venerdì 15 aprile 2011

Federali-sera. 15 aprile 2011. Alla ricerca del benessere a sbafo. Alto Adige. In quasi tutti i comuni la crescita demografica è imputabile, oltre che al saldo naturale positivo, soprattutto ad un saldo migratorio positivo. La densità demografica si attesta a 68,6 abitanti per km.------- Parigi. Il destino dei migranti - ha detto Fillon - non è quello di essere ripartiti tra i vari Paesi europei, ma quello di tornare nei loro Paesi d'origine. Prima di tutto devono essere rispettate le regole. Non c'è alcuna regola che preveda l'accoglienza e la libera circolazione dei migranti economici clandestini.

Forza Oltrepadani:
Svizzera. Berna-Roma: segni di disgelo, ma la primavera è lontana
San Marino. Interpellanza italiana su torrente San Marino inquinato!
Bozen. Segnali di montagna, Durnwalder a Fitto: la lista dei toponimi va corretta
Bozen. Durnwalder a Fitto: sì al compromesso sui nomi
Bozen. In Alto Adige 507 mila abitanti: la popolazione cresce dell'8,4% in un anno
Belluno. Dall'Austria all'Italia: sette anni di storia all'Archivio di Stato

Profughi e fatture:
Cameron duro sugli immigrati
Berlusconi: permessi validi, c'è l'ok europeo
Per l'emergenza già spesi 30 milioni
Migranti, Maroni: finita emergenza acuta
In Fvg saranno accolti 200 profughi
Profughi in Fvg: Roma chiede di destinare i primi 50 posti
Venezia. Migranti, è caccia ai posti letto
Venezia. Zaia: «Basta con i balletti di cifre, in Veneto arriveranno 204 profughi»
Verona. Profughi in città già dalla prossima settimana
Padova. Trovati dodici tunisini in via Palestro
Modena. Profughi col contagocce: i primi 10 a Cortile
Reggio Emilia. Profughi, ora ne arrivano 90
A Genova non più di 60 immigrati

Alla ricerca di giustificazioni:
Trento. La camorra minaccia imprenditori trentini
Padova. GOMORRA NEL NORDEST
Vicenza. Gomorra, il comandante dei Carabinieri: "E' come un cancro"
Gomorra in Veneto / Le reazioni. Zaia: "Successo che dà coraggio"

Crisi, ah?
Aosta. Inchiesta fontine adulterate: per 61 indagati è stato richiesto il rinvio a giudizio
In Veneto troppi bulli
Modena. Case popolari solo per pochi
Reggio emilia. «Siamo sull'orlo del precipizio»
Venezia. Commercianti contro gli abusivi in Riva degli Schiavoni
Venezia.  Battaglia tra gli Atenei di Padova a Verona


Svizzera. Berna-Roma: segni di disgelo, ma la primavera è lontana
Di Daniele Mariani, swissinfo.ch
L'Italia ha abolito le discriminazioni nei confronti delle aziende elvetiche per l'attribuzione di appalti pubblici. La decisione è stata accolta con soddisfazione in Svizzera, ma la strada verso la normalizzazione dei rapporti tra Berna e Roma è ancora lunga.
 «Diciamolo francamente, si può parlare di una crisi tra i nostri due paesi; […] credo che il ministro Tremonti abbia un problema personale con la Svizzera. Ma non ne conosco la ragione»: in un'intervista concessa giovedì scorso al Corriere della Sera, Micheline Calmy-Rey non ha utilizzato tanti giri di parole per definire i rapporti attuali tra Svizzera e Italia.

Se il ministro dell'economia e delle finanze italiano sia venuto a conoscenza delle dichiarazioni della ministra degli esteri elvetica non è dato a sapere. Sicuramente si è trattato di un semplice capriccio del calendario. Comunque sia, all'indomani della pubblicazione dell'intervista, il ministero di cui è capo Giulio Tremonti ha abrogato una misura adottata nell'estate del 2010 nei confronti delle imprese svizzere. Il provvedimento obbligava i fornitori di prestazioni di determinati paesi inseriti nella lista dei paradisi fiscali, tra cui la Svizzera, a richiedere un'autorizzazione al ministero delle finanze per poter partecipare agli appalti pubblici italiani.

Segnale incoraggiante
 Il governo svizzero ha naturalmente espresso la sua soddisfazione: «In tal modo l'Italia ottempera ai propri obblighi internazionali che scaturiscono dall'accordo OMC nonché dagli accordi bilaterali tra la Svizzera e l'Unione Europea sugli appalti pubblici», ha commentato. Della vicenda si è occupata anche la Commissione Europea, che a marzo – su richiesta di Berna – aveva scritto alle autorità italiane per avere spiegazioni, muovendo così i primi passi in vista di un'eventuale procedura d'infrazione.

«Sono contento soprattutto per l'aspetto simbolico più che per i risvolti pratici», osserva Luca Albertoni, facendo notare che da sempre per le aziende ticinesi è problematico avere accesso agli appalti pubblici in Italia, al di là dei decreti che hanno inasprito la regolamentazione. Per il direttore della Camera di commercio del canton Ticino, il fatto che l'Italia riconosca che il provvedimento violava gli accordi bilaterali, implicitamente significa anche «che la Svizzera non può essere considerata un paese da lista nera».

Il deputato liberale radicale Ignazio Cassis parla dal canto suo di «segnale incoraggiante», che «ci fa sperare che l'Italia sappia ancora rispettare gli impegni di diritto internazionale assunti».

Numerosi contenziosi aperti
 Autore di una mozione parlamentare che chiede al governo, tra le altre cose, di elaborare una strategia per appianare le tensioni tra Svizzera e Italia, il consigliere nazionale ticinese sottolinea però che per tutti gli altri contenziosi aperti – scudo fiscale, scudo «cerebrale», accordo di doppia imposizione… – si è ancora in «alto mare».

«Il problema principale rimane», osserva Luca Albertoni, «poiché gli altri decreti dolorosi rimangono tali e quali e fanno sì che gli ostacoli burocratici impediscono alle nostre aziende di lavorare o hanno un'incidenza tale sui costi da non renderle più competitive». I decreti «dolorosi», che si basano sul Testo unico dell'imposta sui redditi del 1986, sono tre: quello sulle persone fisiche del 1999 (che però riguarda appunto solo privati cittadini), quello sulle «Controlled Foreign Companies» (decreto CFC) del 2002, che per un'azienda svizzera significa dimostrare di non essere una holding privilegiata fiscalmente, e infine il cosiddetto "Decreto incentivi" del 2010.

A creare problemi è soprattutto quest'ultimo provvedimento. «Il decreto concerne tutte le operazioni in cui entra in gioco l'IVA, quindi riguarda praticamente ogni attività commerciale. In sostanza, le autorità italiane chiedono alle aziende di produrre innumerevoli dati per dimostrare che l'operazione commerciale sia stata veramente effettuata e che non si sia trattato di un'operazione fittizia per evadere il fisco», spiega Luca Albertoni.

Da un sondaggio realizzato dalla Camera di commercio tra 247 aziende ticinesi, è emerso che più di sei su dieci hanno riscontrato negli ultimi sei mesi problemi a causa della crescente burocrazia italiana (presentazione di attestazioni fiscali, bancarie, partite IVA, bilanci, documenti contabili…). In molti casi, le ditte hanno dovuto rinunciare a stipulare contratti o li hanno persi a causa della disdetta da parte del cliente italiano.

Un problema nazionale
 Il problema non è però solo ticinese, poiché l'Italia rappresenta pur sempre il terzo mercato d'esportazione delle aziende elvetiche. Sinora, però, Berna ha reagito in maniera piuttosto passiva.

«Nel caso degli appalti, le autorità federali hanno agito sulla base di una nostra segnalazione. Per gli altri contenziosi aperti, per contro, non si sono mosse con convinzione, forse perché li hanno sempre considerati una questione regionale e non nazionale», osserva Albertoni.

Qualcosa comunque si sta muovendo, conferma Ignazio Cassis. «Il fatto che ben 40 parlamentari abbiano sottoscritto la mia mozione conferma che a Berna si è ormai coscienti del problema e che ci si è resi conto che il governo deve affrontare la questione con un piano d'azione globale e non settore per settore, con un ufficio che si occupa di una problematica, un secondo ufficio di un'altra e così via», sottolinea il consigliere nazionale.

Un piano d'azione nel quale va coinvolta, come nel caso degli appalti pubblici, anche Bruxelles, spiega Cassis: «Sono convinto che dobbiamo far giocare gli aspetti istituzionali e l'Unione Europea ha un ruolo da giocare come garante degli accordi bilaterali Svizzera-UE». E forse – aggiunge – «bisogna anche immaginare di alzare un po' più la voce, come del resto ha fatto Micheline Calmy-Rey; la diplomazia va bene, ma bisogna anche saper dir basta quando la corda viene tesa oltre misura». Oppure – come proposto al parlamento svizzero dallo stesso Cassis e dal leghista Norman Gobbi – di utilizzare altri mezzi di pressione come la sospensione dei pagamenti dei ristorni fiscali dei frontalieri. Il segnale di disgelo giunto da Roma è insomma incoraggiante, ma, come recita il proverbio, una rondine non fa primavera.
 Daniele Mariani, swissinfo.ch

San Marino. Interpellanza italiana su torrente San Marino inquinato!
Scritto da La Redazione - giovedì, 14 aprile 2011
Fiume inquinato a San Marino e un gruppo di deputati del Partito Democratico scrive un’interrogazione ai ai Ministri degli Affari esteri, dell’Ambiente e della tutela del territorio e della salute. A firmare l’iniziativa con richiesta di intervento, Elisabetta Zamparutti, Marco Beltrandi, Maria Antonietta Farina Coscioni, Maurizio Turco, Rita Bernardini e Matteo Mecacci. Il torrente San Marino è diventato improvvisamente rosso aragosta, a causa, secondo l’Arpa, della sostanza di origine industriale denominata micro fibrille di cellulosa. Era già successo in passato e oggi il fenomeno si ripresenta, minando anche la potabilità dell’acqua. I parlamentari del Pd chiedono che il Governo monitori sullo stato delle acque dei torrenti provenienti da San Marino, vigilando anche “sui possibili rischi per la balneazione nella vicina costa riminese”.

Bozen. Segnali di montagna, Durnwalder a Fitto: la lista dei toponimi va corretta
In sostanza Durnwalder vuole meno toponimi in lingua italiana, rispetto a quanti ne sono usciti dai lavori della commissione paritetica Stato-Provincia
BOLZANO. Sulla segnaletica di montagna la volontà di Luis Durnwalder e del ministro Fitto è quella di chiudere l'accordo. Ma dal vertice romano di oggi è arrivata per ora solo la decisione di trasmettere al ministero nelle prossime settimane una proposta sui punti in cui si chiede un ulteriore approfondimento in materia. In sostanza Durnwalder vuole meno toponimi in lingua italiana, rispetto a quanti ne sono usciti dai lavori della commissione paritetica Stato-Provincia.

"Un colloquio cordiale e costruttivo, c'è la volontà di trovare un buon compromesso", riferiscono sia il governatore altoatesino che il ministro riferisce Durnwalder. Come noto, nel protocollo d'intesa sottoscritto lo scorso settembre a Bolzano dal ministro Fitto e dal presidente Durnwalder si specifica che i cartelli segnavia devono riportare la forma bilingue (o trilingue dove prevista) rispettando l'indicazione delle informazioni generali e delle denominazioni diffusamente utilizzate nelle rispettive lingue.

