lunedì 11 aprile 2011

Federali-Sera. 11 aprile 2011. Canton Ticino. Il decalogo c'è, a partire dai rapporti con Roma. Parleremo con Bossi affinché parli con Tremonti. Se non cambiano le cose, o con le buone o con le cattive, gli tagliamo i frontalieri, ha detto Bignasca, evocando i ristorni all'Italia provenienti dai lavoratori frontalieri.------Immigrati. Tradotto: il Nordeuropa - Germania in testa - è contrario. Nei confronti dei permessi di soggiorno che da giovedì scorso per decreto possono essere dati ai migranti.

Forza Oltrepadani:
Ginevra. La Lega dei Ticinesi trionfa alle elezioni in Canton Ticino
Canton Ticino. L'onda leghista travolge il Ticino. Di Andrea Clementi, swissinfo.ch
Svizzera. Elezioni cantonali, trionfa la Lega dei Ticinesi
Libia. Gheddafi accetta la proposta dell'Unione africana. Ecco cosa prevede l'accordo

Italiani:
Fisco/contribuenti.it: yacht e nullatenenti, +6,7% nel 2011.
Le tasse occulte dei comuni
Generazioni perdute

Luis, povero benestante:
Bozen. In città più di duemila poveri
Bozen. Durnwalder: basta liste d'attesa in ospedale
Pedavena. Belluno. Una mano alle famiglie in difficoltà

Sindrome dell'ok Korral:
Immigrazione, la Ue verso il no all’Italia
Salorno. Bozen. Tommasini: «L'Ipes non fa privilegi»
Treviso. Profughi, Genty attacca Bossi
Reggio Emilia. Da Lampedusa per uccidere
Bologna. Dai sindaci di provincia un solo grido: "Dove li mettiamo?"
Belluno. Sicurezza, Bottacin: «Aboliamo i prefetti, non sono legati alle realtà del territorio»
Venezia. Gobbo: «Ridaremo ai sindaci i poteri di pubblica sicurezza»


Ginevra. La Lega dei Ticinesi trionfa alle elezioni in Canton Ticino
Ha ottenuto quasi il 30% dei voti, circa l'8% in più rispetto al 2007. Nel mirino i frontalieri italiani
GINEVRA - La Lega dei Ticinesi ha trionfato alle elezioni cantonali in Ticino. Il movimento populista di opposizione, che ha fatto soprattutto campagna sui problemi con la vicina Italia, ha conquistato la maggioranza relativa nell'esecutivo locale conquistando un secondo seggio nel governo cantonale. Nella consultazione tenuta nel cantone di lingua italiana, ha ottenuto quasi il 30% dei voti, circa l'8% in più rispetto al 2007 e superato i liberali-radicali. A Lugano, città considerata culla del movimento degli anarchici, è andata oltre il 36 per cento. Quello festeggiato è stato un 66/mo compleanno perfetto per Giuliano Bignasca, il leader del movimento definito l'Umberto Bossi del Canton Ticino. «Da domani comanda la Lega e ha già chiarito quello che vuole», si è rallegrato Bignasca che, citato dai siti locali, ha già tracciato la strada per il futuro del cantone.

FRONTALIERI ITALIANI NEL MIRINO - «Il decalogo c'è, a partire dai rapporti con Roma. Parleremo con Bossi affinché parli con Tremonti. Se non cambiano le cose, o con le buone o con le cattive, gli tagliamo i frontalieri», ha detto Bignasca, evocando i ristorni all'Italia provenienti dai lavoratori frontalieri. Il Ticino è stato recentemente teatro di una campagna di manifesti contro i «ratt», ovvero i lavoratori frontalieri provenienti dalla vicina Italia. Quando sono state diffuse le prime proiezioni, centinaia di simpatizzanti della Lega hanno invaso la Piazza a Lugano per festeggiare la vittoria.

Canton Ticino. L'onda leghista travolge il Ticino. Di Andrea Clementi, swissinfo.ch
Domenica storica in Ticino: la Lega strappa il secondo seggio in governo ai liberali radicali, diventando il partito di maggioranza relativa. In calo anche socialisti e popolari democratici, crescono gli ecologisti.
Il verdetto delle urne – in attesa dei risultati per quanto concerne il parlamento – è chiaro: la Lega dei ticinesi è il primo partito del cantone, con il 30% delle preferenze, e per la prima volta potrà contare su due suoi esponenti – Marco Borradori e il neo-eletto Norman Gobbi – in Consiglio di Stato.

Brace e cenere
Secondo il Corriere del Ticino, si tratta di un risultato «che viene da lontano, da un cambiamento profondo del tessuto che compone la base elettorale: sempre più svincolata dalle logiche che governano e con cui governano i partiti tradizionali; e sempre più incline a premiare chi mostra, anche se in modi a volte discutibili, di essere attento a cogliere e raccogliere le sue inquietudini. Magari soffiando a sua volta sul fuoco, ma con l'indubbia capacità di riconoscere subito la brace, anche sotto la cenere».
In ogni caso, continua, «non si può non leggere il risultato ticinese di domenica nel contesto delle tendenze nazionali, a cominciare da quella alla polarizzazione della scena politica. La ritrovata unità d'intenti fra Lega e Unione democratica di centro da un lato, ma anche il successo dei Verdi [+4%] dall'altro, mostrano che anche il Ticino, a suo modo, segue queste spinte. Ne dovranno tenere conto, volenti o nolenti, anche quei Confederati che troppo spesso dipingono il Cantone italofono come propaggine poco affidabile e contagiata da vizi importati da sud».
Il Corriere del Ticino fa comunque presente «il rischio di impasse […]: se si innescasse […] un meccanismo di ripicche e veti incrociati, in effetti la paralisi sarebbe garantita. Con un rischio di logoramento innanzitutto per la Lega, che non potrà certo muoversi d'ora in poi come si è mossa fin qui. Esaurita l'euforia per la vittoria, la ricerca di nuovi equilibri interni sarà la principale sfida che dovrà affrontare».

C'è Lega e Lega
Il Giornale del popolo considera quella della Lega «una vittoria che forse […] metterà fine al fenomeno dei superindignati a corrente alternata: quelli che, quando la Lega non fa comodo ai loro giochi, si indignano con chi non si indigna perché la Lega esiste». Inoltre, evidenzia il quotidiano d'ispirazione cattolica, «da tempo si è capito che le guasconate di Bignasca, il linguaggio satirico-gogliardico del suo giornale […] sono una cosa, il lavoro dei suoi uomini politici (peraltro orientati dal fiuto del presidente) un’altra».
Il Giornale del popolo evidenzia poi i gravi problemi del PLR: «La campagna elettorale cui abbiamo appena assistito ha dato uno spettacolo impietoso di come ormai a tenere insieme il "partitone" non potesse essere che un vantaggio di posizione nella pura gestione del potere. Perché mai altrimenti le due cosiddette anime, radicali e liberali, dovrebbero coabitare?»

