mercoledì 6 aprile 2011

Federali-Sera. 6 aprile 2011. Aosta. Il 1° aprile abbiamo confermato la nostra disponibilità a ricevere temporaneamente stranieri provenienti dal Maghreb che siano nella condizione di profughi rifugiati e richiedenti asilo, preferibilmente donne e minori. ------Salorno (Bozen). A Salorno sono 690, tra comunitari ed extracomunitari, dei quali circa 200 minorenni, il che spiega la percentuale elevata di stranieri nelle scuole e negli asili. A fare la parte del leone sono i macedoni (154), seguiti da marocchini (124), bengalesi (83), pachistani (65) e tunisini (58). Tra i comunitari spiccano, invece, i tedeschi (38). All'asilo italiano sono il 50%, alle elementari il 40% e alla scuola media il 30%. Nel mondo tedesco le cifre sono un po' diverse: 20% all'asilo e alla scuola elementare e il 10% alla media.

Forza Oltrepadani:
Bozen. Caldaro: anche l'Svp dagli alpini
Bozen. La giunta: visite a pagamento da rivedere
Bozen. Via Tridentina, brusca frenata Svp
Belluno. Primo sì alla specificità del Bellunese
Belluno. Bond: «Per noi è una giornata importante»
Belluno. Una provincia virtuosa per il numero di reati che incidono sull'economia

Immigrati al 19,5%:
Bozen. Salorno: gli immigrati al 19,5%
Aostee'. Rollandin ribadisce l'ok ad ospitare temporaneamente profughi nordafricani
"Preferibilmente donne e bambini"
Aostee'. La Valle è pronta ad integrare i profughi in arrivo dalla Libia?
Aosta. Emergenza immigrati: si aspettano le ‘candidature’ dei sindaci per ospitare i profughi.
Trento. Profughi nelle case Itea.
Milano avvisa Maroni: «I profughi? Sono già troppi».
Treviso. «Tendopoli in Ghirada? Demenziale»
Venezia. «Profughi, Lega senza strategia. Si salva soltanto Maroni»
Venezia. Centro immigrati, spunta l'ipotesi Peseggia
Padova. Zanonato: "Nessun immigrato alla Romagnoli, la Lega si è inventata tutto"
Modena. In città clandestini in fuga da Lampedusa
Bologna. Homeless, il Comune: riapriamo il dormitorio di via Lombardia

Economia Oltrepadana e padana:
Bozen. Ospedale San Maurizio di Bolzano: liste d'attesa di mesi
Aosta. Forestali in piazza per il lavoro: "La Regione taglierà 70 posti con il passaggio alla Salvaprecari
Trento. Comuni, impiegati «factotum»
Belluno: l'artigianato vede nero, 140 lavoratori in cassa in deroga fino a dicembre.
Belluno. Sanità, dura protesta dei sindaci agordini
Udin. I sindaci della Carnia sono divisi sull'elettrodotto
Padova. Ogni padovano tassato dal Comune per 800 euro: ecco i conti di Palazzo Moroni
Parma. Senza fondi pubblici è in pericolo la selezione genetica
Parma. Pmi, l'estero è la via obbligata
Parma. Presi i maghi dell'evasione fiscale, quattro arresti
Imperia. Prezzi alle stelle, Riviera al top della classifica

A noi!:
Trento. Partito fascista de Eccher nella bufera.
Padova. Eserciti regionali, il Pdl alla Lega: "Non sono necessari"
Firenze. E’ polemica sulla festa tricolore: "Dove sono finite le celebrazioni?"

Sintassi calabra:
Mobilitazioni devote a difesa di Berlusconi


Bozen. Caldaro: anche l'Svp dagli alpini
Il vicesindaco Atz alla sfilata per il 60esimo anniversario della sezione. CALDARO. Al sessantesimo anniversario delle "penne nere" di Caldaro c'era anche la Volkspartei. Presso il complesso della cantina Kettmair, punto di ritrovo degli alpini caldaresi, si sono ritrovate domenica centinaia di penne nere in congedo per festeggiare questo importante traguardo raggiunto dalla sezione dell'Oltradige. Se la rievocazione di quella giornata del 1951, in cui il presidente sezionale Nino Barello dichiarava costituito il locale gruppo alpini, è stato il momento centrale del raduno, la manifestazione ha riservato molte altre occasioni per essere ricordata come un momento di amicizia e aggregazione fra gli alpini, nel segno della convivenza e nella consapevolezza che esistono ideali comuni nella coscienza delle penne nere e della popolazione.  Dopo la sfilata del labaro sezionale e dei gagliardetti rappresentanti ben 23 gruppi Ana provenienti dalla provincia, dal Trentino e dal Veneto, sono intervenuti il presidente provinciale Ana Ferdinando Scafariello, il vicesindaco di Caldaro Werner Atz ed il rappresentante della comunità italiana, il consigliere comunale Lino Seppi, dai cui interventi è emersa la storia degli alpini, intrisa di fatiche, di gioie, di amicizia e di solidarietà, che sono i valori morali su cui è stata costituita l'associazione. Al termine della messa, celebrata da don Luciano, è stata donata una targa ricordo ai due soci fondatori Pietro Nicoletto e Guido Nardon i quali nel 1951, allora poco più che ventenni, avevano sentito la necessità di unirsi ad una quindicina di "anziani" per ridare vita ad un sodalizio che già esisteva, ma che gli eventi bellici avevano brutalmente cancellato nel 1943, a Caldaro come in molte località della provincia.  Dopo la distribuzione del gagliardetto rievocativo ai gruppi e alle autorità presenti, si è conclusa la cerimonia ufficiale mentre la festa è proseguita all'insegna della sana allegria che da sempre caratterizza e distingue gli alpini, sia in servizio che in congedo. 

Bozen. La giunta: visite a pagamento da rivedere
Durnwalder: «Voglio i dati delle liste d'attesa, poi decideremo se e come cambiare le regole». BOLZANO. «Non voglio una medicina a due velocità. Non voglio che chi paga possa farsi visitare nel giro di una settimana e che gli altri aspettino mesi». Durnwalder concede a Theiner sette giorni per raccogliere i dati sulle liste d'attesa. «Poi decideremo che fare con la libera professione in ospedale».  Durissimo Claudio Volanti del sindacato Anaao: «Se vogliono arrivare al blocco delle visite a pagamento (intramoenia) faremo ricorso e chiederemo i danni. Medici e pazienti sono disorientati. Per me è una vergogna».  Il comunicato della giunta dice - a chiarissime lettere - che il diritto alla salute dev'essere uguale per tutti ed è per questo che le regole sulla libera professione fatta dai medici degli ospedali devono essere analizzate e discusse con le parti interessate.  Insomma il presidente che non ha mai amato le visite a pagamento vuol capire cosa stia succedendo.  Nelle ultime settimane - infatti - il San Maurizio ha bloccato per una ventina di giorni e poi sbloccato le visite in alcuni reparti "sorvegliati speciali" (resta da capire perchè il Tappeiner di Merano che ha lo stesso problema non abbia fatto la stessa scelta).  E l'ha fatto perché le liste d'attesa "normali" stavano esplodendo. Durnwalder ripete che non è disposto a sopportare una medicina a due velocità e Antonio Frena, segretario del Pd e chirurgo al San Maurizio, gli dà ragione mentre Mario Tagnin (Pdl) dice che l'intramoenia è un valore aggiunto.  «Continuo a ricevere un sacco di lamentele - dice il presidente - incontro cittadini che protestano perchè devono aspettare mesi per una visita salvo poi sentirsi dire che se l'avesse pagata poteva averla anche il giorno dopo! Siccome voglio il rispetto del diritto alla salute, pretendo che sia fatta una verifica sulla corretta gestione dell' intramoenia e cioè delle prestazioni a pagamento fatte dai medici dell'ospedale al di fuori dell'orario di lavoro ma dentro la struttura pubblica. Ho chiesto a Theiner di farmi avere entro lunedì i dati sulle liste d'attesa, poi decideremo che fare con la libera professione in ospedale». In pratica se rivederla, correggerla, bloccarla o meno. Il capo dipartimento Florian Zerzer fa sapere di essere al lavoro. A breve inizierà la conta.  Del resto per prenotare una visita dermatologica al San Maurizio si devono attendere 199 giorni, ne servono 126 per una visita oculistica. Situazione difficile anche in Riabilitazione, Urologia ed Ortopedia. Le visite bloccate una ventina di giorni sono state poi sbloccate dopo le proteste di pazienti e medici. La decisione l'ha presa il direttore generale dell'Asl unica, Andreas Fabi, che ha concesso però solo un via libera condizionato e temporaneo di tre mesi nei reparti sotto osservazione. «Poi - precisa - vedremo che fare, voglio capire anche come si muoverà la giunta. Cerco di usare sempre il buonsenso perchè non voglio penalizzare nè i medici nè i pazienti ma non voglio contraddire la legge provinciale che mi obbliga a bloccare l'intramoenia nei reparti con liste d'attesa superiori ai sessanta giorni».  L'Anaao però avverte Durnwalder: «L'intramoenia non si tocca. L'Alto Adige la permette in orari impossibili (solo il venerdì pomeriggio), contro le 20 di Trento e le 40 del resto d'Italia e non accetteremo un ulteriore ridimensionamento». Così parla Rosa, legale del sindacato: «Se l'Azienda e la Provincia vogliono bloccare la libera professione risponderanno dei danni fatti ai medici visto che nel resto d'Italia il termine per lo svolgimento dell'attività è stato prolungato di un ulteriore anno».  Il presidente dell'Ordine dei medici, Michele Comberlato, è amareggiato: «Non capisco perché l'Asl e la politica continuino a demonizzare l'intramoenia che di solito è un valore aggiunto perchè aiuta a ridurre le liste d'attesa anche perché i medici che la scelgono effettuano un maggior numero di prestazioni fuori dall'orario di lavoro. In più la libera professione sostenuta ed incentivata dalle singole Aziende, penso solo a quella di Trento, riesce a fatturare anche qualche milione di euro che in tempi di vacche magre non si buttano certo via. Il problema per Comberlato è un altro: «Mi sembra che l'Asl manchi di un progetto d'insieme e si sia bloccata». 

Bozen. Via Tridentina, brusca frenata Svp
La Stella Alpina propone una generica «via degli Alpini». Secco no del Pd. BRESSANONE. Brusca frenata dell'Svp sull'intitolazione di una strada alla Brigata Tridentina. Nonostante le rassicurazioni del sindaco, la proposta emersa nel gruppo di lavoro della maggioranza sulle nuove strade è di una via intitolata genericamente agli alpini. «Nulla in contrario alla via degli alpini, ma sulla Brigata Tridentina non intendiamo fare marcia indietro», commenta Alberto Ghedina, capogruppo Pd in consiglio comunale. Il dibattito ora rischia di incendiarsi.  Nella seduta del consiglio comunale del 27 gennaio scorso, rispondendo ad una mozione congiunta Freiheitlichen-Insieme, Albert Pürgstaller si era pubblicamente impegnato a risolvere la questione dell'intitolazione di una strada alla Brigata Tridentina entro aprile. Cosa che aveva spinto Dario Stablum e Walter Blaas a ritirare la mozione. Ma il punto si sta arenando all'interno del gruppo di lavoro della maggioranza (Svp, Pd ed Ecosociali), di cui fa parte lo stesso sindaco. Al momento, infatti, la Svp, per non irritare la pancia del partito, ha avanzato la proposta di una generica «via degli Alpini». Un dietrofront evidente e sino ad oggi anche gli Ecosociali si sono mostrati molto tiepidi sulla Tridentina.  La partita non è ancora conclusa e il Pd non intende arretrare. Nella fermezza del partito potrebbero pesare anche le ferite procurate dalle polemiche sull'Unità d'Italia: «Nulla in contrario ad una strada intitolata agli alpini - commenta Alberto Ghedina - fermo restando che una strada o una piazza (e non devono essere scelte di serie B) porti il nome della Brigata Tridentina».  «Non si può pretendere che tutti si riconoscano in un nome - spiega ancora il capogruppo Pd - certo è importante che questi nomi non offendano nessuno». Le ragioni avanzate dal Pd sulla bontà della scelta sono sostanzialmente storiche: «Non possiamo confondere la Brigata Tridentina - continua Ghedina - nata nel 1951 da un'Italia repubblicana, democratica e antifascista, con la Divisione Tridentina del Regno d'Italia, fondata nel 1923 e sciolta nel 1943 a seguito dall'armistizio, a pochi mesi dalla battaglia di Nikolaevka». «La Brigata Tridentina è nata con lo scopo di difendere i confini del Nord Italia contro una eventuale aggressione delle truppe del Patto di Varsavia. Grazie al cielo - argomenta il capogruppo Pd - la guerra fredda è finita e non c'è stato bisogno di un intervento armato, ma nel frattempo la Tridentina è stata impegnata in operazioni civili, dal soccorso alle popolazioni della valle Isarco durante l'alluvione del 1966, alla ricostruzione in Friuli nel 1976, in Irpinia nel 1980 o Stava nel 1985. Senza contare la costruzione di strade o campi sportivi in Alto Adige. È a questa Brigata Tridentina - conclude Ghedina - che noi intendiamo dedicare una strada di Bressanone». La scadenza di aprile indicata dal sindaco è molto vicina: la palla ora passa alla Stella Alpina.   VIPITENO Sadobre e biogas serata all'Hotel Lilie  Serata di discussione, giovedì 7 aprile 2011, ore 20, presso l'Hotel Lilie a Vipiteno. Il Bürgergruppe Vipiteno invita tutta la popolazione dell'alta val d'Isarco ad uno scambio di opinioni sui grandi progetti: Parcheggio Sadobre, impianti Biogas, parco eolico al Brennero. UPAD Il mondo delle miniere incontro con Zampedri  Oggi alle ore 15.30, presso l' Auditorium del Pluricomprensivo di via Prà delle Suore, la locale sede Upad organizza un incontro con il video maker bolzanino Bruno Zampedri, che presenterà il documentario "Il mondo delle miniere: Predoi e Monteneve", un'occasione per conoscere la storia di alcune importanti miniere, leggende e curiosità legate alla figura dei minatori ma anche all'utilizzo che delle vecchie miniere viene proposto oggi. TANGENZIALE Simulazione rogo nella nuova galleria  La simulazione di un incendio nella nuova galleria sud della circonvallazione (l'inaugurazione verrà fatta il 16 aprile prossimo) ha confermato il buon funzionamento dei sistemi di areazione e la diffusione dei fumi. Nel corso dell'esercitazione sono stati attivati, per agevolare l'uscita del fumo, i due grandi ventilatori nel camino d'aspirazione lungo 70 metri.

