sabato 19 marzo 2011

Federali-Sera. 19 marzo 2011. Le celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia hanno registrato un significativo mutamento di clima. I sismografi satellitari manifestano un positivo cambiamento di umore attorno all’Unità del Paese, che al netto della retorica, sempre in agguato, può aiutare a socchiudere il portone. L'ostracismo e la diffidenza con cui, quasi 160 anni fa, furono accolti in Calabria i fratelli Bandiera, rimane ancora ben presente nelle società meridionali. Ostracismo e diffidenza che miscelato con l’innato senso di rassegnazione, altro fattore caratterizzante tipicamente e antropologicamente meridionale, hanno finito per produrre la storica subalternità del Mezzogiorno. Dunque viva l'Italia! L'Italia che riconosce e promuove le autonomie locali; che tutela le minoranze linguistiche. Per i pic-nic arriva il cestino calmierato.

Luis ha vinto; complimenti Landeshauptmann:
Bozen. Gli italiani festeggiano con bandiere e cerimonie Ma i tedeschi disertano.
Bozen. Salghetti accusa la giunta di Bolzano: «In Piazza Municipio una festa da carbonari»
Merano. Unità d'Italia: una festa in sordina.
Bressanone. Unità, i cittadini: «Occasione persa».
Belluno. Bottacin: viva l'Italia unita e federale.
Belluno: buco in Provincia, lunedì la soluzione.
Belluno: cresce la presenza degli stranieri. Specie da Polonia, Cechia e Usa.
Agordo. Belluno. Tutti i «colori» di una bandiera.

Logiche che penalizzano chi legge:
  Varese. Napolitano a Varese: città blindata.
Mantova. Inno e alzabandiera. Emozioni in piazza Ruffo: viva l'Italia.
Solferino aspetta Napolitano «Qui l'ombelico della festa».
Per l'Unità va rottamato Renzi
Basta con le logiche che penalizzano il Sud
Alpini, tornano quelli del Nord «La crisi spinge ad arruolarsi»
Così si può giocare ad armi pari.



Bozen. Gli italiani festeggiano con bandiere e cerimonie Ma i tedeschi disertano. di Maurizio Dallago. BOLZANO. Unità d'Italia: Bolzano si riempie di migliaia di Tricolori. Cerimonie istituzionali e di partito, ieri in città, ad iniziare dall'alzabandiera in piazza Municipio. Festeggiano gli italiani, anche se in ordine sparso. Manca completamente il gruppo tedesco. Tante le manifestazioni per i 150 anni dello Stato unitario. Coinvolgono maggiormente e fungono da collante interno al gruppo italiano quelle istituzionali, come l'alzabandiera di primo mattino davanti al Comune o il concerto della fanfara dell'Arma. Poi ogni partito politico festeggia come vuole. A fronte delle celebrazioni, c'è un solco profondo tra italiani e tedeschi, questi ultimi lontani anni luce dalla ricorrenza e pressoché assenti ovunque: unica eccezione Pichler Rolle al concerto dei carabinieri. Non c'era un esponente del gruppo tedesco a nessuna della manifestazioni ufficiali e la città ha manifestato una netta divisione tra quartieri per quanto riguarda l'esposizione del Tricolore. Migliaia di bandiere a Don Bosco, zona Europa e Novacella, a Oltrisarco. Raro il vessillo nazionale a Gries e centro storico dove vive la gran parte dei sudtirolesi, sulla linea annunciata qualche settimana fa dal presidente Durnwalder, ovvero di non condivisione della festa nazionale.  Ma se il gruppo tedesco si è tenuto alla larga da ogni celebrazione, non è stato così nei rioni italiani. Una giornata iniziata alle 8.30 in piazza Municipio con un picchetto di alpini e le massime autorità dello Stato e della politica italiana. A seguire l'alzabandiera il prefetto Testi, il questore Rotondi, gli assessori provinciali Tommasini e Bizzo, il sindaco Spagnolli, l'onorevole Holzmann, parecchi consiglieri comunali e provinciali e naturalmente i vertici militari e delle associazioni combattentistiche e d'arma. Altro momento condiviso dal gruppo italiano è stato poi quello legato al concerto della fanfara dei carabinieri presso l'auditorium in via Dante. Quindi i partiti politici e associazioni a procedere in ordine sparso. Sel, Cgil e partigiani in piazza Adriano a deporre una corona al monumento ai Caduti per la libertà, il Pd al circolo Don Bosco in via Resia, Futuro e libertà con una manifestazione nazionale ed un corteo fino a Palazzo Widmann per protestare contro la scelta di Durnwalder di non partecipare alle cerimonie per l'unità d'Italia. E poi il comitato presieduto da Michaela Biancofiore (Pdl) che in piazza Tribunale ha organizzato stand gastronomici da altre regioni italiane e una lezione di storia con Giordano Bruno Guerri. Un gigantesco Tricolore ha coperto il duce a cavallo sul frontone del palazzo degli uffici finanziari. In tutte le occasioni i rappresentanti dei partiti hanno rimarcato il valore dell'unità nazionale, mettendo l'accento - quelli di centrosinistra - sul valore della Costituzione.  Durnwalder a lavorare come un giorno qualunque, Eva Klotz a pensare ancora alla riannessione all'Austria. Tommasini e Spagnolli alla cerimonia ufficiale a Montecitorio con Napolitano. Poi, con tanta dignità, le migliaia di bolzanini - perloppiù anonimi - che ieri hanno esposto il Tricolore, di dimensioni differenti, a volte piccole bandierine, altre a coprire più piani di caseggiati. Voglia vera di festeggiare e di rimarcare il valore unitario della nazione, aldilà delle piccole beghe etniche di tutti i giorni, con una considerazione su tutte: valorizzare l'Italia delle differenze e delle autonomie. 

Bozen. Salghetti accusa la giunta di Bolzano: «In Piazza Municipio una festa da carbonari» L'ex sindaco Giovanni Salghetti Drioli interpreta la delusione di molti italiani. Frena (Pd) respinge le accuse. BOLZANO. «L'alzabandiera davanti al Municipio è stata una delusione. Cinque minuti ed è finito tutto. Una cosa da carbonari. Per i 150 anni dell'Unità d'Italia mi aspettavo di più».
L'ex sindaco Giovanni Salghetti Drioli interpreta la delusione di molti italiani.
Mentre la cerimonia di Bolzano è stata sbrigativa, a Trento, come nel resto d'Italia, ci sono stati gli interventi dei rappresentanti delle istituzioni a sottolineare l'importanza dello storico evento.
Ma se nel capoluogo si è fatto poco - oltre all'alzabandiera, all'auditorium di via Dante c'è stato il concerto della fanfara dei carabinieri - a Merano non c'è stata neppure una cerimonia ufficiale: le uniche iniziative sono state quelle promosse dall'Ana e da un circolo culturale. L'anniversario è stato assolutamente ignorato anche dall'amministrazione brissinese (l'Ana ha fatto l'alzabandiera a Fortezza, ndr). Tanto che più d'un brissinese è venuto a Bolzano in cerca della festa. Nei quartieri italiani tanti tricolori a testimonianza del forte desiderio di una parte della popolazione di festeggiare lo storico anniversario.
Ma il segretario del Pd Antonio Frena respinge le critiche: «Abbiamo fatto quello che si doveva fare, evitando di esacerbare gli animi con eccessivo nazionalismo. Non si può mai dimenticare la particolare situazione altoatesina e comunque il vicepresidente della Provincia Tommasini, il sindaco Spagnolli e l'onorevole Gnecchi hanno rappresentato l'Alto Adige nella cerimonia ufficiale col presidente della repubblica Napolitano a Roma».
La particolarità di questa terra la conosce perfettamente Salghetti, sindaco per due mandati del capoluogo, ciononostante rivendica per il gruppo italiano il diritto a festeggiare in maniera dignitosa un anniversario importante come sono i 150 anni
dell'Unità d'Italia.
«Sono convinto - dice - che i sudtirolesi ci stimerebbero e ci rispetterebbero di più se anche noi, come loro, difendessimo la nostra identità. Temendo di essere tacciati di nazionalismo, siamo sempre più rinunciatari. Sono sicuro invece che, se anche a Bolzano avessimo festeggiato come nel resto Italia, il gruppo tedesco avrebbe capito. Anche perché non era una festa contro qualcuno, ma per ricordare un anniversario storico per il nostro Paese».
L'ex sindaco, che l'altra mattina alle 8.30 era davanti al Municipio per l'alzabandiera, interpreta la delusione di chi si attendeva una cerimonia caratterizzata da una certa solennità: «È normale che ci siano rimasti male: è stata una cerimonia fatta in modo quasi furtivo. Cinque minuti ed era tutto finito. Ritengo che in occasioni come queste o si fa una cosa dignitosa o non si fa nulla. Mi aspettavo almeno due parole da parte del sindaco sul significato di quest'evento. Come per altro è avvenuto nel resto del Paese. È un peccato perché proprio dalle istituzioni dovrebbe venire il «la» che risveglia il senso di identità di un popolo. Non dobbiamo avere sempre paura di essere tacciati di nazionalismo. Il rispetto reciproco tra gruppi linguistici diversi passa anche attraverso la consapevolezza della propria identità».

