venerdì 4 marzo 2011

Federali della Sera. La necessità di sostenere con aiuti e agevolazioni l'arruolamento tra gli alpini nasce dal fatto che ad oggi quasi il 90% delle penne nere proviene da regioni del Meridione d'Italia. Con le Alpi proprio non c'entrano nulla. Riserve nei concorsi della pa e sconti fiscali, ma solo se del Nord. L'industria concentra l'attività produttiva nei mesi vicini alla raccolta padana, tra fine luglio e metà settembre. E per questo la concorrenza dei paesi nordafricani e dell'Italia meridionale è relativa: Ma la guardia resta alta. 4 marzo 2011.

Sezione Forza Oltre padania:
Bozen. Bolzano: bimbi maltrattati alla scuola materna, 49 parti lese.

Sezione padani contro:
Reggio Emilia. Il Comune vende immobili per complessivi 22 milioni di euro.
Mantova. Per il pomodoro un 2011 in rosso. Seconda annata a rischio perdita: coltivazioni in calo del 10 percento.
Venezia. Federalismo municipale, commercianti e artigiani lo bocciano: «Per noi più tasse».
Venezia. Saltano più di 400 poltrone per consiglieri e assessori.
Imperia. Nuovi poveri, stazione dormitorio.
Roma. La Lega trova un posto agli alpini.
Bozen. Bolzano: bimbi maltrattati alla scuola materna, 49 parti lese. Nessuno dei genitori ha però già deciso la costituzione di parte civile. di Mario Bertoldi. BOLZANO. Sono 49 i soggetti che per il momento risultano parti lese nel procedimento per presunti maltrattamenti a carico di due operatrici della cooperativa «Coccinella» di Bolzano. Per il momento ancora nessuno dei genitori coinvolti ha già deciso di costituirsi parte civile al processo. Con il deposito della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero Donatella Marchesini si sono nel frattempo delineate le posizioni che hanno portato a sostenere a carico delle due insegnanti (che hanno 19 e 24 anni) ipotesi di accusa piuttosto pesanti. Dalle carte del procedimento emerge un quadro probatorio del tutto anomalo frutto più che altro di divergenti valutazioni di fatti realmente avvenuti nell'ambito della normale attività dell'asilo nido di via Bari. In altre parole le due insegnanti non negano assolutamente che determinati episodi siano avvenuti, ma contestano assolutamente che possano essere inquadrati in una sorta di maltrattamento nei confronti di alcuni bambini. Tra il resto il maltrattamento è un reato abituale che prevede una condotta penalmente rilevante ripetuta nei confronti di un soggetto. Situazione che, secondo l'avvocato Alessandro Tonon, non sarebbe riscontrabile per i singoli bambini ospiti dell'asilo finito sotto inchiesta. Al di là delle argomentazioni giuridiche, però, andranno valutati anche i singoli episodi contestati. In primo luogo quello delle coperte utilizzate per coprire il viso dei bambini messi a dormire nel primo pomeriggio. Le insegnanti ammettono di aver utilizzato l'escamotage della coperta sopra il viso per agevolare il sonno dei piccoli. Contestano però che si trattasse di un'azione in qualche maniera punitiva e affermano di aver sempre utilizzato quel metodo semplicemente perchè nella cameretta dove i bambini venivano messi a letto mancavano le tende e spesso l'eccessiva luce disturbava il tentativo dei bambini di prendere sonno. Un altro punto al centro di diverse valutazioni oggettive riguarda la cosiddetta «sedia camomilla» o «sedia del pensiero». Anche in questo caso alcuni genitori hanno segnalato che i loro figli sarebbero stati messi in castigo e costretti a restare seduti su una sedia con la faccia rivolta contro il muro. In realtà si sarebbe trattato - afferma la difesa - del tentativo delle insegnanti (su indicazione di esperti psicologi) di far meditare i bambini coinvolti in episodi spiacevoli con altri piccoli ospiti. Un altro episodio contestato dalla magistratura riguarda una «tiratina» d'orecchi che una maestra avrebbe messo in atto nei confronti di un bambino un po' vivace e l'accusa di aver, in alcuni casi, omesso di far mangiare in maniera adeguata i piccoli. Nel fascicolo sono a verbale le testimonianze dei genitori coinvolti, mancherebbero però riscontri concreti. Come nel caso di una mamma che avrebbe raccontato di aver notato un bimbo «assicurato» con una cintura ad un seggiolone. Anche in questo caso con una doppia «lettura» dell'episodio. Metodi coercitivi per i genitori, necessaria sicurezza durante la pulizia di un pavimento per le insegnanti.