Belluno. Primo sì alla specificità del Bellunese
Sergio Reolon: «Una svolta certa, è stata premiata la nostra tenacia». BELLUNO. Una giornata storica per il Bellunese. Non ha paura di dirlo, Sergio Reolon, consigliere provinciale del Pd. La Commissione statuto della Regione ha inserito nell'articolo 16 la specificità della Provincia di Belluno, con un elenco di materie, dalle risorse idriche, al turismo, alla gestione del territorio, che passeranno da Venezia a Belluno. «E' importante che già nello Statuto siano comprese le deleghe, altrimenti avremmo dovuto aspettare una legge ordinaria». Campa cavallo.  Già nelle passate legislature regionali la specificità della Provincia era stata approvata dalla Commissione che discuteva lo statuto. Ma poi la proposta complessiva non aveva superato lo scoglio del consiglio regionale.  Era accaduto nel 2005, ad esempio. Nella legislatura successiva non si era arrivati neppure a discutere di statuto in consiglio regionale.  «Questa volta non ci saranno problemi: lo statuto sarà approvato», spiega Reolon. «Per questo motivo mi sono battuto perchè le materie da trasferire fossero comprese già nello Statuto e non si dovesse attendere una legge successiva».  Come si è arrivati al voto positivo della Commissione? «Nelle settimane scorso il nostro testo, quello del Pd, aveva ricevuto l'appoggio del Pdl. Ieri si è aggiunta anche la Lega».  Le altre Province cosa ne dicono, appoggeranno il testo della specificità bellunese? Reolon è convinto di sì, anche perchè l'articolo 16 è fatto di commi, dove vengono presi in considerazione anche i problemi di altri territori, come le aree metropolitane o le altre zone svantaggiate. E la Regione garantisce a tutti spazi di autonomia.  «Il punto di forza della proposta che ha avuto il via libera della commissione, è che non si tratta di un documento di una parte politica. Come ho sempre sottolineato la richiesta di specificità bellunese nasce dagli Stati generali, cioè da tutte le forze sociali, economiche, politiche del Bellunese».  Rispetto alla proposta iniziale è stata stralciata solo una parte, quella relativa ai «servizi alla persona», ritenuti collegati all'area sanitaria e quindi non trasferibili da soli alla Provincia.  Guido Trento è rammaricato del mancato inserimento dei servizi sociali, fondamentali a suo parere per continuare a vivere in un territorio montano.  Ma subito pone le mani avanti: «I trasferimenti finanziari ci sono?». Nel testo presentato a suo tempo da Trento, che in pratica è quello che ha avuto il via libera ieri in commissione, si parlava anche di trasferimento contestuale delle risorse insieme con le deleghe.  «Non ci sono dubbi sul nodo dei trasferimenti - spiega Reolon - Questo perchè è stato definito un articolo in cui si stabilisce la perequazione dei territori. Di sicuro con questo risultato è stata premiata la tenacia dei democratici in tutti questi anni di lavoro a livello regionale. Ora il prossimo passo è l'approvazione dello Statuto: un appuntamento che dovrà compiersi in tempi rapidi».  Chi non sembra particolarmente soddisfatta del voto in commissione Statuto è proprio la Provincia, in particolare il suo presidente Bottacin.  «Rimango della mia idea: elencare le deleghe è un errore. Leggo che è stata inserita l'"autonomia finanziaria" e mi chiedo cosa significhi: dovremo forse arrangiarci con le nostre tasse? I Bellunesi sono numericamente pochi e non riuscirebbero a tenere in vita tutti i servizi di cui necessitano. Abbiamo la necessità di un fondo perequativo a cui accedere e non vorrei che quanto inserito in Commissione non lo tenga in considerazione», ha detto ancora Bottacin. «Attendo ora le leggi ordinarie che daranno seguito a quanto indicato dal documento approvato, che deve ancora entrare nell'aula del Consiglio regionale».  Secondo Bottacin quella di ieri non è una vittoria.  «Rischiamo di illudere i Bellunesi: questa non è l'autonomia che ci garantisce la possibilità di fare le leggi, come hanno i trentini e i bolzanini. Quella si ottiene solo in Parlamento, non certo a Venezia».

Belluno. Bond: «Per noi è una giornata importante»
Il profilo basso di Toscani, specchio delle diverse anime nella Lega. BELLUNO. «Per noi montanari è una giornata importante». E' soddisfatto il capogruppo del Pdl Dario Bond dopo che la Commissione Statuto ha "licenziato" l'articolo sul riconoscimento della specificità a Belluno. «E' stato fatto un bel lavoro di squadra e questo soprattutto grazie all'impegno dei consiglieri bellunesi, anche quelli delle passate legislature».  La disposizione della "svolta" è il comma quinto dell'articolo 16ter, interamente dedicato alla provincia di Belluno e alle sue autonomie locali: «E' stato un lavoro lungo, ma alla fine quasi tutti hanno riconosciuto l'importanza di dare al Bellunese la sua specificità fatta di autonomia amministrativa e finanziaria in determinate materie».  Ma Bond aggiunge anche un altro tassello, e cioè l'articolo 23 (fortemente voluto dal Pdl) che prevede un meccanismo di perequazione a favore dei territori con minore gettito fiscale: «Questo permette di trasferire insieme alle competenze anche le opportune risorse. E' l'articolo che consentirà alla specificità bellunese di diventare operativa».  «Mi auguro di trovare lo stesso atteggiamento della Commissione in Consiglio regionale, quando la bozza diventerà finalmente definitiva», conclude il capogruppo del Pdl in Consiglio regionale.  Non si discosta di molto da questa posizione anche Matteo Toscani, consigliere leghista. In realtà, come lui ammette senza problemi, nella Lega ci sono anime diverse sul tema della specificità bellunese. Molti non sono d'accordo e in passato lo hanno dimostrato. Nelle riunioni della commissione statuto ha parlato solo il capogruppo, Toscani non è mai intervenuto. Nonostante ciò spiega: «E' un passo positivo e importante, perchè la Commissione statuto era un ostacolo da superare. Ora la bozza arriva in aula e già altre volte in passato abbiamo visto che i provvedimenti approvati in commissione possono essere bocciati dall'aula».  Anche lo statuto? «Forse questa volta no, mi sembra che ci sia un clima positivo. Ormai anche quelli che non erano d'accordo in passato cominciano a dare per assodata la specificità bellunese».  Verrebbe da dire che li abbiamo presi per sfinimento.  «Nella bozza di statuto si è tenuto conto anche degli altri territori svantaggiati e questo è stato un passaggio importante». Ma secondo Toscani non bisogna illudere i bellunesi. Andranno fatte le leggi di applicazione dello Statuto e in quella sede saranno definite meglio competenze e risorse.

Belluno. Una provincia virtuosa per il numero di reati che incidono sull'economia
Stefano Perale (Confindustria): «Noi promuoviamo la cultura della trasparenza e del rispetto delle regole». BELLUNO. Un territorio tranquillo. Belluno si conferma nell'elite delle province più sicure d'Italia dal punto di vista della criminalità. Nella classifica stilata dal quotidiano Sole-24 Ore in base ai delitti che impattano sull'economia (in pratica quelli che hanno ripercussioni sulle aziende o sulle attività commerciali) denunciati nel primo semestre del 2010, il Bellunese si trova al 100º posto. Alle spalle della provincia dolomitica ci sono soltanto Matera, Potenza e Oristano.  Dal report del giornale di Confindustria si evince che la "densità" maggiore dei delitti (sono presi in considerazione truffe e frodi informatiche, furti in esercizi commerciali, ricettazione, danneggiamento seguito da incendio, estorsioni, delitti informatici, rapine in negozi o in banche, violazione della proprietà intellettuale, contraffazione di marchi e prodotti, furti di automezzi pesanti con merci, riciclaggio, associazione per delinquere e usura) si ha nelle grandi città del nord (in testa ci sono Milano e Torino), davanti a Bologna, Genova, Firenze e Prato. Roma è la prima città del centro-sud: seconda come numero complessivo di delitti, scende di cinque gradini se questi vengono raffrontati al numero di abitanti.  Belluno, come detto, è al 100º posto con 11,8 delitti in sei mesi ogni mille abitanti. Se si considera che i residenti in provincia sono 214mila, si raggiunge una quota di poco superiore ai 2.500 in sei mesi. Belluno è virtuosa per i danneggiamenti con incendio e per le estorsioni, dove occupa il primo posto dell'apposita classifica con zero casi denunciati. Positivo anche il settore della ricettazione, dove la provincia è quinta con 0,78 casi denunciati ogni mille abitanti.  «Il fatto che Belluno sia in ottima posizione in quanto a reati collegati all'economia», dice il direttore di Confindustria Belluno Dolomiti, Stefano Perale, «rispecchia un po' la nostra tradizione di diffuso rispetto per la legalità e, più in generale, di bassissimo tasso criminale. A tutto questo si collega un'opera di vigilanza che noi come associazione abbiamo sempre svolto con la collaborazione di tutti i nostri associati».  «Più recentemente», prosegue, «abbiamo aderito al "Protocollo di legalità" firmato da Confindustria con il ministero dell'Interno per favorire la diffusione della cultura della trasparenza e del rispetto delle regole nelle attività economiche. In particolare, Confindustria Belluno Dolomiti lo scorso mese di febbraio, ha aderito alla proposta di Confindustria Veneto (fra le prime in Italia a coinvolgere le associazioni provinciali) e ha firmato il protocollo con le Prefetture della regione. In estrema sintesi si promuove il diritto di denuncia da parte degli associati che subiscano estorsioni, o reati che limitino la libertà economica; si promuove l'adozione di regole mirate a disciplinare la scelta responsabile dei propri partner, subappaltatori e fornitori; si favorisce l'adozione di misure contro il lavoro nero che è spesso indicatore di gravi fenomeni criminali; si organizzano corsi di formazione sulla cultura della legalità. Vi è anche la possibilità di espellere dall'associazione le aziende che incorrono in reati gravi».

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Bozen. Salorno: gli immigrati al 19,5%
Gli stranieri sono 690. All'asilo italiano sfiorano il 50 per cento. SALORNO. Salorno si conferma il Comune altoatesino con il maggior numero di stranieri: la crescita continua, anche se ad un ritmo leggermente inferiore rispetto al passato. A fornire gli ultimi dati sul flusso migratorio è stato il vicesindaco Marlene Tabarelli, che ha presieduto la prima riunione della commissione per l'immigrazione e l'integrazione. 
I DATI. Gli stranieri a Salorno sono 690, tra comunitari ed extracomunitari, dei quali circa 200 minorenni, il che spiega la percentuale elevata di stranieri nelle scuole e negli asili. Nel paese della Bassa Atesina sono rappresentati 39 paesi. A fare la parte del leone sono i macedoni (154), seguiti da marocchini (124), bengalesi (83), pachistani (65) e tunisini (58). Tra i comunitari spiccano, invece, i tedeschi (38). «All'asilo italiano - spiega il vicesindaco Tabarelli - sono il 50%, alle elementari il 40% e alla scuola media il 30%. Nel mondo tedesco le cifre sono un po' diverse: 20% all'asilo e alla scuola elementare e il 10% alla media. Le scuole, è bene sottolinearlo, percepiscono la diversità come un valore, una ricchezza che aiuta i bambini a diventare cittadini consapevoli e informati». 
LA COMMISSIONE. Della commissione, unica nel suo genere in provincia, fanno parte oltre a sindaco e vicesindaco anche Georg Nardon (Pdl), Ilario Vicenzi (Lega), Karin Simeoni e Matthias Mayr (Svp), Fernanda Mattedi (Pd), Marco Pizzini e Manuela Degasperi (Impegno), Alessandro Borsoi (Distretto), Michael Demanega (Freiheitlichen) e Jedidi Slah (rappresentante degli immigrati). Nella prima seduta i membri del gruppo di lavoro si sono presentati, motivando la loro presenza nella commissione. C'è chi ha studiato il fenomeno migratorio, c'è chi ritiene si tratti di un passo necessario per migliorare la qualità della vita nel paese e chi invece vorrebbe coinvolgere gli stranieri nell'associazionismo. «L'obiettivo di fondo - sottolinea Marlene Tabarelli - è migliorare la convivenza. Tutti sono più o meno d'accordo sul fatto che sono proprio i bambini ad avere meno problemi di integrazione. Soprattutto nei vari sodalizi sportivi ci sono già parecchi ragazzini di altri
Paesi». 
I TEMI. Di volta in volta - la seconda seduta della commissione si terrà a maggio - a seconda del tema trattato saranno invitati i responsabili delle scuole, dell'Asl, delle forze dell'ordine e di altri enti eventualmente coinvolti. «Dovremo - continua la Tabarelli - definire chiaramente il concetto di integrazione. Si deve parlare anche delle cose che funzionano bene e il fattore umano deve avere la precedenza. Ci confronteremo anche con altri centri della Bassa Atesina, in cui il numero degli immigrati è altrettanto alto». Tra le proposte già lanciate ricordiamo un "contratto di integrazione" tra Comune e immigrati (una decalogo con diritti e doveri) e la ricerca di strumenti per favorire una maggiore conoscenza di italiano e tedesco da parte degli stranieri. 

