venerdì 1 aprile 2011

Federali-Sera. 1 aprile 2011. Così va in onda la disinformazione. Le presunte fosse comuni, uscite sulle prime pagine di tutto il mondo, erano fosse singole, un normalissimo cimitero libico, peraltro già messe in rete tempo addietro. In una grande agenzia stampa italiana quando è arrivata la foto delle fosse comuni, un capo servizio ha avvisato il direttore che era falsa, facendogli vedere che era stata già postata mesi addietro. Il direttore cosa ha risposto? Eh, ma gli altri la danno, noi non possiamo bucare.

Italiana normalita':
Così va in onda la disinformazione
Sulla Libia l'Italia s'è spaccata
Deriva pericolosa
I 25 manager più pagati d'Italia.
Suicida un viceprefetto
Roma. Assist del governo per Parmalat
Milano. Edilizia lombarda Boom fallimenti

Isterie:
Trento. Profughi, ne arriveranno una trentina a settimana
Varese. Lonate. Reguzzoni: niente rifugiati a Lonate, promessa di Maroni
Jesolo. Calvazara. «Un danno l'arrivo dei profughi».
Ferrara. Profughi, c'è l'ipotesi Poggio.


Così va in onda la disinformazione
 di Alessandra Nucci  
La guerra umanitaria alla Libia ha mandato in onda l'inganno. Lo ha rivelato in una video-intervista Amedeo Ricucci, inviato Rai. In una breve intervista rilasciata a «LiberaTv» si apprende che nei primi dieci giorni della rivolta libica il 99 per cento delle notizie venivano trasmesse da un'unica fonte, cioè dagli oppositori di Gheddafi, di stanza sia a Londra sia a Bengasi. «Si è pensato che fosse in atto una rivolta di popolo e non era vero», spiega Ricucci, «era in atto, invece, una rivolta regionale, in Cirenaica, che aveva fatto saltare la pax tribale. Si è parlato di un massacro di civili e non era vero. Tuttora non ci sono informazioni indipendenti sui morti. I ribelli hanno sparato una cifra allucinante di 10mila morti nella prima settimana, ma non c'è stata alcuna verifica. Le presunte fosse comuni, uscite sulle prime pagine di tutto il mondo, erano fosse singole, un normalissimo cimitero libico, peraltro già messe in rete tempo addietro. La potenza della disinformazione le ha trasformate in fosse comuni in modo da far scattare l'odio, o comunque la rivolta, contro Gheddafi». Creata la cornice, qualsiasi ulteriore avvenimento è stato adattato alla narrazione impostata: quella della rivolta di popolo schiacciata nel sangue. «Tutta una serie di operazioni sono state fatte per legittimare un intervento che probabilmente era stato deciso prima o che comunque è stato deciso sulla scorta emotiva delle altre rivoluzioni, completamente diverse dalla rivolta libica». Alla gravità delle menzogne si aggiunge la cinica indifferenza degli organi di informazione rispetto alla verità. Alla domanda se non esista più una deontologia professionale che impone una verifica delle fonti Ricucci risponde: «Nel caso libico penso ci siano state responsabilità anche personali di giornalisti che, lanciati sulla rivolta, non hanno avuto né il tempo né la voglia di verificare le notizie: pur di avere la firma sulla prima pagina hanno avallato delle bufale clamorose». «È vero anche, però», aggiunge Ricucci, «che il meccanismo dell'informazione tv, soprattutto in guerra, è micidiale. Favorisce l'informazione spettacolarizzata e quindi notizie tipo le fosse comune e massacro di civili». Per esempio? «In una grande agenzia stampa italiana quando è arrivata la foto delle fosse comuni, un capo servizio ha avvisato il direttore che era falsa, facendogli vedere che era stata già postata mesi addietro. Il direttore cosa ha risposto? «Eh, ma gli altri la danno, noi non possiamo bucare» Altro esempio: un collega freelance, fra i primi a Tripoli, doveva fare un reportage per un grande settimanale. Questo però voleva assolutamente una mappa di Tripoli che mostrasse i settori che stanno con Gheddafi e quelli che stanno con l'opposizione. Il collega, onesto, ha detto non esisteva: «Tripoli sta comunque con Gheddafi, chi non sta con Gheddafi non scende in piazza, non si espone». Al che il settimanale ha deciso: «Allora il pezzo lo facciamo da noi».

