiamo la città a partecipare alla manifestazione "Se non ora quando? A difesa della Costituzione" domani alle 16 in piazza Giorgione, portando la bandiera d'Italia».

Venezia. Festa del 17 marzo. Un sms zittisce i leghisti. La sovraesposizione sul tema sarebbe controproducente. Hobbo: «Studi di parlare del 150esimo» VENEZIA — Ad una settimana dal 17 marzo, il Carroccio imbavaglia i suoi sindaci. Con un sms inviato dal consiglio federale anche alle segreterie provinciali del Veneto, ai primi cittadini padani è stato espressamente ordinato di non farsi intervistare da giornali e televisioni sui 150 anni dell’Unità d’Italia. Un improvviso silenzio mediatico che si aggiunge alla nota riluttanza organizzativa degli amministratori leghisti rispetto alla celebrazione dell’anniversario di istituzione del Regno. I big della Lega Nord si erano riuniti lunedì scorso a Milano. A quanto pare quel pomeriggio non pensavano solo ai rapporti con gli alleati in vista delle amministrative, ma guardavano anche in casa propria. Preoccupati di spegnere, il prima possibile, tutto quel chiacchiericcio attorno ad una ricorrenza sgradita al partito. Il ragionamento, alle alte sfere del movimento, sarebbe girato attorno al paradosso di vedere quotidianamente i leghisti tirati per la giacchetta con la richiesta di proferire commenti su una questione che non solo dovrebbe interessarli poco, ma che addirittura rischia di danneggiarli, data la posizione tenuta dai ministri di casa (Umberto Bossi e Roberto Calderoli contrari, Roberto Maroni assente) in occasione del voto sul decreto che ha proclamato la festa nazionale.
L’ordine di scuderia è stato così impartito dagli uffici federali alle varie direzioni nazionali, per scendere a cascata ai coordinamenti provinciali e ai singoli amministratori. Un testo conciso e perentorio, eccezion fatta per una minima provincializzazione del mittente. Il messaggino arrivato a decine di sindaci trevigiani, ad esempio, recita testualmente: «Lega Nord Tv: si invita i Sindaci a non rilasciare dichiarazione alla stampa e tv sui festeggiamenti del 150 dell’Unità d’Italia! ». Punto esclamativo, giusto per scandire bene il diktat. L’obiettivo è stato centrato, se è vero che ieri non c’era leghista che non rispondesse «No comment », ad una qualsiasi domanda sul 17 marzo. Da Silvia Rizzotto di Altivole a Paolo Quaggiotto di Vedelago, passando per Giovanni Azzolini di Mogliano, Alessandro Bonet di Godega, Sonia Brescacin di San Vendemiano, e via elencando. Sornione il leader veneto Gian Paolo Gobbo: «Se c’è un sms, non l’ho mandato io. Ma noi sindaci siamo stufi di sentirci chiamare in causa per i 150 anni. Non devono essere certo i giornali a decidere quello di cui deve occuparsi la politica». In linea il segretario trevigiano Gianantonio Da Re: «Ne abbiamo discusso fin troppo, d’ora in avanti profilo basso e basta con questa solfa dell’Unità d’Italia. Dobbiamo tornare a parlare leghista ». Angela Pederiva

Gheddafi dice che Bossi gli aveva chiesto finanziamenti. L'ex autista del senatur in effetti andò in Libia per chiedere i soldi per acquistare il Giorno. di Diego Gabutti. Muammar Gheddafi accusa Umberto Bossi: «Mi chiese soldi per finanziare la secessione della Padania». Bossi nega: «Ma vi pare! Abbiamo tantissimi uomini e le armi si fanno in Lombardia. Gheddafi è un gatto che sta affogando» e annegherà, vedrete, perché «la storia insegna che chi spara sulla sua gente finisce male. Ricordate Umberto I? Fu ucciso».