Aostee'. Rollandin ribadisce l'ok ad ospitare temporaneamente profughi nordafricani
"Preferibilmente donne e bambini"
06/04/2011. AOSTA. «Il 1° aprile, nella prima riunione della cabina di regia, abbiamo confermato la nostra disponibilità a ricevere temporaneamente stranieri provenienti dal Maghreb che siano nella condizione di profughi rifugiati e richiedenti asilo, preferibilmente donne e minori». Lo ha confermato questa mattina in Consiglio regionale il presidente della Regione, Augusto Rollandin.

«Secondo i dati comunicati dall'Associazione Save the Children, a cui è affidata la gestione dei minori non accompagnati, vi sono al momento circa 350 minori non accompagnati non presi in carico da comunità di accoglienza» ha spiegato il presidente della Giunta regionale valdostana.

Aostee'. La Valle è pronta ad integrare i profughi in arrivo dalla Libia? La parola a Rivolin e Louvin
Aosta - Giuseppe Rivolin e Paolo Louvin si confrontano sul prossimo arrivo in Valle di un centinaio di profughi dal nord africa. La società valdostana sarebbe pronta a integrare i nuovi arrivati, dovessero continuare ad arrivare in dosi massicce? "La Valle d'Aosta, come le altre Regioni italiane, dovrà ospitare una quota di profughi libici proporzionale alla propria popolazione. Ma quanto durerà l'emergenza? Si tratterà di un fenomeno passeggero, o sono da prevedersi altre ondate di sbarchi per chissà quanto tempo? La società valdostana sarebbe pronta  a integrare i nuovi arrivati, dovessero continuare ad arrivare in dosi massicce?"

Giuseppe Rivolin
In ventiquattr’ore si è passati dalla commemorazione del centocinquantenario dalla proclamazione del Regno d’Italia alla rievocazione (forse un po’ troppo realistica) del centenario della guerra di Libia. Con la differenza che nel 1911 erano gli Italiani a invadere la Libia, oggi è il contrario. Mentre eravamo in attesa di accogliere il centinaio circa di profughi libici che ci è stato generosamente assegnato, ci hanno assicurato che non avremo, in più, accampamenti di clandestini tunisini, dato che costoro nulla hanno a che vedere con il diritto d’asilo garantito dalle norme internazionali. Sarà però difficile fare, in Valle come altrove, quel che si dovrebbe, cioè applicare la legge e rimandarli indietro: né si può pensare che, una volta iniziato, lo “tsunami umano” che ci sta investendo si arresti. L’esperienza ventennale di un’irresponsabile inerzia apparentemente buonista, ma in realtà colpevolmente menefreghista, che ha ingrassato e continua a ingrassare la criminalità organizzata fornendole manovalanza a basso prezzo e incrementando il mercato di carne umana, ha abituato i migranti a pensare che i contribuenti italiani sono tenuti a pagare la costruzione, la manutenzione e il rifornimento di centri d’immigrazione destinati ad accoglierli; e che, se la qualità dell’accoglienza non li soddisfa, hanno il diritto di mettere a ferro e fuoco quanto trovano sul loro cammino. Da parte loro, i governi dei Paesi di provenienza, dai tempi dell’emigrazione albanese in poi, hanno capito benissimo che possono approfittare dell’occasione sia per liberarsi delle “teste calde” e dei delinquenti (il cui mantenimento nelle patrie galere è costoso), spedendoli sulle nostre coste, sia per ricattare l’Italia, facendosi versare centinaia di milioni di euro contro la promessa – non si sa quanto impegnativa – di limitare l’espatrio dei propri cittadini (Gheddafi era il campione assoluto di questo sport). Quanto alla società valdostana, in materia di integrazione ha sempre digerito di tutto e di più, dimostrando di avere uno stomaco di ferro. Se la caverà anche stavolta.

Paolo Louvin
Non ci sarà più tregua alle nuove migrazioni. E’ scritto nel DNA dei popoli, nell’istinto di sopravvivenza, nel bisogno primario di alimentazione, di cibo ed acqua, che spinge altrove a ricercare quello che manca nelle terre più povere. Poco importa che siano la guerra o la carestia, la persecuzione o l’indigenza a tracciare la strada. Il fenomeno è davanti a noi e davanti a tutti i popoli più fortunati (perché nonostante tutto ciò per cui ci lamentiamo siamo un popolo molto fortunato) ed a nulla varranno barriere e stati di polizia, piccoli recinti di finta sicurezza davanti a questa nuova invasione, a questa emorragia di vite che lasciano terre inospitali per cercare un futuro diverso da quello promesso loro per nascita. Saranno decine o centinaia ad invadere la nostra ricca regione, come lo sono stati in passato: qualcuno di passaggio, come le nuvole, per altri stanziali sono la speranza e la ricerca di integrazione. Ma non sono loro ad avere bisogno di noi, siamo noi, popolo vecchio e senza futuro, senza più identità e stimoli, ad avere bisogno della loro presenza. E allora grazie immigrati, le porte sono aperte. Abbiamo bisogno di voi!
06/04/2011

Aosta. Emergenza immigrati: si aspettano le ‘candidature’ dei sindaci per ospitare i profughi. Aosta - L’accordo firmato da Governo, Regioni e Autonomie locali è stao presentate oggi dal Presidente Rollandin all’Assemblea dei sindaci. Ai Comuni valdostani è stata richiesta un’indicazione sulle disponibilità di strutture di accoglienza.
La Valle d’Aosta ospiterà al massimo un centinaio d’immigrati, provenienti dall’area del Maghreb. E’ questa la stima fornita nel pomeriggio dal presidente della Regione Augusto Rollandin, durante l’incontro con i rappresentanti dell’Assemblea del Consiglio degli enti locali in cui sono stati illustrati i termini dell’accordo sottoscritto in sede di conferenza unificata il 30 marzo scorso, tra Governo, Regioni, Provincie autonome ed enti locali.

Il documento, firmato dai Ministri Fitto e Maroni, prevede che “in relazione alla previsione di 50 mila profughi, questi siano equamente distribuiti sul territorio nazionale in ciascuna Regione”. Nello specifico, la suddivisione è basata sul rapporto di 1:1000 rispetto alla popolazione residente. Per la Valle d’Aosta si tratterebbe quindi di accogliere un centinaio di persone. “L’unico vincolo imposto – ha spiegato Elso Gerandin, presidente del CELVA e del CPEL – è che queste siano già state identificate come profughi o rifugiati: non vogliamo diventare un centro di smistamento”.

Nel corso dell’incontro di oggi con gli amministratori locali è stato inoltre avviato l’iter di verifica dell'esistenza di strutture fisse che possano essere adibite proprio all'accoglienza temporanea degli stranieri in questione. “Abbiamo dato il via a una prima fase informativa – ha continuato Gerandin – richiedendo a tutti comuni un’indicazione riguardo alla disponibilità sul territorio, in modo da non dover intervenire con assegnazioni d’ufficio”. Sulla tipologia dei locali ricercati, l’indirizzo generale è quello di “privilegiare strutture in grado di accogliere piccoli nuclei di persone, evitando di raggrupparne tante in pochi luoghi”.

Per quanto riguarda invece i tempi tecnici, Gerandin non ha voluto sbilanciarsi, ricordando comunque che “si tratta di un’emergenza e che in ogni caso tutte le decisioni in merito andranno comunicate al più presto a Roma”. Mentre dal punto di vista economico, secondo il presidente del CELVA, “sarà previsto un rimborso per i costi che le strutture e gli enti interessati dovranno sostenere”.
di Massimiliano Riccio 05/04/2011

Trento. Profughi nelle case Itea. Pronti 120 appartamenti
06/04/2011 08:58
TRENTO - Mentre da Roma si aspettano notizie certe sull'arrivo dei profughi, quanti e quando prima di tutto, Lorenzo Dellai ha messo le mani avanti e ieri ha convocato una riunione con i sindaci di Trento (al posto di Alessandro Andreatta c'era l'assessore alle politiche sociali, Violetta Plotegher) Rovereto, gli assessori delle comunità di valle, di alcuni comuni e il presidente del Consiglio delle autonomie Marino Simoni per mettere nero su bianco il piano per accogliere i profughi. La notizia più concreta uscita ieri è questa: gli stranieri che saranno riconosciuti come profughi dal governo, perlopiù libici, somali e eritrei, in Trentino verranno ospitati in alloggi pubblici.

In maggior parte Itea quindi. Ieri è stato detto che sono già disponibili, in tutta la provincia, 120 appartamenti in grado di ospitare almeno 240 persone. «Ma attenzione - ha sottolineato Lorenzo Dellai - si tratta di case fuori dalle graduatorie. Questo dev'essere chiaro. Solo alloggi già predisposti per emergenze di questo tipo e quindi stock esclusi dalle assegnazioni. Non ci sarà nessuna guerra tra poveri, insomma. Su questo ci deve essere la massima chiarezza! Oltre alle abitazioni che appartengono al patrimonio pubblico - ha continuato il presidente - stiamo cercando la disponibilità di comunità religiose, di strutture sociali, di alloggi che la Chiesa trentina potrà mettere a disposizione. Di sicuro non faremo concentrazioni. Confermiamo che il primo punto di smistamento sarà la struttura di Marco ma lì queste persone rimarranno solo lo stretto necessario». Chiaro che l'operazione è delicatissima.

Milano avvisa Maroni: «I profughi? Sono già troppi». Le aspettative sono tante, le domande a cui dare una risposta anche: quanti profughi libici arriveranno? Quando? Dove saranno ospitati? I rappresentanti della Lombardia si preparano all’incontro di questa sera a Roma con il ministro Maroni, dove metteranno ben in chiaro i punti su cui non hanno intenzione di cedere e quelli ancora da chiarire. Ormai da settimane. Questione numero uno: se ci sarà una tendopoli, dove sarà? A Montichiari? E poi ancora. La Lombardia conta già il 25% degli immigrati presenti in Italia, quindi «è giusto che siano prima le altre regioni a fare la loro parte».
Al tavolo romano quindi si chiederà di non infierire sul territorio: «Ulteriori arrivi - fa notare l’assessore lombardo alla Protezione civile e sicurezza Romano la Russa - potrebbero produrre problemi di ordine pubblico». Palazzo Marino ha più volte fatto notare al ministro Maroni che «Milano ha già fatto abbondantemente la sua parte». E più volte il presidente Roberto Formigoni ha intimato a rivedere la proporzione stabilita dal governo: mille immigrati per ogni milione di abitanti. Se il criterio dovesse essere rispettato alla lettera, la Lombardia si troverebbe ad ospitare tra gli 8mila e i 10mila abitanti. Una cifra giudicata «eccessiva» dalle istituzioni. Sia Formigoni sia il sindaco Letizia Moratti ribadiscono la necessità di accogliere solo ed esclusivamente i profughi e aspettano di conoscere eventuali nuove soluzioni pensate dal governo. «È necessario fare una distinzione - spiega la Moratti - tra i rifugiati politici e i clandestini o coloro che vengono nel nostro paese non per emergenze umanitarie». Romano La Russa, che al Viminale rappresenterà la Regione Lombardia, teme l’effetto boomerang: «L’offerta di protezione temporanea - spiega - potrebbe essere interpretata dai tunisini come un incentivo a lasciare la propria terra. Ecco perché si deve lavorare per predisporre centri di identificazione ed espulsione, con rimpatri rapidi e sicuri. Speso si chiarisca definitivamente che la Tunisia è disponibile ad accogliere i suoi cittadini emigrati».
Secondo La Russa resta poi «del tutto incomprensibile» l’atteggiamento che sta tenendo l’Unione europea: un modo di agire apertamente ostile all’Italia che, qualora dovesse proseguire, ci costringerebbe a dar vita a sbarramenti e respingimenti sempre più duri, con tutte le gravi conseguenze del caso». All’incontro parteciperà anche il presidente della Provincia di Milano Guido Podestà che reputa l’ipotesi di concedere un permesso di circolazione temporaneo agli immigrati «una soluzione transitoria» per garantire «un minimo di legittimità alla presenza di centinaia di migliaia di persone» sul territorio italiano.Come se non bastassero le polemiche in corso, ci si mette pure il «qui pro quo» tra il presidente del Consiglio regionale Davide Boni e L’Espresso su una presunta intervista in cui Boni avrebbe affermato che la Lega è pronta a lasciare il governo «se il premier non porta a casa il risultato con la Tunisia» Una dichiarazione che tuttavia Boni dice di non aver mai rilasciato. «Abbiamo la registrazione» replicano dalla redazione dell’Espresso.