Sulla Libia l'Italia s'è spaccata
La guerra apre una frattura tra paese reale e nomenklatura. di Piero Laporta prlprt@gmail.com  
La Libia apre una frattura orizzontale fra la nomenklatura politica italiana (partiti, sindacati, magistratura, alti dirigenti militari e civili) e paese reale.

I conflitti con l'Iraq e con l'Afghanistan lasciarono i distinguo fra le varie fazioni italiane. Oggi la base elettorale è contraria, la dirigenza politica è favorevole.

L'interventismo del Quirinale e di palazzo Chigi ha sapore analogo all'interventismo che nel 1956 e nel 1968 portò i carri armati a Budapest e Praga.

La decisione fu presa a Mosca (oggi Washington); fu sanzionato dalla conferenza dei «paesi comunisti fratelli» (oggi Onu); fu attuata grazie agli zelanti servitori di Mosca, cioè Praga e Sofia (oggi Parigi e Londra). Nessuno stupore, dunque, che l'Italia sia ai margini come lo fu la Romania.

Scrivemmo in tempi non sospetti che il sistema italiano fu caricatura di quello sovietico. La vicenda libica conferma che qualcosa è persino peggiorato.

L'Unione sovietica, sconfitta dalla Guerra fredda, dopo alterne vicende, grazie a Putin, ha recuperato la sua sovranità. L'Italia è oggi l'unico paese europeo che, senza soluzione di continuità, alla subordinazione causata dalla sconfitta del 1945 aggiunge quella recata dal 1989.

Perdere la guerra significa mettere tutto nelle mani del vincitore: la finanza, l'industria, l'agricoltura, le forze politiche, le forze armate, le forze di polizia, i servizi segreti, la magistratura.

L'Italia subì quattro vincitori della Seconda guerra mondiale - Usa, Gran Bretagna, Francia e Unione sovietica - ciascuno dei quali si ritagliò uno spazio nei nostri interessi nazionali, vulnerandoli a suo piacimento o di concerto con gli altri.

Caduta l'Unione sovietica, le sue penetrazioni in Italia sono state rescisse oppure trasferite nelle mani dei rimanenti tre vincitori, cioè Usa, Gran Bretagna e Francia, i quali, ci dettano la linea senza neppure il fastidio del controcanto moscovita.

A parte qualche raro e incorreggibile vetero comunista nostalgico, oggi tutta la dirigenza politica è passata dai carri armati a Budapest ai bombardamenti su Tripoli con la medesima disinvoltura con cui andò da piazza Venezia a piazzale Loreto.

Un ultimo dettaglio è più preoccupante. Giovanni Paolo II fu netto contro gli attacchi all'Iraq e, sebbene io allora pensassi diversamente, oggi è ben chiaro che le armi di distruzione di massa non esistevano, mentre la destabilizzazione dell'Iraq e quella della Libia sono un tutt'uno.

Nel frattempo tuttavia dal Vaticano, dopo gli attacchi sulla pedofilia e sullo Ior, non giungono, a proposito della Libia, parole altrettanto limpide come nel 1991 e nel 2003, nonostante le chiarissime prese di posizione del clero cattolico libico.

La situazione italiana, pertanto, rispetto al 1945, al 1992 e al 2003, è ulteriormente peggiorata.

Deriva pericolosa
Una roba così non era mai successa. Il capo dello Stato che convoca i capigruppo al Quirinale, li mette in riga come scolaretti, gli chiede conto dei fatti e dei misfatti. D'altronde non era mai successo nemmeno il finimondo andato in scena negli ultimi due giorni. Il ministro della Difesa che manda a quel paese il presidente della Camera, quello della Giustizia che giustizia la sua tessera scagliandola contro i banchi dell'Italia dei Valori, quello degli Esteri che lascia la Libia al suo destino per votare un'inversione dell'ordine del giorno in Parlamento. Dall'altro lato della barricata, fra i generali del centrosinistra, contumelie e strepiti, toni roboanti, decibel impazziti. E intanto, nelle valli che circondano il Palazzo, folle rumoreggianti dell'opposizione, lanci di monetine, improperi contro il politico che osa esibire il suo faccione.