Un terremoto più o meno previsto
Secondo la Regione, «il terremoto era previsto, ma non di questa magnitudo. Ad originarlo più fattori: sicuramente le effettive incertezze del momento politico e storico, facilmente trasformabili in paure e voglia di ricette muscolose; sicuramente l’eterna doppia natura del movimento, con da un lato la locomotiva istituzionale Marco Borradori e dall’altro il barricadero Nano Bignasca (ora in coppia con l’UDC)».
Quest'ultimo è «un presidentissimo che con un linguaggio chiaro e diretto promette anche la luna alla "gente" usando il tritatutto domenicale, mentre le altre forze politiche si illudono ancora che basti chiedere un atto di fiducia ogni quattro anni, facendo magari riferimento a quanto fatto nei decenni passati, perché il gregge segua il buon pastore. Così non è stato e non sarà più».
Infine, vi è un terzo fattore stando al foglio bellinzonese: «La congiunturale estrema debolezza del Partito liberale radicale, che al massacro ci è andato cantando, accorgendosi troppo tardi del grave pericolo».
Ma anche socialisti e popolari democratici devono riflettere sull'esito del voto: «Il PPD sarà obbligato a decidere da che parte stare in governo. Giuliano Bignasca lo sa benissimo e, visto il ruolo di Beltraminelli, ago della bilancia fra due leghisti da una parte e Sadis e Bertoli dall’altra, dai microfoni della Rsi ha già avvertito l’ex collega di Municipio con termini piuttosto eloquenti».
Ma «anche in casa socialista qualcosa non funziona più per il verso giusto. [...] Una parte dei voti è stata evidentemente travasata sui verdi (+4%), che però non volano come altrove sulla spinta dell’effetto Fukushima. I socialisti [..] ora, grazie ad un ministro particolarmente preparato [Manuele Bertoli, primo consigliere di stato cieco], di fronte allo spostamento a destra del baricentro politico, torneranno verosimilmente a fare maggiormente i socialisti e a tentare di riuscire comunque a farsi sentire e a tessere reti di consensi […]. Non ci illudiamo invece che il voto di ieri spinga l’area rosso-verde a raggruppare le forze, invece di continuare a dividersi e a gioire per le altrui perdite».

Lunedì nero per il PLR
Anche la stampa d'oltre Gottardo e quella romanda hanno seguito con interesse il voto ticinese, coinciso con le votazioni cantonali lucernesi, in cui liberali radicali e popolari democratici hanno perso terreno a scapito di Verdi, Verdi liberali e UDC.
Secondo Der Bund, «il Ticino costituisce un indicatore importante in vista dell'autunno: il partito liberale radicale sarà costretto a guardare in faccia la realtà», una realtà che lo vede in calo in consensi da ormai più di un trentennio. Il trionfo leghista, continua il quotidiano, rappresenta però anche un messaggio anche per l'UDC: «A destra, come si è visto a Ginevra con il successo del Mouvement Citoyens Genevois, c'è posto anche per altri».
La Neue Zürcher Zeitung parla di «Vittoria-tsunami in Ticino», mentre la Tribune de Genève titola: «La Lega fa man bassa di voti», e si chiede se la doppia presenza in governo porterà a un «imborghesimento» del partito. Pure Le Temps sottolinea che si è trattato di una «domenica amara per il PLR».
Andrea Clementi, swissinfo.ch

Svizzera. Elezioni cantonali, trionfa la Lega dei Ticinesi
La Lega dei Ticinesi di Giuliano Bignasca ha registrato un vero e proprio trionfo alle elezioni cantonali in Ticino. Nato nel 1991 come movimento populista di opposizione, la Lega, che ha fatto soprattutto campagna sui problemi con la vicina Italia, ha conquistato la maggioranza relativa nell'esecutivo locale conquistando un secondo seggio nel governo cantonale. Nella consultazione tenuta ieri nel cantone di lingua italiana, ha ottenuto quasi il 30% dei voti, circa l'8% in più rispetto al 2007 e superato i liberali-radicali. A Lugano, città considerata culla del movimento degli anarchici, è andata oltre il 36 per cento.
«E' un risultato che fa piacere, con loro c'è sempre stato un canale di dialogo, spero ci saranno sviluppi interessanti», afferma Stefano Candiani, segretario provinciale varesino della Lega Nord.

Libia. Gheddafi accetta la proposta dell'Unione africana. Ecco cosa prevede l'accordo
Il colonnello Muammar Gheddafi ha accettato la road map proposta dall'Unione africana per trovare una via d'uscita pacifica al conflitto in Libia. Lo ha annunciato il presidente sudafricano Jacob Zuma al termine della riunione a Tripoli di ieri sera che è durata diverse ore. Gheddafi ha ricevuto sotto la sua tenda di Bab al-Aziziya, la delegazione dell'Unione africana composta dai presidenti Jacob Zuma (Sudafrica), Amadu Tumani Turé (Mali), Mohamed Ould Abdel Aziz (Mauritania) e Denis Sassu Nguesso (Congo), assieme al ministro degli Esteri ugandese, Henry Oryem Okello.

Cosa prevede la road map
La road map proposta dall'Unione africana prevede:
1-il cessate il fuoco immediato,
2-le agevolazioni per la consegna degli aiuti umanitari
3- il lancio del dialogo tra i partiti libici in vista di un periodo di transizione dei poteri. Il leader libico si sarebbe detto disponibile anche al dispiegamento di un meccanismo di monitoraggio effettivo e credibile.

Nessuna notizia è trapelata invece sull'addio al potere del colonnello. Gli altri membri della delegazione dell'Ua, secondo quanto si legge su alcuni organi di stampa internazionali, si recheranno a Bengasi per incontrare i capi dei ribelli e negoziare con loro una tregua. Un'opzione, quest'ultima, sempre respinta dagli insorti, che pongono la partenza di Gheddafi come condizione preliminare per qualsiasi negoziato.

La Nato nel frattempo evoca una situazione drammatica nelle città di Ajdabiya (est) e Misurata (ovest), dove domenica, secondo fonti mediche locali, si sono contati almeno 23 morti.