Merano. Unità d'Italia: una festa in sordina. Città vuota e poche bandiere ma affollata cerimonia in sala civica. MERANO. Giornata uggiosa, pioggia battente, negozi chiusi e strade vuote, poche bandiere alle finestre, ieri Merano ha vissuto con distacco la giornata inaugurale dei festeggiamenti per il 150º dell'unità d'Italia. Uniche manifestazioni ufficiali, l'alzabandiera di prima mattina (ma in forma privata) alla sede dell'Associazione nazionale alpini di via Palade, e l'appuntamento in sala Civica organizzato dal Circolo culturale meranese del cavalier Giuseppe Giordano, che è stato capace di raccogliere oltre 130 presenze.  Negozi chiusi si diceva (salvo qualche rarissima eccezione), con l'esclusione di un paio di supermercati (Iperspar e Poli) che peraltro sono soliti tenere le saracinesche aperte anche il primo maggio, festa del lavoro.  I festeggiamenti per il 150º anniversario dell'unità d'Italia, dicevamo, hanno preso il via ieri mattina in città con la cerimonia tenutasi presso la sede meranese dell'Associazione nazionale alpini in via Palade (presenti anche rappresentanze dei gruppi di Sinigo, Marlengo, Malles e Silandro). Un momento solenne che per volontà del presidente nazionale Corrado Perona è stato celebrato in contemporanea presso tutte le sedi dello stivale con un rigido quanto semplice cerimoniale: ore 9.15 alzabandiera, quindi lettura del messaggio di Perona e poi il rompete le righe. Davanti ad una trentina di "veci" e alla presenza di alcuni esponenti del mondo politico locale, il capogruppo Alfredo Torneri ha letto le parole del presidente nazionale che, per uno dei passaggi principali del suo messaggio, ha citato testualmente Oriana Fallaci ed in particolare alcuni periodi tratti dal libro "La rabbia e l'orgoglio".  "Naturalmente la mia Patria, la mia Italia, non è l'Italia di oggi. L'Italia godereccia, furbetta, volgare degli italiani - scriveva Fallaci - l'Italia squallida, imbelle, senz'anima, dei partiti presuntuosi e incapaci che non sanno né vincere né perdere. No, no, la mia è un'Italia seria, intelligente, dignitosa, coraggiosa, quindi meritevole di rispetto". Concetti fatti propri dal presidente nazionale dell'Ana che sono suonati come un forte atto d'accusa nei confronti di questa società e della sua classe politica. Analoga manifestazione si è tenuta ieri mattina anche a Lana presso la sede del gruppo Ana locale.  Nel pomeriggio, alle 15 in Sala civica, la celebrazione su iniziativa del cavalier Giuseppe Giordano, paladino di tante battaglie in difesa del tricolore, che ha attirato oltre 130 persone. La manifestazione ha preso il via con una scaletta di canti e musiche risorgimentali, poi l'intervento di Giordano introdotto dalle note dell'inno nazionale suonato e cantato in versione integrale. L'intervento di Giordano si è incentrato sulla storia del tricolore, la cui nascita, antecedente il 1861, viene ogni anno ricordata in gennaio a Reggio Emilia. Un'esposizione appassionata, al punto da rompere più volte il fiato dell'oratore, la cui commozione è stata sottolineata da un lungo applauso dei presenti. Il pomeriggio è proseguito con la messa al campo celebrata dal cappellano militare don Masiero, liturgia impreziosita dalle note e dalle voci del Coro Concordia che ha accompagnato il rituale con canti popolari e della montagna particolarmente apprezzati dalla platea.  La serie di manifestazioni celebrative il 150º dell'unità d'Italia prosegue oggi con un appuntamento di assoluto livello. Il cartellone coordinato dall'amministrazione comunale prevede infatti per questa mattina alle 11, al teatro Puccini, il concerto della fanfara dei carabinieri. I biglietti, in distribuzione giorni fa presso la compagnia di via Petrarca, sono andati esauriti nel giro di poche ore. Sala èpiena, dunque: un giusto tributo al complesso bandistico di cui sono note le capacità e che ha saputo farsi apprezzare a livello internazionale. (gip)