Bossi esagera, come suo costume. Umberto I, gli uomini, le armi. Gheddafi, in fondo, lo ha accusato soltanto d'aver bussato a quattrini, cosa magari «poco elegante», come direbbe il Cavaliere, ma ideologicamente e storicamente innocua. Non c'è causa politica, buona o cattiva, giusta o sbagliata, che non bussi prima o poi a quattrini. Bossi nega, dicevamo più sopra. Però qualcosa di vero c'è, come si può leggere in Umberto Magno di Leonardo Facco (Aliberti, pp. 475, 17,00), un libro di cui abbiamo parlato in queste pagine qualche tempo fa. Erano i primi anni Novanta, ancora non s'era spenta l'eco degli attentati messi a segno in Europa dai servizi segreti libici, c'era ancora l'odore degli esplosivi nell'aria ed ecco che una delegazione leghista, guidata dall'ex autista di Bossi, il consigliere comunale milanese Pino Babbini, volò a Tripoli con l'obiettivo di «farsi dare i soldi da Gheddafi per acquistare Il Giorno, l'ex quotidiano dell'Eni che in quegli anni era stato messo in vendita». Gheddafi, raccontano i testimoni citati da Facco, non cacciò un dinaro e, anzi, dirottò la delegazione, senza riceverla, verso uno dei suoi ministri, che la trattò maluccio. Su incarico di Bossi, i leghisti stavano cercando soldi per comprarsi Il Giorno, in ogni modo. Non cercavano soldi per finanziare la secessione o per comprare la corda con la quale impiccare i romani ladroni. Ma anche se avessero chiesto soldi per la secessione, anche se Gheddafi (che però non ha l'aria d'un uomo d'onore) dicesse il vero, resterebbe tutto com'è: Gheddafi nella polvere, come capita ai tiranni, e Bossi sull'altar, come succede a chi, in una democrazia, interpreta le aspirazioni d'una parte del paese. Vero o falso, non ci sarebbe bisogno di riscrivere i libri di storia e nemmeno (si spera, ma non ci scommetterei un caffè) di portare la Lega in tribunale con l'accusa d'avere meditato la secessione (anche qui, però, non ci farei conto, e anzi temo proprio che tra un po', un processo alle intenzioni dopo l'altro, Rosy Bindi pretenderà di mandarci tutti sotto processo per le nostre fantasie erotiche). Bossi avrebbe dovuto agire da signore: stringersi nelle spalle e, negata la circostanza, augurare alla Libia di superare in fretta la presente crisi. Avrebbe dovuto essere più diplomatico, come s'addice a un ministro della repubblica. Ma Bossi, che non è un signore, ha risposto agitando lo spadone d'Alberto da Giussano nell'aria (è l'equivalente taragno della spada dell'Islam) e augurando a Gheddafi di morire ammazzato.
Non si fa. Meglio chiedere soldi per finanziare la secessione della Padania dall'Italia matrigna che negare una parola di conforto a un tiranno che sta annegando. Specie quando questo tiranno, vent'anni fa, finita da poco la guerra fredda, era stato invitato a finanziare l'acquisto del Giorno (ai tempi ci lavoravo anch'io, e l'ho scampata bella) da parte della Lega. Bossi, evidentemente, ci rimase male quando il rais gli negò quella modesta sovvenzione (il Giorno veniva via con poco). Sono trascorsi quattro lustri e la sua ira ancora non si è placata. Ricordate Umberto I, che ordinò a Bava Beccaris, generale e farabutto, di sparare sulla folla? Be', fu ucciso.
Sono osservazioni politiche degne di Gheddafi, che augura all'Europa (in particolare all'Italia dell'infido Silvio Berlusconi, che prima gli bacia la mano e poi lo tradisce) uno tsunami d'emigrati che ci sommerga. Vi stupireste se l'Umberto, prima o poi, decidesse di viaggiare per il mondo con una baita smontabile e, al posto dei cavalli berberi, una mandria di stambecchi scalpitanti?