Reggio Emilia. Il Comune vende immobili per complessivi 22 milioni di euro. La torre dello stadio Giglio, terreni, diritti edificatori, la metà della sede della Croce Verde, alcuni immobili in via Gastinelli, la copertura del garage sotterraneo dell'hotel Astoria e i sette centri diurni di proprietà del Comune. Beni immobili che saranno ceduti nel corso del 2012.  Questi sono solo alcuni dei beni immobili, contenuti in una lunga lista, che la Giunta comunale ha deliberato a metà febbraio di cedere nel corso del 2012, per far cassa e garantire il funzionamento della macchina comunale e dei servizi. Una scelta che lo stesso Graziano Delrio aveva già anticipato alla presentazione del bilancio 2011 e che si aggiunge a quella di cedere a Fcr 10 milioni di azioni di Iren al di fuori dal patto di sindacato. In alcuni casi, come in quello dei sette centri diurni (di cui verrà ceduta solo la nuda proprietà, con un vincolo di uso e messi a bilancio per un importo di 6.9 milioni di euro), si tratterà di un «giro di cassa» al pari della cessione a Farmacie comunali riunite delle azioni di Iren, con la cessione con ogni probabilità a Fcr, viste le difficoltà di bilancio di Rete.  Tutte le cessioni immobiliari consentiranno, come prevede la legge, di aggirare il blocco degli investimenti e del pagamento dei fornitori del Comune imposto dal Patto di stabilità da un lato, mentre dall'altro si tratta di operazioni immobiliari, per far fronte ai tagli che nel 2012 si aggiungeranno a quello di 11 milioni che si è abbattuto sul bilancio del Comune di Reggio.  A confermare la lista dei beni immobili che saranno ceduti è la dirigente del servizio finanziario del Comune Monica Prandi, che ha anche spiegato come gli immobili saranno alienati solo nel 2012, al termine di una istruttoria per verificare che vi siano i presupposti giuridici e tecnici e individuate tutte le procedure corrette.  Per quanto riguarda il valore dei singoli immobili iscritti a bilancio - in misura prudenziale, dicono dal Comune - si va dai 400mila euro per il «lastricato solare» (la copertura del garage dell'Astoria su cui insiste un vincolo architettonico, ma potrebbe diventare una distesa estiva), ai 650 mila euro degli immobili in via Gastinelli, (la stessa via dove ha sede Iren), i 2.5 milioni di euro del 50% della nuova sede della Croce Verde e i 3 milioni per la torre B dello stadio. Discorso a parte, meritano poi i Centri diurni, che saranno ceduti con un vincolo immobiliare, per evitare che diventino villette o maisonettes.