Bressanone. Unità, i cittadini: «Occasione persa». Brissinesi critici sulla scelta del Comune di non festeggiare la ricorrenza. di Tiziana Campagnoli. BRESSANONE. Cittadini di lingua italiana uniti nel dirsi dispiaciuti per il fatto che a Bressanone la festa dell'Unità di sia stata ignorata. I cittadini di lingua tedesca interpellati, invece, si sono divisi. Quelli che hanno deciso di esporsi si sono detti favorevoli a celebrare la festa: «Nessun problema».  Quelli che invece la faccia non ce l'hanno messa, hanno attaccato duramente lo Stato italiano, e in particolar modo l'Inno di Mameli, affermando trattarsi di inno ufficioso non riconosciuto dalla Costituzione e in alcuni passi lesivo nei confronti di altri paesi, Austria in testa.  Secondo Giampietro De Nardi, madrelingua italiana, la colpa di quanto è accaduto è dei politici brissinesi: «Dovevano essere loro a farsi sentire, a imporre che l'Unità di Italia venisse festeggiata - spiega - qualcuno afferma che una festa sarebbe stata motivo di attrito con il gruppo tedesco. E perchè mai? Sono i politici a crearsi i problemi, i giovani, e io ne conosco tanti, sono uniti, italiani e tedeschi, e credo che avrebbero festeggiato volentieri assieme. Mi dispiace molto, soprattutto che gli alpini abbiano deciso di andare a Fortezza».  D'accordo, anche Andrè Roilo, madrelingua tedesca: «Non ci sarebbe stato veramente nulla di male a festeggiare - dice - peccato, anche se capisco che non sono molti i cittadini di madrelingua tedesca a pensarla come me».  Daniele De Lorenzo, madrelingua italiana, ritiene che i 150 anni dell'Unità andavano festeggiati anche da chi non sente la ricorrenza, quindi gli amici di madrelingua tedesca: «Perchè non organizzare una festa per unire tutti i cittadini? - sottolinea - Certo qualcuno avrebbe storto il naso, ma è uguale. Non si può ignorare una data che accomuna tutti gli italiani. Veramente non capisco perchè i politici non l'abbiano fatto, perchè la responsabilità di organizzare spettava a loro».  Tutti gli italiani dovrebbero riconoscersi nelle parole del presidente Giorgio Napolitano. Marco Sini, italiano, ne è convinto ed è amareggiato che a Bressanone ciò non accada: «E' la festa di tutti gli italiani - afferma - e come dice il presidente Napolitano tutti dovremmo sentirci fieri di esserlo. A Bressanone però, pare che proprio gli italiani non la pensino così. Bisognava festeggiare, mettere il Tricolore alle finestre, riunirsi in piazza Duomo per stare assieme, ed invece non è stato fatto. Qualche politico dice che andava evitato lo scontro etnico. Ma perchè, dico io, una festa per i 150 anni avrebbe dovuto creare dissidi. Ormai molte famiglie sono mistilingui, io stesso sono sposato con una donna di madrelingua tedesca, e quindi continuare a portare avanti queste divisioni non aiuterà la convivenza. Sono veramente dispiaciuto. Oggi sono andato in centro e di Tricolori ne ho visti ben pochi».  Duro il commento del colonnello in pensione Vittorio Pacati: «Non doveva essere il Pd a dettare legge - afferma in modo critico - doveva essere la gente a muoversi e a decidere il da farsi. Facciamo veramente una brutta figura, a livello nazionale e non solo. Da parte mia, l'unica cosa che ho potuto fare è mettere il Tricolore alla finestra. Il minimo per celebrare una data così importante».  Alois Prantner, madrelingua italiana, ritiene che una festa dello Stato italiano andava celebrata: «Un peccato, ignorare questa data - dice - potevamo festeggiare tutti assieme, magari con un concerto, un ballo, ed invece niente. La storia è andata come è andata. Inutile pensare al passato. Oggi la realtà è questa e qundi una festa dello Stato italiano non doveva passare inosservata». «Io lavoro - spiega Luise Prader (lingua tedesca) - e devo dire che nessuno dei miei clienti sapeva della ricorrenza». Vittorio Girardi, di madrelingua tedesca, ritiene che bisognava festeggiare, magari in maniera sobria: «Un'occasione mancata - dice - non fare nulla è sbagliato».  Il consigliere di Insieme Dario Stablum ieri è tornato sulle affermazioni del vicesindaco Gianlorenzo Pedron. A Stablum, in particolare, non è piaciuta l'affermazione sull'alzabandiera: «Ci saremmo ritrovati io, l'assessore Del Piero e pochi altri», ha detto il vicesindaco per giustificare la decisione di non tributare l'omaggio al tricolore. «Parole lesive della nostra dignità - tuona Stablum - non vogliamo offendere nessuno, ma abbiamo un orgoglio nazionale da difendere. Se Pedron non se la sente di rappresentare i cittadini italiani - conclude l'ex assessore - si faccia da parte».  Gli alpini dell'Ana di Bressanone, invece, hanno voluto celebrare la ricorrenza a Fortezza: alcune decine di penne nere hanno partecipato all'alzabandiera. 

Belluno. Bottacin: viva l'Italia unita e federale. Il presidente della Provincia cita i padri fondatori e la Costituzione. BELLUNO. Per ben tre volte il leghista Gianpaolo Bottacin pronuncia la frase "Viva l'Italia" nel suo discorso per le celebrazioni del 150º Anniversario dell'Unità d'Italia, letto ieri sera al Teatro Comunale.  «Viva l'Italia! Una, unita e federale», è l'incipit del presidente della Provincia. «L'Italia che vorrei, ma che non c'è. L'Italia che potrebbe essere, ma che non è. L'Italia che volevano i padri fondatori: quella "giovine" di Mazzini, quella dei "tre regni" di Cavour, quella "federalista" di Cattaneo. L'Italia di un passato a cui guardo con orgoglio, quell'Italia che i Risorgimentali avrebbero voluto vedere. Oggi mi chiedo: guarderebbero con altrettanto orgoglio a quello che vedrebbero se fossero qui? Quello di oggi è un Paese che ha voluto e dovuto auto-celebrarsi per ritrovarsi, un Paese che festeggia, ma che non sa dimenticare le tensioni ed i problemi del presente; non sa nascondere le paure e il pessimismo per il futuro che lo aspetta e che attende tutti noi, già da domani».  «Ma viva l'Italia!», prosegue Bottacin, «E che sia un'Italia viva. Non un Paese che fa sopravvivere il proprio popolo, ma un'Italia che lo rende capace di spiccare il volo quando esso ne ha la possibilità, il desiderio, l'orgoglio, la necessità. A stare con le galline anche le aquile disimparano a volare e così si perde il loro valore, lo perdono tutti. Dove c'è un potenziale, dunque, lo si valorizzi. Sarà di aiuto anche a coloro che quel potenziale non lo hanno: ma per fare ciò, il nostro Paese ha bisogno di un doppio salto in avanti, per non perdere il passo di ciò che lo attende e che oramai rischia di precederlo e lasciarlo indietro, al suo destino. Spero non al suo declino. E poi un salto in alto, di mentalità e di cultura, per dimostrare che non abbiamo perso la qualità e il valore che ci hanno contraddistinto nella nostra millenaria storia, e che ci hanno dato quel prestigio che è riconosciuto in tutto il mondo. La nostra è una storia di divisioni e riunificazioni, di sconfitte ma anche di grandi vittorie, portate avanti da uomini e donne che hanno avuto il coraggio di lottare per cambiare. I migliori puntano a migliorare quel che c'è: i mediocri si adattano al sistema, ne divengono vittime e artefici, e perdono di vista l'aquila che è in loro».  «E' il tempo del coraggio: solo così potremo riscoprirci parte di una Nazione che ha mille facce. Solo così non saremo più divisi in "figli e figliastri", ma finalmente saremo tutti fratelli e sorelle in una grande famiglia: ciascuno con i propri talenti da mettere a frutto, per il bene della grande casa che abitiamo. Dunque viva l'Italia! L'Italia che "riconosce e promuove le autonomie locali"; che "tutela le minoranze linguistiche"; che ha l'obiettivo di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona". Per farlo c'è bisogno di fiducia, di coraggio, di orgoglio da ritrovare. Non è solo oggi che dobbiamo sentirci italiani. Così come non è solo a Natale che dobbiamo essere più buoni, non è a San Valentino che si è innamorati, non è solo l'8 marzo che va celebrata la donna. L'Italia ci renda orgogliosi dell'Italia tutti i giorni».

