mercoledì 9 marzo 2011

Federali della Sera. 9 marzo 2011. Ho presentato una memoria in seguito alla quale lo Stato italiano si è nascosto. Infatti ho chiesto che esibiscano un documento che attesti la loro sovranità. Le multe non le pago - attacca il presidente della Repubblica di Padova - stiamo scherzando? Non riconosco l'autorità italiana sul territorio veneto, non vedo perché dovrei pagarle. Sono io che avanzo soldi dallo Stato italiano come del resto il popolo veneto. Anzi, chiederò all'Unione europea che mi venga dato un congruo risarcimento per il danno subito.

Forza Annessi al Trentino!:
Trento. Ok alla tassa su turismo. Si parte nel 2012.
Belluno. Belluno e provincia annessi al Trentino.
Belluno. Niente figli per non perdere il lavoro.
Udin. Friuli Doc, spuntano nuovi fondi dalle disponibilità regionali.
Udin. Welfare padano bocciato: Majano riapre agli immigrati.

Forza Repubblica di Padova! ed anche Treviso!:
Padova. Per la patente veneta una denuncia e quattro multe.
Padova. La patente veneta solo il primo passo.

Il Cerchio Magico Padano:
Treviso. Un topo a spasso per Calmaggiore.
Venezia. Unità celebrata in un Comune su quattro.
Veneto. Nella Lega è lotta sul fronte Veneto

Padani sfigati (locuzione locale):
Mantova. La Bassa? Non è una terra per giovani.
Carpi. La Caritas: «Sempre più poveri» Oltre 900 famiglie in difficoltà.
Cuneo. I questuanti: poveri, ma ricchi d'inventiva.


Trento. Ok alla tassa su turismo. Si parte nel 2012. 09/03/2011 08:34.TRENTO - «L'imposta di scopo sul turismo - ha confermato ieri l'assessore Mellarini - si introdurrà dal 2012, anche se forse non dal 1° gennaio. E sarà decisa dalle comunità di valle con riferimento agli ambiti delle rispettive Aziende di promozione turistica, in una misura variabile da un minimo dell'1% a un massimo del 10% del fatturato settoriale di zona. Sono i territori che devono responsabilizzarsi, e sono le categorie che devono decidere in quale misura suddividersi il carico dell'imposta. Gli impiantisti e gli albergatori ne sono già convinti, si tratterà di coinvolgere anche altre categorie storicamente più lontane dal condividere la progettualità turistica, anche se beneficiano dell'indotto: gli industriali, gli artigiani, ma anche pezzi del mondo agricolo come i caseifici sociali».
Sarà un'imposta sull'offerta, non sulla domanda - precisa a livello tecnico il dirigente generale del dipartimento turismo Paolo Nicoletti - dunque non graverà sui turisti ospiti del Trentino a beneficio dei Comuni di accoglienza, come succedeva con la vecchia imposta di soggiorno ora riproposta a livello nazionale. A livello tecnico-giuridico, la reintroduzione di una qualche forma di tassa sul turismo è considerata dai servizi provinciali una «difficoltà di quinto grado superiore», oltretutto da risolvere in tempi brevi, per poterla inserire nella prossima legge finanziaria provinciale di fine anno. Il problema principale è come calcolare la base imponibile: se si considera solo la capacità di spesa del turista, ci sono settori che resterebbero esenti, come l'artigianato che ristruttura gli alberghi ma non è contabilizzato nelle spese del turista. E proprio per la difficoltà di definire i benefici diretti e indiretti per i vari settori, è possibile che le aliquote di categoria alla fine vengano decise a livello provinciale, lasciando alle comunità di valle solo la determinazione della incidenza complessiva, ma predefinendo la suddivisione proporzionale del tributo.
L'altro aspetto importante è l'inversa proporzionalità delle risorse che saranno messe a disposizione dalla Provincia: chi più si autotasserà, verrà più premiato; chi non lo farà, riceverà contributi meno generosi. Mellarini ha parallelamente annunciato la futura istituzione di una scuola di alta formazione del turismo - forse una vera e propria laurea breve, da concordare con l'Università di Trento, un percorso che va al di là dell'attuale formazione manageriale garantita da Tsm - con una duplice specializzazione: ricettività e ristorazione. L'assessore ha elogiato infine i giovani albergatori: «Cercano l'innovazione e sono pronti a forme di aggregazione che saranno sostenute dai nuovi incentivi previsti dalla riforma della legge 6. Per esempio in val di Fassa alcuni di loro si sono aggregati per gestire insieme alcune strutture alberghiere».