Diciamolo: la nostra democrazia parlamentare non è mai stata così fragile. Ed è un bel guaio, nel mese in cui cadono i 150 anni della storia nazionale. Perché uno Stato unito ha bisogno di istituzioni stabili, credibili, forti di un popolo che le sostenga. Ma in Italia la fiducia nelle istituzioni vola rasoterra. Per Eurispes nel 2010 le file dei delusi si sono ingrossate di 22 punti percentuali, per Ispo il 73% dei nostri connazionali disprezza il Parlamento. Colpa dello spettacolo recitato dai partiti, colpa del clima di rissa permanente che ha trasformato le due Camere in un campo di battaglia. Le nazioni muoiono di impercettibili scortesie, diceva Giraudoux. Nel nostro caso le scortesie sono tangibili e concrete come il giornale lanciato in testa al presidente Fini.

Ma non è soltanto una questione di bon ton, di buona educazione. O meglio, dovremmo cominciare a chiederci per quale ragione i nostri politici siano scesi in guerra. Una risposta c'è: perché sono logori, perché hanno perso autorevolezza, e allora sperano di recuperarla gonfiando i bicipiti. Sono logori perché il tempo ha consumato perfino il Sacro Romano Impero, e perché il loro impero dura da fin troppo tempo. Guardateli, non c'è bisogno d'elencarne i nomi: sono sempre loro, al più si scambiano poltrona. Stanno lì da quando la seconda Repubblica ha inaugurato i suoi natali, ed è proprio il mancato ricambio delle classi dirigenti la promessa tradita in questo secondo tempo delle nostre istituzioni. Da qui l'urlo continuo, come quello di un insegnante che non sa ottenere il rispetto della classe. Perché se sei autorevole parli a bassa voce; ma loro no, sono soltanto autoritari.

Ma da qui, in conclusione, il protagonismo suo malgrado del capo dello Stato. D'altronde non sarà affatto un caso se l'istituzione più popolare abita sul Colle: dopotutto gli italiani, nonostante la faziosità della politica, sanno ancora esprimere un sentimento di coesione. E il presidente simboleggia per l'appunto l'unità nazionale, così c'è scritto nella nostra Carta. La domanda è: come raggiungerla? Con un ricambio dei signori di partito, con un'iniezione di forze fresche nel corpo infiacchito della Repubblica italiana. Ci penseranno (speriamo) le prossime elezioni. Quanto poi siano lontane, dipenderà dalla capacità di questo Parlamento di mantenere almeno il senso del decoro.
Michele Ainis

I 25 manager più pagati d'Italia. La maxiliquidazione di Profumo. MILANO - Alessandro Profumo, Luca Cordero di Montezemolo, Marco Tronchetti Provera, Cesare Geronzi e Paolo Scaroni. Sono loro i cinque top manager più pagati a Piazza Affari nel 2010, in base ai dati finora pubblicati dalle più importanti società quotate in Borsa. Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit fino allo scorso settembre, guida indisturbato la classifica con un compenso di 40,6 milioni, di cui 38 milioni come liquidazione: 36,5 alla voce incentivo all'esodo e 1,5 milioni per un patto di non concorrenza. In un accordo complessivo in cui - si legge in una relazione del gruppo - Unicredit si è impegnata a versare in beneficenza due milioni. Destinataria l'associazione di don Colmegna.

Al secondo posto, nella classifica di presidenti e amministratori delegati le cui società hanno già pubblicato i bilanci o le relazioni con tanto di tabella sui compensi, c'è l'ex presidente di Fiat, Luca Cordero di Montezemolo. I milioni in questo caso sono 8,7, dovuti in gran parte non alla buonuscita di Fiat (1,03 milioni) ma all'incarico, ancora ricoperto, di presidente della Ferrari (7,5 milioni). Medaglia di bronzo a Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli, che arriva a sfiorare i 6 milioni, di cui 2,4 da percepire nel corso del 2011.