Vengono invece mantenuti nella loro dizione originaria, in lingua tedesca o ladina, i nomi storici, ferma restando in ogni caso la traduzione dei termini aggiuntivi quali ad esempio "malga", "lago", "montagna", "fiume". Unna commissione paritetica di quattro esperti in questi mesi ha esaminato i 1500 cartelli ancora
monolingui e individuato i casi in cui proporre indicazioni segnaletiche da redigere in forma bilingue o trilingue

Bozen. Durnwalder a Fitto: sì al compromesso sui nomi
Il presidente: «Prima di una proposta definitiva ne discuteremo in giunta»
BOLZANO. Correzioni da approntare al testo uscito dalla commissione sui segnali di montagna. Ieri, Durnwalder e il ministro Fitto hanno deciso di aggiornare la questione a metà maggio, segnalando la volontà di «giungere ad un buon compromesso». Entro quella data la Provincia avanzerà la sue proposte sui 1500 cartelli ancora monolingui. Nel frattempo se ne discuterà in giunta provinciale, come auspicato dal Pd. «Già lunedì prossimo inizieremo ad occuparci dell'argomento», così Durnwalder. Dal ministro Fitto - secondo il governatore altoatesino - sarebbero arrivate assicurazioni per «la soluzione del problema legato all'istituzionalizzazione dell'Euregio», ovvero il via libera al Gect, il gruppo europeo di cooperazione territoriale che coinvolge Bolzano, Trento e Innsbruck. «Abbiamo parlato anche della norma di attuazione sul Consiglio di Stato, di quelle su Corte dei conti, Parco dello Stelvio e di carattere finanziario in attuazione all'Accordo di Milano, oltre che dell'esenzione Irpef impugnata di recente dal governo», ancora il presidente altoatesino, per il quale, relativamento allo Stelvio, «resta la difficoltà legata al ruolo della Lombardia». Ma ieri il tema principale era quello della toponomastica di montagna, legato al protocollo d'intesa firmato da Durnwalder e Fitto il 22 settembre scorso. «Si è trattato di un colloquio cordiale e costruttivo, c'è la volontà di trovare un buon compromesso», spiega il presidente della giunta provinciale. Parole confermate dal ministero, con gli onorevoli Holzmann e Biancofiore che in mattinata avevano parlato con il ministro per i Rapporti con le regioni. «L'intenzione di quest'ultimo è quella di chiudere su questa tematica», dicono i due parlamentari del Pdl. «Con il ministro Fitto abbiamo fatto il punto sulle proposte uscite dalla commissione, ringraziata per il lavoro svolto: ha lavorato molto bene, anche se entrambe le parti ravvisano l'opportunità di correggere alcuni passaggi», evidenzia Durnwalder. Entro metà maggio verranno inviate a Roma le proposte di correzione al testo eleborato dalla paritetica Stato-Provincia. «Non siamo entrati nello specifico di luoghi e di singole denominazioni, non aveva senso vagliare nome per nome. Proseguiremo il discorso dopo aver fatto una sintesi complessiva dei casi che meritano un ulteriore approfondimento», ancora il governatore altoatesino. In questa fase sarà coinvolta l'intera giunta provinciale, dopo che la relazione della commissione è rimasta soltanto sui tavoli dello stesso Durnwalder e, nella capitale, del ministro Fitto. La base, ovviamente, resta il protocollo d'intesa, sottoscritto dalla parti. «Dopo questo incontro interlocutorio, adesso si deve entrare nel merito, con un ampio confronto in giunta nel rispetto del bilinguismo», sottolinea il vicepresidente della Provincia, Christian Tommasini. Ma quanti sono i toponimi bilingui, usciti dalla commissione, che Durnwalder vorrebbe solo in tedesco? «Sinceramente non lo so. Non ho letto tutti i 1.500 nomi, ho visto che Stein-Alm è stata tradotta in Malga Sasso, ma per me si tratta di un nome da non tradurre perché "storico" e legato al maso Stein, oppure allo stesso modo Kofler-Alm non può restare Malga Covolo», risponde il presidente altoatesino. Questi alcuni degli esempi che dovrà dipanare prima all'interno della giunta e poi nel dialogo con Fitto. L'INTESA. L'intesa tra Durnwalder e il ministro Fitto riguarda 1.500 toponimi esclusivamente monolingui in tedesco individuati dalle forze dell'ordine sui segnali di montagna in Alto Adige. Una commissione paritetica Stato-Provincia ha proposto alle parti le indicazioni da redigere bilingui o trilingui rispetto ai 1.500 casi. Le determinazioni della commissione sono però rimesse alla valutazione politica congiunta tra Roma e Bolzano, alla quale spetta ogni decisione definitiva entro la stagione alpinistica 2013. Il criterio per la forma dei cartelli è il seguente: l'indicazione bi- o trlingue delle denominazioni diffusamente utilizzate per i comuni e per le località nelle rispettive lingue e delle informazioni generali ed il mantenimento, nella loro dizione originaria, in lingua tedesca e/o ladina, dei nomi storici, ferma restando la traduzione dei termini aggiuntivi come malga, lago, montagna o torrente. Questi i criteri, con cui l'intesa prevede anche l'installazione di nuovi cartelli da parte dell'Alpenverein rispetto al progetto complessivo di sostituirne oltre 72 mila in totale.

Bozen. In Alto Adige 507 mila abitanti: la popolazione cresce dell'8,4% in un anno
In quasi tutti i comuni la crescita demografica è imputabile, oltre che al saldo naturale positivo, soprattutto ad un saldo migratorio positivo. La densità demografica si attesta a 68,6 abitanti per km
BOLZANO. La popolazione residente in Alto Adige sfonda ampiamente il tetto dei 500 mila abitanti. Cresce dell'8,4 per cento in un anno soprattutto grazie ai flussi migratori. Sono gli ultimi dati Astat: la popolazione residente in provincia di Bolzano è in costante crescita ed attualmente si attesta a 507.657 unità (situazione al 31.12.2010).
In quasi tutti i comuni la crescita demografica è imputabile, oltre che al saldo naturale positivo, soprattutto ad un saldo migratorio positivo. La densità demografica si attesta a 68,6 abitanti per km. Più di metà della popolazione altoatesina vive sul territorio rurale.

Al 31.12.2010 risiedono in provincia di Bolzano 507.657 persone, 4.223 in più rispetto all'inizio dell'anno (+8,4). Nell'ultimo mezzo secolo il tasso di incremento medio annuo si è attestato a 6,2; in altre parole si può dire che
14 aprile 2011
annualmente si sono aggiunte in media 6 persone a 1.000 abitanti.

Belluno. Dall'Austria all'Italia: sette anni di storia all'Archivio di Stato
Il ruolo della provincia di Belluno nel processo dell'unificazione nazionale è raccontato in una mostra allestita all'archivio di Stato. In occasione del 150º dell'Unità d'Italia, l'Archivio di via santa Maria dei Battuti ha organizzato l'esposizione "La provincia di Belluno tra l'Austria e l'Italia", che, attraverso una serie di documenti relativi agli anni tra il 1860 e il 1866, racconta il momento storico cruciale del passaggio del nostro territorio dal regime austriaco all'Italia.  Sono due le sezioni in cui è articolata la mostra. Il primo percorso, che presenta documenti inediti, illustra lo stato dell'ordine pubblico in tutti i distretti della provincia. All'epoca, trimestre dopo trimestre giungevano alla Delegazione provinciale di Belluno (da Agordo, Auronzo, Feltre, Fonzaso, Longarone, Pieve di Cadore e dal capoluogo) i rapporti che informavano l'autorità locale sulla situazione generale in ognuno dei centri. Nella forma ripetitiva e burocratica di "bollettino politico-amministrativo", e attraverso le formule stereotipate richieste dalla normativa, emerge una realtà vivissima, in bilico tra quiete, fermenti nuovi e problemi ricorrenti. Sottende a tutti i documenti un clima di inquietudine che potrebbe essere riassunto, riprendendo le parole di quegli atti, in «quella specie di agitazione morale diffusa generalmente anche nella campagna in presenza degli avvenimenti politici della giornata».  In ogni Distretto si possono seguire, a cadenza trimestrale, le informazioni relative a «spirito pubblico, contegno degli impiegati e del clero, società segrete, dimostrazioni pubbliche e adunanze politiche, persone sospette in linea politica, industria, commercio e mercati, sicurezza, sanità, passaporti». I documenti si presentano quindi importanti per indagare con maggiore profondità la situazione precedente l'unità d'Italia.  Qualche esempio. La situazione di Agordo è definita
«soddisfacente, se si eccettua l'arresto del  conte
Rocco Sanfermo, accusato di sedurre la gioventù a emigrare e alcuni militari ad abbandonare la bandiera austriaca», mentre a Feltre, «le mene del partito sovversivo, che dappertutto conta non pochi proseliti, trovano un possente eccitamento dal di fuori; e fino a che il Governo non farà cessare questo nocevolissimo influsso, non si potrà avere in questo Stato pace (...)».  La seconda sezione della mostra è invece dedicata alla conquista dell'indipendenza nei diversi distretti, con tempi e modalità diverse. Emerge dai documenti il ruolo svolto dalle autorità locali, tra cui compare Giuseppe Zanardelli, nominato Commissario del re con decreto dell'11 agosto del 1866. Dalle carte non emergono i grandi avvenimenti, o scelte particolarmente significative, quanto piuttosto la volontà di garantire la continuità dell'amministrazione e assicurare la difesa in una terra di confine, ancora minacciata dalle incursioni austriache. Gli atti testimoniano inoltre dei rapporti con il comandante delle bande armate venete in Cadore, Carlo Tivaroni, e della ricerca di equilibrio tra le truppe garibaldine e l'esercito regolare. Ci sono però dei documenti che illustrano le scelte di Zanardelli per mantenere l'ordine pubblico e sul nodo dell'impiego pubblico: chi epurare, chi trasferire, chi mantenere al suo posto.  La mostra si inaugura oggi alle 11.30, e rimarrà aperta fino al 30 aprile dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 13.30. Per scuole e gruppi si potrà concordare l'apertura nei pomeriggi di lunedì, mercoledì e giovedì dalle 15.30 alle 17.30. Prenotazione via fax (0437 942234) o mail (as-bl@beniculturali.it). 13 aprile 2011

Cameron duro sugli immigrati
Nicol Degli Innocenti
LONDRA
 L'immigrazione fa litigare apertamente i partner della coalizione al Governo di Londra. I liberaldemocratici non hanno gradito le parole del premier David Cameron, che in un discorso ieri aveva dichiarato che l'eccessiva immigrazione degli ultimi anni ha creato intollerabili pressioni sociali in Gran Bretagna.
 L'immigrazione, secondo il leader conservatore, deve tornare ai livelli di poche decine di migliaia di persone all'anno, non centinaia di migliaia come è avvenuto negli anni di "politica della porta aperta" laburista. Troppi immigrati sono venuti a vivere in Gran Bretagna senza alcuna intenzione di integrarsi, senza neanche parlare inglese, gravando sul sistema scolastico e sanitario nazionale e alterando gli equilibri sociali «forgiati dal tempo e dalla consuetudine».
 Dopo anni in cui i laburisti hanno erroneamente definito «razzista» ogni critica dell'immigrazione, secondo Cameron è ora di voltare pagina. La Gran Bretagna non vuole «l'immigrazione di massa ma solo una buona immigrazione». Vince Cable, ministro del Business, uno dei più alti esponenti liberaldemocratici, ha criticato le «parole imprudenti» di Cameron che rischiano di «alimentare le fiamme dell'estremismo».Ha sottolineato che le opinioni espresse dal premier sono dei conservatori e non dei loro partner al Governo. Il leader libdem, il vicepremier Nick Clegg, ha cercato di minimizzare dicendo che «Cameron parla ai sostenitori conservatori in vista delle elezioni» (il 5 maggio ci sono le amministrative in Inghilterra).
 Il battibecco a distanza è continuato: Cameron ha respinto le accuse di Cable definendo il discorso fatto «razionale, moderato e ragionevole». La riduzione dell'immigrazione non-Ue, ha sottolineato, «è una politica della coalizione, quindi anche dei libdem». Quando avevano siglato l'accordo di Governo, i due partiti fino ad allora schierati su fronti opposti avevano trovato un fragile compromesso, impegnandosi a stabilire un limite annuo al numero di immigrati da Paesi non-Ue ma senza indicare un numero preciso.
 Con grande tempismo, ieri Ipsos Mori ha diffuso i risultati di un sondaggio che rivela che il 75% degli inglesi considera l'immigrazione un problema e che il 57% è d'accordo con la politica del Governo di limitare il numero di permessi per i cittadini di Paesi non-Ue. In serata poi il tardivo tentativo di Cable di appianare il dissidio. «C'è consenso nella coalizione», ha detto il ministro. «Siamo completamente uniti sui limiti all'immigrazione».
 Tra i due litiganti a godere è stato naturalmente il leader dell'opposizione, il laburista Ed Miliband, che ha sottolineato le divisioni su un tema così importante e ha detto che «è ora che il Governo si dia una regolata».