Treviso. «Tendopoli in Ghirada? Demenziale»
Gentilini stronca Zambon e spara sul Governo: «Figuraccia sui profughi».
di Federico de Wolanski.  Ieri ce la metteva tutta, Bepi Zambon, a spiegare che la proposta di allestire una tendopoli per profughi nei due ettari di terra dello Sporting «era solo una boutade», «che l'avrei fatto solo se il Comune me lo avesse chiesto e non certo da libero cittadino». La bomba, politica, era già scoppiata.  A farsene portabandiera il vicesindaco Giancarlo Gentilini che con Zambon, al di là delle tante foto sorridenti, ha ancora il piccolo conticino in sospeso legato ai musulmani. Quand'erano in cerca di una moschea, Zambon offrì i suoi campi da tennis e Ca'Sugana dovette tirar fuori i muscoli per farlo battere in ritirata.  «La proposta di una tendopoli alla Ghirada è demenziale oltre che irrealizzabile - urla il vicesindaco - Bepi assisterebbe alla ribellione di tutto il quartiere. Pagherà le conseguenze di quanto ha detto. La gente lo prenderà in giro. E' un'idea assurda, non tollero che un mio cittadino faccia certe uscite».  Ci mancherebbe altro, infatti. Perchè Gentilini i problemi li ha già in casa Lega. La base è stufa di un «sostegno» al Governo che non però porta a casa le promesse fatte. E forse è stufa anche dei vertici romani, lontani. Lui lo sa bene, e non tace. Punta il dito prima contro il Pdl, accusato di essere «assistenzialista» poi, quando gli si fa notare che il ministro dell'Interno cui fa capo il caso profughi è il leghista Maroni svicola: «E' stato influenzato». Eppure la Lega... «Stare al governo con compagni di viaggio che non la pensano in maniera diversa - dice - è la negazione del buon governo». La Lega insomma asseconda, e Gentilini non ci sta: «Qui nessuno vuole assumersi le responsabilità» incalza. Poi lascia nell'aria un «paraculi» che sembra riguardare tutti.  E se la prende pure con il vescovo Gardin, che domenica aveva invitato all'accoglienza e alla tolleranza.
«L'immigrazione è una ricchezza - segue - ma quello a cui stiamo
assistendo è un'invasione fuorilegge e la caritas cristiana non è accogliere tutti a braccia aperte. Quando dissi di blindare le frontiere mi accusarono di essere una fascista. Ora il governo dimostra solo debolezza».

Venezia. «Profughi, Lega senza strategia. Si salva soltanto Maroni» L'ex sindaco di Venezia: «Le tendopoli? Non andrebbero più fatte. Il Carroccio si muove solo per interesse elettorale. VENEZIA — Massimo Cacciari era sindaco di Venezia quando la sua città si trovò ad affrontare l’emergenza profughi dai Balcani. E da sindaco, di nuovo, ha dovuto gestire la transizione dal campo sinti di Mestre al villaggio, con le barricate della Lega.
Professor Cacciari, come giudica la politica della Lega sull’emergenza profughi? A Roma parlano di permesso temporaneo, ma in Veneto sono per i respingimenti e basta. «La Lega si muove solo per interesse elettorale. Bossi è abilissimo ad affrontare le emergenze in questo modo. Ma parlare di politica della Lega sull’immigrazione è dare dignità a qualcosa che è inesistente. L’unico che si salva è Maroni. Gli altri parlano solo per interesse elettorale, non hanno una visione strategica».
All’epoca del conflitto in Bosnia, a Venezia avete fatto le tendopoli. Ora sono tornate di attualità: le rifarebbe? «Le tendopoli assolutamente no. Non andrebbero più fatte. Questi ragazzi che sbarcano sulle nostre coste andrebbero sistemati in alloggi civili, in attesa di trovare una sistemazione in tutta Europa. Ma con una politica che decide e programma e che non lascia soli gli enti locali, come accadde a noi a Venezia. Abbandonati come cani: basta vedere quello che è successo con i sinti».
A Venezia avete gestito profughi, clandestini, minori non accompagnati, ma non avete fatto scuola. Il Veneto sembra totalmente impreparato ad affrontare l’ondata. «Non abbiamo fatto scuola in nessun campo. Siamo stati gli unici a cercare per anni di fare politica dell’accoglienza laddove era possibile. Perfino i minori non accompagnati ce li portavano a Venezia perché non sapevano come gestirli. Ma anche per la droga, la prostituzione: non abbiamo fatto scuola in nessun luogo. In Veneto, dove c’è stata integrazione, c’è stata per la sensibilità mista a interesse del ceto industriale: chi aveva interesse alla forza lavoro ha spinto per l’integrazione».
Cosa sta succedendo in Italia? «Stiamo affrontando un mutamento epocale ma stra-annunciato, che deriva da un fattore demografico che prescinde da Mubarak, Gheddafi e tutti gli altri dittatori: loro crescono del 5-6% l’anno, a differenza di noi. Bastava leggere qualche libro o dare un’occhiata a qualche statistica per capire che sarebbe andata così».
Le rivoluzioni sono stati solo degli acceleratori? «Sì. I processi sono stati accelerati dal fattore politico, ma al momento sono inarrestabili. Ed è peccaminoso che il ceto politico italiano ed europeo si trovi impreparato. Pensare che bastasse qualche dittatorello a fermare l’ondata è vergognoso».
Che pensa della strategia del Pd su questo? «Quale strategia? Io vedo solo il Pd che critica il governo».
Beh, il sindaco Zanonato ha proposto che ogni comune si prenda un numero gestibile di rifugiati. «Grazie! Zanonato parla da sindaco, come avrei parlato io. Se fossi ancora sindaco sarebbe quella la mia linea: siamo sempre andati avanti a buona volontà. Negli anni ’90 lo Stato e l’Europa ci hanno aiutato un po’, poi ci hanno abbandonato come cani. Basta vedere cosa è successo con i sinti. Zanonato non è uno statista e non risponde da statista».
Cosa dovrebbero dire i politici, per agire da statisti? «Dovrebbe esserci un piano nazionale sulla base della conferenza Stato-Regioni, che stabilisca come costruire politiche dell’accoglienza degli immigrati. Non per sistemarli in tendopoli, ma in alloggi per poi smistarli. Mancano completamente i finanziamenti, anche a livello europeo».
Professore, come finirà? «Succederà che affronteremo questa trasformazione epocale in emergenza, con la speranza che ci sia qualche regime disposto a tenerseli per soldi, come pare che avverrà in Tunisia. Ma l’emergenza riesploderà subito: c’è chi calcola che sono in arrivo 50 milioni, chi dice 100 milioni di giovani che hanno l’alternativa tra morire di fame e sbarcare in Europa».
Sara D’Ascenzo

Venezia. Centro immigrati, spunta l'ipotesi Peseggia
L'ex base militare potrebbe essere uno dei siti veneti. Il sindaco: «Ci opporremo in tutti i modi». SCORZE'. Cie, basta la parola. A Scorzè è scoppiato il putiferio dopo la notizia che l'ex base missilistica di Peseggia risulta inserita in una lista stilata dal ministero dell'Interno per l'eventuale realizzazione di un Cie (Centro di identificazione ed espulsione) e che l'area potrebbe essere utilizzata anche per la costruzione di un cosiddetto «Cie temporaneo» per fronteggiare l'emergenza delle migliaia di immigrati del Nord Africa, in gran parte tunisini, sbarcati a Lampedusa negli ultimi giorni. Secondo indiscrezioni trapelate da Roma, per ora in Veneto l'unico sito individuato dal ministero della Difesa per ospitare immigrati sarebbe la caserma Romagnoli di Padova. La struttura patavina potrebbe però ospitare fino ad un massimo di 200 persone, e non è escluso che il governo decida di trovare altre aree da destinare a Cie temporanei. Da qui i timori del Comune di Scorzè, dopo che il nome di Peseggia, la cui base è stata dismessa un paio d'anni fa, è apparso nell'elenco pubblicato domenica dal Sole. Va detto che alla prefettura il nome non risulta. I siti - spiegano da Venezia - verranno indicati probabilmente dopo la riunione in programma oggi tra la Cabina di regia organizzata proprio per l'emergenza Lampedusa e le Regioni, che sarà anticipata da una conferenza straordinaria delle Regioni convocata dal presidente dell'Emilia Romagna, Vasco Errani. Il sito di Peseggia soddisferebbe uno dei criteri richiesti: la scelta di siti appartati. Il sindaco di Scorzè, Giovanni Mestriner, mette le mani avanti. «Non possono prendere una decisione simile senza coinvolgerci - spiega -, ci opporremo in qualsiasi modo, sia all'ipotesi di Cie permanente, sia a quello di Cie temporaneo. I ministri Maroni e La Russa li portino a casa loro, una tendopoli a Peseggia è impensabile». «Il sito è assolutamente inadatto - aggiunge -, in zona agricola, senza alcuna infrastruttura, lontano dall'aeroporto. Come è immaginabile realizzare un Cie in un posto simile?».  Per tutta la giornata di ieri i vertici locali di Pdl e Lega hanno cercato sponde politiche tra Venezia e Roma per capire quali reali intenzioni ha il governo. In ogni caso - si riflette a Scorzè - l'importante è preparare le barricate politiche di fronte ad una scelta «incomprensibile», aggiunge il sindaco. «Se pensano di scaricare i problemi prevedendo un Cie, temporaneo o provvisorio che sia in un piccolo paese come il nostro con la speranza che questo faccia meno rumore - dice Mestriner - si sbagliano di grosso». 

Padova. Zanonato: "Nessun immigrato alla Romagnoli, la Lega si è inventata tutto" / Dal sottosegretario Guido Crosetto, che ha incontrato con il presidente della Provincia Barbara Degani e il vicepresidente della giunta regionale Marino Zorzato, il sindaco apprende che il ministero della Difesa non ha mai messo a disposizione dell'Interno la caserma di Chiesanuova per trasferirvi duecento immigrati di Lampedusa. E accusa Maroni e il Carroccio. PADOVA. L'ex caserma Romagnoli non solo non ha mai fatto parte dell'elenco dei siti messi a disposizione del ministero dell'Interno per ospitare rifugiati o clandestini in arrivo da Lampedusa, ma per il sottosegretario Guido Crosetto è uno dei beni alienabili dal ministero della Difesa per reperire risorse da destinare alle Forze armate. E' quanto è emerso nel corso dell'incontro a Roma fra lo stesso Crosetto, il sindaco Flavio Zanonato, il presidente della Provincia Barbara Degani e il vicepresidente della giunta regionale Marino Zorzato sul tema della vendita delle strutture militari dismesse.

Le informazioni raccolte a Roma sull'ex caserma di via Chiesanuova hanno spinto Zanonato a una dura reazione. Di ritorno dalla capitale, in treno, il sindaco ha registrato un filmato che poi ha postato sulla sua pagina Facebook (vai al video).

Zanonato accusa i leghisti di essersi "inventati tutto". A suo avviso la Lega Nord ha cercato di "sollevare l'indignazione della popolazione", informandola "in modo scorretto". Insomma, il Carroccio "strumentalizza" la drammatica vicenda degli sbarchi "per racimolare qualche voto".

L'attacco di Zanonato ai leghisti ancora una volta è diretto: "Il loro ministro Maroni non risolve i problemi e gestisce la cosa in un modo disgustoso e poi loro vanno in giro a protestare, fanno finta di indignarsi. Non credo che in questo modo andranno molto lontano".

Modena. In città clandestini in fuga da Lampedusa
Per loro qualcuno aveva preparato un rifugio sulla Vignolese. Il blitz della polizia.
di Stefano Totaro
In attesa del contingente ufficiale, in città "sbarcano" i clandestini fai da te. Sono quelli sono approdati a Lampedusa in questi giorni, oppure che sono scappati da Manduria: con mezzi di fortuna, seguendo itinerari della disperazione, giungono anche a Modena con "mezzi propri". La loro meta era la Francia, ma la loro tappa nella nostra città ha portato sfortuna. Il loro viaggio è stato bloccato dalla polizia. Si tratta di cinque giovani tunisini, sconosciuti ad ogni archivio di forze dell'ordine, tutti clandestini e tutti, come subito hanno affermato non appena sono stati scoperti, provenienti in questi giorni da Lampedusa. Uno ha detto di essere minorenne e verrà sottoposto all'esame delle ossa per capire quale età abbia effettivamente.  L'altra notte, verso le 2.30, alcuni residenti delle palazzine dove viale Muratori sfocia nella via Vignolese, hanno notato dei movimenti sospetti. Avevano visto dei giovani con dei borsoni e delle giacche che si aggiravano per strada e tra le case. A pochi metri dalla rotondina c'è la filiale della Cassa di risparmio di Vignola: la polizia, pensando ad un colpo in preparazione, ad un assalto al bancomat, accorre di gran carriera.  E scopre i cinque di Lampedusa che hanno indicato agli agenti quale fosse il loro giaciglio per la notte. Gli uomini della Volante trovano cinque materassi e il solito contorno di degrado in rifiuti, stracci e resti di cibarie e di bevute. Viene alla luce un nuovo ma consolidato covo-rifugio notturno per sbandati, tossicodipendenti e clandestini. Quello che resta del distributore di benzina, quel rettangolo di muri era per loro il motel per la notte.  Un "motel" attrezzato con materassi e aree già delimitate per gli ospiti.  Pertanto, o i cinque clandestini si erano sistemati loro, con materiali e mezzi propri dentro lo stabile da qualche giorno, oppure, essendo appena arrivati da mille chilometri di distanza, qualcuno ha indicato o meglio portato e fatto accomodare i nuovi arrivati nel posto, tutto sommato, sicuro.  Quest'ultima è una ipotesi più che probabile. Esiste ed è pertanto attiva una nuova figura "lavorativa", uno o più personaggi che piazzano clandestini e bisognosi nei luoghi deputati a rifugi notturni. Esattamente come era accaduto qualche mese fa per "l'hotel Saragozza". Un palazzo signorile dismesso, in pieno centro, insospettabile dall'esterno ma trasformato in un dormitorio notturno: ogni sera uno straniero arrivava in perlustrazione per poi, da bravo "maitre" dopo aver controllato le stanze, faceva entrare gli ospiti. Un servizio che ovviamente non era per nulla gratuito.  Ma l'utilizzo dell'ex distributore all'inizio della Vignolese non è riservato alle sole ore notturne: ieri verso le 14, ad esempio, alcuni stranieri con borse sono stati notati entrare e sistemarsi all'esterno. È improbabile siano quelli delle pulizie, che sistemano le stanze per i clienti della notte.