Segue in classifica Cesare Geronzi, che somma la presidenza di Mediobanca prima a quella delle Generali poi. L'assegno totale, per un anno e mezzo (il bilancio di Piazzetta Cuccia va da luglio a giugno), vale più di 5 milioni. Chiude la «top five» l'amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni, con un «cedolino» annuale da 4,4 milioni. Il «ranking» prosegue con decine di milionari. Fino alla posizione 25, cui arriva la classifica qui sopra, ma anche oltre. E tra le società che ancora mancano all'appello delle pubblicazioni ci sono nomi molto grandi, da cui è presumibile attendersi nuovi super compensi.

Le retribuzioni, comunicate direttamente dalle società, possono contenere delle voci calcolate sulla base dei risultati degli anni passati, o inquadrarsi all'interno di complicati piani di incentivazioni a lungo termine, o ancora includere benefici non monetari come auto e polizze. E, naturalmente, possono essere arricchite da cospicui schemi di stock option: i milioni crescerebbero ancora. Non ci sono solo i numeri, però. La classifica dei paperoni di Piazza Affari, per esempio, a oggi è dominata dagli uomini: nessuna donna nella «top 25». La lista è provvisoria, certo, ma è probabile che non molto cambierà una volta che si conosceranno i dati di tutte le blue chip italiane.
Giovanni Stringa

Suicida un viceprefetto
Simone Di Meo. ROMA. Si è tolto la vita in un bagno della caserma di Castro Pretorio, a Roma, con la pistola d'ordinanza. Il viceprefetto Salvatore Saporito, responsabile di obiettivo del Pon sicurezza (Programma operativo nazionale), mercoledì sera, ha deciso di chiudere nella maniera più tragica la sua carriera di "civil servant" macchiata però ai suoi occhi dall'indagine in cui era stato coinvolto per turbativa d'asta nell'ambito dell'inchiesta sui presunti appalti pilotati per il Cen (Centro elaborazione dati della polizia di Stato) previsto dal "Piano sicurezza", il programma speciale varato nel 2007 dall'allora ministro dell'Interno Giuliano Amato contro l'escalation criminale nel capoluogo campano. Interrogato nel giugno 2010 come teste dal pool Antimafia (Rosario Cantelmo, Enzo D'Onofrio, Pierpaolo Filippelli, Raffaello Falcone e Catello Maresca), Saporito aveva visto la sua posizione aggravarsi a seguito delle contestazioni dei pm circa le modalità dell'appalto (valore 37 milioni di euro) che era stato vinto da un raggruppamento di imprese, guidata dalla Elsag-Datamat (Finmeccanica), invitate a partecipare alla gara su richiesta dello stesso ministero dell'Interno. A insospettire ulteriormente i magistrati la circostanza che la commissione aggiudicataria, che aveva poteri soltanto consultivi e non decisionali, aveva espresso e motivato un parere negativo sul profilo economico dell'offerta. L'intero appalto era stato poi illegittimamente secretato, nonostante si trattasse di una gara di importo superiore al milione di euro.
Nel filone investigativo sul "Piano Sicurezza" risultano indagati, tra gli altri, il vice capo della polizia, Nicola Izzo; il direttore delle specialità di polizia ed ex questore di Napoli, Oscar Fioriolli, e il prefetto dell'Aquila Giovanna Iurato, all'epoca dei fatti direttore centrale dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale del dipartimento di pubblica sicurezza. Saporito era uno degli anelli più piccoli di questa catena decisionale e comunque, a detta di tutti i colleghi, il suo coinvolgimento nell'inchiesta era più formale che costanziale.

