giovedì 7 aprile 2011

L'emigrazione post-unitaria buco nero nella Storia italiana

di MARISA INGROSSO
Il secondo capitolo dell’Unità d’Italia si chiama emigrazione e, purtroppo, conta tantissime pagine in bianco. Addirittura, nel primo decennio post-1861, è impossibile conoscere esattamente il numero degli italiani che lasciò il Paese.


Grazie ad alcune sporadiche testimonianze sappiamo che alcuni fuggivano dalle rappresaglie del neonato governo unitario (per chi non lo sapesse, c’è stato un tempo in cui bastava essere imparentati a un presunto brigante per correre il rischio di finire al domicilio coatto in qualche isola, da Lampedusa e Ponza, da Pantelleria alle Tremiti).
In America si arrivava sì, ma in semi-clandestinità e viaggiando su navi merci che, nei documenti dell’epoca, venivano definite «carrette».

Soltanto con la normativa del 1901 divennero obbligatorie le «liste nominative di bordo» (con l’indica - zione di chi si imbarca e chi sbarca). Prima di allora, ci si arrabatta tra dati «indiretti» e difficili da reperire, come i nullaosta alla concessione del passaporto rilasciati dagli uffici comunali (tutto da dimostrare, poi, che quanti hanno ottenuto il passaporto, l’hanno effettivamente usato al fine di emigrare). La legislazione del 1901 introduce anche altre novità: obbliga il medico di bordo a tenere un «giornale sanitario» e a compilare una relazione sanitaria a conclusione del viaggio. È grazie a questi documenti eccezionali che, oltre alle «cifre», dalla pancia delle navi emergono i contorni della vita di chi prese parte a quell’epopea della speranza.

Rovistando nella documentazione degli Archivi dello Stato denominata «Ministero dell’interno, Direzione generale sanità pubblica, Atti amministrativi 1882-1915» (un patrimonio di dati che però non è consultabile on-line), si possono scovare testimonianze drammatiche e che danno da pensare. Vale una citazione la storia di «miss Carlo», ovvero Carlo Winsow- Hall che, con Giuseppina Boriani (signora che lui presentò come sua moglie), partì da Genova il 9 settembre 1901, diretto a New York. A bordo del «Città di Torino», Carlo si distinse per quanto fumava e beveva («nei primi 5 giorni 3 bottiglie di cognac», appuntò il medico).

La sua salute però peggiorò vistosamente e, prima che spirasse, la moglie chiamò il dottore. La visita rivelò che Carlo, in realtà, era una donna, vestita con abiti maschili. Una donna - alla lettera - «amante di vita libera e di caccia».

Al di là della «pruderia» che può ispirare, la storia di «miss Carlo» ben chiarisce come fosse semplice, anche nel 1901, lasciare sulla terra ferma la propria vera identità. Impossibile citare qui tutte le fonti nazionali ed estere relative all’emi - grazione (né qualcuno s’è mai preso la briga di finanziare la pubblicazione d’un elenco davvero completo).

Di certo è utile l’«Annuario statistico dell’emigrazione italiana» che, tra il 1870 e lo scoppio della prima guerra mondiale, indica in circa 13 milioni e mezzo gli espatriati italiani (8 milioni dei quali in Nord America). Pare che, tra il 1876 e il 1886, fossero soprattutto i «padani» a partire, mentre i meridionali erano soltanto il 20% del totale. Il «pareggio» arriva tra 1887 e 1900. Mentre nel decennio successivo si compie il sorpasso: il 46,63% degli emigranti del Sud, il 35,30 dal Nord.

A tal proposito, nell’ambito della ricerca L’emigrazione italiana verso le Americhe (il lavoro risale a una decina d’anni fa, quando ancora il ministero riusciva a finanziare gli approfondimenti degli studiosi) Luigi Di Comite e Pietro Iaquinta annotano che è la Basilicata la vera protagonista dell’emigrazione italiana. Nessuna regione è stata altrettanto salassata giacché - spiegano - tra il 1880 e il 1915, i lucani emigrati furono 380.000, mentre la popolazione complessiva che risulta dal censimento del 1911 ammonta a 474.000 abitanti. Nello stesso periodo dalla Puglia parte un numero di pugliesi circa equivalente, ma lì la popolazione censita è il quintuplo, 2.131.000 persone.

Il 17 marzo 2011 è alle spalle ed è stato festeggiato in grande spolvero. Bene. Ora però non aspettiamo altri lustri per affrontare responsabilmente la questione della ricerca, delle fonti e degli Archivi di Stato consultabili on-line.
ingrosso@gazzettamezzogiorno
06 Aprile 2011


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