lunedì 13 giugno 2011

Federali.Sera_13.6.11. Grandi Opere, figlie della politica. Il porto di Gioia Tauro e il futuro che non c’è. Msc si era insediata a Gioia Tauro rispondendo ad una precisa richiesta dell'allora presidente del Consiglio Romano Prodi (fine 2007), ma nel corso del tempo ha cominciato a scalpitare denunciando inefficienze nella struttura produttiva locale.----Il Governo Berlusconi ha già abbandonato Gioia Tauro! Ed ha già scelto la piattaforma logistica strategica del futuro: quella di Monfalcone-Trieste.----Il Presidente, Napolitano: L'emergenza rifiuti è una delle terribili questioni che pesano sulla vita della città: ricordo già in anni passati la mancata realizzazione di progetti portati avanti in maniera inconcludente come Bagnoli e Napoli Est.----Sui manifesti che verranno affissi nelle prossime ore in tutto l'Alto Adige si fa riferimento a presunte Folternächte (notti di torture) con la raffigurazione di una macchia di sangue accanto ad un cappello d'ordinanza dell'Arma.

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Porto di Gioia Tauro, il piano della Regione Calabria
Tutti i calabresi questa volta rischiano grosso
Il porto di Gioia Tauro e il futuro che non c’è

O’ President e’ ghiut’ da Giggino Manetta e da quell’altro, l’alias del topo brianzolo:
De Magistris manda in soffitta i politici Ecco la giunta della società civile
Napolitano: A Napoli tante difficoltà ma anche carica di ottimismo
Napoli, Capo dello Stato: in passato troppi progetti inconcludenti

Appendici:
Matera. Agricoltura e tecnologia. Così si sconfiggerà il «cancro» del kiwi
Lecce. Il «re» delle tv all'assalto del Comune
Bozen. «Notti di torture» Oggi i carabinieri decidono se querelare


Porto di Gioia Tauro, il piano della Regione Calabria
Il progetto prevede la piena utilizzazione della zona franca con l’aiuto di investitori. I manager arrivano a Gioia Tauro e scatta la protesta dei lavoratori
11/06/2011. Una giornata quella di ieri promossa dalla Regione Calabria e da Assologistica e finalizzata alla presentazione ad un gruppo di manager di importanti aziende italiane accompagnate dal presidente di Assologistica Nereo Marcucci. Una giornata caratterizzata però anche dalla protesta di un gruppo di lavoratori alla guida dei mezzi di movimentazione dei container nel piazzale della Mct che nel pomeriggio si sono avvicinati davanti alla sede dell'Autorità Portuale ed hanno suonato le sirene dei mezzi per alcuni minuti, quasi mandando un chiaro messaggio a tutti e che può essere così interpretato: “basta siamo stanchi della parole, aspettiamo i fatti”.
 Intanto sul porto di Gioia Tauro, la Regione Calabria ha presentato un piano di rilancio della logistica e dell'intermodalità che punta alla piena utilizzazione della zona franca all'interno della quale si cercherà di catturare investitori che troverebbero pronto un pacchetto di incentivi garantiti dalla regione di ben 55 milioni di euro, di cui 25 per i contratti di investimento, altri 25 in conto capitale e 5 di incentivi sul risparmio energetico. Il pacchetto che la Regione ha predisposto è stato presentato prima alle aziende tra quali Barilla, Campari, Crai, Mars Italia, Lavazza, Gefco Italia, Eridania e Coop Italia Cooperative e successivamente ai giornalisti dalla vicepresidente della Regione. La Stasi ha spiegato che la Regione con il concorso dell'Autorità Portuale realizzerà entro un anno e mezzo tre capannoni di 50 mila mq all'interno dei 60 ettari ancora disponibili della zona franca che verranno dati in concessione alle imprese di logistica. Inoltre, ha annunciato un accordo con il sindacato calabrese sull'applicazione di contratti flessibili, la creazione immediata del primo sportello unico doganale del paese, la realizzazione di sistemi di banda larga per le comunicazioni ed ha annunciato che sono in corso trattative sulla riduzione delle accise sull'energia. Un'area che la Stasi ha definito “a burocrazia zero”. Punto cruciale è l'Apq varato nell'ottobre scorso che punta a superare il gap dell'ammodernamento della rete ferroviaria e la realizzazione del gateway ferroviario che verrà messo a bando entro l'estate e che verrà realizzato entro tre anni. «In questo modo dovremmo riuscire - ha detto la Stasi - metter in condizione lo scalo a movimentare almeno 700 mila teus su ferrovia. Stiamo inoltre incalzando Rfi per ottenere un crono programma per avere tempi certi di realizzazione delle opere previste dall'Apq ». Il neo sottosegretario alle Infrastrutture Aurelio Misiti si è impegnato a nome del Governo a contribuire celermente allo sviluppo della logistica come anche il sottosegretario Pino Gentile a proposito della risuzione delle accise sui carburanti: «Ne ho già parlato con Tremonti ha detto Gentile - e presto spero di poter dare risposte definitive». Infine, a proposito degli esuberi causati dal disimpegno della Maersk, Antonella Stasi ha commentato: «assolutamente sorprendente, improvviso e legato a valutazioni strettamente commerciali e di concorrenza» pur ammettendo che per queste ragioni gli esuberi ci sono e dovranno essere gestiti. Cercheremo di farci carico anche di questo problema»
 I sindaci dell’area (Gioia Tauro, San Ferdinando e Rosarno) pur apprezzando il lavoro fatto dalla Regione sulla logistica, si sono detti “pessimisti” sul futuro del porto e preoccupati per la sorte dei lavoratori.