Roma. Assist del governo per Parmalat
Snodo Via libera dal Consiglio dei ministri all'intervento del Tesoro Cdp potrà rilevare quote. Intesa SanPaolo presenterà al cda l'offerta italiana. Il Tesoro scende in campo nella battaglia per sbarrare la strada ai francesi di Lactalis. Lo strumento è quello della Cassa Depositi e Prestiti che, come anticipato da Il Tempo, potrebbe acquisire quote di Parmalat sul modello di quanto avviene in Francia. Il Consiglio dei ministri ha autorizzato il ministro dell'Economia Giulio Tremonti «ad attivare strumenti di finanziamento e capitalizzazione, analoghi a quelli in essere in altri Paesi europei, mirati ad assumere partecipazioni in società di interesse nazionale rilevante in termini di strategicità». Parmalat, si puntualizza, «è inclusa nella casistica». Non solo. Intesa SanPaolo ha messo a punto una manifestazione d'interesse italiana che presenterà al cda di oggi rendendo possibile il rinvio dell'assemblea a fine giugno. Intanto Lactalis ha comunicato all'Antitrust europeo che «il suo ingresso nel capitale di Parmalat non può essere considerato come una acquisizione del controllo della Parmalat e pertanto, non c'è la necessità di procedere ad una notifica preventiva». Questo significa che i francesi potranno esercitare i diritti di voto per il 29% che possiedono. Tant'è che hanno precisato: Bruxelles è informata sulle operazioni di acquisto e faremo quanto necessario per votare in assemblea. Lactalis non ha superato la soglia del 30% che è rilevante per l'obbligo di opa. Peraltro il superamento della soglia del 30% non comporta l'obbligo di opa laddove la soglia del 30% sia superata per non più del 3% e l'acquirente si impegni a cedere le azioni eccedenti entro 12 mesi e non esercitare i diritti di voto. I produttori di latte sono in allarme. n caso di vittoria dei francesi, Lactalis continuerà a servirsi di latte italiano o si rifornirà in Francia dove costa meno? Gli allevatori del nord producono latte a un costo del 15-20% superiore a quello dei transalpini, tra i 37 e 39,5 centesimi contro i meno 30 della Francia.

Milano. Edilizia lombarda Boom fallimenti
Boom dei fallimenti tra le imprese di costruzioni in Lombardia, e in particolare, nella provincia di Milano. A fornire le cifre della débâcle è Claudio De Albertis, il presidente di Assimpredil Ance che riunisce i costruttori di Milano, Lodi, Monza e Brianza e relative province. «Il secondo ramo più colpito dell'economia è quello delle costruzioni con 27,5 di insolvency ratio (cioè il tasso di fallimenti ogni 10 mila imprese operative) secondo i dati Cerved», ha dichiarato De Albertis, «la Lombardia registra il più elevato tasso di insolvenza: 28,1, e la provincia di Milano, il terzo tasso di insolvenza più elevato tra le province italiane». La situazione, è la previsione, andrà a peggiorare per le medie imprese lombarde perchè così come si sta delineando il mercato, con la forbice sempre più allargata tra dimensione degli appalti e dimensione delle imprese a vantaggio dei general contractor, le medie imprese non riusciranno a partecipare ai lavori per la realizzazione delle infrastrutture programmate per l'Expo. In questa logica si spiega il provvedimento approvato dal consiglio della regione Lombardia, proposto da Enrico Marcora (Udc) con il quale si chiede la modifica alla normativa europea per gli appalti pubblici per tutelare le imprese lombarde riservando loro una quota importante nella partecipazione agli appalti per la realizzazione delle opere collegate a Expo 2015. L'industria delle costruzioni ha visto calare di 29 miliardi gli investimenti nel settore dal 2008 ad oggi. Gli investimenti nel 2011 subiranno l'ulteriore flessione del 2,4% e la le risorse per le infrastrutture subiranno la riduzione del 30% nel triennio 2009-2011 sul piano nazionale. Il 55,6% delle aziende associate Ance ritiene di essere in una fase di stagnazione e il 41% in fase di recessione. La situazione si fa ancor più grave a livello locale, ha fatto sapere De Albertis, «per effetto della riduzione dei trasferimenti alle regioni (10 miliardi di euro in meno nel biennio 2011-2012) a province e comuni per il patto di stabilità interno con il risultato che si ridurranno del 30% gli investimenti in opere pubbliche. A questo si aggiungono i non pagamenti delle p.a. alle imprese appaltatrici e la riduzione del 39,64%, in numero, e del 68,46%, in valore, delle gare d'appalto del Comune di Milano nel 2010 sul 2008. Il fatturato del mercato immobiliare è sceso di quasi il 20% e il non residenziale dell'8,1% nel 2010. Posti di lavoro persi: 180 mila nel secondo trimestre 2010 e altri 30 mila nel 2011.