Belluno. Belluno e provincia annessi al Trentino. La Cassazione rigetta i ricorsi dei contrari. Passo avanti nell’iter di legittimità. Ma i separatisti storici, decide la Corte, «non hanno potere di interlocuzione» BELLUNO - «Ora il campo è sgombro». Lo annuncia il presidente del consiglio provinciale Stefano Ghezze destinatario, martedì, di una missiva dell’ufficio centrale della suprema corte di Cassazione. Sgombro dagli interventi «ad opponendum» (cioè «contro») del leader dei separatisti di Lamon Renzo Poletti e dei Ladini di Sappada che però, cacciati dalla porta, potrebbero rientrare dalla finestra. Alla seduta del 31 marzo, la Corte, chiamata ad esprimere un giudizio di legittimità sul referendum «provinciale» (distacco del Bellunese intero dal Veneto e aggregazione al Trentino Alto Adige) deciderà solo sulla scorta del quesito approvato dal consiglio di palazzo Piloni e dell’intervento «ad adiuvandum» (cioè «pro») del Comune di Lamon.
Insomma, i separatisti storici, promotori di consultazioni popolari per traghettare i singoli centri dal Veneto ad altre regioni (Trentino Alto Adige per Lamon, Friuli Venezia Giulia per Sappada), non hanno voce in capitolo, sono fuori dal ring. Il fatto è che, rileva la Corte, «non hanno potere di interlocuzione». Poletti perché «non è più delegato dal Comune» e perché il comitato "Lamon in Trentino" «non è ente esponenziale di situazioni soggettive, come i diritti di autodeterminazione delle autonomie locali»; il "comitato per il ritorno di Sappada in Friuli", «per ragioni analoghe». Non hanno, cioè, le carte in regola; carte che il Comune di Lamon, che è un’istituzione, si può giocare. Cosa che fa andare in bestia Poletti, che giura vendetta: «Stavolta - spiega il separatista - scendo in politica con entrambi i piedi, pronto a fare la guerra contro l’amministrazione comunale, che per la nostra causa non ha mosso un dito, anzi. Mi candido sindaco, e metterò in luce le malefatte della giunta».

Quanto alla Corte, «ha scelto di non decidere - continua Poletti - perché la questione resta: che fine fanno i referenda "comunali"? La logica mi sembra quella del pesce grande che mangia quello piccolo. Rispetto la magistratura, ma qualcuno deve risponderci sul punto: prima o poi il problema si ripresenterà». Più sereno Danilo Quinz dei Ladini di Sappada. «Anche perché - concede - se il problema è solo quello della rappresentanza istituzionale, è superabile. Oggi stesso il sindaco Alberto Graz firmerà i documenti da rinviare alla Corte: rientreremo in gioco. E poi, non volevamo mettere i bastoni tra le ruote al referendum "provinciale", ma solo capire se c’è ancora, per noi, la possibilità di passare in Friuli, tutto qui». E’ aria di festa, invece, dalle parti del comitato promotore del referendum provinciale. «La Cassazione - chiosa il leader Moreno Broccon - ha messo nero su bianco che le parole di Poletti non hanno peso sulle nostre cose. E a spazzato via azioni poco lungimiranti, che ci sono costate un mese di ritardo». Marco de’ Francesco

Belluno. Niente figli per non perdere il lavoro. La denuncia di Laura Turchetto, consigliera di parità della Provincia di Belluno. di Alessia Forzin. BELLUNO. «La difficoltà per le donne, oggi, non è tanto quella di entrare nel mondo del lavoro, quanto di restarci». Lo afferma la consigliera di parità della Provincia di Belluno Laura Turchetto, che in occasione dell'8 marzo traccia un bilancio dell'attuale situazione femminile in ambito lavorativo.  «La problematica più evidente oggi è quella di riuscire a mantenere il proprio posto di lavoro quando si diventa madri», continua la Turchetto. «Anche nel 2009 (i dati 2010 non sono ancora disponibili) sono state ben 125 le donne che nel Bellunese hanno dovuto rinunciare al lavoro nel primo anno di vita del figlio, perchè non sono stati concessi part time, orari flessibili e non vengono messi in pratica gli strumenti che esistono (come il telelavoro), ma che le aziende faticano a mettere in pratica». La giustificazione addotta è solitamente "problemi organizzativi": «Per una donna che chiede il part time, l'azienda sarebbe obbligata ad assumerne un'altra che copra le ore rimanenti», precisa la consigliera di parità. «Nelle grandi realtà è più semplice ottenerlo, nelle piccole e medie imprese, invece, si fa molta fatica, ma non per ragioni economiche. Il fatto è che i datori di lavoro vorrebbero poter disporre del tempo dei loro dipendenti, e un figlio limita questa possibilità».  Pare quasi, come è stato definito, un "attacco alla maternità": «Già facciamo pochi figli (la media nazionale è 1,2), in questo modo è ancora più problematico diventare madre», afferma la Turchetto. A costringere le mamme a rimanere a casa con il proprio bambino non è solo la mancata concessione del part time o degli orari flessibili, ma soprattutto la mancanza di una rete parentale e l'elevato costo dei servizi: «Oggi le famiglie vivono spesso lontane dalla loro città d'origine, e non hanno accanto i nonni che potrebbero badare ai bambini quando la mamma è al lavoro», spiega la Consigliera di parità. «Senza contare che gli asili hanno dei costi molto alti, e non sono rari i casi che vedono le donne scegliere di non continuare a lavorare piuttosto che spendere molti soldi in asili».  La Turchetto sottolinea anche che le strutture per l'infanzia pubbliche «hanno degli orari molto stretti. Diversi genitori faticano ad andare a prendere il bambino all'asilo alle 5 del pomeriggio. E poi ci sono le vacanze, con gli asili chiusi, che mettono in difficoltà le famiglie». La soluzione viene dalle strutture private, i piccoli nidi in famiglia che iniziano a diffondersi anche nel Bellunese: «Sono strutture ottime, perchè garantiscono orari flessibili, e sono distribuite sul territorio in modo da agevolare le famiglie». Da rivedere c'è anche la struttura stessa del part time, che viene concesso alle donne a tempo indeterminato, quando invece sarebbe da dare a termine: «Il piano proposto dal Ministro Sacconi prevede di concederlo fino al compimento del 5º anno di età del bambino, per consentire un ricambio e aiutare anche le altre madri che lo richiedono», precisa la Turchetto.  Ad aggravare la situazione occupazionale femminile anche il fatto che «le donne vengono assunte molto spesso con contratti a tempo determinato, che in condizioni di crisi non vengono rinnovati. Ecco perchè la disoccupazione femminile è molto elevata», conclude la Turchetto. Dopo anni di lotte, battaglie e conquiste, la parità uomo - donna nel mondo del lavoro pare essere solo apparente.