Mantova. Per il pomodoro un 2011 in rosso. Seconda annata a rischio perdita: coltivazioni in calo del 10 percento. Nel 2010 l'industria pagava 7 euro al quintale, nel 2011 si salirà a 8,80. Visto così, il contratto firmato nelle settimane scorse dai produttori di pomodoro è manna dal cielo. Ma le stime degli agricoltori prevedono un'annata in perdita. La seconda consecutiva.  Colpa del cosiddetto disaccoppiamento dei contributi comunitari (non più vincolati alla continuazione della coltivazione di pomodoro), dell'aumento dei costi di produzione e della sostanziale impossibilità di raggiungere gli standard qualitativi richiesti dal contratto. E così, nonostante la firma unanime, le organizzazioni protestano. Lo fanno con decisione Confagricoltura e Cia e anche Coldiretti, che pure non ha bocciato l'accordo «perché capace di tutelare il made in Italy», ha sottolineato che 8,80 euro al quintale sono un prezzo insoddisfacente. Sottoscritto perché una garanzia, benché considerata minima, è necessaria.  MANTOVA EMILIANA. Il pomodoro che si produce al nord è destinato quasi esclusivamente alla lavorazione industriale: polpe, passate, succhi e conserve concentrate. Moda del chilometri zero a parte, sui banchi degli ortolani va soprattutto quel che viene raccolto d'estate al sud o nell'Africa settentrionale o quel che esce dodici mesi all'anno da serre e coltivazioni idroponiche (in acqua). Questione di qualità, perché dove c'è più caldo il contenuto di zuccheri e il colore sono di altro livello e dunque ai consumatori si preferisce vendere i pomodori più attraenti. Ma anche questione strettamente logistica: le industrie, collocate soprattutto in Emilia Romagna, hanno bisogno di prodotto fresco e dunque comprano dagli agricoltori della zona, diventandone gli unici sbocchi di mercato. Per questo l'Emilia è storicamente la regione del nord più ricca di pomodori. Dunque è la geografia - leggi la vicinanza con l'Emilia - a far sì che Mantova domini la produzione in Lombardia: l'anno scorso sono stati coltivati 3.300 ettari, con un reddito superiore a 19 milioni di euro. La quota mantovana sul mercato nazionale sfiora il 10%.  CONCORRENZA. Al netto di eventuali importazioni clandestine dall'estero - periodici gli allarmi degli agricoltori - negli stabilimenti emiliani si lavora quasi solo prodotto locale: per fare polpe serve un pomodoro consistente, dunque freschissimo ed esente da lunghi viaggi. Per questo l'industria concentra l'attività produttiva nei mesi vicini alla raccolta padana, tra fine luglio e metà settembre. E per questo la concorrenza dei paesi nordafricani e dell'Italia meridionale è relativa: «Ma la guardia resta alta - avverte Corrado Ferrari (nella foto sotto) responsabile dei produttori di pomodoro di Confagricoltura - e quindi dalla legge sull'etichettatura ci aspettiamo molto, perché i casi sospetti in passato non sono mancati».  CONTRATTO. Più che la concorrenza sono gli accordi siglati con l'industria a preoccupare i produttori, anche se il punto di partenza è che il mercato non sorride né agli uni né agli altri. Il contratto per il 2010 prevedeva 7 euro al quintale più un premio dall'Ue di 1.100 euro per ogni ettaro destinato al pomodoro, con una richiesta di garantire una resa di 590 quintali per ettaro. Quest'anno l'accordo è stato chiuso a quota 8,80 euro con una quota di 680 quintali per ettaro, ma gli aiuti sono disaccoppiati, cioè non riservati a chi pianta ancora pomodoro ma assegnati a chi lo ha prodotto negli ultimi anni, indipendentemente dalle scelte della prossima campagna. Tutt'altro che un dettaglio, perché stiamo parlando di una coltura che ha forte bisogno di rotazione. Non solo: i contributi vanno esclusivamente ai proprietari terrieri, dunque chi ha lavorato appezzamenti in affitto e li abbandona resta a bocca asciutta.  STIME NERE. Che l'accordo non soddisfi è evidente già dalle previsioni di semina: per il pomodoro si parla di un -10% in provincia. Intanto i produttori fanno i conti e cercano di immaginare il 2011. Ferrari ci mostra due scenari. Il primo muove dal prezzo sancito dal contratto e mostra il raggiungimento di un sostanziale equilibrio tra costi (6mila euro all'ettaro) e ricavi (5.984 euro). Già a questo punto del ragionamento c'è poco da sorridere, perché sarebbe un'annata di lavoro senza guadagno. «Ma il problema vero è che quegli 8,80 euro al quintale sono un prezzo puramente teorico, che non incasseremo - spiega Ferrari - è una quota che ci viene riconosciuta solo se il pomodoro raggiunge standard qualitativi fuori dalla portata delle nostre campagne: negli ultimi venti anni ci siamo riusciti solo nel 2008. Quindi, contratto alla mano, ci verrà riconosciuto un importo inferiore. Se non ci saranno piogge troppo abbondanti come l'anno scorso, porteremo a casa 8-8,20 euro al quintale». Quasi il 10% in meno. Dunque il calcolo originario va aggiornato e i ricavi attesi scivolano da 5.984 a 5.508 euro al quintale. Con i costi di produzione stimati in 6mila euro e a serio rischio impennata, vista la situazione nordafricana e i rincari del petrolio che si rovesciano su gasolio e concimi.