Berlusconi: permessi validi, c'è l'ok europeo
Marco Ludovico
ROMA.
 C'è una «collaborazione assolutamente piena da parte europea, la Commissione ha certificato che il permesso di soggiorno temporaneo funziona, identifichiamo le persone e se non ci sembrano pericolose potranno girare in Europa».
 Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, annuncia un cambio di atteggiamento dell'Unione europea nei confronti delle scelte italiane sull'immigrazione, a cominciare dai permessi di soggiorno temporanei in via di assegnazione ai tunisini presenti nelle tendopoli, stimati in circa 10mila unità. Il Cavaliere tenta anche di abbassare la tensione sul tema alimentata dal Carroccio. Ieri, a Radio 24, il leghista Francesco Speroni, ha rilanciato: «Se viene violata la sovranità di un Paese, è lecito usare le armi». L'opposizione attacca e Umberto Bossi invita i suoi alla cautela ma alza il tiro sulla Francia, uno degli stati più ostili all'Italia su questo fronte: «Boicottare i loro prodotti - chiede il leader leghista - hi la fa l'aspetti. Anche l'Unione si sta muovendo» aggiunge il senatùr, ma poi auspica: «Basterebbe che i paesi dell'Ue mettessero le loro navi davanti alla Tunisia».
 Il Cavaliere non si fa però sfuggire l'occasione per tenere a bada il nervosismo leghista: non ci sono solo i permessi di soggiorno, sottolinea, ma «con due voli al giorno abbiamo cominciato i rimpatri» così come a Tunisi «abbiamo detto, ed è stato detto anche da Barroso con grande chiarezza, che l'Europa è pronta ad aiutare l'economia del paese soltanto se la Tunisia si impegnerà nel contenere quello che fino ad oggi è stato un vero e proprio tsunami». E, in una telefonata con il presidente della commissione Ue, il premier avrebbe anche chiesto l'impegno affinché ogni Stato europeo concorra al blocco navale nel controllo delle coste. E il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ribadisce: «Ventimila tunisini giunti nelle scorse settimane possono circolare liberamente nell'area di Schengen con i permessi di soggiorno temporaneo che stiamo rilasciando. L'unico modo per bloccarli – osserva il ministro – sarebbe sospendere Schengen, mi auguro che non si arrivi a questo. Sarebbe la fine dell'Europa». Il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, parla però di «10mila permessi di soggiorno» che saranno consegnati a giorni. Ieri, poi, è emersa la bozza dell'ordinanza di protezione civile che designa il prefetto Franco Gabrielli commissario straordinario all'emergenza e definisce modalità e costi dell'accoglienza di rifugiati e immigrati con il permesso temporaneo (la durata è di sei mesi). Il piano prevede in totale un finanziamento di 110 milioni (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), cifra massima autorizzata dal ministero dell'Economia – erano circolate anche cifre di gran lunga superiori – e le risorse andranno a rimpinguare il fondo nazionale di protezione civile, per ora vuoto. Il provvedimento stima anche in 2,5 milioni di euro il tetto massimo da spendere per le operazioni legate alla concessione dei permessi di soggiorno temporanei. L'ordinanza - «Ulteriori disposizioni urgenti dirette a fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa» - sarà oggi all'attenzione della Conferenza delle Regioni. La Protezione civile, dice il testo, provvederà alla «immediata anticipazione finanziaria alle Regioni sulla base di un riparto proporzionale alle assegnazioni di cittadini extracomunitari stabilite dal Piano nazionale».
 Il prefetto Gabrielli predisporrà con Regioni, Anci e Upi un «Piano per la distribuzione sul territorio nazionale, la prima accoglienza e la sistemazione dei cittadini extracomunitari provenienti dal Nord Africa arrivati nel territorio nazionale». Il criterio è «equa e contestuale distribuzione dei cittadini extracomunitari fra tutte le Regioni». Entro tre giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza il commissario «individua, adegua, allestisce o realizza, con procedure d'urgenza, le strutture per il ricovero e l'accoglienza, avviandole alla gestione». Le Regioni accoglieranno i 10mila tunisini regolarizzati sia i profughi in fuga dalla Libia, finora circa 5mila.
IL PIANO GABRIELLI
110 milioni
 Il costo dell'accoglienza
 Tanto costerà il piano Gabrielli come «prima assegnazione», secondo la bozza di ordinanza del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che sarà firmata in settimana
 2,5 milioni
 Costo massimo dei permessi
 Così viene stimato il tetto massimo da spendere per le operazioni legate alla concessione dei permessi di soggiorno temporanei
 10mila
 Permessi temporanei
 Tanti dovrebbero essere i visti secondo quanto anticipato dal sottosegretario Mantovano

Per l'emergenza già spesi 30 milioni
Marco Ludovico
 ROMA
 Costa cara l'emergenza immigrazione. In queste ore si sta ultimando l'ordinanza di protezione civile per accogliere in tutte le regioni – eccetto l'Abruzzo – profughi e tunisini con il permesso temporaneo di protezione umanitaria. Questi ultimi, alla fine, dovrebbero essere poco più di 8mila. E per «il primo impatto» - quello dei prossimi mesi - la cifra prevista dall'ordinanza in arrivo è pari a 110 milioni. Anche se erano girate stime molto più alte. Si vedrà alla fine dell'anno.
 Intanto sono ormai delineate le spese sostenute dall'inizio dell'emergenza umanitaria, dichiarata dal Governo il 12 febbraio e gestita dal commissario Giuseppe Caruso, prefetto di Palermo, che curerà fino al 30 giugno il passaggio di consegne mentre Franco Gabrielli, capo della protezione, diventa il nuovo commissario straordinario non appena l'ordinanza sarà firmata da palazzo Chigi. Si può fare, dunque, un primo consuntivo delle spese già fatte.
 Il «residence degli aranci», la struttura a Mineo, in provincia di Catania, dove il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha voluto convogliare finora gli immigrati che hanno richiesto asilo ed erano ospitati in tutta Italia, è stata espropriata. E sono stati fatti lavori di manutenzione ordinaria: il costo mensile per la requisizione è di 600mila euro; a fine aprile saremo già al doppio. Uno degli oneri più pesanti, poi, riguarda il noleggio delle navi civili per il trasporto degli immigrati da Lampedusa ai centri – soprattutto tendopoli – sparsi sul territorio. Una prima stima di massima si può fare attorno ai 6 milioni, ma (siccome non tutte le compagnie hanno ancora presentato il conto) il totale potrebbe lievitare fino a 15-16 milioni.
 Le prefetture, poi, dovranno avere rimborsi per l'allestimento delle stesse tendopoli, strutture tra l'altro che scompariranno in pochi giorni sostituite dal sistema di accoglienza definito dalla Protezione civile con le Regioni. La somma necessaria, in questo caso, dovrebbe ammontare a circa 10 milioni. Una cifra analoga, poi, servirà in fretta per Cda (centri di accoglienza), Cie (centri di identificazione ed espulsione) e Cara (centri accoglienza richiedenti asilo). Il motivo è presto detto: lo stanziamento 2011 per i centri era stato tarato su quello 2010, anno che ha registrato il minimo di presenze a causa dell'azzeramento degli sbarchi. Nei Cie, in particolare, le presenze erano dimezzate e i fondi necessari di conseguenza. Dopo il maxi-esodo di inizio anno i centri si sono tutti riempiti in un baleno – erano le prime strutture da utilizzare, poi si è passati alle tendopoli – perciò ora occorre pagare il raddoppio o quasi delle presenze: servono, in sostanza, una decina di milioni.
 Un capitolo a parte, poi, lo merita il costo dei voli di rimpatrio. Sono al momento un segnale visibile dell'accordo con la Tunisia, un mezzo di deterrenza per gli sbarchi - che tuttavia proseguono, sia pure in modo incostante -, una dimostrazione al resto d'Europa di una politica sull'immigrazione non proprio lassista. Peccato che la Tunisia ci abbia imposto di riportare in patria non più di 30 connazionali per ogni volo. Se ne fanno due, tutti i giorni, da giovedì della scorsa settimana. Ogni volo costa, per il noleggio dell'aereo, tra i 50 e i 70mila euro. E ogni straniero è accompagnato da due uomini delle forze dell'ordine, con un'indennità complessiva di missione a testa di 100 euro al giorno: ogni viaggio, dunque, implica circa 6mila euro di costo di personale (60 agenti). Un mese di rimpatri, insomma, può pesare sul bilancio statale fino a 4,5 milioni. Il rischio è che prima o poi si debba fare una valutazione di costo/efficacia.
 Di fatto, a oggi ci sono circa 30 milioni già in carico, voli di rimpatrio esclusi. A questi saranno aggiunti i 110 milioni del fondo di protezione civile. Ma molti pensano che queste somme, alla fine, non saranno sufficienti.

Migranti, Maroni: finita emergenza acuta
 Parigi: l'Italia effettui i rimpatri
Lampedusa, notte senza sbarchi. Frattini: mai in discussione
 la nostra fedeltà alla Ue, ma l'Europa non fa il suo mestiere
ROMA - Notte senza sbarchi sull'isola di Lampedusa: da 24 ore non arrivano immigrati anche a causa del mare grosso. Nel frattempo sono riprese le ricerche dell'immigrato disperso ieri nel naufragio del barcone con a bordo 192 persone davanti a Pantelleria nel quale sono morte due giovani donne. Per i 189 superstiti trasferimento tra oggi e domani a Lampedusa da dove saranno poi smistati in centri d'accoglienza per i profughi. «La fase acuta, diciamo così, dell'emergenza, si è conclusa», ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, rispondendo a una domanda sull'eventuale apertura di altri centri di identificazione o tendopoli per gli arrivi di immigrati dal Nord Africa. «L'accordo con la Tunisia - ha detto Maroni - sta funzionando, tutti i giorni vengono fatti rimpatri di coloro che sono arrivati dopo il 5 aprile, stiamo potenziando il sistema di controllo e di pattugliamento delle coste».

La Francia non vuole accogliere i migranti che arrivano dall'Italia: lo ha ribadito il primo ministro francese Francois Fillon dopo un incontro a Bruxelles con il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, e rispondendo ad una domanda sulla richiesta di solidarietà europea avanzata dal governo italiano. «Il destino dei migranti - ha detto Fillon - non è quello di essere ripartiti tra i vari Paesi europei, ma quello di tornare nei loro Paesi d'origine. Prima di tutto devono essere rispettate le regole. Non c'è alcuna regola che preveda l'accoglienza e la libera circolazione dei migranti economici clandestini». Fillon ha poi detto che la Francia è il secondo Paese al mondo dopo gli Stati Uniti per numero di richieste di asilo accolte. «Sono più di 50.000 le persone che ogni anno chiedono asilo in Francia - ha detto Fillon - e 10.000 in Italia».

 Fillon: rimpatriare i clandestini. «Sarebbe più intelligente se la missione europea del Frontex riportasse in Tunisia i migranti che intercetta, piuttosto che portarli a Lampedusa come fa ora» ha detto Fillon, ricordando che a fine mese ci sarà un summit franco-italiano sull'immigrazione. «Noi - ha detto - vogliamo aiutare gli italiani. Vogliamo mettere in campo, e ne ho parlato con Barroso, mezzi più efficaci per i pattugliamenti di Frontex al largo delle coste del Mediterraneo e poter evitare questa situazione».

Presidenza Ue: comprensione e sostegno all'Italia. Comprensione per «l'impazienza» dell'Italia nel chiedere un maggiore sostegno dell'Ue nell'affrontare l'emergenza immigrazione è stata espressa oggi dal premier ungherese Viktor Orban, nella veste di presidente di turno dell'Ue. Orban ha riconosciuto a Silvio Berlusconi e al ministro dell'Interno Roberto Maroni di aver fronteggiato bene la situazione venutasi a creare.

Frattini: mai in discussione la fedeltà alla Ue, ma l'Europa non fa il suo mestiere. «Né Maroni nè tantomeno il governo Berlusconi hanno mai messo in discussione la nostra appartenenza piena e leale alle istituzioni europee. Quello che chiediamo è che ci sia più Europa, invece vediamo che non fa il suo mestiere». Così il ministro degli Esteri Franco Frattini ridimensiona al Sole 24 ore il gelo tra Roma e Bruxelles causato dall'emergenza immigrazione e sottolineato dalla presa di distanza del ministro dell'Interno Roberto Maroni. («Con i permessi le frontiere sono aperte o non c'è più Schengen»). «Maroni - obietta Frattini - ha reagito dopo un'estenuante riunione. Io sono più rodato ai ritmi di Bruxelles ma le sue dichiarazioni sono state strumentalizzate dalla sinistra».

In Fvg saranno accolti 200 profughi
di Paolo Mosanghini
Ciriani: formeremo piccoli gruppi. Ma la Lega protesta: avevamo detto no. La replica di Tondo: accordo con il governo
UDINE. Duecento profughi arriveranno la prossima settimana in Friuli Venezia Giulia. E scoppia l'ennesima polemica con la Lega. Ieri il vicepresidente della giunta regionale Luca Ciriani ha dato l'annuncio spiegando che gli immigrati saranno divisi sul territorio regionale in strutture di accoglienza che verranno definite nei prossimi giorni.