Udin. Friuli Doc, spuntano nuovi fondi dalle disponibilità regionali. di Federica Barella
Seganti e Violino: altri 85 mila euro per stand artigiani, oltre a quelli dell’Ersa
UDINE. Quarantamila euro direttamente sul capitolo dei fondi per il turismo. Ma altri 85 mila sui fondi per le categorie produttive. E altri ancora dall’assessorato all’agricoltura. Dopo le polemiche sui tagli a Friuli Doc, dalla Regione arrivano precisazione sui contributi stanziati per la kermesse udinese.
Non si tratta di una marcia indietro dopo le polemiche sollevate dai tagli ai fondi, nè di una inversione di rotta rispetto una nuova linea a quanto pare scelta dalla Regione. Quanto piuttosto di un chiarimento di come, per questo 2011, arriveranno i soldi a Udine per sostenere Friuli Doc. O almeno questo sostengono da Trieste. Secondo l’assessore Federica Seganti, leghista, infatti in tutta questa vicenda dei fondi a Friuli Doc non si è tenuto conto di un punto.
«Da quest’anno la promozione agroalimentare - spiega l’assessore triestino - non è più in capo al mio assessorato ma a quello del collega Claudio Violino, assessore all’agricoltura. Per questo nella ripartizione dei fondi per le iniziative turistiche Friuli Doc avrebbe potuto anche avere zero fondi. Cosa che abbiamo evitato perchè comunque crediamo nella manifestazione. Come soprattutto crediamo nella possibilità di sostenere questa iniziativa in particolar modo attraverso dei finanziamenti diretti alle categorie produttive interessate».
Ed ecco allora che accanto ai 40 mila euro del capitolo sul turismo, ce ne sono altri 85 mila (sempre approvati dall’assessore Seganti) sul capitolo questa volta delle attività produttive e direttamente destinati agli artigiani che vorranno partecipare a Friuli Doc, come forma di co-finanziamento. «In tutto fanno 125 mila euro - precisa la Seganti - parte dei quali con effetto moltiplicatore, ai quali si deve sommare da una parte l’impegno dell’Ersa e dall’altra dell’assessorato all’agricoltura in forma più diretta».
Impegno diretto confermato dallo stesso assessore Claudio Violino, anche lui leghista, proprio ieri. «Crediamo molto nella manifestazione - ha precisato il referente all’agricoltura -. Tanto è vero che negli anni la presenza dell’Ersa è cresciuta qualitativamente e quantitativamente. E quest’anno ci riproporremo in piazza Matteotti con il “Tipicamente Friulano”, coinvolgendo ancor più cantine. Siamo pronti a parlarne con il Comune di Udine e il vicesindaco Martines in ogni momento. Non credo che servano appuntamenti formali».
Insomma l’intento è quello di dimostrare che alla fine, in un modo o nell’altro, Udine e Friuli Doc avranno di fatto gli stessi fondi della Barcolana a Trieste, che solo nel capitolo del turismo gestito dalla Seganti raggiunge i 180 mila euro. Anche perchè su questo fronte il Pdl udinese aveva già annunciato una dura battaglia.

Udin. Welfare padano bocciato: Majano riapre agli immigrati. di Beniamino Pagliaro. Nel 2010 il comune friulano aveva seguito le indicazioni regionali. Ora dovrà sborsare 40 mila euro. Il Tribunale di Udine ha giudicato la «natura discriminatoria» del bando emanato dall’amministrazione
UDINE. Due lavoratori romeni e un camerunense rovesciano l’ultimo baluardo dei requisiti per l’accesso ai servizi sociali regionali. Il centrodestra è già stato obbligato a far retromarcia sulla legge sul welfare impallinata dalla Corte costituzionale: ora, dopo le sentenze sul bonus bebè di Latisana, ci pensa il Tribunale di Udine ad azzerare i limiti sulla residenza minima in Italia e in Regione. Dopo aver escluso i tre immigrati dalle graduatorie per i contributi sull’affitto delle case residenziali, il Comune di Majano ha dovuto cambiare idea: i fondi verrano erogati entro la prossima settimana.
Nel 2010 il comune friulano aveva seguito le indicazioni regionali, che pongono dei paletti per l’accesso ai finanziamenti. Ma poi uno dei tre immigrati si è rivolto al giudice, che gli ha dato ragione. Il Tribunale di Udine ha giudicato la «natura discriminatoria» del bando emanato dall’amministrazione comunale seguendo la legge regionale: i requisiti minimi sono la residenza o l’attività lavorativa in Italia per almeno dieci anni di cui cinque in regione. Così, il giudice ha dato ragione all’immigrato, e il Comune di Majano ha subito pure la beffa, finendo per essere condannato al pagamento delle spese legali e della pubblicazione sui quotidiani dell’intera ordinanza. Risultato? Circa 40 mila euro da sborsare.
L’immigrato romeno riceverà entro la prossima settimana - hanno spiegato ieri a Majano - 1.286,35 euro di contributo che andranno a coprire circa il 29% dell’affitto annuo dell’appartamento, e cifre analoghe andranno ad aiutare gli altri due immigrati, come decine di cittadini italiani.
La decisione della giunta comunale di Majano dello scorso primo marzo e il provvedimento amministrativo del 3 marzo hanno riaperto il fuoco delle polemiche sui requisiti, da anni al centro dello scontro politico regionale, e già censurati dalla Corte costituzionale.
Il comune di Majano si è trovato preso in mezzo tra la Regione e le volontà leghiste di mantenere in piedi i requisiti minimi e gli input del Tribunale. Ovviamente l’amministrazione ha dovuto seguire l’ordinanza del giudice, che imponeva di «porre rimedio». I requisiti sono ormai un tormentone della legislatura regionale in corso: tanto voluti dalla Lega, quanto smontati quasi da una corte o dall’altra.
Negli ambienti del Pdl non si nasconde ormai un certo fastidio per le «fughe in avanti» del Carroccio che mettono poi in imbarazzo la maggioranza. E venerdì, quando è convocato il tavolo politico del centrodestra, ai leghisti arrabbiati per i «patti non mantenuti», i pidiellini potranno pure dire basta alle sfuriate sui requisiti. Non per un’incomprensione dell’obiettivo politico - privilegiare i cosiddetti autoctoni - ma per aver riconosciuto, sentenze su sentenze, l’inconsistenza degli strumenti.
«È una cosa inaudita - ha commentato il sindaco Claudio Zonta -, noi non abbiamo fatto altro che applicare una legge regionale, e non possiamo essere chiamati a pagare. È impensabile, faremo il diavolo a quattro». Subito è arrivato il supporto dell’Anci: «Non è giusto - ha detto il presidente regionale Gianfranco Pizzolitto - che paghino i comuni, la responsabilità è di chi emana la norma, e ricorreremo contro la Regione».
Nonostante lo stop dei giudici la Lega Nord non pare intenzionata a fermarsi. «Invitiamo i comuni a dare attuazione alla legge, non possiamo scivolare verso l’anarchia», ha ammonito il capogruppo del Carroccio Danilo Narduzzi, ricordando che il centrodestra punta a creare un fondo di ristoro per le spese legali sostenute dai comuni.