Bologna. Homeless, il Comune: riapriamo il dormitorio di via Lombardia
Ma i senzatetto continuano la protesta
Il Comune promette 30 posti in più per i senzatetto, a patto di liberare piazza Maggiore. Questo il nocciolo dell’incontro di oggi tra una delegazione di cinque homeless fra quelli accampati dall’1 aprile davanti a Palazzo d’Accursio e l’amministrazione comunale, rappresentata dal subcommissario Raffaele Ricciardi.

Nel dettaglio, il Comune ha promesso di riaprire il dormitorio di via Lombardia, garantendo in questo modo 32 posti in più. In cambio l’amministrazione chiede agli homeless di «lasciare immediatamente liberi gli spazi, anche allo scopo di consentire la realizzazione di interventi urgenti alla facciata del palazzo».

La proposta non convince però i manifestanti, che reclamano più assistenza. «Cercano di aggirare il problema- spiega Djamel, uno dei delegati- stamani hanno promesso la riapertura immediata del centro in via Lombardia, ma non hanno specificato se sarà aperto a tutti, o solo ai residenti». Esclusa dalle trattative l’associazione Piazza Grande, che ha deciso di sostenere la protesta con uno «sleep out» venerdì prossimo.

«Ogni giorno portiamo pasti e coperte - spiega Alessandro Tortelli del servizio mobile di sostengo - l’occupazione di Ppiazza Maggiore comincia a infastidire le istituzioni». La promessa di riaprire il dormitorio di via Lombardia, in altre parole, è giudicata troppo vaga: il vero nodo rimane la questione della residenza.

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Bozen. Ospedale San Maurizio di Bolzano: liste d'attesa di mesi
Bisogna attendere 209 giorni per dermatologia, 153 ad urologia, 147 ad oculistica.
di Valeria Frangipane
BOLZANO. Visita dermatologica 209 giorni. Reumatologica 160 giorni. Urologica 153 giorni. Oculistica 147 giorni. Fisiatrica 105 giorni. Otorinolaringoiatrica 93 giorni. I dati pubblicati nel sito dell'Asl confermano tempi d'attesa biblici per visite ed esami specialistici (non urgenti) all'ospedale S. Maurizio. La questione non piace a Durnwalder pronto a rivedere le regole della libera professione intramoenia (che permette ai medici di garantire visite a pagamento) nelle specialità ingolfate. «Non voglio che il paziente che paga se la sbrighi in una settimana o addirittura in un giorno e tutti gli altri ad aspettare mesi». Questione supportata da Antonio Frena (Pd), dalla Cgil, dall'Asgb e da Christoph Gufler degli Arbeitnehmer. I dati ufficiali dell'Azienda sanitaria confermano - infatti - tempi di attesa biblici per visite ed esami specialistici non urgenti, soprattutto al San Maurizio. Per prenotare una visita dermatologica si devono attendere 209 giorni. Per una visita reumatologica 160, 153 per quella urologica, 147 per quella oculistica, 118 giorni per una visita ortopedica alla mano, 105 giorni per quella fisiatrica, 93 per l'otorinolaringoiatrica e 72 per la ginecologica. Ma i medici non ci stanno: «La verità è che le visite specialistiche di base non vanno fatte in ospedale ma nei distretti (e cioè sul territorio). Anche noi li abbiamo ma ci siamo riempiti di stupende scatole vuote senza personale per mandarle avanti, apparecchiature e strumentazioni adatte». Altro punto dolente più volte sollevato dal presidente dell'Ordine dei medici, Michele Comberlato, è quello dell'appropriatezza delle prestazioni. Se si vogliono affrontare i problemi delle liste di attesa bisogna agire soprattutto sull'appropriatezza delle richieste e molto meno sulle risorse necessarie per soddisfare tutte le richieste, comprese quelle senza senso che di solito sono la maggioranza (visite di controllo, esami strumentali, check up, etc...). Per Comberlato il problema delle liste non è l'intramoenia «che la politica continua a demonizzare» ma un intero sistema da riorganizzare. E sull'intramoenia interviene con una dura nota il sindacato degli ospedalieri Anaao. «La libera professione fatta in ospedale - tre ore in tutto - non si tocca. L'Alto Adige la permette in orari impossibili (solo il venerdì pomeriggio), contro le 20 di Trento e le 40 del resto d'Italia. Noi chiediamo al direttore generale dell'Asl unica, Andreas Fabi, di aumentare il monte ore fino a 20 ore settimanali, di allargare la tipologia delle prestazioni (comprese quelle chirurgiche) e di darci la possibilità di svolgere l'attività libero professionale allargata presso studi e ambulatori privati in caso di carenza di spazi dedicati». Per l'Anaao «la confusione è notevole». «Ci devono spiegare perché il blocco delle visite a pagamento è avvenuto solo nel Comprensorio di Bolzano con medici risentiti ed utenti allarmati e disorientati e non altrove». E c'è dell'altro. «Sì, Bolzano non paga le ore straordinarie». E poi? «Poi continua a mancare la Riforma del territorio che né assessorato, né Asl hanno predisposto come promesso da Oswald Mayr a Natale 2010. In tutta questa confusione tagliano i posti letto per acuti e non aumentano quelli per post acuti sul territorio mentre per il centro Irccs di Neurorialilitazione che aprirà all'ospedale di Vipiteno i tempi sono rapidissimi. Aspettiamo per domani i dati dello studio Pasdera promessi dopo lunghe insistenze, sperando che siano originali e completi». Non una presa in giro.

Aosta. Forestali in piazza per il lavoro: "La Regione taglierà 70 posti con il passaggio alla Salvaprecari
Aosta - In serata, firmato l'accordo tra Regione e sindacati per il passaggio di operai e impiegati precari del settore forestale alla Spa Salvaprecari. Ma i sindacati rivendicano posti di lavoro e stabilità. Domani operai e impiegati forestali saranno in sciopero, e si troveranno alle 10 in piazza della Repubblica per poi sfilare in corteo fino a piazza Deffeyes per manifestare il loro disappunto per i tagli alle assunzioni previste per il 2011, la riduzione del numero di giornate lavorative, l'abolizione del rimborso chilometrico per le trasferte, la mancata stabilizzazione e la mancata applicazione del contratto nazionale. "Speriamo in un incontro con i capogruppo - spiegano Cgil, Cisl, Uil e Savt - che saranno riuniti in Consiglio regionale, per far sentire la nostra voce: i lavoratori coinvolti sono quasi mille, come la Cogne, ma non hanno mai avuto una propria voce".

Oggi in serata i sindacati hanno firmato, davanti al presidente della Regione Augusto Rollandin, all'assessore all'Agricoltura Giuseppe Isabellon e all'assessore alle Opere pubbliche Marco Viérin l'accordo per le assunzioni nella "Società dei Servizi Valle d'Aosta", la cosiddetta "Salvaprecari", ma manifesteranno per chiedere l'assunzione in organico nella nuova società di tutti i 730 lavoratori assunti nel 2010 (è prevista una riduzione di 70 posti), l'abolizione del taglio alle giornate lavorative (saranno 16 le giornate di lavoro in meno per gli operai), l'introduzione del rimborso chilometrico, oggi sospeso, e la stabilizzazione di 40 impiegati, oggi assunti all'assessorato all'Agricoltura e risorse naturali.

"La Regione ha fatto dei passi avanti sui criteri per le graduatorie - ha detto Guido Zanardi della Cgil durante l'assemblea degli impiegati, oggi pomeriggio nel salone del Ccs Cogne di Aosta - ma non ha dato alcuna garanzia sulla riduzione del personale". Il contratto degli impiegati, in particolare, scade a giugno, e i 90 lavoratori a tempo determinato, oggi assunti all'assessorato all'Agricoltura, non hanno ancora certezze sul possibile rinnovo presso la "Salvaprecari": "Non sappiamo darvi risposte precise - ha spiegato Dimitri Démé del Savt - perché su molti dettagli non sono state date risposte. Dalla Regione vogliamo certezze".
di Alessandro Mano 05/04/2011

Trento. Comuni, impiegati «factotum»
06/04/2011 09:07
TRENTO - Bassa specializzazione e alta dispersione del personale: è questa la fotografia poco incoraggiante dei dipendenti dei comuni trentini, che emerge dall'indagine realizzata dalla Provincia insieme al Consiglio delle autonomie con il progetto «Fare comunità» propedeutica alla attuazione della riforma che ha istituito le Comunità di valle. Insomma, nei comuni trentini il personale amministrativo è molto spesso chiamato ad occuparsi un po' di tutto e questo va a discapito della capacità di erogare un servizio più efficace, competente e in minor tempo a favore del cittadino e delle imprese. La situazione, naturalmente, non è uguale in tutti i comuni.

Molto dipende dalle dimensioni, i comuni più grandi in genere hanno personale più specializzato, ma anche dal settore. Ad esempio, la Comunità General de Fascia, della val di Fassa, presenta la specializzazione media più alta (non inteso in termini di competenza specifica del personale ma come tempo dedicato al servizio in relazione al monte ore teorico da contratto) sul servizio urbanistica ed edilizia privata arrivando al 68% , andando da un minimo del 50% a un massimo del 100%. Viceversa la val di Non presenta un livello medio di specializzazione in questo stesso servizio che è solo del 27% , con comuni persino sotto il 10%. La media tra tutte le Comunità considerate nell'analisi (12 su 16) è del 46% . Il progetto, basandosi sui dati forniti dai comuni, ha esaminato le situazioni delle comunità di Altipiani cimbri, Paganella, Generla de Fascia, valle dei Laghi, valle di Sole, valle di Fiemme, Valsugana e Tesino, Rotaliana-Königsberg, val di Non, Alto Garda e Ledro, Alta Valsubana e Bersntol, Vallagarina .

Non sono stati considerati Trento con Aldeno Cimone e Garniga, val di Cembra, Primiero e Giudicarie. Il personale che si occupa di urbanistica ed edilizia privata nei comuni considerati dedica dunque buona parte del suo tempo anche ad altro, in genere sempre nell'ambito tecnico (lavori pubblici, settore tecnico e manutenzione), ma la ricerca ha rivelato che ci sono comuni in cui vengono impiegati anche su altri servizi di tutt'altro genere (come commercio, personale, anagrafe). Proprio il commercio è il servizio cenerentola dei comuni trentini. La specializzazione media in questo campo è solo del 20% . Ma anche qui la situazione è diversificata. Ad esempio, in val di Sole la media è del 17% ma con comuni come Mezzana che superano il 50% . Poi ci sono comuni di maggiori dimensioni come Cles e Predazzo che raggiungono il livello massimo di specializzazione pari al 100% nel servizio commercio.

Belluno: l'artigianato vede nero, 140 lavoratori in cassa in deroga fino a dicembre. De Pellegrin (Cgil) lancia l'allarme: «38 imprese in due settimane in crisi, molte tradite dal fotovoltaico»
BELLUNO. È allarme per le piccole imprese artigianali. Nel giro di due settimane, infatti, sono giunte al tavolo dei sindacati le richieste da parte di 38 aziende di cassa integrazione in deroga per 140 lavoratori dal primo aprile fino al 31 dicembre prossimo. Una cifra che indica che il settore continua ad essere in sofferenza e che la crisi non è passata per le piccole imprese che, anzi, si vedono penalizzate ancora di più se si considera che il governo ha deciso di revocare i finanziamenti per il fotovoltaico. A lanciare l'allarme è il referente del dipartimento dell'artigianato della Cgil, Christian De Pellegrin. «Siamo di fronte ad un aumento importante di richieste di cassa in deroga per le piccole imprese (massimo di 15 lavoratori) che operano nei settori dell'occhialeria, del tessile, del metalmeccanico, dello stampaggio plastica o dell'elettrico. Nel giro di due settimane, infatti, ci siamo trovati con ben 38 domande da parte di altrettante aziende sparse per tutta la provincia, e di queste molte venivano già da un trimestre di sospensione Ebav, cioè l'ente bilaterale». «Ora, questi 140 lavoratori si troveranno per nove mesi a casa mentre l'indennità potrà arrivare soltanto fra 6-7 mesi, perchè per questo ambito non è previsto l'anticipo della cassa. Per evitare che le famiglie restino scoperte per tanti mesi, stiamo cercando di contattare questi dipendenti per informarli sulla possibilità di accedere a quel protocollo d'intesa siglato tra sindacati, Provincia e banche per poter avere ugualmente l'anticipo della cassa in deroga. Ma raggiungere tutti e 140 è un'impresa molto difficile», precisa De Pellegrin. Il sindacalista si sofferma poi su una questione particolare, quella cioè del fotovoltaico. «Sappiamo che molte di queste imprese e altre del nostro territorio soltanto qualche settimana fa alla fiera di Longarone Costruire erano riuscite a raccogliere diversi ordini nel fotovoltaico, in alcuni casi anche per due anni di fila, e che dalla sera alla mattina si sono visti vanificare possibilità importanti di lavoro e quindi di sopravvivenza grazie al decreto con cui sono stati tolti i finanziamenti a questa forma alternativa di energia». E questo non può che aggravare ancora di più la situazione finanziaria già pesante di queste imprese, le quali, «contro la loro volontà si vedono togliere delle commesse importanti e così numerose che potevano completare quel numero concesso dal ministero di interventi fotovoltaici molto prima della data del 2020 come previsto dal primo decreto. Ma così facendo, il ministero ha bloccato il settore mettendo in crisi tante altre aziende», continua De Pellegrin. Il sindacalista snocciola poi i dati riferiti alla cassa integrazione in deroga riferita al 2010 che era pari a 691mila ore autorizzate, contro le 608mila del 2009. «non dimentichiamo che nel 2010 hanno chiuso nella nostra provincia ben 200 imprese, di cui molte sono anche artigiane. La situazione econimica è quindi ancora buia e di queste 38 che ad oggi sono ricorse alla cassa in deroga, fra 8 mesi vedremo se saranno in grado di continuare a stare sul mercato. Il nostro auspicio è la ripresa ci sia e riguardi tutti i settori».