Caos a Misurata
Il Comitato internazionale della Croce rossa è molto preoccupato per le migliaia di profughi stranieri bloccati nel porto libico di Misurata, nell'est della Libia. La Mezzaluna Rossa libica valuta che 6.000 e 7.000 persone provenienti da Egitto, Sudan, e Ciad siano ammassati al porto.
11 aprile 2011

Fisco/contribuenti.it: yacht e nullatenenti, +6,7% nel 2011.
ROMA - "Crescono a dismisura i poveri possidenti, +6,7% nel 2011, che vivono spendendo migliaia di euro per beni di lusso e non dichiarano al fisco quello che guadagnano effettivamente. Il 64% degli yachts che circolano in Italia, sono intestati a nullatenenti o a pensionati con la social card, prestanome di facoltosi imprenditori, per evadere le tasse." Questo è quanto emerge da nuova inchiesta condotta da KRLS Network of Business Ethics per conto di "Contribuenti.it Magazine", presentata oggi a Napoli all'incontro "Fisco per fiasco" di Fisco Tour 2011.
Sono poveracci, dalle dichiarazioni dei redditi irrisorie, presumibilmente prestanome di imprenditori e professionisti che in questo modo eludono il fisco o, peggio ancora, fanno affari d'oro con la malavita organizzata, i proprietari di dei più bei yacht che circolano in Italia.
Secondo lo studio dell! 'Associazione Contribuenti Italiani, elaborato su dati de Lo Sportello del Contribuente, della Polizia Tributaria e del Ministero delle Finanze, oltre la metà degli italiani ha dichiarato meno di 15.000 euro annui e circa due terzi meno di 20.000 euro; di contro, solo lo 0,95% ha dichiarato oltre 100 mila euro, lo 0,17% più di 200mila euro e solo 15 mila persone ha dichiarato un reddito di oltre 300 euro all'anno.
Una fotografia che strida con i dati relativi alle richieste di posti barca che sono cresciuti del 12,3% e agli acquisti di imbarcazioni di lusso. La spesa è cresciuta in Italia nel 2011 del 6,7%. I "ricchi nullatenenti e i poveri possidenti" anche quest'anno hanno destineranno buona parte della loro spesa nella locazione di ville esclusive o per i cosiddetti "passion investiments" come auto di grossa cilindrata (240.000 fuoriserie e suv), yachts, gioielli e oggetti d'arte, nonostante la strategia della tensione messa in atto dall'amministrazione finanziaria.
"Da sola la Guardia di Finanza non può combattere l'evasione fiscale che è diventato lo sport più praticato dagli italiani - afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - Devono scendere in campo gli 007 per scoprire chi sono gli effettivi proprietari degli Yachts che puntualmente, nei mesi estivi, solcano i nostri mari sbeffeggiando il fisco italiano".
Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani
L'ufficio stampa Infopress 0642828757

Le tasse occulte dei comuni
I sindaci presentano il conto. Non potendo fare leva sulle addizionali Irpef, bloccate fino al 2010, i comuni hanno trovato strade alternative per far quadrare i bilanci. Il risultato finale è nei dati del ministero dell'Economia che registra i flussi di cassa di tutte le pubbliche amministrazioni: nel 2010 i sindaci hanno raggranellato dai servizi in media il 13% in più rispetto all'anno precedente. E non sempre si è trattato di rincari nelle tariffe. Spesso infatti l'incremento delle entrate è dovuto a politiche più oculate sui controlli e sulla riscossione.
Un antipasto, quasi, di federalismo municipale, che ha visto l'asticella delle entrate derivanti dalla tassa sui rifiuti urbani salire addirittura del 16% circa. E non poteva essere altrimenti, considerato che la Tarsu è l'unica "tassa" esclusa dal congelamento. Aumenti significativi si registrano però anche dai ricavi delle rette degli asili nido (+6,6%) e dei ticket delle mense (+4,6%). E se per queste ultime voci le tariffe sono solitamente legate ai livelli reddituali, il boom dei parcheggi (+10,6%) riguarda invece indistintamente tutte le categorie di cittadini.
Candidi, Parente, Trovati

Generazioni perdute
La manifestazione dei precari di sabato scorso ha ricordato agli italiani che il loro è un Paese che riserva ai giovani una condizione di estremo sfavore. Ma non solo perché trovare un lavoro stabile è un'impresa disperata. Anche perché (e forse tra i due fenomeni c'e una relazione) ai posti che si dicono di responsabilità - cioè nei posti che contano - si arriva, bene che vada, tra i 50 e i 60 anni, e ci si resta per decenni.

Tutta la classe dirigente italiana è organizzata in un sistema di compatte oligarchie di anziani che per conservare e accrescere i propri privilegi sono decisi a sbarrare l'ingresso a chiunque. A cominciare dal capitalismo industriale-finanziario il quale, almeno in teoria, dovrebbe essere il settore più dinamico e innovativo della società, ma dove invece i Consigli d'amministrazione assomigliano quasi sempre a un club esclusivo di maschi anziani. Anche il sistema politico e i partiti non scherzano. I leader più importanti non solo stanno in politica da almeno tre o quattro decenni, ma in media è da almeno 20-25 anni che occupano posizioni di vertice.

La muraglia invalicabile dietro la quale prospera la gerontocrazia italiana ha un nome preciso: l'ostracismo alla competizione e al merito. In Italia il sapere e il saper fare contano pochissimo. Moltissimo invece contano le amicizie, il tessuto di relazioni, l'onnipresente famiglia, e soprattutto l'assicurazione implicita di non dar fastidio, di aspettare il proprio turno, di rispettare gli equilibri consolidati: vale a dire ciò che fanno o decidono i vecchi.

È così che l'Italia sta mandando letteralmente al macero una generazione dopo l'altra. Ma non tutti si rassegnano a subire la frustrazione di dover passare i migliori anni della propria vita ad arrancare dietro un posto di seconda fila, precario e mal pagato. A partire almeno dagli Anni 90, infatti, decine di migliaia di giovani, donne e uomini, hanno trovato modo di lasciare la Penisola e di ottenere un lavoro fuori dai nostri confini. Non è vero che l'emigrazione italiana è finita. Certo, ora non sono più le «braccia», sono i «cervelli»; ma la sostanza del fenomeno non cambia. Sono giovani di talento che per avere un futuro hanno dovuto andarsene dal Paese. E che nelle università, negli uffici finanziari, nelle case di commercio, nelle banche, nei centri di ricerca, negli ospedali, nelle imprese industriali di mezzo mondo, mostrano come il nostro sistema d'istruzione, pur con i centomila difetti che sappiamo, sia tuttavia ancora capace di produrre una formazione d'eccellenza. Sono giovani di talento che fuori d'Italia hanno avuto modo di farsi apprezzare, di costruirsi carriere e posizioni spesso di rilievo. È un'emigrazione di qualità, insomma. Ma è anche un'emigrazione che non dimentica, non riesce a dimenticare, il proprio Paese. Un'emigrazione che per mille segni mostra quanta voglia avrebbe di poter essere utile all'Italia.