Padova. Per la patente veneta una denuncia e quattro multe. De Pieri: "Non pago, chiederò giustizia all'Europa". Il venetista di Loreggia, fermato lunedì in auto dai carabinieri a Campodarsego, continua a non riconoscere l'autorità dello Stato italiano sul territorio veneto. Il deputato De Poli esprime preoccupazione per il fenomeno e critica la Lega Nord e il governatore Zaia. LOREGGIA. Gabriele De Pieri non ci pensa proprio a presentarsi in caserma per esibire la patente di guida italiana. E neppure a pagare le sanzioni appioppategli l'altro ieri dai carabinieri di Campodarsego, che lo avevano fermato sulla Strada del Santo. Anzi, intende denunciare all'Unione europea la «violazione dei diritti umani» di cui, a suo dire, sarebbe stato vittima.
«Le multe non le pago - attacca il "presidente della Repubblica di Padova" - stiamo scherzando? Non riconosco l'autorità italiana sul territorio veneto, non vedo perché dovrei pagarle. Sono io che avanzo soldi dallo Stato italiano come del resto il popolo veneto. Anzi, chiederò all'Unione europea che mi venga dato un congruo risarcimento per il danno subito. Finora la persecuzione cui sono sottoposto da anni mi è costata 60 mila euro di avvocati».
Lunedì a Campodarsego di multe De Pieri ne ha beccate ben quattro: sorpasso su linea continua, eccesso di velocità, guida con il cellulare in mano, e cinture di sicurezza non allacciate. Inoltre è stato denunciato per rifiuto di fornire le generalità. «E' vero, non avevo le cinture - ammette il quarantatreenne De Pieri - i carabinieri dicono che li ho oltraggiati, ma stanno tentando di arrampicarsi sugli specchi, come nella causa precedente. Non siamo andati a processo, perché ho presentato una memoria in seguito alla quale lo Stato italiano si è nascosto. Infatti ho chiesto che esibiscano un documento che attesti la loro sovranità. Stessa cosa faranno anche adesso».
Oggi De Pieri è andato regolarmente al lavoro: di mestiere fa l'autista. «Sono dipendente di una ditta privata che effettua servizi di linea, anche per l'Aps».
Sull'episodio ha intanto preso posizione Antonio De Poli, deputato dell'Udc. «Sono avvisaglie - dice un comunicato del parlamentare - che preoccupano. Da anni la Lega ci racconta che il Veneto non è Italia, che l'adesione della nostra Regione alla Nazione è stata una truffa e che staremmo meglio da soli. Ogni giorno i politici e gli amministratori leghisti si lanciano in provocazioni gravi e offensive. Per non parlare del governatore Zaia, campione di equilibrismi e di "salto dell'Inno". Non vorrei che tutto questo, che non esiterei a definire una vera e propria campagna di controcultura, portasse a conseguenze gravi. Sicuramente il voler estirpare il sentimento di coesione nazionale da un certo territorio è, da parte di una forza politica, un'operazione gravissima. Oggi ridiamo, ma un cittadino che si rifiuta di riconoscere l'autorità dei carabinieri a causa del presunto indipendentismo veneto è un evento grave».