Venezia. Federalismo municipale, commercianti e artigiani lo bocciano: «Per noi più tasse». Cauti anche gli industriali. Categorie in rivolta contro la tassa di soggiorno e l’Imu: per ogni immobile si pagheranno in media 108 euro in più. VENEZIA — Il federalismo municipale non piace alle imprese del Veneto. Il che, c’è da credere, non farà felice la Lega Nord, che sulla riforma ha il copyright e proprio qui, tra le partite Iva, vanta la sua roccaforte. Tant’è, all’indomani del voto alla Camera, dai commercianti agli artigiani, passando per gli albergatori, è tutto un lamentarsi per le nuove tasse che, si teme, potrebbero frenare la già lenta ripartenza della locomotiva Nord Est. Con l’unica eccezione degli industriali, guardinghi ma non ancora del tutto demoralizzati.
Picchia duro Massimo Zanon, presidente di Confcommercio: «L’effetto immediato del federalismo municipale sarà solo l’introduzione di nuove tasse, che per i nostri settori si tradurrà nell’aumento dell’imposta legata all’Imu e nella reintroduzione della tassa di soggiorno. Del federalismo abbiamo bisogno tutti ma con il federalismo questo provvedimento, per ora, c’entra ben poco. Non vedo tagli significativi agli sprechi, mentre chi paga le tasse ne pagherà ancora di più. Non siamo più le galline dalle uova d’oro». Stando alle stime della Confcommercio, il passaggio dall’Ici all’Imu (fissata all’aliquota base del 7,6 per mille) comporterà una spesa maggiore per le imprese pari a 812 milioni di euro, con un aumento medio in Veneto del 16,6% (Ufficio studi Cgia), pari a 108 euro di media per ciascuna unità immobiliare. Per il presidente di Confartigianato Veneto, Claudio Miotto, «questo decreto non è un inno alla responsabilità e al momento si vedono più svantaggi che vantaggi, visto che i Comuni vedono aumentare i costi e ridurre le entrate» mentre il suo luogotenente a Treviso, Mario Pozza, affonda la lama: «E’ l’ennesimo macigno sulla testa di chi tenta di agguantare la ripresa che ancora non c’è, ancor più inaccettabile alla luce dei tagli fatti dalla Regione. Lo scenario internazionale sta precipitando, con conseguenze che si annunciano gravi, se non lo sono già come nel caso del prezzo del petrolio, mentre la politica nazionale è in empasse, con un governo debole ed una debole opposizione».