Belluno: buco in Provincia, lunedì la soluzione. Giorgetti: «Sulle risorse da coprire decideremo quanto mettere e come». BELLUNO. «Noi siamo in grado di chiudere il bilancio tecnicamente, sulle risorse da mettere per superare l'empasse finanziario decideremo noi come e quanto. Intanto lunedì nell'incontro che avremo col presidente Bottacin vedremo di chiudere il bilancio». Alberto Giorgetti, sottosegretario all'Economia e alle Finanze e coordinatore regionale del Pdl interviene così sulla questione del buco di 8 milioni nel bilancio della Provincia di Belluno. Ancora non dice se il governo ha intenzione di mettere tutte le risorse per aiutare palazzo Piloni, ma annuncia che lunedì comunque la situazione sarà sbloccata. Giorgetti, inoltre, annuncia che «in quanto al tema per trovare le risorse per superare l'empasse finanziario delle province, che colpisce non solo quella di Belluno, bisogna studiare qualcosa di specifico». Sul bilancio quindi precisa che «c'è la possibilità chiuderlo, come si vedrà lunedì alla riunione, per il resto spetterà a noi destinare le somme e in che modo». A chiedere un intervento straordinario del governo era stato il presidente Bottacin che da due settimane sta interessando al problema tutte le forze politiche a Roma a cominciare dalla Lega Nord, il suo partito. «Ad oggi non ci sono novità», precisa il capo di palazzo Piloni sull'argomento. «L'incontro con Alberto Giorgetti era stato fissato ancora dalla settimana scorsa e si svolgerà alla presenza mia, dell'assessore Carbogno, del segretario regionale della Lega, Gobbo e dell'onorevole. Ma della situazione ho già informato anche il capogruppo del Carroccio al Senato, Bricolo, quello alla Camera Reguzzoni, il governatore Zaia che ne parlerà con Calderoli, e anche Giancarlo Giorgetti, segretario nazionale della Lega Nord. E stasera (ieri per chi legge, ndr) vedrò anche il ministro Roberto Maroni che sarà a Montebelluna. Insomma, ho smosso il mondo intero. Sono stato ben due giorni a Roma la settimana scorsa a chiedere aiuto al mondo intero. Spero che entro breve, la situazione possa sbloccarsi definitivamente». (p.d.a.)

Belluno: cresce la presenza degli stranieri. Specie da Polonia, Cechia e Usa. Per i pic-nic arriva il cestino calmierato. BELLUNO. «Confortanti i dati sul turismo in provincia di Belluno. Dal 2009 le presenze sono aumentate dell'1.5%, mentre gli arrivi del 2.7%. Mentre nei cinque anni precedenti le presenze avevano avuto una flessione del 7.9% contro una leggera crescita dell'1.2% degli arrivi». Sono parole di cauto ottimismo quelle del presidente della Provincia, Gianpaolo Bottacin per commentare i flussi turistici. Intanto l'assessore Vettoretto sta lavorando con l'Ascom per "sistemare" i turisti della domenica. Si tratta di una sorta di cestino per il pic-nic coi prodotti locali da offrire a prezzo calmierato a quanti preferiscono la gita domenicale al soggiorno lungo. I dati. Il dato che balza agli occhi, sul turismo alberghiero, è quello di un incremento degli stranieri, e di una flessione degli italiani, anche se questi ultimi vanno lentamente crescendo percentualmente. Gli arrivi di stranieri sono passati dai 126.338 del 2004 ai 155.214 dell'anno scorso con un trend di crescita costante. In leggero calo il numero di arrivi degli italiani passati da 356.457 (2004) a 345.549 (2010). Per quanto riguarda le presenze straniere si è passati da 499.667 (2004) a 594.399 (2010), mentre in flessione le presenze italiane (da 1.614.677 a 1.381.615). Per quanto riguarda gli arrivi italiani, i veneti sembrano aver riscoperto la montagna bellunese (da 97.904 nel 2004 a 104.719 nel 2010) mentre in calo emiliano-romagnoli, lombardi e laziali. In aumento i turisti provenienti dal resto della penisola (da 86.818 nel 2009 a 90.214 nel 2010). Per gli stranieri, invece, i tedeschi sono in aumento se si guarda ai sette anni (2004-2010, passando da 32.559 a 36.085), ma in calo rispetto al 2009 (da 36.803 a 36.085). Crescono, invece, polacchi, cechi, statunitensi e sloveni; in calo gli svizzeri. I russi in leggero aumento passano da 2.192 nel 2009 a 2.284. In aumento anche i dati degli arrivi dal resto del mondo (da 46.527 nel 2004 a 63.492 nel 2010, con un aumento considerevole anche rispetto al 2009 quando erano stati 56.480). Il commento. «Abbiamo preso a riferimento i dati degli alberghi, perchè sono quelli più affidabili e perchè si deve puntare ad incrementare il settore alberghiero e non le seconde case. Per quanto riguarda proprio questo settore, l'andamento è positivo per le 4-5 stelle, più fatica fanno le strutture dalle 3 stelle in giù, segno che anche le richieste e i desideri dei turisti sono cambiate», ha precisato il presidente Bottacin che ha, però, voluto rilevare come «anche per Bolzano il flusso turistico non è positivo. Però, il fatto che i nostri dati dimostrano una crescita generale, lascia ben sperare». «Anche le settimane bianche hanno retto bene», ha ribadito l'assessore Vettoretto che ha aggiunto come «la nostra politica intenda puntare sui grandi eventi, che danno riscontri positivi sul numero di presenze e arrivi: col raduno nazionale dei vigili del fuoco e con eurochocolateski a Cortina e con Mengacci a Feltre il nostro territorio ha avuto una grande visibilità a livello mediatico. Così sarà anche col giro d'Italia che abbiamo tanto voluto». I progetti. Bottacin ha ribadito poi l'intenzione di fare squadra anche nel campo della promozione. «Abbiamo 450 alberghi, una marea di consorzi di promozione, abbiamo gli Iat, il nostro sforzo è quello di mettere insieme tutti questi attori per creare un coordinamento unico». E poi ha aggiunto: «Stiamo lavorando per incrementare il turismo a Belluno e vogliamo farlo con gli operatori. Ma i privati ci diano una mano». Infine, sul fatto che l'80% dei turisti che vengono a Belluno poi non tornano, ha precisato: «Questo significa che la promozione funziona, cosa che è in capo alla Provincia, ma se non restano è perchè probabilmente non restano soddisfatti di quello che trovano».