Padova. La patente veneta solo il primo passo. «Vogliamo uno Stato indipendente, una nostra polizia e una nostra banca centrale». CAMPODARSEGO. «Il Veneto diventerà uno Stato indipendente confederato, come la Svizzera». Parola di Daniele Quaglia, presidente del «parlamento dell'autogoverno del popolo veneto», il quale aggiunge: «Non siamo un movimento, siamo istituzione di autogoverno e ci proponiamo in alternativa allo Stato italiano». Parole che, alla vigilia del 150º anniversario dell'Unità d'Italia, alle orecchie di molti suoneranno quanto meno blasfeme. Sono comunque tre i progetti: la polizia «nazionale» (cioè veneta), le targhe venete e le partite Iva venete, in modo da dare la possibilità di pagare le tasse all'autogoverno e non più allo Stato italiano. «Il primo progetto - continua Quaglia - è finito perché in otto siamo tuttora sotto inchiesta per terrorismo e costituzione di banda paramilitare, anche se il reato è stato depennato dopo che il ministro Calderoli ha abrogato il decreto legislativo che lo penalizzava. Per inciso la stessa situazione, ora, si viene a creare con l'episodio che ha coinvolto De Pieri. Il reato, insomma, non esiste più ma la Procura di Treviso è ricorsa alla Corte Costituzionale. Tutto questo ha rallentato i nostri progetti. Ora pian pianino riprenderemo la questione della polizia nazionale veneta. Quanto al resto, erano stati creati prototipi delle targhe, con la possibilità di avere un'assicurazione internazionale per circolare con la targa veneta, ma l'avvento del procuratore Fojadelli ha rallentato il progetto». C'è poi la questione della moneta. «Venezia è stata la prima Repubblica a improntare l'economia sulla moneta e non più sullo scambio oro-materie - spiega Quaglia - in onore a questa tradizione veneta saremo i primi a ripudiare l'euro, in quanto sarà la nostra banca nazionale a emettere la moneta e non la banca centrale. In un sol colpo elimineremo il debito pubblico». Farneticazioni? Non per Quaglia, convintissimo delle sue idee. Ma com'è nato l'autogoverno? «Tutto inizia nel 2000 con varie soluzioni evolutive e, naturalmente, diaspore interne - semplifica Quaglia -. Siamo arrivati al 2009 con le elezioni nazionali del popolo veneto indette nei 1.997 Comuni del territorio dell'ex Lombardo-Veneto, che comprende tutto il Veneto, mezza Lombardia, tutto il Friuli e metà Trentino. Le elezioni sono state convocate il 25 gennaio 2009, lo abbiamo comunicato a Comuni, Prefetture, presidenti di Regione, autorità italiane e internazionali, Onu e Unione Europea. I Comuni avrebbero dovuto mettere a disposizione dell'autogoverno strutture, fondi, organizzazione e sedi. Non è stato fatto, per cui il voto si è svolto solo in un paio di Comuni, lo Stato italiano ci ha snobbato. E' finita che, nonostante il silenzio e le intimidazioni, si sono recati a votare 354 cittadini veneti». E 197 dei 354, a norma di «costituzione», hanno scelto Quaglia come presidente del parlamento veneto. E lui ci tiene a precisare che «c'è un capo di governo nella persona di Albert Gardin». Di Stati costituiti, attualmente, c'è quello di Padova, per il quale De Pieri è stato incaricato dalla struttura federale dell'autogoverno. Il parlamento si riunisce una volta al mese a Spresiano, nella sede condivisa con Life, «Liberi imprenditori federalisti europei».

Treviso. Un topo a spasso per Calmaggiore. Treviso, curiosità fra la gente all'ora dello shopping. TREVISO. Un topo a spasso per la centralissima Calmaggiore. Alle 12.45 il piccolo roditore, grande circa una spanna, è stato notato da un passante che ha subito chiamato il 112 e poi il servizio veterinario. I minuti passavano, però e nessuno si è presentato a catturare l'animale.
Il topo era ferito alla coda e appariva impaurito. Si è rintanato in una caditoia. Avvisato dai passanti, l'assessore ai servizi sociali del comune di Treviso, Mauro Michielon, ha promesso che la zona verrà sottoposta a una nuova disinfestazione.
Calmaggiore è la vià più centrale di Treviso, con tutte le boutique dello shopping "griffato".