Trento. Profughi, ne arriveranno una trentina a settimana
01/04/2011 08:35
TRENTO - Il presidente della Provincia Lorenzo Dellai ha scritto ai presidenti delle Comunità di Valle, al presidente del Consorzio dei Comuni Marino Simoni , ai sindaci di Trento Alessandro Andreatta e Rovereto Andrea Miorandi , al Commissario del governo Francesco Squarcina per riferire della riunione dell'altro ieri a Roma sull'emergenza profughi dal Nordafrica e convocare per martedì un vertice sul piano di accoglienza.

Nella lettera si precisa che la previsione per il Trentino non è di un afflusso immediato e totale, ma di ingressi prevedibilmente di 20-30 persone a settimana nei prossimi mesi, entro il massimo di 450 rifugiati che potrebbero arrivare in provincia.

I profughi che saranno accolti in Trentino verranno da zone di guerra come la Libia, ma anche da altri paesi dell'Africa subsahariana, dall'Etiopia all'Eritrea, dalla Somalia alla Costa d'Avorio. Il luogo di prima accoglienza sarà la struttura della protezione civile a Marco di Rovereto. Ma per donne con bambini e nuclei familiari potrebbe scattare quasi da subito la sistemazione in una delle strutture temporanee che il Cinformi, Il centro per l'immigrazione della Provincia, gestisce in proprio o in convenzione. I richiedenti asilo saranno quindi smistati nelle decine di alloggi e strutture residenziali pubbliche, ma anche private come Villa Sant'Ignazio a Trento, predisposte per l'emergenza.

Varese. Lonate. Reguzzoni: niente rifugiati a Lonate, promessa di Maroni
«Maroni mi ha assicurato che qui non arriverà nessun profugo». La conferma giunge dall’onorevole Marco Reguzzoni (nella foto), presidente del gruppo della Lega alla Camera: il Campo della promessa di Lonate Pozzolo è stato escluso dall’elenco definitivo dei siti deputatati a ospitare i migranti africani attualmente a Lampedusa. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, lo ha garantito al compagno di partito ieri mattina.
«L’ipotesi lonatese non era nemmeno vagliabile, perché la Lombardia ha già un numero altissimo di immigrati e perché il territorio a già gravi problemi legati a Malpensa e alla congiuntura economica», sottolinea il parlamentare leghista. «Queste non sono persone che chiedono asilo politico: cercano lavoro e noi non ce l’abbiamo».
Intanto a Lonate Pozzolo tutti tirano un sospiro di sollievo. Sebbene, anche ieri, non siano mancate prese di posizione che scongiuravano l’ipotesi (per altro già tramontata) e preoccupazione.
Matteo Bertolli e Angelo Perna