Agordo. Belluno. Tutti i «colori» di una bandiera. Cantano l'Inno anche due bambini cinesi e una peruviana. di Gianni Santomaso. AGORDO. Due bambini cinesi e una peruviana che cantano l'inno di Mameli; un assessore sardo che legge le motivazioni del conferimento della medaglia d'oro ad Agordo nel 1906 per meriti risorgimentali; un emigrante bellunese a Vancouver che scrive al sindaco di Agordo ricordando con tanta passione l'amore per la bandiera italiana. Seppure in una giornata uggiosa, ancora molto invernale, con il vento "sparagnino" che non agita il vessillo issato sul pennone, l'idea dell'Italia che emerge ad Agordo è più radiosa del sole che risplende solitamente sulle Alpi. Con tutti i suoi limiti, le sue mancanze, i suoi demeriti, è un'idea che sa abbracciare tutti: quelli che in passato hanno lasciato lo Stivale per cercare un futuro migliore e quelli che, per gli stessi motivi, s'industriano per raggiungerlo oggi.  Di questo ha voluto dar prova ieri l'amministrazione comunale di Agordo con una sobria cerimonia per ricordare i 150 anni dell'Italia unita. Autorità civili, religiose e militari, alpini, combattenti e reduci si sono ritrovati alle nove davanti alla fontana del Broi accompagnati da un bel gruppo di cittadini decisi a non lasciar passare sotto silenzio la storica ricorrenza.  Al coro de "I Musici" della scuola media, diretto da Marina Nessenzia, è toccato l'onore di cantare l'inno nazionale. Non una, ma due volte, visto che la prima era stata disturbata dal rumore del trapano che innalzava la bandiera. Poi i discorsi ufficiali.  «Bisogna vivere sempre di ideali», ha detto l'arcidiacono di Agordo, monsignor Giorgio Lise, rivolgendosi ai giovani, «come di ideali hanno vissuto coloro che hanno unito la nazione. Ma bisogna anche guardare alle nostre radici e ricordare quelle cristiane dell'Italia».  Che lo spirito unitario aleggi su piazza Libertà è confermato anche dalle parole del presidente della Comunità Montana, Luca Luchetta, che ha elogiato le iniziative "risorgimentali" del Comune di Agordo.  «L'idea di scoprire le varie lapidi di allora è stata ottima», ha sottolineato, «ritornare alla memoria è infatti fondamentale. Ed è un obbligo morale rammentare come siamo arrivati a un libero Stato, a una libera democrazia e a delle libere istituzioni; tanto più oggi che l'integrità dello Stato è messa spesse volte in discussione».  La festa non ha però fatto dimenticare il dramma che sta vivendo in questi giorni il popolo giapponese. Per questo, prima del suo intervento, il sindaco Renzo Gavaz ha chiesto un minuto di silenzio.  «Agordo è città dal 1906», ha poi spiegato, «da quando le è stata conferita la medaglia d'oro per i moti del 1848, per chi allora, in tutto l'Agordino, si dedicò alla difesa della Patria. Per essa sono morti in tanti nelle varie guerre per la libertà, nelle trincee con la bandiera rotta in mano». Ma, per Gavaz, non sempre Patria è stata. «Nel 1936», ha detto con rabbia, «quella medaglia è stata data alla Patria. Ma quale Patria?».  Un ricordo che al termine gli varrà anche la stretta di mano del consigliere di minoranza Graziano Ronchi, a testimonianza che la Patria fa abbracciare tutti.  Quindi, dopo il monito del sindaco a cancellare le disparità sociali «che stanno portando al disastro» e a scoprire «quello che veramente abbiamo dentro», il corteo ha raggiunto il cippo commemorativo dell'annessione dell'Agordino all'Italia (nel 1866), davanti alla sala "don Tamis": vicino la vecchia caserma ricordava l'inizio dei moti del 22 marzo 1848, la via XXVII aprile la liberazione dal nazifascismo.

Varese. Napolitano a Varese: città blindata. Per il Capo dello Stato una passeggiata in via Sacco.  VARESE - Città "blindata" attorno al presidente della Repubblica che lunedì sarà in visita a Varese nell’ambito delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale. L’ultima riunione logistica con lo staff del Quirinale è fissata per questa mattina a Palazzo Estense. L’inqilino del Quirinale potrebbe percorrere a piedi via Sacco prima o dopo l’incontro in municipio con gli amministratori locali.

Mantova. Inno e alzabandiera. Emozioni in piazza Ruffo: viva l'Italia. MANTOVA. Un'intera provincia sull'attenti. Ieri il clou dei festeggiamenti per il 150º anniversario dell'Unità d'Italia nei settanta comuni del Mantovano. Alzabandiera e commozione per le note dell'inno di Mameli. A Mantova, sulle struggenti note del Silenzio è stato issato sul pennone, davanti alla chiesa di San Sebastiano, il tricolore per rendere onore a tutti gli eroi del Risorgimento.  Vicino alla lapide ad imperitura memoria dei mantovani morti per la Patria, i militari hanno deposto una corona d'alloro, passando in mezzo al picchetto d'onore allestito dalle forze armate.  Il prefetto Mario Rosario Ruffo ha ricordato l'alto significato rivestito dalla giornata. «Queste azioni si stanno svolgendo in tutta Italia - ha dichiarato - issando la nostra bandiera abbiamo onorato e commemorato tutti coloro che nell'epoca risorgimentale hanno contribuito al raggiungimento dell'Unità nazionale. I mantovani hanno avuto grandi esempi, basti pensare ai Martiri di Belfiore. Sono grato a questa comunità perchè ha partecipato in modo così attivo al Risorgimento. La bandiera è il simbolo dell'identità nazionale. Viva l'Italia».  Un saluto ai Caduti è stato poi portato anche dal sindaco Nicola Sodano, dal questore Antonino D'Aleo e dal presidente della Provincia, Maurizio Fontanili. Tra le autorità vi erano anche il vescovo Roberto Busti, il comandante del 4º Missili, Carlo Zontini, il colonnello del comando provinciale dei carabinieri, Maurizio Esposito, il comandante della Guardia di Finanza, Dario Guarino, il comandante della Polizia Locale di Mantova, Paolo Perantoni con i colleghi della Stradale, Laura Parizi e dei vigili del fuoco, Danilo Pilotti.  Ma passiamo alle cerimonie che si sono svolte in provincia. La banda davanti e tutto il paese
dietro: si è festeggiato così a Castellucchio . Una
grande festa di musica e di popolo che ha reso omaggio alla bandiera, due volte issata, e ai tanti caduti per la libertà e la Nazione che sono commemorati da lapidi e monumenti sul territorio del comune. Presenti le associazioni dei combattenti e reduci, dei carabinieri in congedo e dei bersaglieri. Numerosi i momenti di raccoglimento anche davanti alla targa che dedica una piazza ai caduti di Nassirya.  Cerimonia solenne anche a Bozzolo, dove amministrazione e forze di polizia hanno issato il tricolore alle 11.  Grande partecipazione anche a Castiglione, dove molti immigrati hanno voluto mischiarsi alla folla in festa e fare gli auguri ad una patria che li ospita.  Clima di festa, sventolio di bandiere tricolori, canto dell'inno davanti al monumento ai Caduti di San Benedetto Po. Come nella "Notte tricolore" lungo i percorsi monastici, anche ieri mattina molte le persone che hanno voluto esprimere con la loro presenza sentimenti di italianità e consapevolezza della propria storia, insieme al sindaco Marco Giavazzi e al primo cittadino dei ragazzi Loris Loddi, entrambi in fascia tricolore.  A Solferino, alzabandiera a mezzogiorno sulla sommità della Spia d'Italia, il punto più alto del Mantovano con i suoi 231 metri. Si è esibita la fanfara alpina Valchiese.  Sobria celebrazione ieri mattina, dopo la messa delle 10, in piazza Ducale a Sabbioneta. Alzabandiera, inno di Mameli cantato da Tonino Maffezzoli senza base musicale per rendere più suggestiva la cerimonia.  A Sermide i festeggiamenti si sono aperti alle 11, con l'alzabandiera al monumento ai caduti di piazza IV Novembre. Il sindaco Marco Reggiani ha ricordato come «il federalismo solidale teorizzato da Carlo Cattaneo, che ha caratterizzato l'insurrezione milanese delle Cinque giornate del 1848, abbia attecchito anche a Sermide. I sermidesi erano italiani prima ancora che nascesse l'Italia, dando un contributo tangibile alla sua nascita».  Amministrazione al gran completo e folla delle grandi occasioni a Guidizzolo per l'Alba d'Italia.  Cerimonie molto sentite dall'intera cittadinanza anche nelle piazze di Poggio Rusco e 18 marzo 2011
Roverbella.