«Il Friuli Venezia Giulia - ha spiegato Ciriani - ospiterà il 2 per cento circa degli immigrati: il Governo ha scelto la suddivisione degli arrivi di migranti proporzionale alla popolazione di ogni regione, tenendo però anche conto della presenza a livello locale di ulteriori strutture di accoglienza».

«In Friuli Venezia Giulia non si realizzeranno tendopoli e non vi saranno assembramenti», ha ribadito il vicepresidente Ciriani, che ieri a Roma ha incontrato il prefetto Franco Gabrielli. «Vogliamo evitare problemi alla popolazione, l'obiettivo è di avere impatto vicino allo zero sul territorio regionale e di garantire massima sicurezza per i cittadini del Friuli Venezia Giulia - è il pensiero del vicepresidente Ciriani -. Per questo saranno formati piccoli gruppi». Inoltre, coloro che già hanno subito condanne in Italia e in Tunisia torneranno a casa perchè ritenuti socialmente pericolosi.

Nei giorni scorsi sono già stati avviati contatti per trovare le strutture idonee. E lo Ial ha dato la disponibilità a ospitare piccoli gruppi di immigrati a Magnano, Aviano e Gemona. Altre soluzioni potranno essere trovate nei prossimi giorni. Ma mentre si lavora per organizzare l'accoglienza, s'infuoca l'ennesima polemica alimentata dalla Lega nord. «Bisognava lasciare lavorare l'assessore Federica Seganti, e non sarebbero arrivati i 200 immigrati», ha tuonato il capogruppo del Carroccio in consiglio regionale, Danilo Narduzzi.

«Non è che non abbiamo fiducia del vicepresidente Luca Ciriani - ha spiegato Narduzzi - però Seganti aveva la delega alla Sicurezza e anche una serie di agganci con il ministro degli Interni». Narduzzi ha ricordato l'ultima sessione di lavori in Consiglio, quando «Pdl e Udc hanno fatto mancare il numero legale» su una mozione del Carroccio che voleva impegnare la Giunta a dire no all'arrivo di immigrati.

Secondo il leghista «non occorre sparare ma basta usare l'autorevolezza, come hanno fatto i francesi» e rimpatriare i tunisini anche prima del trattato. Sul fronte regionale, «avevamo chiesto a Tondo di dire di no - ha notato Narduzzi - bisognava tenere in considerazione non solo la popolazione ma anche l'incidenza di stranieri e elementi come Aviano e Gradisca. Mi auguro che se è rimasto qualcuno con le palle - ha concluso - lo faccia vedere».

A Narduzzi risponde il presidente Renzo Tondo. «Ciriani ha lavorato con me, seguendo il percorso già tracciato dall'assessore Seganti e in quanto delegato a rappresentarmi alla Conferenza delle Regioni», ha puntualizzato Tondo. «Abbiamo sviluppato un confronto serio con Governo e ministero dell'Interno e abbiamo ottenuto un risultato sicuramente coerente con le aspettative della regione».

Per Tondo, quindi, non esistono dubbi sul fatto che «la Regione ha fatto la sua parte con il ministero dell'Interno». E il vicepresidente Ciriani ha precisato che «la posizione è condivisa con Tondo ed è uguale a quella del presidente del Veneto Luca Zaia. L'accordo è stato siglato da Berlusconi e dal ministro Maroni con le Regioni; se Narduzzi ha soluzioni migliori chiami il ministro che è della Lega come lui».

Comunque gli arrivi di immigrati sono previsti per la prossima settimana: saranno ospitati in istituti di assistenza pubblici o privati. Lo si apprende da fonti della Prefettura di Trieste, che sta coordinando l’accoglienza. Il Prefetto e Commissarioÿdi Governo del Friuli Venezia Giulia, Alessandro Giacchetti, ha avuto contatti con il vicepresidente della Regione, Luca Ciriani, per analizzare la rete di istituti pubblici o privati in cui gli immigrati saranno accolti. In particolare - è stato spiegato - i siti saranno scelti tra quelli che fanno parte della rete di assistenza che la Regione sovrintende.

Nell’estate del 2008, 116 immigrati sbarcati a Lampedusa furono ospitati per un periodo al centro Efa Getur di Aviano e successivamente spostati in strutture locali della Caritas.

Eventuali deroghe per alcuni territori, come l’Isontino dove hanno sede il Cie e il Cara di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) o il Pordenonese, con la base Usaf di Aviano, andranno definite d’intesa con la Regione. Le stesse fonti hanno ricordato che gli immigrati con permesso temporaneo saranno liberi di muoversi sul territorio.

Profughi in Fvg: Roma chiede di destinare i primi 50 posti
di Beniamino Pagliaro
Gabrielli ha confermato l’arrivo degli immigrati. Ancora scontro con la Lega: «La Regione ci ripensi»
UDINE. Sono cinquanta i primi immigrati tunisini che il Friuli Venezia Giulia si prepara ad accogliere. Dopo il vertice romano dell’altro ieri, durante il quale è stato ipotizzato l’arrivo in regione di 210
profughi, ieri è giunta la richiesta ufficiale: per ora ne arriveranno 50, gli altri in futuro, se sarà necessario.

L’arrivo degli immigrati da Lampedusa in Friuli Venezia Giulia potrebbe avvenire con grande probabilità nella prossima settimana. Ieri il ministro degli Interni Roberto Maroni ha spiegato che «la fase acuta dell’emergenza è finita» e pertanto il Viminale e la Protezione civile sono al lavoro sulla distribuzione sul territorio.

La novità del giorno filtra dalla Prefettura: gli immigrati saranno ospitati in istituti di assistenza pubblici o privati, ma comunque collegati alla Regione, convenzionati o «compresi nella rete di assistenza che la Regione sovrintende».

I precedenti possono aiutare: l’ultima emergenza simile in Friuli Venezia Giulia è datata estate 2008. In quel caso, 116 immigrati sbarcati sempre a Lampedusa furono ospitati per qualche giorno al centro Efa Getur di Aviano, per poi essere spostati in strutture locali della Caritas. Quella della collaborazione con centri privati - secondo quanto si è capito dalla Prefettura - potrebbe essere una soluzione, anche perché i tunisini che arriveranno in regione saranno dotati del contestato permesso di soggiorno temporaneo.

Non dovranno, dunque, essere controllati o chiusi in stanze come succede al Cie di Gradisca d’Isonzo: sono considerati cittadini «a termine», ma in quel periodo di tempo potranno girare per il territorio ed eventualmente tentare la fuga verso altri paesi europei, che infatti hanno già annunciato che aumenteranno i controlli a confini. Al pubblico - a Regione e Prefettura - spetta soltanto di fornire ai tunisini vitto e alloggio.

La decisione sulle località in cui gli immigrati saranno ospitati deve così attendere ancora qualche giorno: ieri il commissario di Governo in regione Alessandro Giacchetti ha avuto contatti con il vicepresidente della Regione Luca Ciriani, ma un incontro operativo è annunciato «nei prossimi giorni». In quella sede si dovranno anche considerare eventuali deroghe per alcuni territori, come l’isontino e il pordenonese, dove hanno sede il Cie e la base Usaf di Aviano.

E infatti la Lega Nord che già mercoledì aveva punzecchiato la giunta regionale sulla gestione della trattativa con il Governo, è tornata a dire che gli immigrati non devono arrivare, almeno in provincia di Gorizia - ha protestato il consigliere regionale Federico Razzini - non può arrivare nessuno, «il territorio è già saturo».

«Voglio sperare - ha detto Razzini - che il presidente Tondo e l’assessore Ciriani, che si sono occupati della vicenda a Roma, ci ripensino. La provincia di Gorizia sul fronte immigrazione è già over. Nella parte monfalconese fronteggiamo quotidianamente le difficoltà del processo di integrazione di migliaia di lavoratori. La destra Isonzo è già oberata di problemi con il Cie e il Cara di Gradisca. Non vorrei che qualcuno avesse scambiato la provincia di Gorizia per una sorta di terra di nessuno».

Venezia. Migranti, è caccia ai posti letto
Stival: «Piano per mille persone»
La Regione chiama prefetti e Caritas: «Porte chiuse ai clandestini» Il vitto costerà 35 euro a testa, al giorno. Le spese saranno a carico dello Stato
VENEZIA — E’ caccia ai posti letto. Il dipartimento di protezione civile del Veneto ha iniziato mercoledì la conta delle strutture disponibili ad ospitare gli stranieri che arriveranno qui nell’ambito del piano profughi messo a punto dal governo per fronteggiare gli sbarchi dalla Libia e dalla Tunisia. «Contiamo di chiudere la ricognizione entro giovedì sera - spiega l’assessore alla Protezione civile, Daniele Stival -. Ci prepariamo ad accogliere nel breve e medio periodo tra le trecento e le mille persone». Il dato calcolato in base agli indici Istat, che vuole in arrivo in Veneto oltre 4 mila persone, pari all’8,5% dei 50 mila profughi attesi dal ministero dell’Interno, viene infatti ritenuto dalla Regione «prudenziale», se non addirittura «sovrastimato».
Fondamentale, in questi calcoli al ribasso, è la distinzione più volte ribadita dal governatore Luca Zaia tra i profughi, e cioè quanti fuggono dal conflitto libico, ed i clandestini, ossia i tunisini che sfruttano l’onda dei disperati per approdare in Europa confondendosi tra i disperati. «Se guardiamo ai barconi che arrivano sulle nostre coste in questi giorni - chiosa Stival - vediamo quasi esclusivamente clandestini, che devono essere subito trasferiti nei Cie e, di lì, espulsi. I profughi in Italia, in questo momento, sono all’incirca 2 mila 500». Ad ogni modo, mercoledì sono stati avviati i primi contatti con le Caritas, i Comuni e le Province, per capire quanti e dove siano i posti letto disponibili. Un’operazione che si sta facendo confusa, perché di fatto le verifiche avviate dalla protezione civile regionale, su indicazione del dipartimento nazionale, si sovrappongono a quelle realizzate nelle ultime settimane dalle prefetture, d’intesa con il ministero della Difesa, delle quali ad oggi non si conoscono ancora gli esiti.

«Il prefetto di Venezia Lamorgese sta lavorando a una proposta di piano sostenibile di ospitalità diffusa coinvolgendo gli enti caritatevoli» conferma il governatore Luca Zaia incalzato dal Pd e dall’Udc, che chiedono «quanti immigrati arriveranno davvero» e, polemicamente, «quanti di questi verranno dirottati nei Comuni leghisti». «La strategia comunque è chiara - continua Stival - non verranno realizzate tendopoli, si utilizzeranno centri di accoglienza e comunità, e si eviteranno concentrazioni di più stranieri in uno stesso Comune: le famiglie verranno mantenute unite, ma i profughi verranno distribuiti sul territorio, così che possano essere inseriti senza scossoni tra la popolazione residente». Allertato anche l’assessore al Sociale, Remo Sernagiotto: «Stiamo verificando le disponibilità delle Caritas ma siamo pronti a mettere a disposizione le nostre comunità». E venerdì l’emergenza sarà al centro di una riunione tra i presidenti delle Province. Dal canto loro, le Caritas hanno già messo a disposizione 20 posti nel Veneziano, 40 nel Trevigiano, 30 nel Veronese, nel Padovano e nel Vicentino, 10 nel Bellunese e nel Rodigino, che possono salire a 400 complessivi grazie all’aiuto della galassia del volontariato e dell’associazionismo.

«Stiamo facendo del nostro meglio - spiega il direttore della Caritas veneziana, don Dino Pistolato - ma brancoliamo nel pressapochismo più totale. Non abbiamo alcuna indicazione scritta, si fa tutto al telefono, con variazioni continue. Sappiamo che queste persone potrebbero aver bisogno di ospitalità fino al 31 dicembre ma non sappiamo chi le accoglie, come, chi paga, quanto paga, nulla». Sul punto la Regione è categorica: i soldi li mette lo Stato. Quanti? Solo i tre pasti giornalieri costano 35 euro per ciascun profugo, «che possono però salire a 80 euro con l’alloggio, se questo è ad esempio frutto di una convenzione con una struttura alberghiera» spiega Sernagiotto. Intanto si muovono anche i Comuni: Bassano del Grappa, Vicenza e Santorso, ad esempio, si sono fatti avanti mercoledì. Potrebbero ospitare trenta persone, di cui dieci a Bassano, nella Casa San Francesco e nell’istituto Scalabrini, dieci nel capoluogo, in tre diversi alloggi di proprietà comunale, e le rimanenti in alcuni appartamenti pubblici a Santorso e nei 15 Comuni dell’Altovicentino aderenti alla rete Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
Ma.Bo.
(ha collaborato Gian Maria Collicelli)

Venezia. Zaia: «Basta con i balletti di cifre, in Veneto arriveranno 204 profughi»
Il governatore a Rai News 24: «Ospitalità diffusa sul territorio in piccole sedi di accoglienza, impatto zero sulle realtà locali. Niente tendopoli o caserme occupate»
VENEZIA - «Una nota ufficiale della Protezione Civile ci ha indicato che saranno 204 i profughi destinati al Veneto. Mi auguro che ora finisca il balletto di cifre a cui stiamo assistendo». Lo ha detto il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, nel corso di un’intervista rilasciata a Rai News 24. Zaia precisa che «lo status di profughi, e non di clandestini, di queste persone è stato accertato e verificato. Si tratterà nella stragrande maggioranza di donne e bambini». «In collaborazione con la Caritas e varie associazioni di volontariato che ringrazio per il loro grande impegno - ha aggiunto il presidente del Veneto - stiamo approntando un piano, che prevede un’ospitalità diffusa sul territorio in piccole sedi d’accoglienza e che avrà impatto zero sia sulle realtà locali che sulla condizione degli stessi profughi». «Quando si tratta di persone che soffrono e che fuggono dalla guerra o dalla fame - ha concluso Zaia - il Veneto, con la sua consolidata storia di solidarietà, non si tira assolutamente indietro».

