sabato 14 maggio 2011

Finalmente la Sicilia inizia la guerra delle imposte generate dalle imprese padane sul territorio regionale.

La Regione Sicilia impugna il decreto sul fisco municipale
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore
La Sicilia non ci sta, e con una decisione assunta nella Giunta regionale di ieri sera chiama la Corte costituzionale a giudicare la legittimità del decreto legislativo sul federalismo municipale.




 Nel mirino di Palazzo d'Orleans, che con la decisione di ieri sera porta al culmine una tensione nata con lo stesso avvio della riforma federalista, ci sono in particolare due articoli: il 2, che riscrive la distribuzione dei tributi (soprattutto immobiliari) tra Stato ed enti territoriali, e il 14, che disegna l'ambito di applicazione del nuovo fisco dei sindaci e le modalità per introdurlo anche nelle Regioni a Statuto speciale.
Un articolo, quest'ultimo, che prevede mille cautele, attraverso continui richiami agli Statuti autonomi e alle intese con le amministrazioni interessate, ma che evidentemente non è bastato a convincere la Giunta guidata da Raffaele Lombardo. Per portare la questione sui tavoli della Consulta, la Giunta fa riferimento ai due pilastri delle proprie rivendicazioni fiscali: si tratta degli articoli 36 e 37 dello Statuto, che assegna alla Regione i «redditi patrimoniali» e i tributi generati sul territorio dell'Isola, e dirotta pro quota in Sicilia le imposte pagate dalle imprese che hanno sedi sul suo territorio.
 L'equilibrio fra riforma federalista e autonomie speciali è un terreno delicato, e proprio per questo la legge delega (la 42 del 2009), dopo un braccio di ferro con gli interessati aveva deciso di riservare alle Regioni autonome solo tre articoli: il 15 (città metropolitane), il 22 (perequazione infrastrutturale) e il 27, una norma ad hoc per coordinare la finanza pubblica federalista con quella dei territori a Statuto speciale. Questo scartamento ridotto, che ha fatto storcere il naso a molti amministratori delle Regioni ordinarie e alla stessa associazione dei Comuni, non è però bastato a preservare la riforma dal contenzioso.
 Nel nuovo attacco, la Sicilia obietta prima di tutto la prospettiva di applicare anche sul proprio territorio, anche se con gli opportuni accorgimenti, la devoluzione ai Comuni di una quota della fiscalità immobiliare (ipo-catastali, Irpef redditi fondiari, bolli e registri) e l'ipotesi di ristabilire la quota di compartecipazione regionale all'imposta sui redditi, che oggi rimane integralmente nelle casse della Regione.
 Questioni tecniche a parte, però, il nodo è soprattutto politico. La Regione ha colto l'occasione della riforma federalista per ridare fuoco alle polveri su un'attuazione più spinta degli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto, che nella legge delega si è già tradotta in un'apertura sulla possibilità di mantenere in Regione una quota crescente delle accise sugli oli minerali (in Sicilia se ne raffina il 40% del totale italiano).
 Dopo questo risultato iniziale, la Regione non ha mai abbandonato la strada della conflittualità, e dopo aver impugnato alcuni articoli della stessa legge delega ha portato alla Consulta anche il decreto sul federalismo demaniale e minaccia un'iniziativa analoga anche sul provvedimento, appena approvato, dedicato alla perequazione infrastrutturale. Le prime decisioni costituzionali non sono state favorevoli alla Regione (le quattro obiezioni sulla legge delega sono state dichiarate inammissibili o infondate dalla Corte costituzionale). Ma il nodo, come detto, è politico: «Il federalismo può essere un'opportunità – ha chiarito più di una volta Gaetano Armao, l'assessore regionale al Bilancio –, ma solo se si attua in pieno il nostro Statuto».



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