Solferino aspetta Napolitano «Qui l'ombelico della festa». di Francesco Abiuso. SOLFERINO. Piccola piazza in minuscolo paese. Le nuvole portate dal vento che in breve nascondono il sole. Eppure Solferino si sente davvero «l'ombelico della festa», come si ripete. Alle dieci ognuno è al suo posto, in piazza Torelli. I bimbi delle elementari pronti a cantare l'Inno da una viuzza accanto al municipio, diventata un naturale proscenio, il picchetto del Quarto missili schierato. Sulle panchine gli anziani del paese agitano le bandiere. Un paese finalmente incoccardato. «Tanti auguri, Italia» dicono al microfono. E la festa comincia.  È il momento dei bambini della scuola elementare. Accompagnati da una fisarmonica intonano Mameli, poi La bella Gigogin e altri canti del Risorgimento.  Hanno pure realizzato alcuni cartelloni: in uno di questi la sagoma dell'Italia è stata realizzata utilizzando un'unica corda. Anche gli anziani del Centro amici miei fanno gli auguri all'Italia: 150 è stato scritto a fiori di carta crespa. Il sindaco, Germano Bignotti, prende la parola per dare voce a una comunità che il Risorgimento se l'è sempre sentito nell'anima e adesso è il momento di metterlo in mostra. Due occasioni, tra le altre: la diretta radiofonica con la Rai che sta ripercorrendo da Quarto e Marsala i luoghi del Risorgimento, e una telefonata dalla società che gestisce il motore di ricerca Google. Al Comune è stato chiesto di poter realizzare una Solferino in 3D che possa essere visitata a distanza da miliardi di utenti nel mondo. Bignotti ricorda la visita di Ciampi nel 2001, rinnova l'attesa per la visita di Napolitano in ottobre: «L'unità d'Italia non esiste solo sulla carta, e qui lo possiamo dire più che altrove. Di cambiamenti alla forma di governo si può discutere, ma c'è un limite invalicabile, i valori dell'Unità, che non può esser messo in discussione. Altrimenti i trentamila ragazzi che sono morti qui sarebbero morti invano». Quel "qui" è un rimando a quel 24 giugno 1859, battaglia tra le più importanti che aprì la strada all'Unità. La storia sta scritta sui muri, sul selciato che porta all'Ossario dove sono ordinatamente raccolti i resti di settemila soldati. Sanguinosa battaglia: la vittoria che diede vita all'Italia la portò via a quasi trentamila persone.  Il primo tempo della festa si chiude con i saluti del generale Luigi Paolo Scollo, del presidente dell'associazione Colline moreniche del Garda, Luigi Lonardi, di quello della Società storica di Solferino e San Martino, Fausto Fondrieschi. Sarà quest'ultimo a fare gli onori di casa nel secondo tempo. Da lassù, i cannoni della Rocca rumoreggiano. La fanfara alpina Valchiese di Gavardo sale in cima alla Spia d'Italia per suonare l'Inno mentre con l'alzabandiera. Mezzogiorno. Figuranti indossano le divise dei Mille, dei francesi, c'è pure una crocerossina. Fodrieschi confessa: non mi aspettavo così tanta gente. La voce sottile si fa grintosa per dire che «sul Risorgimento si dicono troppe sciocchezze: è stata una lotta per la nostra dignità di popolo, per la nostra libertà». Poi è solo musica: dal punto più alto della provincia, perché il vento la porti il più lontano possibile. 

Per l'Unità va rottamato Renzi
Non è un politico nuovo e ormai è più a destra che a sinistra. di Pierre de Nolac  
Matteo Renzi ormai nemmeno ci fa più caso: ogni giorno nella rassegna stampa del sindaco di Firenze c'è qualche articolo contro di lui. Appare sul quotidiano l'Unità. Lui, che cerca voti al centro e a destra, non riesce a essere amato dal Partito democratico: e sul sito internet dell'Unità i lettori si scatenano.
Per esempio, Gilbe scrive: «Speriamo che i veri giovani del Pd siano diversi da Renzi e Civati molto arrivisti ed un po' arroganti.Non fanno certo ilbene del partito ma a loro interessa solo il loro interesse».
Poi ecco Salamaleiqum: «Renzi, il nano della sinistra. Uno ci basta e avanza». Quindi Andrea: «Renzi sta facendo di tutto per farsi cacciare dal Pd perchè lui è totalmente di destra dalla testa ai piedi. La sua visione è identica a quella di Berlusconi». Pure ieri il giornale diretto da Concita De Gregorio ha fornito la sua dose quotidiana di articoli contro Renzi. Occasione straordinaria, da cogliere al volo, la trasferta dei musicisti del Maggio Fiorentino a Tokyo, nel Giappone colpito dal terremoto e dallo tsunami, con conseguente incubo atomico: con ampio spazio per Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, schierata contro il sindaco di Firenze, «accusato di superficialità e ritardi nel far rimpatriare le oltre trecento persone, che guidate dal maestro Zubin Metha erano in tournée».
Si volta pagina, ed ecco un altro attacco al primo cittadino fiorentino. Dal blog «Bartali» viene tratto un giudizio al vetriolo nei suoi confronti, firmato da Massimo Franchi: «Matteo Renzi, così simile a Feltri. Ultimamente allergico ai dibattiti televisivi, giorni fa mi è capitato di assistere ad una puntata di Matrix dal titolo Attenti a quei due. I due erano Vittorio Feltri e Matteo Renzi». E che su internet continua la sua filippica: «Mi pare che definire Renzi un sindaco di (centro)sinistra sia alquanto complicato. Le sue posizioni su Sergio Marchionne («Bisogna appoggiarlo»), nome del candidato premier sulla scheda (la scelta annunciata da Pier Luigi Bersani di non metterlo bollata come «una decisione che ci riporta indietro di 30 anni»), la bocciatura della concertazione («Andava bene all'epoca di Carlo Azeglio Ciampi, non può essere replicata in sedicesimo nelle città italiane») ne danno la cifra. Che dire? Non era una notizia freschissima, ma l'Unità ha pensato bene di piazzarla in evidenza.
Dopotutto, è stata proprio Concita a dare il giudizio più sprezzante nei confronti del sindaco fiorentino: «Renzi non è affatto un politico nuovo. Fa politica da dieci anni. Non è neanche giovane. Fa politica per mestiere».
Insomma, quello da rottamare, per il direttore dell'Unità, sarebbe proprio Matteo, altro che i vari Walter Veltroni, Massimo D'Alema, Anna Finocchiaro, Piero Fassino, Pier Luigi Bersani e tanti altri protagonisti della nomenklatura del Partito democratico che calcano la scena della politica da decenni, e ai massimi livelli.
In fondo ha ragione anche lei, Concita, dato che non è stato Renzi a volerla alla guida del quotidiano che è stato fondato da Antonio Gramsci. Meglio andare sul sicuro, che puntare sui giovani: e poi si sa che i pisani (come De Gregorio) non amano i fiorentini, e non certo da oggi. Anche se fanno parte dello stesso partito.