Belluno. Sanità, dura protesta dei sindaci agordini
«Si depotenzia l'ospedale senza dirci niente» e chiedono spiegazioni al dg. BELLUNO. I sindaci dell'Agordino si oppongono per protesta all'approvazione del bilancio sociale 2011 dell'Usl n. 1 ma chiedono rassicurazioni sul futuro della sanità nella loro vallata. C'è mancato poco che il bilancio che ieri la Conferenza dei sindaci doveva votare registrasse un voto contrario, ma poi il buon senso ha prevalso e alla fine la votazione è stata rinviata ai primi di maggio. Tutto nasce dalla decisione dell'Usl di garantire soltanto una delle due pronte disponibilità in chirurgia, visto che un medico se ne andrà, impedendo, di fatto, però l'attività della sala operatoria di notte, nei festivi e prefestivi anche per i casi urgenti che saranno dirottati così al San Martino di Belluno. Della cosa i sindaci agordini non ne sapevano nulla fino a quando non l'hanno letto nella stampa, «alla faccia del confronto promesso dall'azienda», hanno ribadito dapprima Stefano Murer di Falcade e Sisto Da Roit di Agordo a cui hanno fatto eco tutti gli altri primi cittadini presenti tra cui quello di Cencenighe, San Tomaso, Taibon, Voltago e Canale d'Agordo che si sono detti pronti a votare contro il bilancio sociale per protesta. Gli amministratori sono molto preoccupati. «Prima ci hanno lasciato un cardiologo, ci hanno messo la telerefertazione radiologica, e adesso ci hanno tolto una reperibilità chirurgica», ha fatto il punto Da Roit che si è detto molto contrariato sull'atteggiamento dell'azienda e la «sua poca correttezza per avere preso una decisione non concordata o almeno comunicata al territorio. Adesso basta». Il timore per tutti è che con manovre siano l'inizio del depotenziamento dell'ospedale agordino, fino alla sua trasformazione in una struttura non per acuti. «Ma che garanzie diamo ai nostri cittadini e ai turisti sulla sicurezza sanitaria se non siamo in grado di garantire le urgenze?», si è chiesto Murer che ha portato l'esempio di una turista importante che è stata salvata «solo perchè c'era la chirurgia aperta perchè altrimenti non sarebbe stata in grado di giungere in ambulanza a
Belluno per essere operata». Sulla presa di posizione dei colleghi agordini, il sindaco di Cortina Andrea
Franceschi ha sollevato una questione di necessità, «a questo punto di votare il bilancio in quanto votare a favore sarebbe come dire che siamo contro i sindaci agordini. Ma il bilancio riguarda l'intera Usl». A sostenere questa posizione anche il sindaco di Calalzo, Luca De Carlo. «Votare contro significa bloccare tutti i progetti avviati», ha preso la parola, Angelo Tanzarella, direttore servizi sociali, suggerendo piuttosto di rinviare la votazione. A questo punto il presidente della Conferenze, Angelo Paganin, ha preferito sospendere la discussione del bilancio per attendere l'arrivo del dg Compostella e avere così le spiegazioni a quanto avvenuto. Compostella, arrivato, ha precisato come il provvedimento ad Agordo sia temporaneo (il medico che va via dalla chirurgia dovrebbe essere assunto al pronto soccorso) «in attesa del piano di riorganizzazione complessiva dell'attività ospedaliera che l'azienda sta preparando e che vi sarà presentato», ha spiegato aggiungendo che «nel 2010 sono stati eseguiti solo 13 interventi di urgenza notturna o festiva e per lo più erano appendicectomie». A questo punto, i sindaci hanno deciso, per un atto di responsabilità di rinviare la votazione del bilancio in attesa di un confronto a breve con l'Usl.

Udin. I sindaci della Carnia sono divisi sull'elettrodotto
di Gino Grillo
Posizioni diversificate sulle ipotesi aerea e interrata della Wurmlach-Somplago. Si temono gravi ripercussioni sull'ambiente e restano dubbi sull'utilità della linea
CERCIVENTO. Il sindaco di Cercivento Dario De Alti, uno fra i più contrari all'elettrodotto Wurmlach-Somplago, non ha dubbi: l'elettrodotto, per non determinare impatti ambientali sul territorio montano, deve essere solamente interrato.

La decisione della Regione di accogliere in parte le scelte delle popolazioni della valle del Bût che si sono schierate contro il passaggio aereo dei cavi dell'alta tensione, licenziando in giunta un provvedimento che salvaguardia, con una soluzione che vede interrare i cavi per 12.8 chilometri nella zona a confine con l'Austria verso Malga Pramosio, è vista come un segno distensivo, di buona volontà e potrebbe far ritornare al tavolo delle trattative i primi cittadini di Cercivento e di Paluzza «con pari dignità fra Regione e amministrazioni comunali», ha affermato il sindaco Elia Vezzi, che a suo tempo aveva dichiarato di non voler più sedersi al tavolo delle trattative in quanto il "no" del suo Comune era definitivo.

Rimangono dubbi sull'effettiva necessità di un elettrodotto. «Manca un piano energetico complessivo regionale», afferma Vezzi, e sulle ricadute che questo avrà sull'occupazione e sul minor costo energetico per le industrie del posto che, stanti le sentenze della Comunità europea in fatto di energia, non andrebbe a determinare oneri più bassi per la cordata Fantoni-Pittini-Burgo. Meglio, comunque, una linea interamente interrata, «ma se i Comuni di Cavazzo Carnico e Tolmezzo proseguono nelle loro intenzioni a favore della soluzione aerea, lo facciano pure: saranno loro a dover rispondere successivamente ai loro cittadini».

Dario Iuri, primo cittadino di Cavazzo Carnico, ribadisce: «Ufficialmente non ne sappiamo nulla, ma la scelta operata dalla Regione, per quanto appreso dalla stampa, mi pare strana». Iuri conferma le scelte effettuate a suo tempo con il collega tolmezzino Dario Zearo, favorevoli anche al passaggio aereo delle linee elettriche, «ma - afferma - non si accettano elemosine, occorre rivedere le compensazioni». Zearo, infine, si barrica dietro un "no comment": «Non ho nulla da riferire in merito».

Ribadisce il suo no il sindaco di Zuglio, Elio Moser: «Siamo contrari sia all'elettrodotto aereo che a quello interrato, del quale non si conosce ancora la portata delle propagazioni dei campi magnetici». Una valle troppo stretta, quella del Comune a ridosso di Tolmezzo, già oberata da molte servitù. «Qualora dovessero però passare con l'elettrodotto, protesteremo, ma senza scendere in piazza».

Franceschino Barazzutti di Movimento Mont attacca il presidente della Regione Renzo Tondo. «All'ex carnico Tondo - afferma Barazzutti, sottolineandone la grande distanza dai suoi cittadini - non è bastata una manifestazione imponente a Paluzza, con oltre 2 mila persone scese in piazza per dire "o elettrodotto interrato o niente". Non gli sono bastate neppure le 4 mila persone a Tolmezzo. Da quanto Tondo è presidente della Regione non ne ha fatta una giusta. Il sospetto è che siccome è stato votato poco in Carnia, faccia qualche ripicca.

Padova. Ogni padovano tassato dal Comune per 800 euro: ecco i conti di Palazzo Moroni
Imposte e tariffe nel rendiconto della gestione 2010 approvato dalla giunta. Considerando solo la pressione tributaria, la quota è di 571 euro. Lo Stato ha restituito 277 euro, la Regione 104. I costi per servizi, personale e parco veicoli. di Claudio Baccarin
PADOVA. Nel 2010 ogni padovano, compresi i neonati e i centenari, ha versato al Comune, per imposte e tariffe, quasi 800 euro; per la precisione la pressione fiscale è risultata di 796,33. Se consideriamo invece solo la pressione tributaria, la quota pro capite, per i 214.198 residenti a fine 2010, era pari a 571,65. In cambio lo Stato ha restituito 277,86 euro per cittadino, mentre la Regione ha trasferito a Palazzo Moroni 104,39 euro per ciascun padovano.

Questi numeri emergono dalla relazione al rendiconto della gestione 2010 che la giunta comunale ha approvato nei giorni scorsi. Il conto consuntivo evidenzia un avanzo di amministrazione pari a 3.030.027 (due terzi però, ovvero 2.064.034, sono a titolo di fondo vincolato).

Le entrate. Palazzo Moroni ha incassato 50 milioni dall'Ici (con un recupero dell'evasione che sfiora i 2 milioni); 20,5 milioni dall'addizionale Irpef; poco meno di 4 milioni dall'imposta sulla pubblicità. Le entrate tributarie hanno fruttato 48.125.696 euro (di cui 27,5 milioni dai servizi pubblici; 1,6 milioni dagli utili delle aziende). Le contravvenzioni hanno assicurato al Comune 8 milioni 694 mila euro.

I servizi. Per gli asili nido è stata realizzata, attraverso le rette, una copertura dei costi pari al 29% (contro il 26%). Per gli impianti sportivi si è realizzata una percentuale di copertura del 22% (rispetto al 24% preventivato). Le mense si sono fermate al 50% (era previsto il 55%); musei, pinacoteche e mostre al 37% (era atteso il 51%).

Autonomia. Il grado di autonomia finanziaria (la capacità dell'ente di reperire le risorse necessarie a farlo funzionare) è pari al 66,50%. L'incidenza delle entrate tributarie (122.445.894) sulle entrate proprie (170.571.591) è del 71,79%; quella delle entrate extratributarie (48.125.696) sulle entrate tributarie (170.571.591) è del 28,21%.

Il personale del Comune. Al 31 dicembre erano in servizio 2.078 comunali, di cui 1.900 a tempo indeterminato e 178 a tempo determinato. I dirigenti ammontavano a 47; 18 quelli a tempo determinato. Il settore con il maggior numero di dipendenti è quello dei Servizi scolastici (327 a tempo indeterminato; 205 a tempo determinato). In forza alla Polizia municipale 291 agenti; 120 (di cui 9 a tempo determinato) ai Servizi Demografici e Cimiteriali; 105 (di cui 4 a tempo determinato) al settore Musei e biblioteche. La spesa per il personale (76.619.081 euro) incide, sulla spesa corrente (245.557.431), per il 31,20%. Il costo del personale è di 357,70 euro pro capite.

I beni di consumo. Il referto della gestione è come sempre una miniera di dati e informazioni. Per il conto dedicato all'acquisto di beni di consumo, affidato per il 60% al Provveditorato, sono stati stanziati 2.232.886 euro. La fetta più cospicua (20,64%) è andata alle manutenzioni ordinarie; seguono con percentuali equivalenti il capitolo «abbonamenti, libri, riviste, giornali, cd» (11,90%); la massa vestiario (11,40%); carburanti e lubrificanti (11,06%). Per il materiale informatico si è speso il 9,76%.

I veicoli comunali. Ammontano a 428 i mezzi gestiti da Palazzo Moroni nel 2010. Più della metà (cioè 233, il 53,32%) sono autovetture. Nell'elenco troviamo ancora 79 autocarri leggeri, 10 pesanti, 2 motocarri, 45 motocicli, 11 ciclomotori e 49 veicoli speciali. Sono stati rottamati 9 mezzi; 56 sono stati venduti; 21 acquisiti (di cui 3 usati e 3 a noleggio). Sono 16 le nuove immatricolazioni.