La galassia dell’artigianato è quella più critica nei confronti della riforma (per Oreste Parisato, leader Cna, si tratta di «un provvedimento con molte ombre, perché dal federalismo ci aspettavamo più equilibrio nel rapporto tra gettito erariale e spesa pubblica, di certo non che aumentasse ulteriormente la pressione fiscale») ma anche nel mondo del turismo non si sta facendo festa. E sul banco degli imputati, dopo l’Imu, sale la tassa di soggiorno: «I nostri alberghi praticheranno l’esercizio del culto - ironizza il presidente di Confturismo, Marco Michielli - D’altronde nella camera d’albergo o in roulotte ciascuno può pregare il dio in cui crede e non si capisce perché solo le strutture extralberghiere e le foresterie legate alle organizzazioni di culto che svolgono attività ricettiva a tutti gli effetti vengano esentate da un’imposta che torna a gravare sulle attività laiche, con effetti devastanti sulle famiglie in vacanza in Italia oltre che sull’immagine del nostro Paese all’estero. E’ un federalismo irriconoscibile rispetto ai (buoni) propositi iniziali, non trovo la corrispondenza tra le promesse e fatti».
Meno drastica Confindustria, che con il leader dei «piccoli» Luca Cielo invita ad aspettare prima di pronunciare sentenze inappellabili: «Il federalismo municipale è un capitolo con contenuti ancora da decifrare compiutamente nelle conseguenze e tuttavia rappresenta un tassello di un disegno più ampio, che nel suo complesso potrà essere positivo. Il Paese ha bisogno di competitività e di liberare risorse economiche e sociali e un’organizzazione federale può essere uno strumento positivo per esprimere la vitalità presente nei territori e nei sistemi economici regionali. Purché non si dia lettura arretrata che ci porterebbe ad un’organizzazione fondata su Comuni, Province, Regioni, Stato senza gerarchia e baricentro decisionale ». Ma.Bo.
Venezia. Saltano più di 400 poltrone per consiglieri e assessori. Al voto Provincia di Treviso, Rovigo e 75 Comuni. Decise le date, veneti alle urne il 15 e 16 maggio. VENEZIA — Via quattrocento «poltroncine » dagli enti locali veneti. Dalle elezioni del prossimo 15 e 16 maggio, con eventuale ballottaggio il 29 e 30 maggio, verrà applicata per la prima volta la riduzione dei consiglieri e degli assessori della Provincia di Treviso e dei 76 Comuni che andranno alle urne, tra i quali Rovigo. Lo prevede una norma del 2009 per contenere la spesa pubblica. Gli amministratori locali della regione sono preoccupati. A fronte di risparmi irrisori—sostengono—verranno a mancare energie ed idee. Ad essere scettica è innanzitutto l'Anci del Veneto. «E' ridicolo vendere questa operazione come un risparmio — spiega Giorgio Dal Negro, presidente dell'Anci del Veneto nonché sindaco leghista della cittadina veronese di Negrar — I consiglieri comunali nella maggioranza dei Comuni prendono 19 euro a seduta e non ne fanno più di dieci all'anno, mentre gli assessori tra i 400 e gli 800 euro se sono a tempo pieno». Insomma, in bilancio l'effetto sarà «ridicolo».