Che senso ha allora, mi chiedo, che un'Italia di vecchi, un Paese disperatamente in declino, non pensi a ricorrere in qualche modo a questa riserva collaudata di energia e di competenze? Stabilizzare centinaia di migliaia di lavoratori precari è un obiettivo sacrosanto ma è certamente un obiettivo non facile. Richiede interventi economici e giuridici complessi. Ci si deve assolutamente provare, ma ciò non toglie che allo stesso tempo non si possano anche studiare procedure di favore e incentivi allo scopo di immettere un certo numero di italiani di talento che si trovano oggi all'estero, per esempio in posizioni medio-alte della Pubblica amministrazione, degli Enti locali, delle Asl.

Nelle Università qualcosa del genere si è tentato ma è naufragato per le inevitabili resistenze corporative. Il che dimostra che ciò che soprattutto servirebbe per muoversi nella direzione ora detta sarebbe un impulso forte e coordinato dal centro. Cioè un'iniziativa politica che desse il segnale che il Paese vuole cambiare rotta, farla finita con abitudini che ci soffocano, prendere con coraggio strade nuove, muoversi finalmente con immaginazione senza lasciarsi frenare dal burocratismo, dalle vecchie oligarchie, dal passato. Conosco l'obiezione: e cioè che per fare tutto questo ci vorrebbe una vera leadership politica, un governo. È proprio così: ci vorrebbe un governo.
Ernesto Galli della Loggia

Bozen. In città più di duemila poveri
I bolzanini sotto il reddito minimo quasi raddoppiati rispetto a due anni fa
di Mirco Marchiodi
BOLZANO. Esplode il numero di bolzanini che non raggiungono più il reddito minimo: sono ormai più di duemila. Non va meglio nel resto dell'Alto Adige, dove si aggiungono altri 2.611 "poveri" a cui la Provincia deve integrare il reddito per arrivare a raggiungere il minimo vitale. La spesa complessiva è praticamente raddoppiata nel corso di due anni: se nel 2008 per le prestazioni di assistenza economia per il reddito minimo di inserimento erano stati spesi 5,37 milioni di euro, nel 2010 la spesa ha sfiorato i 10 milioni. IL REDDITO MINIMO. Ogni anno la Provincia fissa il reddito minimo di inserimento che nel 2011 è fissato a 597 euro mensili per un single, a 781 euro per un nucleo di due persone e a 1.015 per un nucleo familiare di tre persone. Chi non raggiunge questo reddito minimo, ha diritto a un'integrazione: nel 2008, a livello provinciale, gli assistiti erano stati 3.202. Quell'anno per la Provincia la spesa era stata di 5,37 milioni. Poi l'impennata del 2009, con 4.156 assistiti e una spesa totale di 8,4 milioni. Nel 2010 - i dati sono freschissimi e risultano da una risposta dell'assessore provinciale alle politiche sociali Richard Theiner ad un'interrogazione presentata da Mauro Minniti - è continuato ad aumentare il numero di assistiti, ma ancora di più è cresciuta la spesa, che ha toccato quota 9,9 milioni di euro. Il direttore dell'ufficio provinciale distretti sociali Luca Critelli aveva già segnalato l'aumento: «Un incremento che va ricondotto in particolare alla crescita del numero dei disoccupati. Gli aiuti a chi perde lavoro hanno durata limitata e nel 2010 abbiamo registrato molti casi di persone che sono rimaste senza lavoro e quindi senza stipendio, ma anche senza sussidio, e che di conseguenza sono scesi sotto il minimo vitale». LE CITTÀ. Nella sua interrogazione, Minniti oltre ai dati provinciali ha chiesto quelli relativi a Bolzano, Merano, Laives e Bressanone. Il maggior numero di richiedenti si registra ovviamente nel capoluogo, dove nel 2010 per la prima volta è stato sfondato il tetto dei duemila assistiti. Nel 2008 viveva sotto il reddito minimo vitale "solo" 1.252 persone, salite poi a 1.719 nel 2009. Ora il nuovo aumento, che si riflette anche sulla spesa: se nel 2008 la Provincia aveva versato ai bolzanini 1,97 milioni e nel 2009 3,18 milioni, nel 2010 è stata abbondantemente superata quota quattro milioni. La spesa per gli assistiti residenti a Merano è salita a 1,73 milioni (era stata di 1,0 milioni nel 2008 e di 1,56 nel 2009), mentre a Bressanone è stata di 920 mila euro (450 mila nel 2008 e 701 mila nel 2009). A Laives gli assistiti sono saliti a 302 per una spesa che nel 2010 ha sfiorato il mezzo milione di euro (373 mila nel 2009). GLI STRANIERI. Aumentano gli assistiti in generale, ma cresce in maniera ancora più veloce il numero degli assistiti stranieri. In città di Bolzano, addirittura, nel 2010 la prestazione per il reddito minimo è stata concessa a 996 italiani e 1.025 stranieri (di questi, 925 erano extracomunitari). Agli italiani va comunque la maggior parte dei contributi: 2,39 milioni contro i poco meno di 1,8 milioni andati agli stranieri. Tra le altre città prese in considerazione dall'interrogazione di Minniti, la stessa situazione si registra anche a Laives: sui 221 di assistiti complessivi nel 2010, gli italiani erano stati 92 e gli stranieri 129, per la quasi totalità extracomunitari. A Laives, peraltro, già nel 2009 gli assistiti erano stati in gran parte stranieri: 92 contro i 74 italiani. Questo il rapporto a Merano e Bressanone: nella città del Passirio su 743 assisiti, quelli con cittadinanza italiana sono stati 434, mentre dei 309 stranieri, 257 erano extracomunitari. Nella città vescovile, invece, su 346 assistiti complessivi 180 avevano cittadinanza italiana, 144 erano extracomunitari e 22 erano stranieri con passaporto comunitario.