Milano. La rivelazione: «Pezzano fu indagato per due anni per associazione mafiosa»
La posizione del direttore Asl 1 fotografato coi boss della 'ndrangheta archiviata 20 giorni prima della nomina. MILANO - È stato indagato per quasi due anni per concorso in «associazione mafiosa» insieme ad altri 168 presunti affiliati alla 'ndrangheta. Fino allo scorso 3 dicembre, quando il gip ha emesso «decreto di archiviazione delle accuse», dopo che i pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano hanno stralciato la sua posizione da quella del resto degli indagati nel maxiblitz del 10 luglio. Poi, venti giorni dopo l'archiviazione la giunta regionale (il 23 dicembre) ha nominato Pietrogino Pezzano alla guida della Asl Milano 1, la più grande d'Italia. Nessun rilievo penale nei suoi confronti, ma per la Procura i rapporti con tre presunti 'ndranghetisti poi arrestati dai carabinieri sono stati accertati.
L'ultima verità sul caso Pezzano, che ha portato bufere al Pirellone con mozioni di sfiducia sempre respinte al mittente, arriva dal sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca Guido Viceconte che ieri ha risposto all'interpellanza del deputato pd Vinicio Peluffo. Nella comunicazione, con la quale il governo ha bocciato «una commissione d'accesso», il sottosegretario ammette che Pezzano, allora dirigente dell'Asl di Monza, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Dda per quasi due anni, nell'ambito dell'inchiesta «Infinito», per associazione mafiosa (416 bis): «La competente magistratura inquirente ha, successivamente, provveduto a formulare richiesta di archiviazione nei confronti del Pezzano, in seguito allo stralcio della sua posizione».
Il 3 dicembre il provvedimento del gip. Ma - riporta il sottosegretario -, «si segnala, altresì come riferito dal procuratore di Milano, che nell'ambito dell'originario procedimento gli inquirenti hanno evidenziato contatti del Pezzano con Eduardo Sgrò, Candeloro Pio e Candeloro Polimeni», tutti arrestati. E proprio con Polimeni (e il deceduto Saverio Moscato) Pezzano viene fotografato dai carabinieri sabato 11 luglio '09 a Desio. Nessun reato e accuse archiviate, eppure la Regione - come ricorda Peluffo (pd) - rispondendo alle polemiche non ha mai ammesso che Pezzano sia stato indagato per oltre due anni per mafia. Fino alla conferma dal governo. Cesare Giuzzi

Mafia, Ciancimino: ”Mio padre chiese aiuto a Berlusconi e a Dell’Utri”"
di Markez 10 marzo 2011 - In un “pizzino” inviato mentre era agli arresti domiciliari Vito Ciancimino avrebbe chiesto un “aiuto” a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
L’ex sindaco di Palermo condannato per mafia credeva che i destinatari dei messaggi potessero contribuire a risolvere i suoi problemi giudiziari. È uno dei
documenti che Massimo Ciancimino ha consegnato oggi ai pm della procura di Palermo Nino Di Matteo e Lia Sava.
In passato il figlio di Ciancimino aveva parlato di presunti rapporti tra il padre e Berlusconi sin dai tempi in cui il presidente del Consiglio progettava Milano 2. Nella nuova “rata” di carte consegnate oggi ai magistrati Massimo Ciancimino ha portato alcuni “pizzini”: non è chiaro se si tratti di copie o di originali.
E non è neppure certo che i messaggi siano arrivati a destinazione. Il capitolo dei presunti rapporti di don Vito con Berlusconi ruota attorno alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino che dai faldoni di famiglia, in cui sono raccolti documenti e manoscritti del padre, ogni tanto recupera nuove carte.
Anche la moglie di don Vito, Epifania Scardina, ha parlato recentemente di un incontro del marito con Berlusconi in un ristorante milanese. L’interesse dell’ex sindaco era quello di orientare i suoi investimenti sulla piazza milanese e per questo avrebbe avviato una rete di relazioni con gli ambienti imprenditoriali.
Nell’incontro di oggi con i magistrati, durato oltre tre ore, Massimo Ciancimino ha depositato anche “pizzini” del padre diretti al boss Bernardo Provenzano che di
solito faceva recapitare attraverso un mediatore. Altri documenti riguardano gli affari più recenti di Ciancimino. Per mandare avanti le sue iniziative avrebbe stabilito rapporti interessati con vari politici. A qualcuno, secondo il figlio Massimo, il padre avrebbe versato anche tangenti.