«Abbiamo chiaramente detto al ministro Calderoli che siamo d'accordo solo - precisa Dal Negro - se i tagli arrivano a livello nazionale, altrimenti abbiamo solo fatto finta». Con la beffa finale della decisione, contenuta nel decreto Milleproroghe, di esonerare dalla riduzione le città con oltre un milione di abitanti. Nessuna delle quali, evidentemente, in Veneto. Dopo le elezioni la politica regionale perderà quindi un piccolo esercito. Le amministrazioni che saranno rinnovate saranno 76, anche se nei Ccomuni commissariati di Bovolone e Castagnaro le elezioni potrebbero slittare al 2012 (non andrà al voto neanche Caorle, il sindaco ha ritirato le dimissioni). Complessivamente i consiglieri comunali che saranno tagliati sono ben 288. Ancora più pesante il taglio degli assessori: i posti disponibili saranno calcolati sulla base di un quarto (e non più di un terzo) dei componenti del consiglio comunale. Il loro numero può comunque variare, in base agli statuti. Risultato: fino a 126 poltrone in meno. Anche gli organi politici della provincia di Treviso saranno ridimensionati dopo la tornata elettorale: il consiglio avrà 28 membri invece di 36, mentre della giunta faranno parte non più di 8 assessori, mentre ora il limite è 12. Il presidente attualmente in carica, Leonardo Muraro, è deluso. «Come sempre sono gli enti più vicini al territorio quelli che subiscono - afferma - le maggiori imposizioni». L'esponente della Lega Nord accetta però la scelta del Governo «per senso di responsabilità ». Un primo effetto è che non ci sarà più spazio per politici part-time: tutti gli assessori, annuncia il presidente della Provincia di Treviso, dovranno mettersi in aspettativa per dedicarsi a tempo pieno all'attività pubblica. Gli uffici stimano che per la provincia il risparmio complessivo sarà di circa 200mila euro all'anno, mentre per un comune medio come Montebelluna non si superano i 30mila euro. Per Laura Puppato, ex sindaco di Montebelluna, oggi consigliere regionale del Partito democratico, non ne valeva la pena. «Non c'è proporzione tra l'indennità percepita e il lavoro svolto da consiglieri e assessori— dice Puppato — è stata una decisione crudele e demagogica: i veri costi della politica sono quelli dei vergognosi ed elevatissimi dei parlamentari». La sua città è d'altronde doppiamente penalizzata, dato che all'epoca del censimento 2001 non aveva ancora superato i 30mila abitanti. In giunta rimarranno perciò solo in 5. «Sarà una follia governare con soli quattro assessori, che solo per la responsabilità penale e civile - sottolinea Puppato - dovrebbero essere retribuiti tre volte tanto». Tutti d'accordo insomma: così non si risparmia. Compreso Guido De Zordo, sindaco di Cibiana di Cadore nel Bellunese, che con meno di 500 abitanti è il più piccolo dei Comuni sotto elezioni: «I nostri consiglieri - sottolinea - sono un presidio sul territorio». Massimo Favaro
Imperia. Nuovi poveri, stazione dormitorio. 04 marzo 2011 patrizia mazzarello Aumentano i nuovi poveri. E sempre più spesso le strade e le stazioni di Ventimiglia e Bordighera si popolano di clochard, persone di passaggio o senza fissa dimora, profughi: in totale almeno una settantina di persone che ogni sera si preparano per trascorrere la notte all'addiaccio. Parte insomma da una vera e propria emergenza il nuovo servizio della Caritas intemelia. La quale, grazie ad un operatore ma soprattutto grazie ai suoi volontari, dalla prossima settimana scenderà in strada per fornire almeno una prima assistenza a queste persone, tra le quali non mancano neppure diverse donne in difficoltà. Il progetto, finanziato anche dalla Regione Liguria e dal Distretto Socio Sanitario ventimigliese, prevede l'utilizzo di un'auto della Caritas, che sarà riconoscibile grazie a targhe apposte ai lati dell'autovettura, con a bordo un educatore ed un volontario dell'associazione che distribuiranno coperte, vestiario (guanti, sciarpe, cappelli), bevande calde e qualche snack in favore di persone senza dimora che pernottano per strada. Il servizio, almeno per il momento, verrà garantito per due sere la settimana, dalle 21 alle 24, con possibilità anche di un eventuale potenziamento.
«La situazione - sostiene la responsabile della Caritas Intemelia Enrica Nasi - è in continua evoluzione. Ma non è esplosa solo in questi giorni. Ormai sono mesi che assistiamo ad una crescita di persone che dormono per strada. E da tempo, soprattutto nelle sere più fredde, le stazioni ferroviarie di Bordighera e Ventimiglia vengono aperte per garantire almeno un riparo ai senza tetto. Ogni notte, nella sola stazione ventimigliese, ci sono dalle 35 alle 50 persone».