Bozen. Durnwalder: basta liste d'attesa in ospedale
Al San Maurizio si profila il blocco o la riduzione delle visite private
di Antonella Mattioli
BOLZANO. Questa mattina l'assessore alla sanità Richard Theiner, su richiesta del presidente Luis Durnwalder, presenterà alla giunta una dettagliata relazione sui tempi d'attesa per avere una visita specialistica al San Maurizio. Si parla di 209 giorni per dermatologia, 160 a reumatologia, 153 per urologia, 147 per oculistica. E ancora: 105 giorni per una visita dal fisiatra e 93 dall'otorinolaringoiatra. Tempi che ovviamente si riducono drasticamente pagando o in caso di urgenze. Come intendete intervenire per ridurre le liste d'attesa? «Innanzitutto voglio verificare la fondatezza delle proteste che continuo a ricevere sui tempi d'attesa». E poi? «Sentiremo le proposte dell'assessore Theiner. Certo è che se i tempi d'attesa, in certe specialità, sono quelli che dicono è chiaro che la gente ha ragione a lamentarsi e noi dobbiamo intervenire». Ha qualche idea? «Dobbiamo far rispettare le direttive della giunta provinciale che prevedono il blocco delle visite private (intramoenia) nei reparti con liste d'attesa superiori ai 60 giorni». Quindi in certi reparti, fin da ora, si può prevedere un blocco delle visite private. «Se non un blocco una riduzione delle ore da riservare all'intramoenia, mi pare inevitabile». I medici già oggi si lamentano perché hanno solo 3 ore alla settimana per le visite private contro le 20 di Trento e le 40 del resto d'Italia. «È vero che qui ci sono meno ore per l'attività privata all'interno delle strutture ospedaliere, ma è anche vero che i medici guadagnano di più. In ogni caso, la giunta deve evitare una medicina a due velocità: lentissima quella pubblica, rapidissima per chi ha la possibilità di pagare». I medici annunciano battaglia, non hanno alcuna voglia di mollare. «Non mi spavento, devo pensare a quello che è l'interesse di tutti i cittadini». Lo studio Pasdera ha rilevato che, a parità di servizi, in Alto Adige la sanità costa un 15,5% in più che nel resto d'Italia. «È semplicemente una conferma di quanto già sapevamo: la sanità altoatesina costa intorno ai 2.200 euro per abitante contro i 1.800-1.900 di altre realtà. La differenza la fa la qualità: da noi i pazienti non devono portarsi da casa lenzuola, piatti e posate. Ci sono comunque anche aree dove si spende di più che da noi: in Austria e in Germania, in centri dove si fa molta ricerca, si arriva anche a 2.800-3.600 euro pro capite». Dalla sanità ai rifugi: Cai e Avs si dicono pronti a gestire unitariamente dal 2012 i 25 rifugi passati dalla Stato alla Provincia. Ma secondo il presidente del Cai Broggi lei avrebbe bloccato la pratica. «In effetti è così». Punta ad una società mista di cui faccia parte anche la Provincia. «Mi sembra il minimo che si possa chiedere. Visto che proprietaria è la Provincia e quindi la collettività. Mi pare che qui ci si dimentichi di questo particolare tutt'altro che secondario. Vorrebbero avere mano libera sulla gestione e che noi ovviamente ci mettessimo i soldi. Non è possibile perché anche i soldi sono di tutti e quindi dobbiamo vigilare». E per quanto riguarda il rifugio «Bolzano al Monte Pez» di proprietà della sezione Cai di Bolzano che non fa parte della lista dei 25? «Mi pare che il Cai non abbia ancora deciso cosa fare. Io comunque sarei disposto a rilevarlo per evitare le continue vertenze». Pagando ovviamente. «Ovvio». Da quel che si capisce il Cai vorrebbe vedere riconosciuto il lavoro di manutenzione e conduzione fatto in questi anni. «In questo caso sanno bene cosa significa essere proprietari di qualcosa. Solo se la proprietaria è la Provincia si pensa di poter fare quello che si vuole». Cosa si aspetta dall'incontro di giovedì sulla segnaletica di montagna con il ministro Fitto? «È un incontro interlocutorio: continua la discussione sulla segnaletica di montagna».

Pedavena. Belluno. Una mano alle famiglie in difficoltà
Bilancio ingessato, ma l'amministrazione trova i fondi per il sociale
PEDAVENA. Aumenta l'attenzione al sociale, con un incremento della spesa per questa categoria dai 165 mila euro del 2010 ai 197 mila euro e spiccioli del 2011, in considerazione delle difficoltà economiche che vedono coinvolte diverse famiglie nel vortice della crisi occupazionale. E' il dato più significativo del bilancio previsionale (sempre più ingessato), che l'amministrazione porterà in consiglio per l'approvazione, domani alle 20.  Sempre più stringato, il bilancio lotta contro la riduzione dei trasferimenti: «La situazione è di evidente difficoltà a causa della minore attenzione del Governo per i piccoli comuni di montagna», esordisce il sindaco Teresa De Bortoli. «Avremmo voluto dare maggiore attenzione alla manutenzione del territorio e del patrimonio e così si mette in discussione anche la quantità e qualità dell'erogazione dei servizi ai cittadini, che abbiamo mantenuto con grande sforzo. Ma se in futuro questo quadro non migliorerà, potremmo essere costretti a rinunciare a qualcosa».  Conti alla mano, l'assessore al bilancio Vittore De Bortoli evidenzia il trend economico: «Le entrate correnti sono calate di oltre 110 mila euro dal 2010 al 2011 e le spese correnti sono diminuite di 130 mila euro, passando da 572 euro per abitante a 531 euro. Per chiudere il bilancio in pareggio abbiamo contenuto i costi e fatto ricorso a una parte degli oneri di urbanizzazione (40 mila euro)», spiega. «Dobbiamo selezionare bene gli investimenti in base alle priorità».  Tre i grossi interventi in programma quest'anno: l'ultimo stralcio dei lavori agli impianti sportivi del Boscherai - progetto realizzato insieme al comune di Feltre - che prevede il parcheggio, l'illuminazione e le opere di corredo (436 mila euro), la messa in sicurezza della viabilità minore (570 mila euro di cui 346 mila stanziati dalla Regione) e il rifacimento dell'illuminazione pubblica a Pedavena ovest (210 mila euro). Si aggiungono investimenti pari a 230 mila euro per la manutenzione delle strade (circa 100 mila euro) e del patrimonio, il risparmio energetico, la sistemazione di malghe e varie piccole necessità.

Immigrazione, la Ue verso il no all’Italia
10 aprile 2011
Bruxelles - Berlusconi ieri ha chiesto che l’Europa dimostri di esserci «altrimenti è meglio dividerci». Oggi il ministro Frattini sollecita «un azione politica» della Ue ed il rispetto delle leggi italiane.
Ma alla vigilia del consiglio dei ministri della Unione europea in cui domani Maroni affronterà la missione difficile, se non impossibile, di ottenere la solidarietà dell’Ue di fronte all’emergenza migratoria, i soli ad essere disponibili sembrano i ribelli del Cnt di Bengasi che hanno promesso all’Italia di lottare contro l’immigrazione clandestina. Dall’Europa invece arriva una doccia fredda. Perché le soluzioni italiane per tamponare l’emergenza non convincono Bruxelles. Men che meno gli altri governi dell’Unione.

Alla vigilia gli auspici sono «foschi» per l’Italia, secondo fonti di Bruxelles. A favore c’è la ricucitura dello strappo con la Francia sancita dall’incontro tra Maroni ed il collega francese Guueant a Milano. E c’è pure la conclamata disponibilità della Commissione europea a dare più soldi e più mezzi. Resta però lo scoglio del no alla suddivisione dei carico di immigrati.