«Saranno profughi e non clandestini - dice il presidente Zaia interpellato dall’agenzia Ansa - e verranno sistemati in piccoli insediamenti al massimo da tre posti. Quindi non ci sarà nessuna tendopoli né caserma occupata. Si tratta per la maggior parte di donne e bambini che verranno ospitati in appartamenti e alloggi protetti». Il governatore spende quindi parole di ringraziamento per l’interessamento del patriarcato della Caritas e del prefetto di Venezia «che sono riusciti a creare una rete diffusa di ospitalità». «Spero vivamente - conclude - che tutti quelli che hanno polemizzato utilizzando numeri falsi ora stiano zitti. Siamo stati vittime per settimane di un balletto di cifre che non c’entravano nulla. Il Veneto sta dimostrando che quando si tratta di persone che soffrono e che fuggono dalla guerra o dalla fame con la sua consolidata storia di solidarietà, non si tira assolutamente indietro». (Ansa)

Verona. Profughi in città già dalla prossima settimana
L'EMERGENZA NORD AFRICA. La prefettura coordina le operazioni sul territorio provinciale. Anche famiglie disponibili a offrire aiuti e alloggi. Alla Locanda della Caritas si allestisce l'accoglienza L'ente: «Abbiamo 30 posti per rifugiati politici»
15/04/2011
Verona. Potrebbero arrivare a Verona la prossima settimana, e forse già da lunedì, i primi profughi di Paesi del nord Africa in guerra come la Libia o in caos sociale come la Tunisia. Verrebbero ospitati in centri di accoglienza gestiti da enti e associazioni, come la Caritas, ma anche da singole famiglie resesi disponibili per offrire un ricovero.
La prefettura — che sta coordinando le operazioni — ha cominciato a sondare disponibilità di posti letto e alloggi, tenendo conto di chi arriverà. Le prime risposte, da gruppi specializzati nell'assistenza ma anche da singoli cittadini sono arrivate. E ieri (quando fra l'altro il presidente della Regione Zaia ha detto che in Veneto saranno ospitati 204 profughi) sono cominciati i primi incontri per organizzare l'accoglienza. Come alla Caritas, che mette a disposizione la Locanda, cioè il centro per senzatetto che si trova di fronte all'ostello Il Samaritano, in Zai, pure gestito dall'ente diocesano.
«Noi siamo in grado di ospitare alla Locanda trenta rifugiati politici, e solo quelli, secondo un protocollo già utilizzato per altre persone qui a Verona, e abbiamo già dato disposizioni operative per la sistemazione notturna e per i cuochi», ci dice monsignor Giuliano Ceschi, direttore della Caritas diocesana. «Abbiamo soltanto posto due condizioni: i rifugiati devono essere maschi e adulti, perché nel tipo di struttura che abbiamo possiamo fare solo così. Non siamo in grado di accogliere donne e bambini, che potranno trovare ospitalità in altri luoghi messi a disposizione da gruppi o da famiglie. Al momento non sappiamo ancora, però, quante persone arriveranno e da quali Paesi». Ma fino a quando sarà possibile per la Caritas dare ospitalità? «Alla Locanda da novembre riprende l'accoglienza per senzatetto, per l'inverno, e quindi abbiamo bisogno di posto», prosegue don Ceschi, «e perciò se ci saranno ancora i profughi si dovranno trovare altri spazi, in altri luoghi».
Sul fronte dei minori, pure profughi, la disponibilità di accoglienza chiesta a Verona sarebbe di tre posti.
Enrico Giardini

Padova. Trovati dodici tunisini in via Palestro
Erano in un ex-deposito delle ferrovie
I nordafricani erano sbarcati a fine marzo a Lampedusa
Altri tre clandestini dormivano assieme al gruppo
PADOVA - Una dozzina di tunisini sbarcati a fine marzo a Lampedusa sono stati scovati in un ex deposito delle ferrovie dello Stato all'altezza di via Palestro a Padova. I nordafricani sono stati svegliati all'alba dagli uomini della polfer e della squadra volanti della questura. In supporto sul posto anche un equipaggio del nucleo cinofili e due pattuglie delle pattuglie miste polizia - esercito. Altri tre tunisini, clandestini ma con un pedigree di fotosegnalamenti già abbastanza lungo, dormivano assieme ai dodici neo arrivati, scappati dal centro di accoglienza di Manduria dopo che lì erano stati portati da Lampedusa ad inizio aprile.

Teoricamente i dodici avrebbero diritto al permesso di soggiorno temporaneo. La questione è allo studio della responsabile dell'ufficio immigrazione Francesca Cimino, che con un pool di poliziotti sta facendo gli straordinari, con oltre una sessantina di pratiche in essere, minorenni compresi, per valutare caso per caso ma in tempi rapidi, le posizioni soggettive degli stranieri in fuga dal nord Africa.
A.G.

Modena. Profughi col contagocce: i primi 10 a Cortile
Arrivano oggi i primi 10 immigrati ospitati nelle strutture della nostra provincia. Ad accogliere i migranti provenienti dal Nord Africa sarà una struttura comunale di Cortile di Carpi. Nessun profugo per ora - e almeno in questo fine settimana - verrà ospitato in città.

Reggio Emilia. Profughi, ora ne arrivano 90
Ma la Masini stoppa Delrio: a Cella per il momento non possono andare
REGGIO. La cifra intanto lievita. E da 60 (come annunciato 48 ore fa) arriverà a toccare quota 90. Tanti saranno, infatti, gli stranieri che Reggio è chiamata ad ospitare entro pochi, pochissimi giorni. Un numero che tuttavia continua a star dentro a quel tetto di accoglienza provinciale (in 150 sono già destinati al nostro territorio) fissato per ora dalla Regione Emilia-Romagna sulla base delle stime (20mila profughi pronti a sbarcare sulle nostre coste) effettuate dal ministro degli Interni Roberto Maroni (ma va detto che se le stime salgono a 50mila approdi, la ricaduta su Reggio arriverebbe a quota 400).

 Novanta immigrati, dunque, che a questo punto rappresentano un'emergenza umanitaria. Non tanto per la quantità in sé, quanto piuttosto per la necessità di scovare luoghi in cui alloggiarli alla svelta. Proprio ieri, infatti, la Provincia ha stoppato - almeno per ora - l'utilizzo dell'ex villaggio Tav che sorge a Cella. Quello dove il sindaco Graziano Delrio, per fare senza problemi la propria parte, aveva fatto sapere soltanto il giorno prima di voler indirizzare quella fetta di immigrati destinata al Comune capoluogo. Ma affinché la struttura possa davvero ospitare 50 profughi è necessario che prima vi si compiano lavori di manutenzione. Per portarli a termine, tuttavia, occorrono 80mila euro che la Regione deve scucire e senza i quali - testuale - Palazzo Allende non intende procedere. «Se i primi profughi - dice la presidente Sonia Masini - arriveranno prima della concessione del finanziamento e della conclusione dei lavori, al polo di Villa Cella non potranno che andare le persone del secondo contingente che ci verrà assegnato. Gli enti locali reggiani, come abbiamo più volte chiarito alla Regione e al Governo, non intendono infatti sottrarsi a questa giusta e doverosa operazione umanitaria purché gli oneri finanziari siano a carico dello Stato e non delle comunità locali».

 E se la Provincia sempre ieri ha deciso di istituire una apposita unità di crisi assieme agli altri Comuni del territorio, a questo punto è Reggio capoluogo quello che si ritrova maggiormente in difficoltà. E se davvero tra domani e lunedì si verificheranno i primi arrivi (a questo punto pare scaglionati), una sorta di «mini-paracadute» è la disponibilità manifestata dalla Caritas. Che nella casa di accoglienza di Gavasseto ospiterà una decina di stranieri (tutti con permesso di soggiorno temporaneo, valido 6 mesi e rinnovabile per un periodo altrettanto lungo).

 Piazza Prampolini, dal canto suo, sta verificando la possibilità di avvalersi del progetto Sprar (appartamenti destinati ai profughi e pagati dallo Stato), mentre per quel che riguarda la provincia, tra i Comuni che hanno fornito la propria disponibilità all'accoglienza vi sarebbero in particolar modo Correggio, Sant'Ilario e Casalgrande. La Lega locale per ora tace. Non tace invece il Pdl, che per bocca di Marco Eboli si fa «portavoce» di una petizione che i residenti di Cella (una novantina, tanti quanti gli immigrati in arrivo) hanno spedito al sindaco Graziano Delrio. Le richieste? Un incontro col primo cittadino, innanzitutto. E a seguire, garanzie. Che gli stranieri accolti, cioè, siano tutti (e solo) rifugiati politici.

A Genova non più di 60 immigrati
 14 aprile 2011
Genova - In Liguria arriveranno non più di 60 migranti e non 345 come previsto dal piano di accoglienza del governo comunicato alcuni giorni fa. Questa la divisione dei migranti tra le regioni, si parte con i primi duemila, secondo il riparto fatto dal Dipartimento della Protezione civile.

«Il provvedimento della Protezione civile chiarisce tutti i nostri dubbi sia per quanto riguarda le risorse che le procedure amministrative»: lo afferma l’assessore regionale ligure alle Politiche sociali, Lorena Rambaudi, parlando del documento sul piano di accoglienza dei migranti, che oggi a Roma è stato valutato in sede di conferenza dei presidenti delle Regioni. Parlando degli arrivi dei migranti, possibili già a partire da domani, Rambaudi ha spiegato di non aver avuto comunicazioni in merito.

«Tuttavia - ha sottolineato - se per gli arrivi si dovessero avere preavvisi di poche ore, come già avvenuto altrove, ho studiato una soluzione ponte per la prima aliquota che non dovrebbe superare le 60 persone. Questo grazie alle cooperative sociali Lega Coop e Confcooperative. Ma non ho alcuna intenzione di rivelare quali saranno i siti individuati per l’accoglienza». L’assessore ha infatti osservato, che comunque, a fronte della disponibilità di 600 posti individuati in tutta la Liguria, occorre nella migliore delle ipotesi, almeno un preavviso che permetta pulizie ed allestimenti. «Per questo - aggiunge - la soluzione ponte permetterà l’ospitalità per il tempo necessario a preparare le strutture».

Trento. La camorra minaccia imprenditori trentini
15/04/2011 08:48
TRENTO - La «Gomorra» descritta dallo scrittore Roberto Saviano aveva messo radici anche nel ricco Nord Est, dove ieri all'alba è stata sgominata una organizzazione criminale legata al clan dei casalesi. Presunti esperti in riscossione crediti che, attraverso usura ed estorsione, si infiltravano nell'economia del territorio con la cessione «forzata» di quote societarie. Un centinaio le vittime. Tre quelle che hanno subìto tentativi di estorsione anche in Trentino.

Il metodo.
Imprenditori in crisi di liquidità e con difficoltà ad accedere ai prestiti delle banche: questi i clienti «preferiti» della Aspide, la società con sede nel Padovano specializzata nel recupero crediti e nell'erogazione di prestiti al pubblico. Una società che praticava tassi usurai e dietro alla quale si nascondeva un'organizzazione camorristica. I tassi potevano arrivare al 180% e per chi ritardava nel pagamento scattavano brutali pestaggi da parte di picchiatori professionisti. Il fine dell'Aspide era quello di impossessarsi di quote delle stesse società e pian piano di acquisirne la proprietà.