Basta con le logiche che penalizzano il Sud
19/03/2011
di GIOVAMBATTISTA PAOLA
Colgo nelle parole di Matteo Cosenza, Direttore del “Quotidiano della Calabria” una sollecitazione utile a ripensare al Mezzogiorno e soprattutto al modo su come rilanciarne le prospettive di sviluppo e di crescita, alla luce dei mutamenti epocali che si registrano sulle sponde del Mediterraneo. Cercando di capire e soprattutto di problematizzare la questione. Matteo Cosenza invitava tutti a non tenere la porta chiusa. Il nocciolo della “Questione Mezzogiorno” storicamente intesa, rimane, infatti, ancora, questa: socchiudere il portone. Del futuro. Le celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia hanno registrato un significativo mutamento di “clima”. I “sismografi satellitari” manifestano un positivo cambiamento di umore attorno all’Unità del Paese, che al netto della retorica, sempre in agguato, può aiutare a socchiudere il portone. Aprendo un nuovo orizzonte al Mezzogiorno. Il superamento del divario Nord-Sud, nei termini inediti in cui si presenta oggi, necessita intanto, di una grande operazione culturale. L'ostracismo e la diffidenza con cui, quasi 160 anni fa, furono accolti in Calabria i fratelli Bandiera, rimane ancora ben presente nelle società meridionali. Ostracismo e diffidenza che miscelato con l’innato senso di rassegnazione, altro fattore caratterizzante tipicamente e antropologicamente meridionale, hanno finito per produrre la storica subalternità del Mezzogiorno. Su questo versante, sull’esigenza di introdurre elementi di riflessioni che aiutino a modificarne l'impianto culturale, su cui si è retta per anni l’intera letteratura meridionalista, il cammino è ancora lungo. Lo scenario entro cui ricollocare la “questione Mezzogiorno” va, tuttavia, radicalmente cambiando. Nel Paese, ma non solo. La stesso federalismo fiscale, grimaldello “secessionista della Lega, in tutte le sue declinazioni, in assenza di un generale riordino delle competenze e delle funzioni dei vari livelli istituzionali che superi la “legislazione concorrente” finirà unicamente per aumentare la pressione fiscale sui cittadini. Ma non a incrinare l’assetto unitario del Paese. Nonostante tutto. Nonostante i luoghi comuni. Il reticente egoismo. I ritardi e l’incapacità di leggere i processi e le dinamiche economiche e sociali in corso nel Sud del Paese. Nonostante i livelli di consumi che si registrano nelle regioni meridionali, indicatore di contesto da non sottovalutare affatto. Nonostante il livello e la “qualità” dello scontro che si registra nella conferenza Stato-Regioni, sulla ripartizione del Fondo Sanitario. Da una parte le regioni del Nord, dall’altra quelle del Sud. E’, inevitabilmente, in questo scontro, sul terreno della rivendicazione, della modifica dei criteri per la ripartizione, che si snoda un altro pezzo della partita sulla nascita di un nuovo pensiero meridionalista e autenticamente innovativo. Le Regioni del sud chiedono più risorse. Spesso, addirittura inveiscono, urlano. Si, ma consentitemi, dov’è la novità? Più risorse per fare cosa? Per mantenere aperto qualche ospedale di montagna? Per continuare ad alimentare la cultura del “consenso” e rafforzare quella logica che ha finito sempre di più per marginalizzare il Mezzogiorno? L’apertura di una nuova stagione meridionalista che parte con la richiesta di riaprire i rubinetti della spesa pubblica parte con il piede sbagliato, e pone seri problemi di credibilità. Non fa i conti con l’esigenza di riproporre la crescita del Mezzogiorno come una straordinaria opportunità per l'intero sistema paese. Non fa i conti con i processi in corso nel Mediterraneo, che finiranno, inevitabilmente, nei prossimi mesi, a “gerarchizzare” nuovi modelli si sviluppo e ridare centralità a questa area. Non fa i conti con l'esigenza di mettere in campo un'idea di sviluppo moderna, e a ripensare al Mezzogiorno in questa ottica. Fa i conti soltanto con esigenze di “pancia”. Come sempre è avvenuto. Dal 1861. Ininterrottamente. Sempre proni, con il cappello in mano. L’esame di coscienza sul Sud, deve partire da qui.

Alpini, tornano quelli del Nord «La crisi spinge ad arruolarsi»
Mentre la Lega denuncia a Roma lo squilibrio a favore del Sud, l’Ana Triveneto sforna dati: dal 17% del 2007 al 50% TREVISO — Un po’ la nuova strategia comunicativa ma soprattutto la crisi economica. Quale che sia la causa, resta comunque il fatto: i ragazzi del Nord tornano a fare gli alpini. E così, proprio mentre la Lega denuncia a Roma lo sbilanciamento a Sud dello storico corpo delle penne nere rivendicando reclutamenti nordisti, consigliere nazionale dell’Ana e responsabile per il Triveneto dei giovani volontari, Nino Geronazzo, un maggiore e dirigente aziendale di Conegliano Veneto da poco in pensione, spiazza tutti e sforna una statistica sorprendente: «Ma quale 70% di meridionali. Da tre anni c’è stata un’inversione di tendenza e ora il reclutamento annuale è più o meno parificato. Dal 17% di tre anni fa siamo passati al 50%».
Siamo dunque all’imprevisto ritorno di fiamma dei giovani del Nord. Un dato certificato dai numeri: i nuovi alpini originari del Settentrione erano circa 180 fino a tre anni fa, su un totale di 1100 arruolati, oggi sono oltre 550, sempre a parità di arruolati in ferma volontaria per un anno. E di quei 550 il 38% appartiene all’area del Nord Est, un valore quasi quadruplicato rispetto a tre anni fa. La disoccupazione, dunque, come fattore scatenante. Ma Geronazzo vuole sottolineare anche la ritrovata passione: «Certamente molti giovani si sono rivolti a noi per avere quantomeno un anno di sicurezza, ma io sono convinto che ci sia anche qualcosa di più: la riscoperta del nostro lavoro. Vogliono provare un’esperienza formativa che può offrire importanti sbocchi, come abbiamo sottolineato nella nostra nuova attività di informazione preventiva, fatta da noi esperti ai giovani del Nord. Direi che anche questo ha contribuito a cambiare lo sbilanciamento». Sei-settecento euro al mese, più vitto e alloggio. Non un granché ma per un disoccupato senza prospettive una buona chance, soprattutto ai tempi della cassa integrazione.

Tempi in cui anche alcuni laureati hanno scelto questo canale senza neppure tentare l’accademia militare o la scuola sottufficiali, palestra naturale delle forze armate per chi ha un titolo di studio superiore. «Mi riesce pertanto difficile capire la proposta di legge discussa nell’aula di Montecitorio e rinviata a una commissione che vorrebbe valorizzare l’identità settentrionale del Corpo degli alpini. I numeri stanno andando nell’altro senso». Il fenomeno è più esteso. Anche i campi estivi delle forze armate hanno registrato un sensibile incremento: oltre 8mila giovani da tutta Italia per tre settimane, mentre tre anni fa non superavano i 5mila. Ma per rimanere agli alpini, sono stati seimila gli aspiranti all’arruolamento annuale. E solo uno su dieci ce l’ha fatta. «Ecco, semmai c’è da cambiare qualcosa da questo punto di vista. Il governo dovrebbe ampliare la ferma per aprire così delle belle prospettive a molti giovani, anche nei settori della protezione civile, del volontariato e della solidarietà. Ho visto gente piangere per non essere riuscita a entrare. Mi sembra ingiusto che la nostra brava gioventù non possa avere questa opportunità di lavoro. Certo, sarà anche una spesa pubblica aggiuntiva ma è anche uno dei migliori investimenti che si possano fare».