Il `no´ emerge da una lettera inviata dalla Commissaria europea Cecilia Malmstrom al Viminale. No alla direttiva sulla `protezione temporanea´. E sui permessi di soggiorno emessi sulla base della Bossi-Fini, se da una parte nulla osta il rilascio «per fini umanitari» deciso per decreto dall’Italia, dall’altra - è scritto nella lettera - quei pezzi di carta «non automaticamente» aprono le porte della libera circolazione nell’area Schengen.

«Lo sapevamo», replicano dal Ministero dell’Interno, dove non sono sorpresi neppure dal fatto che nella lettera la Malmstrom spiega di non vedere le condizioni per una attivazione della direttiva sulla `protezione temporanea´, legge europea del 2001 relativa ai rifugiati (cioè tutte quelle «persone che fuggono da Paesi in cui la loro vita sarebbe a repentaglio in caso di rientro»), pensata per fronteggiare la crisi del Kosovo e mai applicata per tutti i problemi collaterali che potrebbe aprire.

Sulla direttiva 55 - che non piace alla base leghista - punta il Pdl, che in Europa ha fatto una campagna in tal senso, arrivando lunedì scorso a far ammettere alla Malmstrom davanti alla plenaria di Strasburgo che ci si potrebbe pure pensare. Ma già allora la svedese aveva avvertito che in Consiglio «non c’è una maggioranza qualificata» per approvarla.

Tradotto: il Nordeuropa - Germania in testa - è contrario. Nei confronti dei permessi di soggiorno che da giovedì scorso per decreto possono essere dati ai migranti, l’ostacolo, secondo una lettura della lettera della Malmstrom, è nel fatto che lo stesso decreto richiama le norme in vigore. Ovvero, il regolamento 526 del 2006, che indica cinque precisi requisiti per consentire la libera circolazione degli extracomunitari nello spazio Schengen. In particolare, essi devono dimostrare di avere mezzi di sostentamento per tutto il periodo della loro permanenza in un territorio fuori dall’Italia, compreso il rientro. Il Viminale però ribatte che tutte le condizioni previste dal Trattato «sono rispettate».
Più soldi e più mezzi per Frontex, la missione europea che deve aiutare a controllare la frontiera esterna, la Ue è comunque disposta a darli, come ripete da settimane la svedese che gestisce gli Affari interni nella Commissione europea.

L’ostacolo sono «gli egoismi degli stati membri», citati tanto dal vicecommissario Tajani quanto da D’Alema. Quest’ultimo fa anche osservare che la ragione di tali egoismi è nel fatto che sono tutti governi espressione «di partiti conservatori». Alla fine è comunque possibile che domani Maroni incassi almeno la disponibilità a distribuire in Europa i richiedenti asilo che sono in Libia (ancora 5-6.000 secondo le stime Unhcr) e che i 27 potrebbero decidere di distribuirsi, a colpi di un paio di centinaia l’uno.

Salorno. Bozen. Tommasini: «L'Ipes non fa privilegi»
Salorno: gli extracomunitari hanno diritto solo al 10% degli alloggi.
di Massimiliano Bona
SALORNO. «Forse non tutti sanno che con la legge attualmente in vigore solo 1 alloggio Ipes su 10 viene assegnato a extracomunitari»: a precisarlo è stato ieri il vicepresidente della giunta provinciale Christian Tommasini, competente anche in materia di edilizia abitativa agevolata. L'osservazione dell'esponente del Pd ha un certo peso soprattutto per la realtà - piuttosto atipica - di Salorno, dove la giunta, per frenare l'ondata di stranieri, ha approvato una delibera con la quale ha chiesto all'Istituto per l'edilizia sociale di bloccare il piano alloggi. «Per quanto attiene il fabbisogno di ciascun Comune - commenta Tommasini - la Provincia fa una stima, sulla base di diversi parametri, primo fra tutti l'esistenza di richiedenti con più di 25 punti. Nel caso di Salorno ci siamo fermati prima, perché non avrebbe avuto senso procedere contro la volontà della giunta. Certo, non immaginavo che dietro alla richiesta ci fosse anche l'intenzione di arginare, in qualche modo, l'ondata di stranieri arrivati nel paese della Bassa Atesina soprattutto dal 2000 in poi».  Resta da capire come si comporterà Salorno tra qualche anno, quando - oltre agli immigrati - saranno le famiglie del posto a fare domanda per avere un alloggio Ipes. È difficile pensare che non vi sia, infatti, una quota "fisiologica" di richieste, come accade in quasi tutti gli altri paesi altoatesini. «In quel caso - spiega Tommasini - dovremo riconsiderare la questione». Certo, se il timore è quello di creare una sorta di enclave, un paese nel paese nel quale vivono quasi esclusivamente immigrati, già oggi non siamo molto lontani. Camminando per strada si capisce subito, infatti, dove vivono gli immigrati. Ci sono case, ai civici 13 e 24 di via Trento o in via Nazionale, vicino al Despar e al mobilificio Cristofori, dove ai campanelli ci sono solo nomi di stranieri. In gran parte sono nordafricani e macedoni, che assieme rappresentano quasi il 60 per cento della popolazione non autoctona. Sono soprattutto operai, che lavorano perlopiù a Bolzano. La presenza di stranieri è maggiore nell'edilizia, nelle pulizie, nelle fabbriche ma anche nell'artigianato e nella ristorazione. Sono davvero pochi gli stranieri ad aver optato per un'attività in proprio. Gli spacci e i piccoli bazar gestiti da immigrati sono tre, ma a servirsene sono quasi esclusivamente gli extracomunitari. Le donne che hanno un posto fisso fanno le badanti, ma la maggior parte delle mogli di stranieri sta a casa e non conosce bene l'italiano o il tedesco. Ci sono problemi oggettivi di integrazione. Sono in molti a chiedere il ricongiungimento e, non appena arriva il benestare, gli stranieri che hanno fatto domanda raggiungono i familiari in alloggi già sovraffollati. È difficile dire se si tratti o meno di un'emergenza, ma sicuramente chi dà in affitto un alloggio, spesso, guarda innanzitutto al suo tornaconto e non si cura più di tanto delle condizioni in cui vivono i suoi vicini. 

Treviso. Profughi, Genty attacca Bossi
Lo sceriffo furioso. E a Maroni: «Così non va bene»
TREVISO. Bossi e Maroni sono troppo tolleranti con i profughi africani. Parola dello sceriffo Gentilini, che su Radio Padania non usa mezzi termini per commentare cosa sta accadendo in questi giorni a Lampedusa. E non risparmia i leader del Carroccio. «A Maroni - afferma il vicesindaco - dico con che non può continuare così. Deve blindare i nostri confini con il blocco navale». Ma ce ne sono anche per il numero uno del Carroccio. «Bossi - aggiunge Gentilini - ha prima detto clandestini fuori dalle balle e poi ha accettato il permesso di soggiorno temporaneo. Così non va».