Venezia. Unità celebrata in un Comune su quattro. E la presidente della Provincia Zaccariotto attacca: «Festa non sentita». di Enrico Tantucci. VENEZIA. Due nuove mostre. Il restauro di cinque monumenti significativi legati alla storia dell'Italia unitaria: quello di Vittorio Emanuele II in Riva degli Schiavoni, di Daniele Manin mell'omonimo Campo, alla difesa di Venezia in Campo San Salvador e ancora la Colonna Spezzata a ricordo della difesa del ponte sulla laguna e le Sale Savoia di Villa Pisani a Stra. Ma anche una «Notte tricolore» con concerto alla Fenice e musei cittadini aperti fino alle 22, cerimonie ufficiali con alzabandiera e percorsi sui luoghi della memoria, Consiglio comunale e provinciale straordinari dedicati alla ricorrenza. E' solo una parte del ricco programma di iniziative per il 150º anniversario dell'Unità d'Italia che è stato presentato ieri in Prefettura dal prefetto Luciana Lamorgese, dal sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e dall'assessore provinciale alla Pubblica Istruzione Claudio Tessari.  Assente la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto - nonché sindaco leghista di San Donà - e non a caso, visto le dichiarazioni da lei poi rilasciate sulle celebrazioni, anche in relazione alla partecipazione esigua ad esse, con proprie iniziative, dei Comuni del territorio veneziani: una decina in tutto sui 44 totali.  «Questa scarsa partecipazione - dichiara Zaccariotto - è un segnale preciso di disinteresse verso questa celebrazione imposta in cui molti Comuni veneziani e veneti non si riconoscono, anche perché non fa parte della storia di queste terre. Sarebbe come se io volessi celebrare la mia festa di compleanno sei anni prima di essere nato, solo perché mia madre aveva pensato allora alla possibilità di avere una figlia. Istituzionalmente, da presidente della Provincia, io ho fatto la mia parte e applicato la legge che ha istituito questa festa, organizzando relative iniziative anche nel mio Comune, ma quanto a sentirla è un altro discorso e sono in linea con quanto ha già dichiarato il presidente della Provincia di Bolzano Durnwalder, che la trova priva di ogni significato per un territorio che allora non era ancora annesso all'Italia. Vogliono imporcela, calandola dall'alto, ma poi devono fare i conti con questa risposta del territorio. C'è una scarsa condivisione di questa Festa dei 150 anni dell'Unità, di cui chi ha legiferato, dovrebbe adesso prendere atto». Parole dure e polemiche quelle del presidente Zaccariotto, ben diverse da quelle pronunciate ieri dal sindaco Orsoni sulle celebrazioni curate in collaborazione con il presidente del Consiglio comunale Roberto Turetta.  «Venezia - ha detto - è arrivata qualche anno dopo a far parte del Regno d'Italia per cui ritengo che le mostre "Aspettando l'Unità" alla Biblioteca Marciana e "Venezia che spera" al museo Correr rispettino gli eventi politici e la storia della città. Si vivevano allora momenti di attesa: le due esposizioni rendono bene il senso della speranza popolare». Da parte sua, il prefetto Lamorgese ha sottolineato il vasto coinvolgimento di enti e istituzioni veneziane (dalle Soprintendenze alla Biennale, dalla Fondazione Musei Civici, a Conservatorio, Ateneo Veneto, Istituto Veneto, Marciana solo per citarne alcune) all'iniziativa, mentre l'assessore Tessari ha illustrato il programma della Provincia che - oltre al Consiglio straordinario - prevede conferenze sul Risorgimento nelle scuole e questionari fatti compilare agli studenti. A Venezia, preceduto dal Consiglio comunale straordinario del 14, il clou delle manifestazioni si concentrerà appunto il 16 e il 17 marzo, con altre iniziative allargate a tutta la città e alle scuole.

Veneto. Nella Lega è lotta sul fronte Veneto - Partenza in salita per il federalismo regionale. articoli di Lina Palmerini, Eugenio Bruno, Roberto Turno di Lina Palmerini
Una delle discussioni/liti nel consiglio federale dell'altroieri è stata sul Veneto. Nel Carroccio si è fatto di tutto per non far trapelare la notizia di un partito spaccato ma le divisioni ormai diventano più frequenti e più note. Il tema è sempre quello: il controllo del partito guardando in prospettiva alla successione di Umberto Bossi. E così la guerriglia, per ora, è tutta sul controllo dei territori, soprattutto quelli che pesano di più nella geografia leghista.
Partenza in salita per il federalismo regionale (di E. Bruno, R. Turno)
Ed è sul fronte Veneto che di nuovo si sono fronteggiate le due squadre avverse che si combattono nella Lega: quella del "cerchio magico" di chi vive a più stretto contatto – soprattutto fisico – con Umberto Bossi (Federico Bricolo, Marco Reguzzoni, Rosi Mauro) e quella dell'asse a tre Maroni-Calderoli-Giorgetti.
L'obiettivo, lunedì sera, era indebolire Flavio Tosi, il potente e popolare sindaco di Verona, alleato del ministro dell'Interno e pronto a scalare i vertici del partito in Veneto. Una minaccia per il "cerchio magico", che attraverso Federico Bricolo ha proposto in consiglio federale il "commissariamento" del partito provinciale veronese. Dunque togliere di mezzo il segretario provinciale e deputato, Matteo Bragantini (che è un uomo di Tosi), per mandare come "commissario" Alessandro Montagnoli, deputato vicino a Marco Reguzzoni, di cui è anche vice al gruppo della Camera. Un chiaro segnale per indebolire il potere di Tosi e frenare la sua scalata per la guida del Veneto oggi affidata a Gian Paolo Gobbo. Il sindaco di Verona è finito nel mirino del "cerchio magico" non solo per il suo potere crescente ma per l'asse che ha stretto con Maroni, come si è visto nella partita giocata insieme su Unicredit.
È noto che in Veneto sono due gli uomini forti pronti ad assumere il controllo della regione ormai "dominata" dal sole della Padania: Flavio Tosi e Luca Zaia. Bene, anche se Zaia non è parte integrante del "cerchio magico", è naturale che non disdegni le sponde che gli possono arrivare da uomini di punta di quella squadra come Bricolo o Reguzzoni. E dunque sta a guardare. Sta a guardare l'esito di questa partita che rischia di diventare la battaglia per eccellenza nel Carroccio. Già perché al momento è tutto formalmente – ma solo formalmente – sospeso. Umberto Bossi nel consiglio federale di lunedì sera ha fermato il commissariamento e rinviato il congresso provinciale veronese, ma le grandi manovre continuano.
Anche perché finora è stato grazie a "commissariamenti" che il "cerchio magico" è riuscito a spuntare il controllo su territori come quello della Liguria o dell'Emilia-Romagna. È stato Bossi a dare "mandato" a Rosi Mauro sul partito ligure ed emiliano: due territori che infatti sono finiti nella sfera d'influenza di Reguzzoni-Bricolo. Tutti posizionamenti per scalare il partito da dentro e arrivare a combattere la battaglia della successione a Bossi.
Anche le amministrative diventeranno una guerra di posizionamento. Il 15 maggio, primo turno di elezioni, non ci sarà solo il derby del Nord – Lega-Pdl – ma anche quello più interno tra le due fazioni leghiste. Già ieri lo stop di Umberto Bossi su Matteo Salvini vicesindaco a Milano – «a naso non credo sarà lui, e Renzo deve studiare» – è sembrato un altro snodo della lotta interna visto che lui è "inviso" a Reguzzoni. Ma la lettura delle parole del Senatur su Salvini è stata triplice: una dice che l'altolà c'è stato perché è il consiglio federale che deve ancora decidere; l'altra vuole che invece l'abbia spuntata Reguzzoni; l'ultima chiave di lettura è che in realtà c'è un outsider, Igor Iezzi, segretario provinciale milanese che potrebbe ricoprire quel ruolo. L'altra partita sarà su Mantova dove è su Gianni Fava, deputato di punta vicino a Maroni, che la Lega scommette per espugnare la roccaforte rossa. 9 marzo 2011