Jesolo. Calvazara. «Un danno l'arrivo dei profughi». Calzavara non ci sta: «La sede della Croce Rossa non è idonea». JESOLO. Incubo profughi a Jesolo, la Croce Rossa mette a disposizione 150 posti presso la struttura di via Levantina. E' bastato che questa notizia arrivasse sul litorale ieri mattina perché il Comune iniziasse lo stato di «allerta» esteso poi a tutte le categorie e gli operatori del turismo. Come noto gli albergatori si sono schierati compatti contro questa decisione, invitando la prefettura ed il ministero a prendere in considerazione piuttosto località montane. Il sindaco Francesco Calzavara parla chiaro: «Questa struttura non è adeguata e non ho comunque notizie al riguardo». Ormai la scelta di Jesolo appare inevitabile alla luce dell'emergenza a Lampedusa. Il sindaco però è determinato come lo è stata la Lega che ha subito detto no. «Quello che decide la Croce Rossa - spiega - non è competenza nostra, ma al momento non abbiamo comunicazioni in merito. Resta il fatto che accogliere profughi dalla Tunisia, con il rischio che siano clandestini, adulti, sarebbe un grave danno per la nostra città anche perché la Croce Rossa ha una struttura fronte mare che non si può controllare».  Duro l'attacco del Pd con Roberto Rugolotto. «Il caso dei bambini o ragazzi probabili ospiti della Cri - dice - dimostra che è necessario riprenderci la gestione del territorio; riappropriarci della dignità e dell'ospitalità jesolana. Ospitalità e rispetto dei diritti degli uomini e dei bambini che sempre, a Jesolo, sono andati a braccetto con la saggezza e con la razionalità».  Interviene anche Daniele Bison per il Fli. «Con quello che sta accadendo a Lampedusa - commenta - è altamente probabile che il sito della Croce Rossa possa essere scelto dal ministro Maroni per l'invio di clandestini. Se così fosse a pochi giorni dall'inizio della stagione estiva per Jesolo sarebbe un vero problema, a questo punto vediamo se i proclami urlati del neoleghista Calzavara contrario a questa ipotesi saranno ascoltati oppure se prevarrà il tanto decantato federalismo comunale».  Intanto, Sinistra Ecologia e Libertà con Salvatore Esposito è in contatto con il sindaco di Lampedusa Bernardino De Rubeis che ha invitato il sindaco Calzavara a impegnarsi per ospitare una parte dei profughi nella struttura di via Levantina. 

Ferrara. Profughi, c'è l'ipotesi Poggio. Voci sull'allestimento di un campo in un'area militare. La notizia si è diffusa ieri in serata e non ha ricevuto nessuna conferma ufficiale. Ma l'accelerazione data da Berlusconi alle ipotesi di soluzione del 'caso' Lampedusa, dove sono ammassati migliaia di immigrati, ha reso più probabili le voci su un coinvolgimento della provincia estense nell'accoglienza. Tra le ipotesi c'è quella di un campo per 1500-2000 profughi a Poggio Renatico.  I numeri, in effetti, sono piuttosto sfumati. I 1500-2000 posti corrisponderebbero alla capienza massima, un altro dato indicava non più di 300 possibili ospiti. L'area si trova ad un paio di chilometri in linea d'aria dalla base militare della Nato e a 7-8 dall'abitato di Poggio. Nel campo sarebbero stati autorizzati lavori proprio nelle ultime ore, una circostanza che ha fatto subito pensare all'arrivo dei profughi, e ad un arrivo imminente. Della possibilità di attivare una tendopoli si era già parlato diversi anni fa, mentre l'Italia stava affrontando l'emergenza albanesi. La promessa fatta ieri da Berlusconi di liberare Lampedusa dalla presenza di migliaia di persone accalcate nei centri di accoglienza in condizioni precarie ha fornito ulteriore alimento alle voci circolate in serata. Ieri il tema è stato al centro di un incontro in Regione al quale ha partecipato la presidente della Provincia Marcella Zappaterra con il sottosegretario alla presidenza Alfredo Bertelli e l'assessore alla protezione civile Paola Gazzolo. «Non abbiamo informazioni ufficiali al momento - ha commentato ieri sera la presidente della Provincia - Speriamo di averne presto e soprattutto confidiamo nel fatto che le scelte vengano fatte d'intesa con gli enti locali, altrimenti sarebbe un fatto grave. Non vorrei che il premier avesse deciso di spostarli da Lampedusa a casa nostra senza nemmeno informarci. Stamattina (ieri, ndr) sul tavolo regionale si era deciso di avviare una collaborazione stretta tra Prefettura, Regione ed enti locali, confidiamo che questo venga confermato». «Ferrara - aveva dichiarato Zappaterra alla fine del vertice che aveva riunito i rappresentanti dei Comuni più grandi - è pronta a fare la sua parte, se il resto dell'Italia si prende gli stessi impegni. Il senso di responsabilità deve valere per tutte le Regioni». Insomma, Veneto, Lombardia e Piemonte dovranno dare una mano come le altre regioni a risolvere il problema. L'ipotesi ha iniziato a diffondersi ieri sera anche a Poggio Renatico, dove l'arrivo non concordato dei profughi avrebbe già suscitato più di un malumore.

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