Tutti i calabresi questa volta rischiano grosso
11/06/2011
di DOMENICO GATTUSO
Il porto di Gioia Tauro è una delle realtà più interessanti nel panorama del trasporto marittimo e della logistica mondiale, certamente la maggiore realtà produttiva della regione Calabria. Il porto è dotato di infrastrutture e impianti ragguardevoli. In termini di lunghezza banchine, profondità dei fondali, ampiezza di aree di stoccaggio, equipaggiamenti, Gioia Tauro è leader nel Mediterraneo. Ma il porto è anche un'incognita se si guarda alle prospettive future. A suscitare preoccupazione non è soltanto la crisi dei mercati, ma anche il ciclico allarme di crisi. Le ultime in ordine di tempo hanno riguardato un vuoto operativo di 30 ore lo scorso inverno e l'annuncio recente dell'abbandono dello scalo da parte di Maersk, primo operatore mondiale dello shipping containerizzato. Nel 2007 la Mct (Medcenter Container Terminal), principale terminalista del porto appartenente al Gruppo Contship, si proponeva di raggiungere un traffico di 6 milioni di TEUs entro il 2011. Nulla faceva pensare allora ai venti di crisi che sono invece sopraggiunti. Tra gli altri, il vento della crisi internazionale dei mercati finanziari del 2008. I traffici commerciali marittimi, dopo un trend di crescita decennale, hanno subito consistenti perdite nel corso del 2009, su scala mondiale. Tutti i porti, compresi quelli dell'Estremo Oriente, hanno sofferto riduzioni dei volumi di traffico. La crisi non ha risparmiato i porti italiani e neppure Gioia Tauro. Ma già nel 2010 si verificava una incoraggiante ripresa dei commerci e dei traffici container che faceva pensare all'uscita dal tunnel. In realtà un altro vento agitava da qualche tempo il porto di Gioia Tauro: il graduale disimpegno di Maersk a favore di porti del Nord Africa come Port Said e Tangeri, dettato da logiche di mercato e di competizione (si sa che il costo della manodopera nei porti nordafricani è assai più contenuto, che in tali porti non esiste controparte sindacale, e si sa che i padroni del vapore guardano ai profitti e non sono per loro natura inclini alla filantropia). Il vento avrebbe potuto trasformarsi in un tornado se non fosse subentrato l'apporto di Msc, secondo operatore mondiale del traffico container marittimo, facente capo all'armatore napoletano Aponte. Msc si era insediata a Gioia Tauro rispondendo ad una precisa richiesta dell'allora presidente del Consiglio Romano Prodi (fine 2007), ma nel corso del tempo ha cominciato a scalpitare denunciando inefficienze nella struttura produttiva locale. La denuncia veniva accompagnata da un'azione di serrata eclatante con il fermo delle navi per 30 ore l'inverno scorso. Nel contempo a gennaio di quest'anno Aponte dichiarava di poter raddoppiare i traffici su Gioia Tauro portandoli da 2 a 4 Milioni di TEUs. E invece, ad aprile, ha generato un nuovo forte vento sul porto e sulla Calabria segnalando che anche la Msc stava valutando l'opportunità di spostare parte dell'attività di transhipment nello scalo egiziano di Port Said. E' evidente che le logiche d'impresa, sullo scacchiere mondiale, non sono facili da seguire, ma è pur vero che in Italia da tempo pare si sia rinunciato a comprenderle ed agire per salvaguardare il ruolo della nazione e del suo sistema portuale. La competizione internazionale nel mercato dello shipping si gioca anche sul sostegno fattivo delle Regioni e dei Governi ai propri porti e alle relative reti di servizio intermodali. In anni recenti, tuttavia, a scala nazionale gli investimenti e il sostegno alla portualità sono risultati stagnanti e l'attenzione su Gioia Tauro è scemata. Preoccupa in particolare la “solitudine” del porto di Gioia Tauro rispetto alle politiche delle lobbies economiche