Mantova. La Bassa? Non è una terra per giovani. Ma mentre l'Oltrepò invecchia, nell'Alto Mantovano record di nuove coppie e figli. Mantova. MANTOVA. «Facciamo quel che possiamo. Gli anziani sono tantissimi. I giovani sempre meno. Abbiamo voluto l'Arcadia... e adesso ce la teniamo». Lo sfogo del sindaco di Carbonara, Gianni Motta, registrato qualche giorno fa, accende un faro su un fenomeno avviato da anni, ma che continua da agire, quasi sottotraccia.  Lenti e impercettibili smottamenti in una zolla, la popolazione mantovana, che da tempo supera i 400mila abitanti, ma che ormai sembra avanzare nel futuro andando in due direzioni diverse. La Bassa scivola verso lo spopolamento e l'invecchiamento, il Nord (Castiglione e dintorni) traina invece la crescita numerica, che comunque c'è, legata soprattutto all'immigrazione. E che, in paesi come Castel Goffredo e Casalmoro, fa registrare il record negli indici di ringiovanimento: fino a +50% di nascite, molti giovani e persone in età lavorativa in rapporto alla terza età. Tutto all'opposto nel Destra Secchia. Borgofranco, e soprattutto Felonica (ma il fenomeno tocca tutti i Comuni del Destra Secchia, con solo qualche eccezione), hanno il record di popolazione over 65 in rapporto ai giovani.  Una provincia a due velocità, dunque, e i report demografici (ad esempio quelli pubblicati ogni anno dall'Osservatorio della Provincia) lo censiscono. Anche se al momento non danno ancora spiegazioni univoche ai due trend. La maggiore offerta di posti di lavoro garantita nell'Alto mantovano, rispetto all'impoverimento economico delle zone a sud legate alla crisi dell'agricoltura, è in cima alle spiegazioni non ufficiali. Specie se a questo si collega il divario fra tassi di immigrazione straniera (nella zona di Castel Goffredo gli stranieri sfiorano il 20% del totale) e al fatto che le donne straniere fanno in media tre figli a testa a differenza delle italiane che ne fanno uno. Ma c'è chi sostiene che il fattore stranieri non basta a spiegare questa divergenza. Altro indizio: se in collina abbondano le famiglie con quattro o più componenti, nella Bassa nella maggior parte delle case vivono in due.  Così, mentre nella zona dei colli si progettano nuove scuole, perché quelle attuali non bastano più ad ospitare tutti, nella Bassa le poche classi vengono accorpate in un unico plesso e le aule abbandonate riconvertite ad altro uso. Ad esempio, per farne un posto per accogliere turisti in bicicletta. Come accade proprio a Carbonara di Po. «Qui ci sono 400 over 65 su 1.350 persone - sbotta il sindaco - A Natale abbiamo voluto regalare una copia della Costituzione per i neo diciottenni e si sono presentati gli unici quattro. Che dobbiamo fare? Abbiamo voluto l'Arcadia...».

Carpi. La Caritas: «Sempre più poveri» Oltre 900 famiglie in difficoltà. di Fabrizio Stermieri. Mille sporte alimentari distribuite in più rispetto al 2009, quasi ottomila accessi in più al punto di vendita di Recuperandia, 911 famiglie che hanno bussato al centro di ascolto di Porta Aperta per chiedere aiuto.  Il quadro della nuova povertà, così come tracciato dalla Caritas diocesana conferma che la crisi economica morde ancora duramente.  «Quanto durerà questa crisi? E' questa la domanda che sempre ci viene rivolta», Alessandro Gibertoni, responsabile del centro di ascolto di Carpi di Porta Aperta sintetizza così lo stato d'animo delle centinaia di persone che anche lo scorso anno si sono presentate a chiedere aiuto ai volontari della Chiesa cattolica. «E' un periodo difficile - dice Gibertoni - scosso da una crisi che sta modificando l'assetto della società della città. Vediamo volti angosciati, di gente alla ricerca di speranza». La Caritas dal canto suo ha fatto un notevole sforzo per aiutare quanti hanno bussato a Porta Aperta; nei tre centri (uno a Carpi, uno a Mirandola, oltre a Recuperandia dove si riciclano i materiali usati, che si trova a Carpi) hanno operato 114 volontari, sono state offerte possibilità di lavoro a 14 persone. Ma i dati sulla povertà sono ancora una volta drammatici: delle oltre 900 famiglie che hanno fatto richiesta di aiuto, il 33 per cento è italiana e spesso sono proprio gli italiani a ritornare più spesso a Porta Aperta, anche per chiedere farmaci. «I bisogni più drammatici rimangono quelli della casa e del lavoro - ammette Stefano Facchini - direttore della Caritas - e su questo fronte non notiamo nessun miglioramento, anzi. Nonostante gli appelli che abbiamo lanciato più volte, non riusciamo a trovare persone disposte a offrire locali da affittare a prezzi modici, anche se a Carpi vi sono ormai tantissimi alloggi sfitti».