Il blitz all'alba.
Un «gioco» che non poteva durare a lungo. Ieri i carabinieri di Vicenza e della Direzione investigativa antimafia di Padova hanno eseguito 25 arresti tra Veneto, Lombardia, Sardegna, Campania e Puglia. In tutto sono 29 i provvedimenti restrittivi con i quali è stata sradicata una banda legata ai casalesi che, attraverso l'usura, l'estorsione, l'esercizio abusivo dell'attività di intermediazione finanziaria, ha vessato centinaia di imprenditori. L'organizzazione, che faceva perno sulla società Aspide, aveva messo le mani su imprese in tutte le province venete (Venezia esclusa), messo una base in Lombardia e ha tentato di espandersi anche in provincia di Trento.

Minacce in Trentino.
Sono tre gli episodi che si sono verificati nella nostra provincia. Il primo nasce dalla denuncia presentata da un imprenditore della Valsugana, che sarebbe stato contattato da alcuni esponenti dell'Aspide. Rappresentanti di questa agenzia di riscossione, che lo avrebbero «invitato» con metodi tutt'altro che cortesi a dimenticarsi di vantare un credito di qualche centinaio di migliaio di euro nei confronti di un altro imprenditore al quale sono subentrati. Soggetti già oggetto di un'indagine della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, alla quale gli inquirenti trentini hanno provveduto a trasmettere il fascicolo. Due circostanze diverse, ma un comune denominatore per le altre vittime: i nomi di alcuni campani residenti nel padovano. Gli uomini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Trento - ai quali ieri gli inquirenti veneti hanno voluto fare un ringraziamento per la collaborazione, esteso anche alla procura trentina - si sono occupati di due diversi episodi. Per quanto riguarda l'inchiesta della procura di Trento, i militari delle Fiamme gialle si stavano occupando di alcuni accertamenti relativi a presunti reati fiscali e fallimentari, quando hanno notato la cessione di quote della società trentina ad alcuni soggetti campani residenti a Padova. Un'acquisizione analoga a quella portata a termine nei confronti di altre imprese venete e apparsa «strana». I sospetti degli inquirenti trentini sembrerebbero fondati: sugli stessi personaggi stavano indagando i colleghi della Dia di Padova e i carabinieri di Vicenza, coordinati dal procuratore della Dda di Venezia, con i quali è scattata subito la collaborazione. Esplicite le minacce subìte da un imprenditore del Basso trentino, che questi stessi soggetti volevano convincere a cedere le proprie quote societarie. Ma il tentativo di estorsione è stato denunciato: la procura di Rovereto e gli uomini del nucleo di polizia tributaria hanno avviato subito le indagini. Anche in questo caso, appurato che vi era già una indagine in corso, gli inquirenti trentini si sono coordinati con quelli veneti.

Padova. GOMORRA NEL NORDEST
Sequestri e intimidazioni, Padova base dei Casalesi: 29 arresti per 132 aziende "strozzate"
Maxi-operazione dei carabinieri e della Direzione investigativa antimafia: i clan campani radicati in Veneto con finanziamenti a tasso di usura (fino al 180%) e raid acquisivano imprese in difficoltà per la crisi. Il paravento era la finanziaria Aspide di Padova
PADOVA. Prestava denaro a tassi usurai del 180% annui a società venete, legate al mondo dell'edilizia e in crisi finanziaria, con il preciso scopo di impossessarsene l'organizzazione camorristica sgominata dalla Dia di Padova e dai carabinieri di Vicenza. ''E' stato estirpato un cancro dalla società sana'', ha sottolineato il procuratore capo di Venezia, Luigi Delpino, commentando i 29 provvedimenti restrittivi (27 gli arresti, due i latitanti) tra Veneto, Lombardia, Sardegna, Campania e Puglia, con i quali è stata sradicata una banda legata ai casalesi che, attraverso l'usura, l'estorsione, l'esercizio abusivo dell'attività di intermediazione finanziaria, ha vessato centinaia di imprenditori nel Nord Italia (prevalentemente nel Nordest), in alcune regioni del Centro e del Mezzogiorno.

 L'organizzazione faceva perno sull'Aspide, una società di Selvazzano Dentro (in realtà la sede operativa era in via Lisbona, nella zona industriale di Padova), specializzata nel recupero crediti e finalizzata all'erogazione di prestiti al pubblico, utilizzata come schermo legale. Inoltre, l'organizzazione aveva messo le mani sulle imprese di tutte le province venete, esclusa Venezia, e aveva messo una base importante in Lombardia e stava investendo in Slovenia e Romania.

 ''La società - ha spiegato il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Mastelloni - ha iniziato a rilevare le pendenze creditorie delle sue vittime, sia per riscuotere i debiti sia per individuare altri imprenditori in difficoltà finanziarie ai quali erogare prestiti ad usura''. A capo di Aspide c'era Mario Crisci, 33 anni, di Napoli, detto "il dottore" che, secondo gli inquirenti, ''dirigeva con determinazione e spietatezza le azioni'' avvalendosi di due luogotenenti, entrambi di Napoli, Massimo Covino (37) e Antonio Parisi (43), quest'ultimo con un passato da 416 bis e particolarmente vicino ai casalesi. Se i debiti con Aspide non venivano onorati partivano le spedizioni punitive nei confronti dei debitori insolventi, delle quali si occupavano due picchiatori di professione. Così l'organizzazione, armata - due le pistole sequestrate nel blitz, oltre a cocaina e 40 mila euro in contanti -, gerarchicamente strutturata con distinzione di ruoli operativi, erogava crediti a tassi altissimi alle vittime, sino a soffocarle, costringendole a cedere le proprie attività economiche (imprese, società e beni valutati nell'ordine di svariati milioni di euro) o, talvolta, a procacciare per la struttura criminale nuovi 'clienti' nel tentativo di arginare il proprio debito cresciuto vorticosamente in breve tempo.

 Gli imprenditori si rivolgevano ad Aspide per avere 10 mila euro, ha spiegato Mastelloni, ''per crisi di liquidità e per la difficoltà di accesso al credito istituzionale''. Se c'erano ritardi nel pagamento, scattavano brutali pestaggi. E' il caso di un imprenditore edile padovano, costretto a muoversi con una stampella, usata come arma per percuoterlo dai due picchiatori che l'hanno ammonito dicendogli: ''La prossima volta questa non ti servirà a nulla''. Tutto questo davanti ai suoi operai. Il figlio dell'uomo è stato poi sequestrato per indurlo a scendere ai patti stabiliti dal clan.

 Gli inquirenti, con i quali hanno lavorato anche il Ris dei carabinieri di Parma e la Dia di Roma, hanno accertato estorsioni a 132 società e 61 episodi di usura aggravata, 17 di estorsione aggravata, cessioni di credito aziendale per 4 milioni di euro, il trasferimento di intere quote societarie dalle vittime ai loro aguzzini. Cento società, l'80% venete, sono passate in mano alla camorra: non è escluso che si siano aggiudicate appalti pubblici.

 L'organizzazione, ha ricordato Mastelloni, mirava a ''denaro liquido, quote sociali e anche crediti delle vittime verso clienti; a volte i debitori degli usurati erano sottoposti ad estorsione o ricevevano la proposta di essere finanziari dall'Aspide, ovviamente a tassi usurai''. Il denaro affluiva nelle "casse" del gruppo tramite carte Postepay in dotazione ai complici. Parte dei proventi, infine, era destinata a soddisfare le necessità 14 aprile 2011
economiche di detenuti affiliati alla camorra e dei loro familiari.

Vicenza. Gomorra, il comandante dei Carabinieri: "E' come un cancro"
Ecco come agivano gli uomini dei clan in Veneto: "Prestavano soldi a chi era in difficoltà. Poi anche sequestri e pestaggi per inglobare l'azienda"
VICENZA. Un'indagine complessa e articolata partita nell'agosto del 2010, in cui le intercettazioni telefoniche hanno avuto una parte fondamentale, grazie al lavoro svolto dalla Dia, Direzione Investigativa Antimafia di Padova, coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Venezia. I carabinieri di Vicenza, come sottolinea il comandante provinciale, colonnello Michele Vito Sarno, hanno lavorato in perfetta sinergia con tutti questi organismi investigativi fino a chiudere il cerchio attorno a un'efferata organizzazione criminale di stampo camorristico legata al clan campano dei Casalesi.

 "E' la prima volta che portiamo allo scoperto un'organizzazione criminale del genere - fa notare il colonnello Sarno - io dico che si tratta di un male di natura oncologica, un vero e proprio cancro che porterà a scoprire nei prossimi giorni ulteriori sviluppi e altre vittime di questi criminali".

 La banda faceva la spola tra Campania e Veneto: 29 gli arresti eseguiti in queste ore, decine le perquisizioni, un centinaio, almeno per ora, le imprese coinvolte in brutte storie di usura ed estorsione. L'organizzazione, che si occupava in prima battuta di recupero crediti, diventava poi anche una finanziaria occulta che gestiva i beni e le stesse aziende cedute dai debitori strozzati da prestiti che arrivavano alla fine anche ad interessi del 180%.

 "Un'organizzazione ben definita, organizzata gerarchicamente - spiega il comandante Sarno - ognuno aveva compiti precisi, compiti operativi, amministrativi, c'erano anche dei prestanome 'puliti' a cui venivano intestate le società cadute nella rete degli usurai. Prima venivano sequestrati beni, macchinari, immobili, poi
 fatalmente la stessa società veniva fagocitata dai creditori che avevano usato metodi illegali, minacce, pestaggi veri e propri per avere i soldi dovuti".

 I carabinieri riferiscono persino di due sequestri di persona, un padre e figlio imprenditori presi dai camorristi, immobilizzati nella sede della propria azienda e pestati selvaggiamente dai creditori davanti ai propri operai. "Un esempio lampante - spiega Sarno - per tutti quelli che avevano chiesto soldi ed erano in
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 difficoltà".

Gomorra in Veneto / Le reazioni. Zaia: "Successo che dà coraggio"
I complimenti del sindaco di Padova Zanonato alle forze dell'ordine: "Dobbiamo dargli più strumenti"
PADOVA. "Mi associo al ministro Roberto Maroni nel plauso ai Carabinieri, alla Direzione investigativa di Padova e a quella Distrettuale di Venezia per la brillante
 operazione antimafia che oggi ha consentito di sgominare una pericolosa ed estesa organizzazione camorristica''. Il presidente veneto Luca Zaia ha parole di stima e di gratitudine per le forze dell'ordine e per gli inquirenti che hanno assestato un altro duro colpo alla criminalità organizzata, ''l'ennesimo successo - aggiunge - attribuibile all'impegno dello stesso ministro Roberto Maroni e alle determinate e severe politiche di contrasto al crimine attuate dal governo in questi
 ultimi anni''. ''Questi risultati - conclude Zaia - danno coraggio, convinzione e forza a tutti coloro i quali combattono quotidianamente per la legalità e la sicurezza dei cittadini e trasmettono a questi ultimi la consapevolezza che lo Stato sta facendo con grande efficacia la sua parte, per impedire il diffondersi della mafia e delle sue criminose attività anche nei nostri territori''

Zanonato: "Gratitudine alle forze dell'ordine". "Desidero ringraziare a nome dell'amministrazione comunale e dell'intera comunità cittadina la Direzione investigativa antimafia di Padova, l'Arma dei Carabinieri e tutti coloro che hanno collaborato, da ogni parte del Paese, a fermare il clan di camorristi che operava in Veneto. Con questo intervento si è dato un colpo importante alle organizzazioni criminali che tentano di inquinare il nostro sistema economico, approfittando del periodo di crisi che mette in difficoltà molte aziende venete. Adesso non bisogna abbassare la guardia e proseguire con un'azione ferma e decisa per combattere la grande criminalità che minaccia pesantemente il nostro territorio. Gli inquirenti hanno tutto il sostegno delle istituzioni locali. Mi auguro che il governo e il parlamento facciano la loro parte promuovendo una legislazione severa e rigorosa e dotando le forze dell'ordine e la magistratura delle risorse e degli strumenti necessari a vincere questa difficile sfida contro il crimine".