Lo sceriffo spara a tutto campo: «Esigo in nome della Lega che ci sia un cambiamento di rotta, dobbiamo tornare ad essere un movimento di battaglia. Maroni, Calderoli, Bossi, vi voglio combattenti e legionari in difesa del popolo veneto». Nel corso dell’intervento a Radio Padania sul tema dell’immigrazione, ha poi spiegato che Lega negli ultimi tempi ha perso il suo spirito rivoluzionario: «Il popolo si meraviglia di tanto buonismo. Noi siamo leghisti combattivi, quindi dobbiamo tornare ad essere un movimento rivoluzionario. Le sedie non ci interessano a me interessa il popolo, stare in mezzo al popolo e rispondere al popolo. La nostra gente ha creduto in noi, ha votato noi e adesso si ritrova a veder girare per le strade questa gente senza arte né parte».

Il linguaggio, come suo solito, è colorito. Parla di «paccottiglia di delinquenti», i migranti arrivati in Italia non meritano alcuna ospitalità e sbaglia il governo a concedere loro il permesso temporaneo. «Il popolo non capisce - ha aggiunto lo sceriffo - questi sono tutti clandestini e la battaglia della Lega è sempre stata “fuori dalle balle i clandestini”.

Invece la gente mi ferma e mi dice che non bastavano gli altri problemi, adesso c’è anche questa paccottiglia di delinquenti che rapinano strade intere, case dappertutto». Ed a questo punto Gentilini tira in ballo anche Bossi e Maroni, anche loro responsabili, secondo il vicesindaco di Treviso, di quanto sta accadendo a Lampedusa: «Bossi ha detto fuori dalle balle e fuori dalle balle non va d’accordo con i permessi temporanei. Maroni, non continuare così.

C’è troppo buonismo, troppa tolleranza, troppo permissivismo». E sulla questione stranieri interviene anche il sindaco Gobbo: «L’E uropa non li vuole. Non li vuole la Francia, non li vuole la Germania. Se gli altri dicono di no perché noi dobbiamo dire sì?». Gobbo però difende il permesso breve: «Diciamo che era l’unico modo per far scoprire le carte all’Europa. Per capire fino a che punto erano disposti a arrivare».

Reggio Emilia. Da Lampedusa per uccidere
Catturati due tunisini insieme al loro mandante
REGGIO. Sbarcati da poche ore a Lampedusa, trasferiti in un centro di accoglienza, poi spariti con direzione Reggio, dove ad attenderli, un loro connazionale che li assolda per una spedizione punitiva. Sono due i due tunisini arrestati venerdì dalla Mobile che ha catturato anche l'uomo che li aveva assoldati. I tre sono finiti in manette e la polizia, nell'auto sulla quale li ha intercettati, ha sequestrato materiale scottante: una pistola semiautomatica Zastava - di fabbricazione russa - 54 proiettili e una katana. Ma le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Luciano Padula, sono appena all'inizio. Tante ancora le ombre che il capo della Mobile Antonio Turi e i suoi uomini devono chiarire. 
L'INTUITO. Sono le 14 di venerdì. Una pattuglia della Mobile è nel parcheggio dell'ospedale in viale Risorgimento. L'attenzione degli investigatori viene attirata dal conducente di un'Audi A3. E' uno straniero e la sua faccia è conosciuta. L'intuito dei poliziotti si rivela vincente, perché quando gli agenti fermano la macchina, dopo l'indentificazione del giovane che è al volante, hanno la conferma di quanto ipotizzato poco prima. E' Anis Ben Barka, tunisino di 23 anni, ricercato da oltre anno perché destinatario di un provvedimento di cattura emesso dal tribunale per i minorenni di Bologna per una condanna per spaccio di stupefacenti. Nella sua Audi ci sono altre due persone, anche loro tunisine. Tutti vengono accompagnati in questura, dove le sorprese durano fino a tarda sera. 
PROFUGHI. La prima sorpresa arriva in merito alla storia delle due persone che sono state rintracciate nella macchina del 23enne. Dal controllo incrociato con la banca dati del Viminale, emerge che Merher El Honi, 26 anni, era sbarcato a Lampedusa il 26 marzo, mentre Amuna Mathlouthi, 21 anni, era arrivato sull'isola siciliana mercoledì mattina. Entrambi, dopo essere stati identificati, erano poi stati trasferiti in un centro di accoglienza, per poi fuggire e arrivare a Reggio, contattati da Anis Ben Barka.  
LE ARMI. Ma le sorprese più inquietanti arrivano dal risultato della perquisizione dell'auto dei tre fermati. Nella vettura ci sono delle armi: una pistola Zastava, calibro 6.35, con 54 proiettili a disposizione e una takana, un particolare coltello con un lama di oltre venti centimetri.  La pistola è in perfette condizioni, la matricola non abrasa, ma non risulta in un nessun archivio della polizia, tanto che gli investigatori sono convinti sia arrivata in Italia tramite i canali del mercato nero avviato con l'Est Europa. Ma cosa servono quelle armi? Perché quei tre girano per Reggio con una pistola e un coltello? L'ipotesi più probabile è che quelle tre persone fossero pronte per compiere un agguato. A chi? Probabilmente - ma questo lo stabiliranno le indagini - al gruppo di persone che giovedì aveva accoltellato a un braccio il fratello di Anis Ben Barka. 

Bologna. Dai sindaci di provincia un solo grido: "Dove li mettiamo?"
Immigrati, mentre il commissario Cancellieri è pronto a ospitarli ai Prati di Caprara, i ‘colleghi’ si defilano
Bologna, 11 aprile 2011 - Prati di Caprara, da oggi si fa sul serio. Il Comune ormai non ha più dubbi sulla collocazione degli immigrati tunisini in arrivo anche sotto le Due Torri, come nel resto d’Italia, dopo gli sbarchi di Lampedusa. «Domani (oggi per chi legge; ndr) terremo una riunione con i tecnici — spiega il commissario, Anna Maria Cancellieri — per cominciare ad affrontare tutte le questioni organizzative. Verranno fatte le verifiche necessarie. Contiamo di essere pronti in pochi giorni». Insomma, parte la fase operativa. Come già emerso nei giorni scorsi, saranno circa 1.500 i migranti destinati all’Emilia Romagna. La quota bolognese (città e provincia) dovrebbe essere di 320-350.