Parma. Senza fondi pubblici è in pericolo la selezione genetica
di Nicoletta Fogolla
La selezione e il miglioramento genetico bovino potrebbero essere a rischio. Il mancato finanziamento dell’attività dell’Apa (Associazione provinciale allevatori) di Parma da parte del Governo, rischia di smantellare un intero sistema di controlli, in grado di tutelare anche il consumatore finale. Il discorso riguarda tutte le Apa dell’Emilia Romagna e, più in generale, del territorio nazionale che, a tutt'oggi, non hanno ricevuto i contributi governativi.
All’Associazione provincia allevatori di Parma si respira un’aria di grande preoccupazione, a seguito di risposte che non arrivano. Un altro problema è rappresentato dal fatto che ci si trova di fronte a un vero e proprio rimpallo di responsabilità tra il Governo, che dice d’aver già stanziato i soldi destinati alle Apa emiliano-romagnole e la Regione Emilia-Romagna che sostiene di non averli ricevuti. In più, gli incontri richiesti e previsti, coi ministri interessati, continuano a slittare da una settimana all’altra.
«Visto lo scenario - dice al riguardo Fabio Boldini, presidente dell’Apa di Parma - non siamo in grado di fare nessun tipo di progetto, a differenza del passato in cui il contributo era finalizzato e la sua entità si conosceva fin dai primi mesi dell’anno. Bisogna tener presente che c'è tutta una serie di garanzie legate alle analisi e ai controlli funzionali, non si parla solo di miglioramento genetico. Al momento la situazione si sta gestendo, più che altro, a livello regionale».
Boldini aggiunge: «A livello provinciale, possiamo contare sull'interessamento del vicepresidente e assessore all’agricoltura della Provincia di Parma Pierluigi Ferrari che ha chiesto il coinvolgimento delle organizzazioni professionali agricole, oltre che un incontro regionale a Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni».
Peraltro, nei prossimi giorni l’Apa informerà i propri soci di quanto sta accadendo e delle possibili relative conseguenze. In realtà, un taglio del 10% per tre anni, al finanziamento dell’attività delle Apa era già stato concordato tra i ministri Luca Zaia e Giulio Tremonti. Di conseguenza, le Associazioni allevatori hanno già subito una riduzione dei contributi.  
«Il ministro dell’agricoltura - prosegue Boldini - dice che i soldi destinati all’Apa sono stati messi nel capitolato della Regione. Per contro, la Regione Emilia Romagna sostiene di non averli ricevuti».
Anche gli assessori regionali all’agricoltura sembrano essere sul piede di guerra per i tagli alle Apa. Di recente, hanno lanciato un ultimatum al Governo: se entro poco tempo non arriveranno delle risposte precise in materia, gli assessori sono pronti a bloccare le decisioni su tutti i provvedimenti agricoli. Le proteste non riguardano solo l’emergenza Apa, ma pure altre attese non soddisfatte.

Parma. Pmi, l'estero è la via obbligata
di Antonella Del Gesso
Internazionalizzare oggi non è più semplicemente un’opportunità per le piccole e medie imprese italiane, ma una necessità. Perché il nostro mercato interno, oltre ad essere saturo, è anche conteso da concorrenti esteri, perché se non saremo noi ad approdare su nuove piazze saranno i nostri competitors a farlo, perché in un mondo globalizzato non ci si può permettere un arroccamento su se stessi. Come fare? Creando reti d’impresa per essere più competitivi, cercando di «sfruttare» la scia dei brand più noti, pensando a un’idea di distribuzione all’altezza della qualità della produzione.

Il convegno - Sono solo alcuni degli spunti e delle riflessioni emerse durante il convegno «Si fa presto a dire internazionalizzazione! Quali prospettive per l’artigianato e le pmi?», organizzato ieri a Palazzo Soragna dal Gruppo imprese artigiane di Parma.
«Vi sono concorrenti fino a qualche anno fa impensabili e bisogna esserne consapevoli, guardando la realtà per com'è. Esportare non è semplice né scontato ma in molti casi è l’unica strada», sottolinea in apertura il presidente dell’associazione Gian Paolo Lombardo.

La tecnologia - Concorda con quanto detto il direttore dell’Unione Parmense Industriali  Cesare Azzali, in qualità di presidente di Parma in Europa, che invita a riflettere su come la tecnologia in pochissimi anni abbia cambiato le due dimensioni tipiche dell’esperienza umana: quelle dello spazio e del tempo. E con queste il concetto stesso del commercio che ha come destinatario un unico grande villaggio globale, dove l’Europa, non l’Italia, rappresenta il nostro mercato interno. Ripiegare su se stessi comporta il rischio di essere «espugnati» in casa propria per mano di chi, sordo alle tematiche del rispetto ambientale, della manodopera sottopagata, dell’innovazione brutale a qualsiasi prezzo, riesce ad essere più concorrenziale.  Allora - continua Azzali, citando il Principe di Salina di Giuseppe Tomasi di Lampedusa - «bisogna che tutto cambi, perché tutto resti com'è».
Come fare? «Le piccole e medie imprese  hanno bisogno di un sistema che le sciolga dai lacci e lacciuoli burocratici cui sono imprigionati, di avere informazioni strutturate e fornite in maniera credibile dai ricercatori, di fare rete con altre aziende per affrontare i mercati, e chiaramente di disponibilità finanziaria». Perché siamo ancora un grande paese e possiamo riemergere ancora oggi appellandoci alla buona volontà, all’ingegno e alla caparbietà che contraddistingue gli italiani, se abbiamo creato negli anni Cinquanta il benessere dal nulla.

Gli scaffali giusti - Altre indicazioni sul perché e come internazionalizzare le suggerisce poi anche l’editorialista del Corriere della Sera Dario di Vico. C'è ancora spazio di crescita nell’export? «Sì, basti pensare al settore dell’alimentare richiestissimo all’estero. Ma per vendere non basta fare i prodotti migliori: questi vanno "piazzati" sugli scaffali giusti». Occorre creare catene di distribuzione eccellenti (vedi Ikea), magari anche «rispolverando» l’idea di fondo de La Rinascente, nave - scuola di tutti i nostri grandi stilisti. Costruire cioè un meccanismo per cui produzione e grande distribuzione organizzata  collaborino per dare vita a una «potente portaerei dello stile italiano». Inoltre sarebbe importante creare sinergie con i brand italiani più famosi.

Parma. Presi i maghi dell'evasione fiscale, quattro arresti
C'è anche un novellarese nell'operazione condotta dalla Finanza di Parma che ha portato all'arresto di quattro persone tutte accusate di associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale. PARMA. Associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale. E' questa l'accusa che la guardia di finanza ha mosso nei confronti di quattro persone, colpevoli di avere creato otto società fantasma con l'unico obiettivo di produrre false fatture. In carcere un 35enne novellarese, due commercianti di Parma e un'altra persona residente a Piacenza. Un'indagine complessa, ma che ha permesso alle Fiamme gialle di incastrare anche un gruppo di aziende - reali - che si servivano della consulenza dei quattro per aumentare in modo fittizio i costi, riuscendo così a nascondere al Fisco il proprio imponibile. L'inchiesta, partita dai militari di Parma, è però legata a doppio filo con il lavoro investigativo dei finanzieri reggiani che dall'inizio dell'anno hanno scoperto, operanti nel nostro territorio, almeno trenta aziende specializzate nell'emissione di fatture false. E' la prima volta che la guardia di finanza riesce ad ottenere da un giudice un provvedimento di custodia cautelare in carcere per un reato come quello dell'emissione delle fatture false. Un risultato che potrebbe dare il via ad un nuovo corso per indagini delicate come queste. Sempre più frequenti nel nostro territorio. I quattro avevano studiato un modo molto redditizio per fare soldi. Prima avevano creato otto società fantasma con cui emettevano fatture false, poi incassavano dalle aziende destinatarie di quella documentazione, il 25% del totale del valore fatturato. Un'operazione studiata per consentire agli imprenditori benificiari l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto con la successiva creazione di fondi neri societari. Un giro d'affari di nove milioni di euro scoperto dalla guardia di finanza di Parma e che ha portato all'arresto di quattro persone. I parmigiani Roberto Villani, 43 anni, e Andrea Avanzi, 49, il piacentino Romano Marina, 50 anni, e il novellarese Andrea Tamelli di 35 anni e titolare di un negozio a Sorbolo, nel Parmense. I quattro sono accusati di associazione a delinquere finalizzato alla frode fiscale. Secondo quanto emerso dalle indagini condotte dalle fiamme gialle, e coordinate dal sostituto procuratore Paola Dal Monte, i quattro fingevano di vendere parti meccaniche, in genere delle travi metalliche, emettendo documenti falsi che poi servivano ad altre aziende metalmeccaniche - parmigiane, piacentine e reggiane - per evadere il Fisco. Gli inquirenti sospettano che i fondi neri potessero servire anche a pagare tangenti o le prestazioni di lavoratori impiegati in nero. Un ruolo decisivo nelle indagini è stato giocato dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, durate in tutto un anno. Indagini concentrate, in particolare, su Roberto Villani, conosciuto in Emilia nell'ambiente motociclistico, volto già noto alle fiamme gialle perchè indagato per un altro giro di fatture false per 22 milioni di euro.

«MODA» CONSOLIDATA. Ma quello dell'emissione delle fatture false è un fenomeno che a Reggio è ormai dilagante. I finanzieri della caserma di via Mazzini dall'inizio dell'anno hanno già scoperto almeno 30 aziende «specializzate» nell'emissione di falsi documenti. L'obiettivo, soprattutto per gli imprenditori a corto di cassa, è quello di recuperare liquidità ed evadere il Fisco. Perché l'emissione di false fatture, permette agli imprenditori di mettere a bilancio costi più alti che, automaticamente, abbattono gli utili e di conseguenza il reddito imponibile. Un fenomeno in continua crescita che nel nostro territorio, comincia a invadere tutti i settori dell'economia e non solo il tradizionale settore edilizio, storicamente specializzato in queste truffe.

IVA RECUPERATA. Ma grazie alle indagini della Finanzia, il Fisco ha anche potuto recuperare imposta sul valore aggiunto che gli imprenditori riescono a «nascondere» sempre grazie alla falsa fatturazione. E anche in questo caso, gli imprenditori che ricorrono alla truffa fiscale, sono in grado di fare cassa. E in momento di crisi economica, in tanti hanno preferito questo modo di avere denaro contante a disposizione, piuttosto che affidarsi alle banche. Ma spesso, tra queste operazioni finanziarie si nascondono anche accordi tra imprenditori dello stesso ramo che a volte finiscono anche nell'usura.

Imperia. Prezzi alle stelle, Riviera al top della classifica
06 aprile 2011 Giorgio Bracco
Indagine Codacons nei supermercati e ipermercati italiani
Imperia - Quello che è sempre sembrato il più classico dei luoghi comuni - “la Riviera ha i prezzi più alti d’Italia” - ora diventa realtà ufficiale. E’ proprio così: fare la spesa, in provincia di Imperia, costa salato. Molto salato. Le famiglie ponentine spendono, rispetto a quelle più fortunate (senesi in testa), quasi 10 euro in più ogni settimana. A scoprirlo è stata la Codacons, associazione di consumatori, che ha appena condotto a livello nazionale un’ampia e articolata indagine insieme al sito www.spesafacile.com , specializzato nella raccolta e monitoraggio delle offerte promozionali in supermercati e ipermercati. Le famiglie imperiesi, secondo il Codacons, spendono mediamente - per la spesa settimanale tipo - poco meno di 60 euro. A livello di prezzi - la media nazionale è di 55 euro - siamo i peggiori in Liguria (90 su 110 province) in Italia.

La ricerca è stata realizzata prendendo in esame le offerte promozionali della grande distribuzione, analizzando la quasi totalità dei punti vendita presenti in Liguria. Il paniere Codacons era composto da 28 beni, che rappresentano appunto la spesa settimanale tipo di una famiglia media. Latte, uova, pane, pasta, carne bovina ma anche beni legati alla persona come sapone, detersivo e dentifricio. Dallo studio emerge come la città della Liguria più economica sia La Spezia, mentre quella dove i prezzi risultano più salati è Imperia.

«Le divergenze esistenti tra le varie città della regione sotto il profilo dei prezzi al consumo, incidono pesantemente sui bilanci delle famiglie e sul loro potere d’acquisto - fanno sapere da Codacons e www.spesafacile.com - in quanto differenze di pochi euro sulla spesa settimanale equivalgono a differenze di centinaia di euro a fine anno».

Il paniere
Dalla frutta alla verdura, passando per la carne e i prodotti per l’uso personale. Tutto, o quasi, in provincia di Imperia si paga di più. Secondo la ricerca Codacons, i beni più cari - se riferiti alla media nazionale - sono in provincia di Imperia: acqua naturale, bagnoschiuma, carne, burro, caffè, dentifricio, tonno, latte, mele, parmigiano, patate, polpa di pomodoro, prosciutto cotto, riso, uova e zucchine. Sono pochi, pochissimi, invece, i generi che fanno risparmiare le famiglie imperiesi: farina, carta igienica, detersivo per lavatrice, olio extravergine d’oliva, pane. Non molto tempo fa, quando ancora non esisteva l’euro e la lira “combatteva” con il franco francese, erano moltissime le famiglie imperiesi che si recavano spesso in Costa Azzurra per “saccheggiare” di generi alimentari i vari centri commerciali Auchan e Carrefour. Obiettivo: risparmiare. Poi, con l’avvento dell’euro come moneta unica europea, la moda è un po’ passata. Ora, conti alla mano, chissà che non ritorni in auge.

La difesa d’ufficio, per così dire, della grande distribuzione imperiese, viene presa da Giorgio Rocca, responsabile dell’area Conad Liguria Basso Piemonte. «Non ho analizzato la ricerca Codacons, ma non sono convinto che la realtà sia questa - spiega - intanto perché, spesso e volentieri, quando si fanno i rilevamenti dei prezzi non si prendono in considerazione i prodotti in offerta. E poi, parlando di Conad, posso assicurare che le differenze di prezzo tra piazze diverse e distanti tra loro, come Modena e Imperia, ad esempio, sono impercettibili, se ci sono».