Cuneo. I questuanti: poveri, ma ricchi d'inventiva. Dal ragazzo che cammina su e giù per i portici della città chiedendo una sigaretta o degli spiccioli, a quelli che stazionano davanti alle chiese. A Cuneo mancano gli "artisti", come le statue umane immobili. Dal ragazzo che cammina su e giù per i portici della città chiedendo una sigaretta o degli spiccioli, a quelli che stazionano davanti alle chiese. A Cuneo mancano gli "artisti", come le statue umane immobili. Credo che non ci sia nessuno a Cuneo che non si sia imbattuto, almeno una volta, nel tizio che va su e giù per il centro città, sempre con molta fretta, chiedendo, di volta in volta, degli spiccioli o una sigaretta. Magari ti arriva da dietro urlando: “Signoraaa!”, ed io ci casco sempre, mi volto, e visto che è lui, sorvolo e tiro avanti. Bisogna però riconoscergli che non è particolarmente insistente, basta un no e lui desiste.
Cuneo, essendo città tranquilla, lo è anche sotto l'aspetto dei questuanti. Non che non ce ne siano, soprattutto nel giorno più mondano della settimana, il martedì del “famoso mercato”, ma rispetto ad altre città sono in numero piuttosto contenuto. Ed anch'essi hanno subito un'evoluzione. In tempi più remoti, per esempio, passava ad ore determinate seguendo un suo percorso “l'ombrellaio” con 4 o 5 parapioggia tenuti insieme da una corda e raccolti sotto il braccio, ma la maggior parte di loro semplicemente stavano lì immobili a chiedere l'elemosina in posti strategici, come davanti alle chiese.
Più recentemente  i questuanti abbinano quasi sempre una qualche attività alla richiesta di soldi. Negli ultimi tempi vanno molto i musicisti. Qualche anno fa c'era stata l'ondata dei fisarmonicisti rumeni, quasi sempre dei ragazzini che suonavano sotto le finestre delle case per raccogliere qualche spicciolo, ma sono durati pochissimo. Adesso invece i musicisti hanno già sempre una certa età, come il suonatore di fisarmonica che è stato a lungo sotto gli uffici della Provincia, a torturare le orecchie dei poveri impiegati con un repertorio stringatissimo. Comunque ultra professionale visto che era perfino munito del tesserino da ambulante. La maggior parte di questi non è particolarmente dotata con le note, molti sono un vero strazio ed il problema è che spesso hanno anche un piccolo amplificatore e suonano – anzi, più che altro strimpellano qualche accordo – su delle basi preregistrate, e sempre con volumi altissimi.
Ma può anche capitare qualcuno – raro – che ci sappia veramente fare. Qui a Cuneo non ne ho visti, ma altrove sì, come un contrabbassista ammirato in Via Lagrange a Torino, bravissimo, che si stava ad ascoltare veramente volentieri, o un pianista che a Nizza si porta dietro addirittura un pianoforte verticale e staziona in Piazza Massena sotto i portici, tutta gente che ha veramente studiato musica. Non suona ma balla – male – invece, un finto Michael Jackson che si appende anche ai lampioni sulla Promenade des Anglais, sempre a Nizza, per fare le sue evoluzioni, e che a seconda dei giorni, misteriosamente, o ha molto successo o non se lo fila nessuno. Una categoria che da noi non si è ancora vista sono i mendicanti che utilizzano gli animali, non quelli che li tengono semplicemente accanto a sé per fare compassione, ma che li fanno proprio lavorare.
Sempre in Costa Azzurra c'è ad esempio un tizio, vestito da damerino del settecento, che con un appropriato sottofondo musicale fa dei semplici numeri con due o tre gatti che, poveretti, hanno un' espressione sofferta di chi vorrebbe essere da tutta un’altra parte. Però alla gente piace, sebbene ad assistere agli spettacolini di questo tipo si possa incorrere in qualche episodio spiacevole, come quella volta che uno dei gatti si è messo tragicamente a vomitare. Non mi sembra invece di aver mai visto qui due categorie che nelle grandi città vanno per la maggiore: i lavavetri e le finte statue.
Effettivamente a Cuneo i lavavetri non possono contare su tanti semafori in posizioni strategiche o che durino abbastanza per guadagnare decentemente, ma non capisco il motivo per cui le finte statue qui non attecchiscano. Certo sono più adatte alle città d'arte, dove si possono vedere quelle che sono curate sotto ogni particolare e che si guadagnano la pagnotta faticando abbastanza, ma anche quelle, penose, che si esibiscono con il minimo sforzo, magari giusto con una mascherina sulla faccia e che non riescono a stare neanche tanto immobili.
Diciamo che sia degli uni che degli altri ne facciamo a meno volentieri. Tralascio quelli che fanno leva su qualche loro menomazione fisica, che da piccola mi terrorizzavano, ma per fortuna, almeno dalle nostre parti, ce ne sono pochissimi. Una volta a Torino mi è capitato di vedere ai semafori, anziché i lavavetri, dei clown : e' forse questa l'ultima frontiera per i moderni questuanti ?

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