Belluno. Sicurezza, Bottacin: «Aboliamo i prefetti, non sono legati alle realtà del territorio»
Il presidente: «Per l’ordine pubblico basta il questore, per la protezione civile la Provincia. Ci vuole coraggio per le riforme»
BELLUNO — Non è la prima volta e non sarà l’ultima: per il Carroccio sono figure con autorità ma dai poteri incerti, ambasciatori in patria avulsi dal territorio, un po’ ficcanaso e molto a carico dello Stato. Perciò cresce l’insofferenza per i rappresentanti del governo in Provincia, che peraltro possono proporre al ministro degli Interni (dal quale dipendono) la rimozione del sindaco, del presidente della Provincia, dei vertici di consorzi e Comunità montane; e avviare la procedura per lo scioglimento di consigli comunali o provinciali e l'invio di un commissario. Troppo, per il Carroccio.

E così l’insofferenza cresce, al punto che sabato Gianpaolo Bottacin, presidente della Provincia di Belluno, in trasferta al «ProcivExpo» di Santa Lucia di Piave (Treviso), ha sbottato: «Il prefetto è una figura da abolire». Non sarà una novità, ma questa volta Bottacin sostiene di essersi confrontato, sul punto, non solo con la Lega in quanto partito, ma anche con i suoi rappresentanti al governo. Il presidente la mette così: «A palazzo Piloni ci sto da un anno e mezzo - afferma - e ho già conosciuto tre prefetti: Provvidenza Delfina Raimondo, Carlo Boffi e l’ultima, Maria Laura Simonetti. Brave persone, niente da dire; ma passano da una provincia all’altra, o meglio: da una provincia di una certa regione ad una di una regione diversa, come se il Bellunese avesse gli stessi problemi di Ferrara o Catanzaro. Ogni volta, un lavoro a scadenza. Così non sono legati al territorio e a realtà specifiche come il volontariato».

Ma il punto è che «dalle nostre parti se ne può fare a meno. Mentre al Sud è difficile "tirarli via", perché svolgono una funzione di controllo su amministrazioni in odore di mafia, qui i problemi sono altri. Al Sud occorre più Stato; da noi è bene che lo Stato faccia un passo indietro. Quanto alle questioni di sicurezza e ordine pubblico, l’autorità c’è già: il questore; e due mi sembrano troppe». E poi il prefetto ha l’ultima parola in tema di protezione civile. «Il che è strano - continua -: i Comuni elaborano i piani di protezione civile, le Province li approvano e i prefetti, che non fanno a tempo a conoscerli, li applicano. C’è qualcosa che non va, o no? Sarebbe il caso che le competenze in materia fossero in mano alla Provincia e basta». Ma allora che ci stanno a fare? «Appunto». Improbabile, però, che lo Stato rinuncia a figure storiche. «Bisogna mettersi d’accordo - termina - o si ha il coraggio di fare le riforme, o si finisce come la Grecia».
Marco de’ Francesco

Venezia. Gobbo: «Ridaremo ai sindaci i poteri di pubblica sicurezza»
Dopo la bocciatura della Consulta il segretario leghista annuncia nuove iniziative. Ma l’ex presidente della Corte Onida: no a trucchi
VENEZIA — I sindaci-sceriffi non si arrendono, annunciando di voler salvare le loro ordinanze dai mille divieti recependole nei regolamenti di polizia urbana. È il caso di Gian Paolo Gobbo, primo cittadino di Treviso e capo della Lega in Veneto, che non vuol rinunciare ai poteri che il «pacchetto Maroni» aveva dato ai sindaci. Per Gobbo la decisione della Consulta che ha bocciato la legge col nome del ministro dell’Interno, «sta creando una serie di problemi in materia di sicurezza e di uguaglianza dei cittadini». A preoccupare Gobbo sarebbe in particolare lo stop alle ordinanze anti-accattonaggio e per contenere la prostituzione. Treviso ha già fatto capire che andrà avanti per il percorso già tracciato dalle ordinanze, ma Gobbo cerca di correre ai ripari, anche dal punto di vista legale. «Stiamo verificando altre strade — conferma il primo cittadino di Treviso — non possiamo permettere che le città siano preda di situazioni gestite dalla criminalità organizzata, come l’accattonaggio e la prostituzione. I sindaci devono poter esercitare quei poteri che prevedeva il pacchetto Maroni». Ora si tratta di capire come. «Stiamo valutando a livello parlamentare di presentare una legge per ripristinare il senso delle ordinanze» chiude Gobbo. E resta sul piede di guerra anche «Razzismo stop», l’associazione padovana di volontari a sostegno degli immigrati extracomunitari che, con un suo ricorso al Tar (Tribunale amministrativo regionale) del Veneto, ha portato alla sentenza della Corte Costituzionale di bocciatura dei provvedimenti dei primi cittadini. Una miriade di ordinanze per arginare fenomeni criminali come le tossicodipendenze, ma anche imporre il decoro urbano.

«Studieremo con i nostri avvocati queste nuove norme - annuncia Luca Bertolino, portavoce dell’organizzazione - e, se possibile, faremo nuovi ricorsi. I sindaci capiscano che la Consulta ha annullato i loro provvedimenti per ragioni di sostanza, non formali. Evitino di ripetere l’errore per non costringerci a intervenire ancora». Conclude con una stoccata polemica: «Dalle amministrazioni civiche leghiste mi aspetto qualsiasi cosa, ma mi meraviglio che il sindaco Zanonato del Pd voglia riproporre le sue ordinanze. Non si può dire quotidianamente che il capo del governo Berlusconi viola la Costituzione e poi non prendere atto della censura della Corte». E dubbi sull’uso dei regolamenti dei vigili urbani per aggirare la sentenza della Consulta arrivano anche da un suo ex presidente, il professore di Giustizia costituzionale all’Università Statale di Milano Valerio Onida. «La trasfusione del contenuto delle ordinanze nei regolamenti è possibile, ma non può essere un "trucco" per aggirare la decisione dei giudici » spiega il docente che è stato eletto dal Parlamento nell a Corte dal 24 gennaio 1996 e c’è rimasto fino al 30 gennaio 2005, guidandola dal settembre 2004 alla scadenza del mandato.

Il giurista è chiaro: «La recente sentenza ha cassato quella parte della legge del 2008 nota come "pacchetto-sicurezza" che dilatava illegittimamente il potere di ordinanza dei sindaci, consentendo provvedimenti per garantire l’ordine e l’incolumità pubblica con efficacia a tempo indeterminato. La Consulta ha riportato quel potere dei primi cittadini nei limiti legittimi cioè con norme in vigore a tempo determinato, a fronte di situazioni emergenziali concrete. I giudici hanno ribadito che le ordinanze dei sindaci debbono rispettare limiti e principi del nostro ordinamento giuridico». Quindi, secondo Onida, i futuri regolamenti di polizia municipale debbono comunque rispettare questi paletti, pena nuove illegittimità. «Non invadere campi normativi riservati alle leggi dello Stato e non avere durata indefinita - sintetizza il giurista - altrimenti si tornerebbe a ledere i diritti di libertà delle persone».
Sara D’Ascenzo
Gianni Sciancalepore

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