Più combattuto di fronte alla proposta «nordista» della Lega è Francesco Pingitore, maresciallo degli alpini del VII reggimento di Belluno. A Pingitore non dispiace il testo parlamentare anche se, paradossalmente, è originario di Enna, non di Bolzano. Ma c’è un ma: è consigliere del Pdl a Belluno. Cioè la stessa area politica che ha sottoscritto la proposta. E dunque l’imbarazzo è nelle cose, per lui, alpino del Sud e pidiellino: «So che il testo è stato firmato anche da un deputato campano, non penso sia discriminatorio, razzista. Credo sia giusto, orientato a incentivare gli alpini del Nord che vorranno affacciarsi a questa professione». Confessa di aver notato lo squilibrio degli anni scorsi a favore del Sud: «Certo che c’è molta gente del Meridione e forse non è del tutto sbagliata la legge ma, insomma, io sono anche un po’ in imbarazzo a parlare di queste cose». A toglierlo dall’imbarazzo intervegono i dati sfornati da Geronazzo sul reclutamento. Ecco uno slancio per il Sud: «Bisogna anche vedere da dove arrivano questi giovani. Perché, per esempio, io vengo sì dalla Sicilia ma anche dalla provincia più in quota d’Italia. Conoscevo bene le montagne, anche se non sono le Alpi. Ho insegnato a sciare a molta gente. In questo senso, la legge è fatta bene, perché incentiva la gente di montagna ad arruolarsi, indipendentemente dal luogo di provenienza». Ma più della legge ha potuto la crisi economica a far rientrare l’emergenza nordista delle penne nere.
Andrea Pasqualetto

Così si può giocare ad armi pari. di Alessandro Plateroti. Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, sta lavorando per le imprese strategiche a un provvedimento antiscalata sul tipo della legge che il governo francese guidato da De Villepin adottò nel 2005 per bloccare il takeover di Danone da parte della Pepsi. Provvedimenti analoghi sono del resto allo studio anche in Inghilterra, dove la scalata alla Cadbury ha tolto alla "corona" uno degli ultimi campioni dell'industria alimentare nazionale, e sono da tempo in atto negli Stati Uniti, dove è praticamente impossibile scalare una società telefonica, un'azienda della difesa, una compagnia aerea e persino un gestore aeroportuale senza la previa autorizzazione del Parlamento.
Anche se dovrebbero essere le leggi europee a regolamentare le acquisizioni di imprese all'interno dell'Unione – garantendo il libero accesso su ogni mercato alle imprese degli stati membri – sta di fatto che questo intervento statale a difesa dell'economia è visto positivamente da molti. Del resto, la globalizzazione e la campagna di acquisizioni lanciata in Europa e negli Stati Uniti dai fondi sovrani arabi e dai colossi industriali asiatici ha trasformato il sistema industriale occidentale – soprattutto settori strategici come energia, telecomunicazioni, difesa, trasporti e infrastrutture – in una sorta di supermercato delle migliori imprese. Insomma, politiche che solo dieci anni fa sarebbero state tacciate di protezionismo sono ora considerate anche dai liberisti più convinti come una legittima forma di intervento volto a mantenere alta l'attenzione sul proprio territorio. Una prassi che mira a scongiurare le scorribande di chiunque e che riafferma il principio dell'intervento pubblico sull'economia.

Per l'Italia il problema è persino più sentito che in altri paesi: americani, francesi, tedeschi, spagnoli, indiani, russi, inglesi, cinesi e coreani hanno da tempo gioco facile nel rilevare il controllo delle imprese italiane, piccole, medie o grandi che siano. Qui, malgrado le esperienze anche negative, non è ancora chiaro che cosa sia un settore strategico: non lo sono di certo le tlc, dove la concorrenza a Telecom Italia (che tra l'altro ha come socio di riferimento gli spagnoli di Telefonica) è in mano agli inglesi di Vodafone, ai coreani di Tre e ora ai russi che hanno comprato Wind dall'egiziano Sawiris; non è il settore dei trasporti, dove solo grazie alla determinazione di Banca Intesa si è riuscita a formare una cordata di imprenditori italiani per fermare (almeno per ora) il takeover di Alitalia da parte di Air France; non è il settore dell'energia, dove sono i francesi di Edf a giocare il ruolo del predatore. E certo non sono più strategici – visto il peso assunto dai gruppi stranieri – il settore turistico, ormai monopolizzato da francesi e tedeschi, quello del lusso, dove abbiamo appena perso Bulgari, quello finanziario e bancario, e nemmeno quello alimentare, dove il passaporto italiano è rimasto solo a Barilla, Ferrero e – forse ancora per poco – Parmalat, su cui i francesi di Lactalis hanno già posto una seria ipoteca.

L'elenco potrebbe continuare, ma il concetto è chiaro: o si definisce cosa è strategico e lo si tutela con lo scudo dell'interesse nazionale, come han fatto da sempre gli Usa e la Francia di De Villepin, o per i nostri imprenditori sarà sempre più difficile resistere all'attacco delle imprese straniere, non solo asiatiche ma anche europee. Sarebbe un errore attribuire questa situazione solo alla scarsa patrimonializzazione delle imprese, alla loro dimensione, alla carenza di capitali o alla mancanza di coraggio da parte degli imprenditori: il vero ostacolo allo sviluppo è il peso della burocrazia, il deficit delle infrastrutture, un quadro normativo e contrattuale superato dai tempi e un sistema giuridico e giudiziario che fa spesso mancare alle imprese la stessa certezza del diritto. Problemi vecchi, si dirà, ma dalla loro soluzione dipende il futuro industriale italiano. Il nostro paese sta affrontando forse la fase più delicata della sua storia. La crisi globale si è innestata su un sistema economico caratterizzato da una strutturale minor capacità di crescere e su un tessuto produttivo che aveva iniziato un profondo processo di ripensamento delle modalità di gestione delle aziende, reso ora più difficile dal mutato contesto macroeconomico. I segnali del cambiamento, seppur timidi, restano comunque numerosi e corretti nella direzione.

È in questo contesto difficile e complesso che si inserisce ora la decisione del governo di definire i settori strategici dell'industria italiana e le misure necessarie per difenderli. A far scattare l'urgenza sembra essere stato il prospettato takeover francese della Parmalat, che certamente non è il tipico esempio di azienda strategica per un paese a capitalismo avanzato. Ma poco importa: è già un successo il fatto che si torni a parlare di imprese strategiche come un valore nazionale. Già nel 2005, infatti, la classe politica italiana promise di rispondere al protezionismo francese di De Villepin con misure nella stessa direzione. E la stessa minaccia (poi ovviamente disattesa) fu fatta anche nel febbraio 2006, quando sempre i francesi si misero di traverso all'Enel che voleva comprare la Suez-Electrabel: in quell'occasione, si arrivò persino a minacciare i francesi di bloccare l'Opa lanciata da Bnp Paribas su Bnl o di applicare all'Edison italo-francese (50% di Edf) i vincoli previsti alla proprietà pubblica delle ex-genco, come la controllata Edipower, che avrebbe dovuto di conseguenza essere dismessa. Caso vuole che proprio in questi giorni il futuro di Edison sia in gioco tra Edf e l'A2A, che da sola non potrà mai contrastare sul piano finanziario la potenza di fuoco del socio francese.

Lo spirito della legge francese, del resto, non è quello di opporsi sistematicamente all'acquisto di gruppi nazionali da parte di investitori stranieri, ma di fare in modo che le aggregazioni avvengano ad armi pari, in modo da preservare la competitività del sistema produttivo. Il principio da far valere è quello della reciprocità, del resto già presente nell'Unione: se le aziende straniere acquistano società nazionali, dovranno fornire eguale opportunità nel loro paese. Solo così le imprese potranno difendersi dai loro assalitori. In questo senso, vista la vocazione italiana nel settore alimentare e il peso del comparto sul Pil, anche Parmalat può rientrare nei settori strategici per la nazione. In Francia, a esser tutelati dallo stato non sono solo energia e difesa, ma anche colossi dell'economia come la Danone, che in Italia ha invece già rastrellato aziende alimentari senza che nessuno invocasse la reciprocità.

Se il paese crede davvero nel valore dell'impresa, è bene non perdere altro tempo. E se il governo fa davvero sul serio, dovrebbe convocare al più presto un tavolo di lavoro con le grandi banche commerciali, le banche d'affari e i rappresentanti del mondo imprenditoriale per individuare e difendere i settori con cui intende affrontare le sfide della globalizzazione e trovare un ruolo per l'Italia nella nuova distribuzione internazionale del lavoro.
19 marzo 2011

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