I magistrati hanno secretato il verbale del nuovo interrogatorio e la descrizione del contenuto delle nuove carte che sarebbero state portate da Massimo Ciancimino in Procura come riscontro a precedenti dichiarazioni.
Il figlio dell’ex sindaco, solitamente molto loquace e disponibile con i cronisti, questa
volta, dopo l’interrogatorio con i pm, ha preferito non rilasciare dichiarazioni.

Imperia. Mafia, bufera sulla Liguria. 11 marzo 2011. Imperia. Chiuso per mafia: ce ne sarebbe da dire, in Comune a Bordighera, ma il sindaco, Giovanni Bosio (Pdl), non commenta. Lo farà, ha detto, «quando ne saprò» un po’ di più. I suoi collaboratori dicono che il sindaco è «molto scosso», e scossi sono anche i suoi assessori, che ieri si erano chiusi con lui nella sala del Consiglio per una riunione lunga e difficile. Ordine del giorno: la decisione del consiglio dei Ministri di dare seguito alla commissione d’accesso promossa dal prefetto di Imperia che ha accolto la richiesta dei carabinieri di sciogliere il consiglio Comunale per infiltrazione mafiosa.
Mattinata difficile, quella di ieri in Comune a Bordighera: dopo gli assessori, usciti alla spicciolata, è stato il turno dei tecnici amministrativi. Poi, ed erano le 14, Bosio ha lasciato la palazzina bianca sulla collina affacciata sul giardino alla toscana con piccole piante di cappero selvatico che spuntano dalle pietre della massicciata. Un po’ come in Calabria. Giulio Viale
Per arrivare a comprendere la decisione del consiglio dei Ministri si deve tornare indietro di quattro anni, quando i carabinieri avviarono una serie di inchieste su incendi che avevano il sapore della minaccia. Quattro anni che hanno chiarito le idee ai carabinieri e scatenato l’inferno politico a Bordighera, roccaforte del centrodestra. «Un inferno», come afferma Giulio Viale, ex assessore al Bilancio, leghista, che appena ha avuto il sospetto di quello che bolliva in pentola grazie ai resoconti di alcuni interrogatori rilasciati da assessori comunali al procuratore di Sanremo, ha dato le dimissioni, ricevendone in cambio insulti e aggressioni verbali da chi rimaneva in giunta.
Ma quella relazione cosa riguardava? Gli interessi che una famiglia calabrese trapiantata a Bordighera aveva nel territorio comunale: dalle sale slot a certi lavori in appalto. La famiglia Pellegrino, imprenditori del movimento terra, viene indicata dalla Direzione nazionale Antimafia come la referente ligure di una delle più potenti cosche della ‘ndrangheta, la Santaiti-Gioffrè da Seminara (Reggio Calabria). I fratelli Pellegrino vennero arrestati a metà 2010. Proprio in quel periodo i carabinieri scoprirono nella loro villa alcuni caveau segreti, ma anche documentazione contabile e societaria giudicata «molto interessante». In particolare, carabinieri e Finanza avrebbero sequestrato atti relativi a una società francese riconducibile ai Pellegrino e a una serie di conti correnti, oltre a documentazione su ben determinati appalti. “Stranezze amministrative“ sono state poi riscontrate dalla commissione d’accesso tra le carte del Comune.
Ma è stata la richiesta delle consorti dei Pellegrino per ottenere la licenza delle sale giochi a scatenare un putiferio: Per il «no» opposto dalla consigliera di minoranza Donatella Albano (Pd) sono fioccate minacce gravissime, tanto che la donna è stata messa sotto tutela e qualche assessore s’è trovato la macchina incenerita.
Non è tutto: la relazione dei carabinieri parla di finanziamenti elettorali come contropartita per la concessione di determinati “favori”, comprese le slot machine, ma anche di rapporti fra imprenditori, malavitosi e politici. Triangoli pericolosissimi, che culminano in un finanziamento “indiretto” a un «politico del Ponente ligure» di circa 200.000 euro.