Ruzzante e Naccarato (Pd): "Il governo non fa nulla". "Non più tardi di una settimana fa, all'indomani dell'inchiesta Catapano, eravamo stati facili profeti nell'affermare che la grande criminalità organizzata, in particolare Ndrangheta e Camorra, dopo essersi pesantemente insediata in Lombardia, dava evidenti segni di voler puntare sul Veneto. La maxi operazione di oggi è la triste e facile conferma di quanto avevamo denunciato. Avevamo anche evidenziato questo ulteriore aspetto della grave crisi economica che sta vivendo oggi la nostra Regione, ossia il concreto rischio corso da quelle aziende che non ce la fanno più a rimanere nel mercato, di cadere vittima, consapevolmente o meno, delle organizzazioni criminali. A fronte di tutto questo avevamo anche sollevato un'altra questione che secondo noi era fondamentale: l'assoluta inerzia del governo che, oltre al totale disinteresse a quanto sta avvenendo, in questi anni, nel Nord, dove si insinuano i tentacoli mafiosi dei clan meridionali, prosegue nell'approvazione di provvedimenti in tema di giustizia che vanno nella direzione sbagliata. Basti pensare alla prescrizione breve appena  votata alla Camera, con l'unico 14 aprile 2011
obiettivo di salvare il Presidente del Consiglio".

Aosta. Inchiesta fontine adulterate: per 61 indagati è stato richiesto il rinvio a giudizio
Aosta - Le accuse vanno dall'associazione a delinquere, alla truffa aggravata, al commercio di sostanze alimentari nocive all'abuso d'ufficio, alla diffusione di una malattia tra gli animali e alla frode nell’esercizio del commercio.
Per associazione a delinquere, truffa aggravata, commercio di sostanze alimentari nocive all'abuso d'ufficio, diffusione di una malattia tra gli animali e frode nell’esercizio del commercio, il Pm Pasquale Longarini ha firmato oggi la richiesta di rinvio a giudizio per 61 persone nell’ambito dell’inchiesta sulle fontine adulterate.

Ecco i nomi delle persone rinviate a giudizio: Italo Avoyer di 47 anni, residente a Saint Rhemy en Bosses, Donato Avoyer, 55 anni, Saint Rhemy en Bosses, Angelina Jordan 77 anni  Saint Rhemy en Bosses, Davide Mila 51 anni di Morgex, Angelo Cabraz 39 anni di Jovencan, Rene Laurent Clos 44 anni Jovencan, Cassiano Treboud 36 anni di La Salle, Luciano Cuc 69 anni di Aymavilles, Edy Gontier 49 anni di Aymavilles, Gabriele Empereur 66 anni di Gressan, Rosella Badino 52 anni di Pralormo-Torino, Emilio Cabraz 69 anni di Jovencan, Eliseo Duclos 55 anni di Gignod, Marisa Cheillon 48 anni di Gignod, Elio Louisetti 53 anni di Bionaz, Roberto Avetrani 58 anni di Valtournenche, Alfreda Tillier 49 anni di Gressan, Fabrizio Bisson 33 anni di  Gressan, Siro Bisson 59 anni di  Gressan, Gabriele Vierin 63 anni di Gressan, Silvano Petey 58 anni di Valpelline, Pierre Clos 57 anni di Jovencan, Loris Pieiller 39 anni di Fenis, Laura Vercellin Nourissat 39 anni di  Fenis, Dante Morzenti 64 anni di Aymavilles, Daniele Morzenti 32 anni di Aymavilles, Pierpaolo Treves 42 anni di Emarese, Ada Girod 66 anni di Gaby, Nello Angelo Girod 68 anni di Fontainemore, Carla Anna Maria Girod 63 anni di Fontainemore, Giovanni Girod 40 anni di Fontainemore, Italo Giovanni Lazier 47 anni di Fontainemore, Vittorio Noz 46 anni di Nus, Nello Brillo 62 anni di Pré-Saint -Didier, Barbara Benetti 34 anni di Aosta, Pierretta Naudin 65 anni di Gignod, Lidio Lucianaz 41 anni di Charvensod, Ezio Vierin 55 anni di Gressan, Anna Artaz 57 anni di Quart, Valter Avoyer 38 anni di Aosta, Ivo Empereur 40 anni di Gressan, Alberto Bollero 38 anni di San Benigno Canavese, Lucia Dentis 42 anni di Torino, Leo Saraillon 49 anni di Aymavilles, Ivo Cheillon 44 anni di Valpelline, Riccardo Orusa 51 anni di Etroubles, Edy Henriet 46 anni di Saint Christophe, Massimo Volget 40 anni di Saint Marcel, Claudio Trocello 56 anni di Aosta, Marco Cuc 46 anni di Aymavilles, Antonio Albisetti 45 anni di Montjovet, Diego Lale Murix 41 anni di Saint Pierre, Roberto Pellizzaro 51 anni di Quart, Erik Cheillon 35 anni di Valpelline, Angelo Letey 52 anni di Valpelline, Alexandre Bal 29 anni di Ollomont, Bruno Bal 51 anni di Ollomont, Alex Parleax 32 anni di Saint Pierre, Helene Vierin 30 anni di Pollein, Patrick Brocard 30 anni di Pollein, Erik Bollon 33 anni di Charvensod. Per 47 di questi 61 indagati sono state formulate richieste di archiviazione parziale.

Per altre 25 persone è stata chiesta l’archiviazione totale, tra cui i consiglieri regionali Piero Prola e Mauro Bieler. Si tratta di: Paolo Rossi, Paolo Savioz, Daniele Ronc, Federica Bieler, Martino Pozzo, Emanuela Pessione, Stefania Celano, Mauro Bieler, Piero Prola, Marco Ragionieri, Enrico Rovarey, Pier Luigi Bertello, Alessandro Bollero, Oreste Dentis, Carla Abram, Elio Bollero , Maria Pia Jorioz , Angela Rolland, Mauro Ruffier, Daniela Andreol, Antonella Chiosso, Loris Filippini, Romano Gerbore, Mario Vevey e  Ines Savoretti.

L’inchiesta della forestale e dei carabinieri era partita nel novembre del 2009 e aveva portato all’arresto di Angelo Cabraz e Eliseo Duclos. Agli arresti domiciliari, invece erano finiti Antonio Albisetti di Montjovet; Rosella Badino di Pralormo, titolare di un laboratorio analisi di Carmagnola; Fabrizio Bisson, titolare di un'azienda agricola di Gressan; Emilio Cabraz, allevatore di Jovencan; Marisa Cheillon, allevatrice di Gignod; Angelo Letey, allevatore di Valpelline; Elio Louisetti, allevatore di Bionaz; Davide Mila, veterinario di Morgex; Claudio Trocello, veterinario di Aosta; Gabriele Vierin, titolare di un'azienda agricola e allevatore di Gressan e Massimo Volget, veterinario di Brissogne.
di Redazione Aostasera
14/04/2011

In Veneto troppi bulli
E il Pdl propone il servizio civile estivo
 di Giovanni Bucchi  
«Il problema è il cazzeggio». Punto. Dario Bond, capogruppo del Pdl al Consiglio regionale veneto, non usa mezzi termini per individuare quel che non funziona tra i giovani della regione. Il caso sollevato dal sindaco di Calalzo di Cadore Luca De Carlo (quello che ha reintrodotto il bonus bebè, tanto per intenderci) è serio: i giovani, anzi i «bulli», si ubriacano pure in orario scolastico, le sanzioni non bastano, serve altro per questi ragazzi. Bene, ma cosa? Il pidiellino prova a rispondere al primo cittadino montanaro. «Dobbiamo proporre una valida alternativa ai nostri ragazzi», dice Bond: «Per questo penso a una sorta di servizio civile estivo con la stessa filosofia che ha portato alla nascita dei nonni vigili. Penso a degli studenti netturbini o comunque garanti del decoro dei paesi». Quindi, agli anziani, gestiti in cooperative, gli si affida l'incarico di aiutare i bambini ad attraversare la strada fuori da scuola o di controllare le aule studio delle biblioteche, ai giovani che sono ancora forti e vigorosi si fanno imbracciare rastrello e sacco del pattume. E via a lavorare. «La questione è seria», ragiona Bond, «ed è emersa anche da un recente studio dell'Ulss 2 di Feltre con la Regione e il Ministero della Gioventù. In montagna il disagio è più diffuso che altrove, da qui la necessità di correre ai ripari, trovando una soluzione anche in vista delle imminenti vacanze estive». Se i giovani non sanno come passare il tempo e non trovano di meglio che ubriacarsi, tanto vale farli «sgobbare». E se questo coincide pure con l'interesse pubblico di tenere pulita una città, bhé tanto meglio. Il capogruppo azzurro promette di portare la proposta in commissione regionale, e lunedì, dice lui, ne parlerà pure con il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. «C'è da capire se si può attuare un modello elastico simile a quello dei nonni vigili», dice Bond, «prevedendo anche un piccolo gettone di presenza, in questo modo non solo i ragazzi verranno incentivati a fare qualcosa per il loro paese sentendosi utili, ma anche responsabilizzati sull'uso del proprio denaro». Quanto alle attività, Bond pensa a mansioni tanto semplici quanto utili: ripulire gli spazi verdi pubblici, le panchine, ritinteggiare le staccionate. Insomma, far sistemare ai ragazzi quegli stessi elementi di arredo urbano che spesso sono preda proprio del vandalismo giovanile.

Modena. Case popolari solo per pochi
La graduatoria si allunga e gli alloggi non aumentano
di Fabrizio Stermieri
  Carpi ha fame di case popolari? Tanta, ma c'è anche tanta rassegnazione da parte di chi ambisce a un alloggio economico popolare, di quelli che il Comune assegna in affitto a canone modesto. Sono stati in 663 a partecipare alla graduatoria 2010 per l'assegnazione, quest'anno, degli alloggi Erp (edilizia residenziale pubblica).  Solo una trentina conquisterà entro il 2011 l'agognato alloggio. «Noi, per Carpi, organizziamo un bando di assegnazione ogni anno a ottobre - puntualizzano all'ufficio casa dell'Unione terre d'argine - e quello bandito nel 2010 diventerà operativo proprio nei prossimi giorni, dopo che sono stati esaminati gli ultimi ricorsi e sistemata la graduatoria definitiva».  Un trend sostanzialmente stabile, quello dei partecipanti al bando di assegnazione delle case comunali: da un massimo di 712 nel 2002 (ma in quell'anno la normativa regionale di riferimento era stata appena modificata e c'erano motivi tecnici per un boom di richieste), a un minimo di 567 domande nel 2007. «Tanto - commenta un partecipante mai arrivato ad ottenere l'alloggio - sono solo in pochissimi a riuscire nell'intento di conquistare casa».  In effetti i numeri dei concorrenti sono sempre venti volte superiori agli alloggi assegnati: 41 lo scorso anno (bando di riferimento quello del 2009), punta record nell'arco di tempo considerato, che ha visto il suo minimo di assegnazioni negli anni 2004 e 2005 (22 alloggi all'anno) con una media che non arriva ai 30 appartamenti all'anno.«Il patrimonio immobiliare del Comune di Carpi assomma ad oggi a 616 alloggi - puntualizzano in assessorato - ma la mobilità è decisamente scarsa. Non appena si libera un alloggio viene assegnato all'avente diritto, ma solo se ha le caratteristiche adatte: se si tratta di un mini non lo possiamo certo assegnare ad una famiglia con cinque o sei componenti, e viceversa». Ed anche il trend di incremento del numero degli alloggi Erp è decisamente lento: erano 583 gli alloggi nel patrimonio del Comune di Carpi nel 2002, sono passati a 591 l'anno successivo ma poi, per sei anni, il numero è rimasto fermo lì. Solo lo scorso anno si sono aggiunti 15 nuovi appartamenti e, anche se da più parti si reclama una più dinamica politica abitativa da parte del Comune, le risorse disponibili non sembrano poter giustificare facili entusiasmi per l'immediato futuro nonostante che a Carpi ci sia una marea di alloggi sfitti e si continui, nonostante l'oggettiva crisi del mercato edilizio e il crollo dei prezzi delle case, a costruire ancora in diversi comparti urbanistici cittadini. Infine, per completare il quadro del sistema residenziale pubblico, c'è da considerare la cosiddetta 'emergenza'; a fianco del bando di concorso annuale, un bando 'chiuso' con ciclo annuale, c'è l'assegnazione d'emergenza, con bandi trimestrali aperti. Ma si tratta di uno o due alloggi all'anno in tutto da utilizzare a rotazione per periodi di tempo limitati necessari, appunto, a 14 aprile 2011
superare l'emergenza.