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Trento. Partito fascista de Eccher nella bufera. 06/04/2011 09:23. TRENTO - È diventato un caso nazionale il disegno di legge costituzionale del senatore trentino Cristano de Eccher (Pdl) con cui si intende abolire la XII norma transitoria e finale della Costituzione che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». L'iniziativa dell'ex consigliere provinciale di Alleanza nazionale, che aveva trovato l'appoggio dei colleghi del Pdl Fabrizio Di Stefano, Francesco Bevilacqua, Giorgio Bornacin e Achille Totaro e del senatore Fli Egidio Digilio, viene sconfessata dallo stesso presidente del Senato Renato Schifani : «Sono esterrefatto», dichiara, auspicando che i firmatari possano rivedere la loro iniziativa. La notizia del disegno di legge, depositato a Palazzo Madama lo scorso 29 marzo, ieri ha conquistato la home page dei siti dei più importanti quotidiani nazionale. Su Repubblica.it, ad esempio, era seconda solo all'approvazione del conflitto di attribuzione sul caso Rubygate da parte della Camera. Durissime le reazioni politiche. «Non mi stupisco affatto. Mi indigno semmai, ma non rimango meravigliato. È quello che è sempre stato e non cambia certo perché ora è un senatore», commenta Gerardo D'Ambrosio , senatore del Pd, già procuratore capo a Milano. Il magistrato, che ha indagato sulla destra eversiva a partire dalla strage di Piazza Fontana, non saluta mai de Eccher: «Noi due quando ci incontriamo in Senato ci ignoriamo; facciamo finta di non conoscerci. Lui era un esponente della destra estrema fino alla sua elezione; non penso che sia cambiato. Come senatore del Pdl ha il diritto di proporre tutto quello che vuole, ma certo quello è e uno come De Eccher non cambia». «Trovo molto grave e offensivo per la storia del Paese e della Repubblica e per la nostra democrazia che il Pdl voglia abolire il reato di apologia del fascismo», afferma Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato. «Sarebbe - aggiunge - l'ennesimo piccolo gesto mirato, sistematico ma molto significativo, che il Pdl sta usando per distruggere i pilastri della nostra Costituzione». «Fascisti, avete gettato la maschera - scrive in una nota il portavoce dell'Italia dei valori, Leoluca Orlando -! Il Pdl sarà costretto a ritirare questa indegna proposta di legge, ma avrà mandato un segnale inquietante ed eversivo agli squadristi che lo sostengono. Ormai è allarme rosso per la democrazia»

Padova. Eserciti regionali, il Pdl alla Lega: "Non sono necessari"
Presa di posizione di Bond e Cortellazzo, capogruppo e vicecapogruppo in Consiglio regionale del Veneto. "Non ci pare che il precedente delle ronde abbia avuto grande successo". E ancora: "In questa proposta una sovrapposizione inutile e confusa non solo con i militari e le forze dell'ordine, ma anche con gli uomini della protezione civile''. VENEZIA. All'indomani della presentazione da parte della Lega Nord di un disegno di legge che vorrebbe istituire degli eserciti regionali, il capogruppo del Popolo della libertà in Consiglio regionale, Dario Bond, e il vicecapogruppo Piergiorgio Cortelazzo parlano di un intervento ''non necessario''. ''Non ci pare - è detto in una nota - che il precedente delle ronde abbia avuto grande successo. Piuttosto impegniamoci a trovare fondi e risorse per gli operatori della sicurezza che ci sono già e che fanno egregiamente il loro lavoro con spirito di abnegazione e sacrificio, a volte senza la benzina per i mezzi''.

''Non vogliamo mettere in dubbio il folklore della proposta, ci lascia però perplessi - rilevano i due consiglieri del Pdl - il fatto che, in un momento in cui le nostre Forze dell'ordine "ordinarie" fanno fatica ad andare avanti, si vogliano creare dei doppioni, peraltro senza opportune garanzie. Gestire mille uomini per Regione ha un costo, che adesso non possiamo permetterci''.

''Ricordo al mio conterraneo Franco Gidoni, primo firmatario della legge, - ribadisce Bond - che la sicurezza è un servizio indivisibile. I nostri cittadini forse hanno poca fiducia nella politica e questa è colpa nostra, ma non negli operatori della sicurezza e non è un caso se le ronde padane, nonostante un gran parlare, non sono mai decollate''.

''Nell'anno in cui festeggiamo i 150 anni dell'Unità d'Italia questa proposta ci sembra incredibile - precisa Cortelazzo - e Costituzione alla mano, ricordo che l'articolo 117 secondo comma affida allo Stato competenza esclusiva in materia di difesa, forze armate, sicurezza dello Stato, armi, munizioni ed esplosivi. Stesso copione per la sicurezza e l'ordine pubblico, ad eccezione della polizia amministrativa locale. La sicurezza - conclude - resta un settore da gestire a livello unitario, non penso si possa sostenere il contrario. In questa proposta, vedo una sovrapposizione inutile e confusa non solo con i militari e le forze dell'ordine, ma anche con gli uomini della protezione civile''.

Firenze. E’ polemica sulla festa tricolore: "Dove sono finite le celebrazioni?"
Il "richiamo" di Napolitano a Renzi e le accuse del Pdl. Firenze, 6 aprile 2011 - SOFFIA forte il vento della polemica sulle celebrazioni fiorentine per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Lunedì mattina il sindaco Matteo Renzi è stato ricevuto al Quirinale dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ufficialmente un incontro cordiale fissato da tempo proprio per concordare il calendario fiorentino dei festeggiamenti. Il sospetto invece è che Giorgio Napolitano abbia ritenuto necessario richiamare all’ordine il giovane Renzi proprio per lo scarso numero di manifestazioni previste in riva d’Arno.
Eppure Firenze non è certo una città qualsiasi: è stata la seconda capitale del neonato regno dell’Italia unita, il trasloco della sede del Parlameno da Torino a Firenze, fu il più importante passo di mediazione politico per trasferire a Roma il cuore dello Stato che muoveva i suoi primi passi. La dimostrazione che finora Firenze non è certo stata in prima fila per numero e qualità di festeggiamenti arriva dal calendario ufficiale del '150° anniversario dell’unità d’Italia'. 36 pagine fitte di appuntamenti, mostre e convegni compresi. 185 gli appuntamenti in calendario. Di questi solo 13 sono quelli programmati a Firenze. A fronte degli oltre 50 previsti a Roma e dei 25 in agenda a Torino.
Senza addentrarsi nella ‘qualità’ degli eventi proposti. Nei prossimi giorni — il sindaco lo ha annunciato in fretta e furia — sarà presentato il programma completo dei festeggiamenti iniziato, a dire il vero, piuttosto male. Colpa del brutto tempo che ha sicuramente reso più difficili le manifestazioni previste. Colpa soprattutto del terremoto avvenuto in Giappone, della tournee del Maggio Musicale (promossa proprio per i 150 anni) bloccata a Tokyo, con una parte degli artisti che proprio nella notte dell’Unità d’Italia (il 17 marzo) erano in volo per l’Italia. Per la Notte tricolore Renzi ha deciso di non alzare la bandiera storica che Napolitano gli aveva consegnato a Reggio Emilia, sul cantiere dell’Auditorium del Maggio. L’opera più importante che l’Italia regalerà a Firenze per il suo 150° compleanno.
E che Firenze non ricordi come dovrebbe l’unità d’Italia lo sostiene anche l’onorevole Gabriele Toccafondi (Pdl): "Siamo ad aprile — sintetizza — ma non ci sono in programma reali manifestazioni degne di questo nome. Il mancato alza bandiera del 17 marzo sulle impalcature del nuovo teatro della musica, dobbiamo dirlo, non può essere campata dall’amministrazione comunale come scusante, dato che quella manifestazione non poteva essere degna della portata del 150 anniversario dell’unità nazionale. Firenze non è una città tra le tante. Firenze, come ricorda spesso il professor Cosimo Ceccuti, ha svolto come Capitale un ruolo fondamentale nel processo di formazione della coscienza nazionale. Se così è allora Firenze si svegli e sia all’altezza della sua storia".
Pa.Fi.

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Mobilitazioni devote a difesa di Berlusconi
06/04/2011
di FRANCO CRISPINI
E’ anche un altro dei sintomi che si offrono alla semiotica politica: per capire questo Paese che inconsapevolmente subisce tanti danni, e che sembra passarvi sopra con sorprendente leggerezza, bisogna oramai provarsi a raccogliere e leggere non uno solo dei tanti segnali, a volte equivoci, che giungono dalla diffusa acquiescenza o indifferenza della gente come anche dalla entusiastica adesione a tutto quello che le viene fatto credere. Ogni giorno vediamo e sentiamo sulle reti televisive, quasi tutte per la verità poco inclini a dare notizie non addomesticate, immagini, messaggi, incontri, raduni, con soggetti giubilanti e plaudenti, e diventa facile per il telespettatore medio formarsi la convinzione che il premier, il suo personale partito, il suo governo (perché è da qui che si orchestrano e mettono in scena grandi eventi comunicativi) suscitano forti entusiasmi in tutto un popolo pronto a difendere i valori e gli ideali politici che incarnano. In realtà, il dubbio che potrebbe aversi è duplice: se quello che si vede rispecchia un sentimento realmente presente in un grandissimo numero di cittadini; se è spontanea la spinta che porta gruppi di persone a fare propri i messaggi di un Capo, le parole d’ordine che questi ripete. Che lettura dare prima di tutto della risonanza che trovano le insistenti e variabili versioni che il Cavaliere dà delle sue gesta, e poi delle specifiche argomentazioni cui ricorre e del coro che tutto intorno ne amplifica le martellanti auto giustificazioni? Quella che è in questione è principalmente una condizione del nostro Paese che è tale da portare a decifrazioni bivalenti delle reazioni che si hanno verso uno spettacolo che ha aspetti anche tragicomici. E’ possibile che si è verificato un oscuramento del senso comune cui sfuggono persino le conseguenze di costumi e comportamenti che risultano socialmente ed eticamente erosivi delle ragioni della convivenza civile? Il Cavaliere è una presenza dominante sugli schermi televisivi: il suo viso sorridente o truce, le sue allocuzioni che hanno un bersaglio fisso, la giustizia, i magistrati, la sinistra, i comunisti, le sue battute e barzellette allusive e volgari, cercano un pubblico che deve continuamente metabolizzare l’idea di un capo sereno, sicuro, che nessuno riesce a togliere di mezzo. Come sembra da una asticella immobile dei sondaggi, la metabolizzazione riesce, una grande parte del Paese assorbe quel che il Cavaliere gli fa pensare. Fuori dai sondaggi che servono a misurare (e la cosa non è certo di poco conto) un virtuale consenso elettorale, rimane comunque il problema se veramente è assente dagli stati di animo della gente ogni bisogno di sottrarsi agli incantesimi ed alle magie che emanano dagli eventi liturgici cui Berlusconi sa dare vita, oppure se riportarsi a un livello ragionevole di valutazione di quanto fa e dice il Cavaliere è pure esso una esigenza compresente nell’animo stesso della gente. Appare impossibile che non sia dato di potere intravedere uno spiraglio di distacco indispettito di fronte a quanto sta avvenendo, dalle risse parlamentari che scaturiscono tutte dalla volontà di cercare coperture legislative al Sovrano ,al grande caos sul problema degli immigrati e sulla crisi libica, con una evidente responsabilità governativa, allo spettacolo di Lampedusa dove il premiere vende salvezza e acquista casa, che non si possa cogliere cioè un segno di insopportabilità da parte del tanto osannato popolo verso una situazione disastrosa, al punto da non risparmiare applausi ed osanna all'artefice di tutto. Quello che viene comunicato ripetutamente è che Berlusconi ha una ricetta per tutto e che toglierlo di mezzo come si vorrebbe fare per via giudiziaria, non essendocene nessuna altra, vorrebbe dire solamente sottrarre al Paese il suo benefattore e salvatore: accreditando questa immagine si è creato l’idolo al quale l’attaccamento è un atto devozionale. Quel che quindi si legge al fondo di tante manifestazioni protettive delle azioni del Leader è una ostilità verso chiunque e qualsivoglia cosa attentino alla esistenza del soggetto del culto, senza alcuna macchia. Si prenda la protesta organizzata (fomentata o altro?) presso il Palazzo di giustizia a Milano mentre si celebrava uno dei processi a Berlusconi (è probabile che per tutti gli altri che seguiranno sarà la stessa cosa), una manifestazione con una massiccia presenza femminile (è da notare che in tante altre occasioni di dibattiti o altro, sono donne con ruoli politici ad intervenire), alzava invocazioni e grida di amore per l’idolo infangato dalla giustizia dei magistrati: si dirà che in questo caso non vi era niente di spontaneo e che la passionaria che guidava la piccola folla era solo una indemoniata (così lo stesso Berlusconi ha definito la Santanchè), ma è anche vero che quello atteggiamento è dimostrativo di un aspetto che si vuole fare assumere alla politica cioè una sua “sacertà” che deve portare la gente a partecipare intensamente, a fare scudo a un soggetto santificato. Per fortuna, Berlusconi solo limitatamente è riuscito a fare interiorizzare questa auto santificazione della propria persona per cui c’è ancora qualche possibilità di avere segnali di un rapporto non guastato, non alterato, che la gente riuscirà ad avere con tutto quello (la politica, il governo) che è determinante per la vita associata.

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