Si tratta di italiani in grave difficoltà, che dopo il lavoro hanno perso anche la casa. Molti hanno anche problemi di salute o di dipendenza, che hanno accelerato questa drammatica deriva. Ma notevole è anche il numero degli stranieri, che sempre più spesso vengono notati soprattutto nelle aree della stazione ferroviaria. Persone che non hanno nulla, neppure i soldi per un caffé.
L'auto della Caritas andrà incontro ai senza tetto, raggiungendoli dove si trovano: in stazione, ma anche nell'area intorno ai giardini, per le vie del centro, nella zona del ponte sul Roia, di notte spesso flagellata dal vento. «E' un progetto che doveva partire da tempo, ma siamo riusciti ad organizzarlo solo ora, grazie allo stanziamento di 12 mila euro», sottolinea ancora la responsabile della Caritas. Intanto, si stanno mobilitando anche le parrocchie. Chi vuole può consegnare generi alimentari a lunga scadenza o vestiario in buono stato. In particolare servono coperte, sciarpe e cappelli.
Roma. La Lega trova un posto agli alpini. Riserve nei concorsi della pa e sconti fiscali, ma solo se del Nord. di Alessandra Ricciardi  Ci sono le agevolazioni fiscali. Poi quelle assistenziali. E se non bastasse, «mi voglio rovinare» verrebbe da dire, per rendere ancora più invitante l'offerta, ci sarà una riserva di posti nei concorsi pubblici. Insomma, un aiutino per trovare l'agognato impiego fisso. Tutto pur di rendere allettante per i ragazzi delle regioni del Nord l'arruolarsi tra le penne nere. La riforma del reclutamento dei militari volontari nei reparti delle truppe alpine è un vecchio progetto della Lega Nord, assai caro al senatur Umberto Bossi, che ora punta a diventare realtà. Complice il clima politico assai teso, e la necessità per il Pdl di non perdere l'appoggio dell'alleato leghista, il relativo ddl ha superato vari scogli in commissione difesa alla camera, e lunedì sarà al voto dell'aula per il via libera. Con il sostengo di tutto il centrodestra. Relatore di maggioranza, il leghista bellunese, e storico alpino, Franco Gidoni.
L'obiettivo è di riuscire ad incassare il primo sì in tempo utile per i festeggiamenti dell'Italia unita del 17 marzo prossimo.
La necessità di sostenere con aiuti e agevolazioni l'arruolamento tra gli alpini nasce dal fatto che ad oggi quasi il 90% delle penne nere proviene da regioni del Meridione d'Italia.
Con le Alpi proprio non c'entrano nulla. Le modifiche messe in campo dalla Lega incidono sul codice dell'ordinamento militare. A partire dal prossimo anno le regioni e gli enti locali, forti del federalismo, potranno incentivare il reclutamento alpino nei rispettivi territori riconoscendo benefici, di natura non continuativa, di carattere fiscale e di carattere assistenziale.
Le agevolazioni, recita il ddl, andranno ai volontari in ferma prefissata e in rafferma presso il corpo che hanno la residenza negli stessi territori dove prestano servizio. Chi cessa dal servizio senza demerito potrà usufruire (la competenza a fissare il come e il quando è sempre delle regioni e degli enti locali) di riserve di posti nei concorsi banditi a livello locale per impieghi relativi ad attività di sicurezza e protezione civile. Oltre a tentare la strada dell'arruolamento definitivo, per la copertura dei posti rimasti scoperti, negli stessi organici dei reparti alpini: avranno una corsia preferenziale. Per la ferma costituirà titolo preferenziale il possesso di brevetti di alpinismo, sci e soccorso in montagna, ma anche l'adesione a organizzazioni di volontariato che operano in settori correlati alle attività alpine
Un ruolo decisivo è riconoscimento all'associazione nazionale alpini che promuove, d'intesa con il ministero ella difesa, il reclutamento volontario nei reparti. Per le sue attività, l'associazione avrà un finanziamento annuo di 200 mila euro. Il sole delle Alpi può sorridere.
 

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