Reggio emilia. «Siamo sull'orlo del precipizio»
Sitta: trentamila disoccupati, è ora di rimboccarci tutti le maniche
Modena è a un bivio, da una parte un futuro di inesorabile declino, dall'altra la possibilità di rilancio a patto che tutto il sistema territoriale si unisca in uno sforzo comune puntando su: crescita, sviluppo e lavoro. «Occorre agire e fare in fretta». E' la convinzione di Daniele Sitta, assessore alla progrmamazione del territorio che cercando di uscire dalle solite polemiche "di cortile" cerca di allargare l'orizzonte sulla scia di quanto detto dal presidente della Camera di Commercio Torregiani e dal presidente della Provincia Sabattini.  «Ho come l'impressione che in città non ci si renda conto che stiamo ballando sull'orlo di un precipizio. Non è un dramma passeggero avere 30mila persone senza lavoro (in cassa, disoccupati e giovani in cerca). Se non ci tiriamo su le maniche non troveranno mai lavoro, e nemmeno i nostri figli, che saranno in condizioni crescenti di povertà. Senza crescita non ci sarà sviluppo e lavoro. E si abbasserà il benessere, anzi si è già abbassato. Siamo già più poveri».  Cosa bisogna fare?  «Intanto partiamo avvantaggiati abbiamo un tessuto imprenditoriale di qualità, istituzioni sane, il welfare. Ma dobbiamo rimanere a questi livelli. A mio parere ci sono 10 temi (vedi sotto ndr) su cui dobbiamo fare davvero tutti sistema: manifatturiero, terziario, agroalimentare, la pista di Marzaglia, l'Università, la logistica, il turismo, la cultura, il Novi Park, le infrastrutture. Obiettivi strategici in grado di mettere Modena in condizione di competere in un inedito scenario mondiale mantenendo il benessere. Se insieme costruiremo un percorso condiviso con comuni obiettivi di sviluppo e innovazione, come dice il sindaco, ce la faremo. Altrimenti sarà grigia».  La Giunta può essere il motore?  «La giunta c'è, bisogna e, mi auguro, che gli Stati Generali vadano in questa direzione. Ora si occuperanno di economia e spero venga fuori il modo di sviluppare questi temi cruciali per tutti. Dobbiamo costruire le condizioni perchè Modena continui ad essere quello che è sempre stata. Dobbiamo lavorare tutti "ventre a terra" e remando nelle stessa direzione: istituzioni, Comune, Camera di commercio, università, parti sociali».   Parlare di progetti condivisi in una città dove ogni novità è contestata e divide, non è facile. Perchè?  «C'è un attegiamento di carattere pregiudiziale ed ideologico nei confronti delle proposte. Per quanto mi possa sforzare non è che io posso sbagliare tutti, proprio tutti, i progetti. Si motiva questo malcontento, dissenso, con la diversa visione urbanistica della città. Dov'è la diversa visione della città? Io per ora, e specifico per ora, mi sono limitato ad attuare al programma del sindaco e a completare il piano regolatore. Nella legislatura passata si sono fatte scelte importanti sugli alloggi per dare una casa a chi ne ha bisogno. Perchè contestare?».  Non è che lo scontro, vedi piscina e Cannizzaro, sia prologo al vero obiettivo: il futuro Piano strutturale comunale?  «La mia risposta è sì. Qualsiasi tema viene usato e strumentalizzato. Lo scontro in questa città non vede schieramenti rigidi contrapposti. Non c'è un comune sentire nelle opposizioni ci sono valutazioni molto diverse tra loro, anche nella maggioranza e nel Pd. Io ritengo di rappresentare quella parte di società che è certa che se non ci rimbocchiamo le maniche riprendiamo un cammino di crescita, di sviluppo, che mette il lavoro al centro come "tema dei temi" rischiamo un declino rapidissimo. E' questo che non capiscono».  Come uscirne?  «Solo con la disponibilità a ragionare senza pregiudizi ideologici. Se ragioniamo su cosa siamo, cosa abbiamo fatto e i bisogni della città la quadra la troveremo. Se costruiamo il confronto in un contorno di pregiudizi che avvelenano la discussione e discutiamo non di numeri, non di fatti, ma di impostazioni ideologiche non ne veniamo fuori. Se di fronte alla costruzione di 2mila alloggi per persone che ne hanno bisogno, non marziani, in 5 anni, senza consumare terreno agricolo, e costruito in misura ben minore di altri si viene dipinti come cementificatori non se ne viene fuori».  Queste critiche arrivano anche dal suo Pd.  «Già. Se non ci è chiaro quale sia il ruolo di un partito di sinistra riformista che deve innanzitutto farsi carico di garantire i diritti primari dei cittadini: il lavoro e la casa, non usciamo da un atteggiamento culturale che vede la propria casa un diritto intoccabile e quella degli altri come cementificazione non se ne esce. E' un atteggiamento, senza offesa, da borghesia intellettuale appagata, sazia che osteggia ogni cambiamento. Come fa una sinistra riformista ad atteggiarsi in modo così
di fronte a 30 mila famiglie in difficoltà?». 14 aprile 2011

Venezia. Commercianti contro gli abusivi in Riva degli Schiavoni
Via libera della giunta al regolamento anti-borsoni: nuovo provvedimento dopo la bocciatura delle ordinanze
di Marco Petricca
La protesta dei pittori di strada e venditori di souvenir
 VENEZIA. Scoppia la rivolta contro i commercianti abusivi. Per tutto il pomeriggio di ieri i pittori di piazza e i venditori di souvenir su Riva degli Schiavoni hanno occupato con bancarelle e carretti vuoti il passaggio sulla riva. In tutto una decina di carretti posizionati davanti alle Prigioni e fino al ponte del Danieli. Una protesta contro il mercato nero di borse e cinte degli gli extracomunitari.

 Intanto per contrastare il commercio abusivo la giunta ieri ha approvato la proposta del sindaco Giorgio Orsoni e del direttore generale Marco Agostini di riformare e integrare il regolamento di Polizia urbana. Dopo la bocciatura della Corte costituzionale delle ordinanze sui «borsoni» occorreva pensare a nuove norme per la tutela della sicurezza pubblica che fossero anche inattaccabili dal punto di vista giuridico. Non più ordinanze dunque ma il regolamento che rientra nell'autonomia decisionale degli enti locali. E dovrà prevedere divieti di comportamenti che possano provocare «situazioni di disagio o di pericolo».

 Dunque l'obiettivo sono le occupazioni abusive di suolo pubblico e il commercio abusivo, ma anche la lotta al degrado e alla prostituzone, l'alcolismo e l'accattonaggio. Un pacchetto di proposte che ora dovrà andare all'approvazione del Consiglio comunale.

 La protesta di ieri dei pittori di piazza e dei venditori di souvenir, esasperati dall'invasione di vu'cumprà. Perlopiù si tratta di giovani africani e pakistani che dalle 12 del mattino fino alla sera si stazionano abusivamente sulla riva. Ieri tra le 16 e le 18, c'erano in riva più di quaranta venditori abusivi. Ma il sabato e la domenica il loro numero si raddoppia. «Assistiamo ogni giorno alla stessa scena - dicono i commercianti - i neri appena avvistano da un ponte all'altro una pattuglia di carabinieri nei dintorni si mettono in fuga, spesso travolgendo nella corsa passanti e turisti, ma un minuto dopo sono di nuovo lì». Ma questa volta è stata un protesta nata anche dall'esasperazione dei giorni scorsi, quando i commercianti sono stati minacciati e aggrediti verbalmente «dal solito gruppetto di neri».

 «Questa sta diventando la loro zona, l'area riservata al commercio abusivo. E adesso si aggiunge anche la paura e il fatto che non possiamo lavorare tranquillamente». «Ma ormai li conosciamo tutti di faccia, con uno di loro ieri ho anche preso l'autobus da Mestre», osserva Franco De Rossi. Non è la prima iniziativa organizzata dai commercianti. Ma questa volta, l'intento è stato duplice. Il problema non è solo quello di segnalare che la situazione col tempo sta peggiorando, «perché se tre anni fa erano in dieci, ora sono in quaranta e finché nessuno interverrà il loro numero aumenterà di sicuro», ha aggiunto De Rossi, ma soprattutto far capire alle autorità cittadine che è necessario il loro intervento. «Qui ci vuole una volontà politica», osservano i commercianti, «e questa situazione non può essere lasciata solo nelle mani di tre carabiniere di pattuglia».

Venezia.  Battaglia tra gli Atenei di Padova a Verona
Il ministro Fazio convoca i rettori veneti
A difesa delle rispettive scuole i sindaci delle due città Zanonato: «Uno scandalo». Tosi: «Parlate senza sapere»
VENEZIA — Tirato per la giacca dall’onorevole Giustina Destro (Pdl), il ministro della Salute Ferruccio Fazio si è offerto come mediatore nella guerra tra Atenei veneti scoppiata all’indomani del decreto con il quale Mariastella Gelmini ha tolto la Scuola di specializzazione in Cardiochirurgia all’Università di Padova per aggregarla a quella di Verona. «Fazio mi ha informata di aver fissato per la prossima settimana un incontro al suo dicastero con i rettori della città del Santo, Giuseppe Zaccaria, e del polo scaligero, Alessandro Mazzucco —rivela la Destro —. Se non ci faremo ancora del male da soli, ci sono i presupposti per arrivare a una soluzione in tempi molto brevi».

Il ministro aveva chiamato in forma privata Zaccaria già lunedì, confidandogli di non essere contento di come sono andate le cose. «Le scuole in Italia sono troppe, bisognava operare alcuni accorpamenti — ha spiegato Fazio al magnifico — e il Veneto sconta l’anomalia di averne due a pochi chilometri di distanza. Nessuno ha niente contro l’Università di Padova, ma una delle due andava tagliata». E la Gelmini ha eliminato quella sotto l’ala del rettore che aveva osato contestare la sua riforma. L’incontro a Roma con il responsabile della Salute si annuncia dunque decisivo: anche se sarà difficile cancellare il decreto del ministro dell’Istruzione, si potrebbe trovare un compromesso, magari lasciando entrambe le scuole attive per un altro anno, per poi riservarsi la scelta finale. Opzione meno rischiosa di un ricorso al Tar del Lazio, preso in esame da Zaccaria: anche se accolto, il Consiglio di Stato ha già detto che la materia è a discrezione del dicastero interessato. La sconfitta è praticamente annunciata in «appello».

Il rettore di Padova ne parlerà lunedì, alle 10.30 al Bo, con i parlamentari e i consiglieri regionali della città, il sindaco Flavio Zanonato (Pd), la presidente della Provincia Francesca Degani (Pdl) e il vicegovernatore Marino Zorzato (Lega). Nel frattempo le due realtà coinvolte continuano a prendersi a mazzate. Stavolta attraverso i rispettivi sindaci. Mercoledì, su Facebook, Zanonato ha lanciato l’anatema: «E’ scandalosa la chiusura della Scuola di Cardiochirurgia di Padova, non possiamo accettarlo, ha una risonanza mondiale. Qui è stato eseguito il primo trapianto di cuore e qui lavorano medici di straordinario valore. La scuola è stata spostata con un atto arbitrario a Verona, che non ha i parametri, il numero di studenti e specializzandi, le strutture richieste. Così si danneggia la realtà medica padovana. Dobbiamo reagire, fare squadra, stare tutti compatti, perchè questa è una scelta ingiusta, che grida vendetta e va corretta».

Per la proprietà transitiva il sindaco di Verona, Flavio Tosi (Lega), se la prende con Zaccaria, pungendolo su un nervo scoperto: il progetto del nuovo ospedale di Padova, mai decollato. «Quando il rettore parla di maggiori risorse destinate a Verona per l’edilizia ospedaliera dovrebbe ricordarsi che la gara per il polo Chirurgico di Borgo Trento è stata bandita nel 2000 e conclusa nel dicembre 2002, anni in cui nessun veronese, tantomeno della Lega, ricopriva la carica di assessore alla Sanità in Regione. Per di più metà delle risorse vengono dalla Fondazione Cariverona. Per contro qualcuno, a Padova, doveva rendersi conto che l’idea di un nuovo ospedale del costo di oltre un miliardo era campata per aria». Invoca invece l’unione bipartisan delle forze il Pd che mercoledì, con i consiglieri regionali Piero Ruzzante, Claudio Siniglia e Mauro Bortoli ha iniziato una raccolte di firme davanti all’ospedale della città del Santo, da consegnare alla Gelmini e al governatore Luca Zaia.

In una mattina hanno firmato in 300, medici e specializzandi inclusi. «Porteremo la petizione davanti a tutti gli ospedali della provincia — annuncia Ruzzante — ci batteremo per salvaguardare l’eccellenza». «Non è vero che ci vogliono almeno tre contratti per tenere aperta la Scuola di Cardiochirurgia — rivela Sinigaglia — Chieti, Genova, Palermo, Sassari e Torino ne hanno 2, il San Raffaele di Milano addirittura uno. Presenterò una mozione in commissione Sanità». I parlamentari Alessandro Naccarato, Margherita Miotto, Paolo Giaretta (tutti Pd) e Antonio De Poli (Udc) hanno sottoscritto interrogazioni a tema.
Michela Nicolussi Moro

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