Calabresi padroni del narcotraffico internazionale: 31 ordinanze con l'operazione ''Imelda'' Giovedì 10 Marzo 2011 13:03 di Claudio Cordova - Bruno Pizzata. E’ lui il broker della ‘ndrangheta, l’uomo capace di spostarsi con facilità da un Paese all’altro, parlando in nome delle cosche di San Luca, ma intrattenendo rapporti anche con le famiglie di Rosarno e della Piana di Gioia Tauro. La figura dell’uomo, classe 1959, arrestato alcune settimane fa a Duisburg, emerge in maniera netta dall’indagine “Imelda”, eseguita da Gico e Scico della Guardia di Finanza: sono serviti oltre tre anni d’indagine alle Fiamme Gialle per stroncare un’organizzazione dedita al narcotraffico internazionale. Trentuno le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Reggio Calabria, su richiesta della Dda, anche se vi sarebbero almeno cinque irreperibili.
Sono in tutto ventitré i chilogrammi di cocaina sequestrati dai militari nel corso dell’operazione: ventidue sono stati sequestrati presso l’aeroporto di Milano-Malpensa, mentre circa un chilo è stato rintracciato e sequestrato ad Aosta. La polvere bianca, infatti, proveniente dal Sud America, era destinata in particolare al mercato milanese e viaggiava anche a bordo di camion carichi di materiale destinato alle case di moda. Sarebbero stati, invece, circa centosessanta i chili consumati in frode. Emerge, però, uno spaccato criminale assai interessante, con l’accordo tra le cosche di San Luca (Nirta-Strangio) e della Piana di Gioia Tauro (Ascone-Bellocco) con Bruno Pizzata a gestire affari e amicizie, anche lontano dalla Calabria e dall’Italia. L’uomo, infatti, è da tempo al centro delle inchieste delle Procure calabresi: l’ultima ordinanza di custodia cautelare, quella “Overloading”, venne spiccata, infatti, alcune settimane fa, dalla Dda di Catanzaro.
Un’indagine fondata, soprattutto, sulle intercettazioni telefoniche. E, anche in questo contesto, a fare da mattatore è proprio Bruno Pizzata, che dispensa utili consigli: “Se ci sono problemi fermati a prendere un caffè! In dieci giorni spero che possiamo dare inizio al lavoro e tre o quattro volte al mese… Come tu prendi il malloppo vedi che ti senti meglio […] devi pensare che il minimo che ti becchi, ogni viaggio, nel giro di un mese dodicimila euro […] dodicimila euro devi lavorare un anno in pizzeria”. Pizzata, dunque, intratteneva rapporti in Germania, ma era capace di spostarsi con facilità verso la vicina Olanda, nonché di trattare alla pari con i cartelli sudamericani. Di concerto col noto narcotrafficante rumeno State Stelean, Pizzata avrebbe anche trattato cocaina proveniente dal Venezuela. “E’ l’indagine delle conferme – dice il procuratore aggiunto Nicola Gratteri – che testimonia che i ¾ della cocaina che arriva in Europa sono controllati dalla ‘ndrangheta”. L’indagine, peraltro, condotta in sinergia con gli investigatori tedeschi e olandesi, ha portato, nel suo lungo corso, anche alla cattura di cinque latitanti: Antonio Ascone, Gioacchino Bonarrigo, Francesco Strangio, Giancarlo Polifroni e Antonio Calogero Costadura.
Oltre alla droga, è stata sequestrata anche una considerevole quantità di armi: nove pistole, una mitragliatrice, cinque silenziatori, diciotto caricatori e trecento munizioni. Da ultimo, infine, il sequestro dei beni, che ammonta a un totale di cinque milioni di euro: dieci immobili distinti tra terreni e fabbricati, quattordici automezzi, tra cui anche auto di lusso come un’Aston Martin e una Porsche, tre ditte individuali, diversi conti corrente e polizze vita.

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