e politiche nazionali. Allarmante è addirittura l'azione politico-finanziaria che punta a rafforzare alcuni grandi porti del Nord Italia (Genova e Trieste in particolare): uomini di governo, Ferrovie dello Stato con l' “imprenditore” Moretti, grandi banche come Unicredit, sembrano voler seguire la strategia del presidente di Assoporti Nerli, che vede nella crisi del transhipment un motivo in più per rafforzare il sostegno ai porti storici, considerati veri motori di sviluppo dell'economia nazionale. Con Matteoli che apparentemente sonnecchia. Basta andare a vedere l'entità e la direzione degli investimenti nel settore portuale dell'ultimo anno. O scoprire dai giornali che Maersk investe su Savona, ironicamente un altro porto “nordafricano”. Occorrerebbe una vigorosa reazione delle istituzioni del Mezzogiorno e della Calabria in particolare che, purtroppo, non si vede. Sono sorprendenti la stasi dei vertici di governo regionale, l'assenza di una unità forte che si occupi di Gioia Tauro (non esiste neppure un assessorato ai trasporti e logistica), la modestia nell'azione della dirigenza dell'Autorità portuale e dell'Asi, la riluttanza delle forze politiche e sindacali. Sebbene risulti difficile prevedere le dinamiche di evoluzione futura dei mercati, il Porto dovrebbe guardare avanti con azioni di rilancio immediate e con l'attuazione dei progetti già previsti in sede di pianificazione: sono preventivati importanti interventi di potenziamento e corrispondenti significativi investimenti e sarebbe follia rinunciare oggi alle opportunità offerte in primo luogo da Pon e Por. Più tempo passa più diventa difficile poter realizzare gli interventi e si rischia di bruciare ingenti risorse comunitarie: questa volta non è prevista la possibilità di accantonamento e il 2014 è dietro l'angolo. L'iter di approvazione del Piano regolatore portuale dev'essere concluso (è da oltre un anno che il documento giace in alcuni cassetti romani) e si deve passare rapidamente alla realizzazione delle opere: ampliamento dell'ambito portuale, riassetto più funzionale delle destinazioni d'uso associate alle aree, ampliamento delle banchine, allargamento del canale portuale, allungamento significativo delle banchine alti fondali, maggiore apertura del varco di accesso al porto al fine di agevolare le manovre delle più grandi porta-container, riassetto delle aree destinate a funzioni terminalistiche con uno spazio congruo per l'interporto, potenziamento delle funzioni traghetto con nuovi accosti dedicati, potenziamento delle reti stradali e ferroviarie sia in termini di infrastrutture sia in termini di organizzazione funzionale, realizzazione del secondo canale, attivazione di misure e tecnologie in campo energetico per servire le navi in sosta da terra e contenere i consumi e le emissioni inquinanti. Occorre fare quello che da 15 anni aspettano vanamente tanti operatori di settore: attivare l'intermodalità mare-ferrovia e far decollare il trasporto ferroviario. Il porto è collegato in modo efficiente e regolare con oltre 50 porti del Mediterraneo, ma non è ancora allacciato in modo serio all'Europa. Eppure diversi studi evidenziano una potenzialità notevole del trasporto ferroviario di container fra Gioia Tauro e il Centro-Nord Europa, attraverso il drenaggio di quote di traffico dai porti del Nord Europa, con conseguenze positive anche per il sistema degli interporti nazionali. Occorre procedere decisamente all'attivazione dell'interporto e all'incentivazione dell'imprenditoria nel retroporto, ma anche prevedere forme innovative di intervento finalizzate a potenziare il ruolo di nodo portuale e logistico di Gioia Tauro. Questo significa superare le logiche di alcuni potentati che frenano la domanda di raccordo veloce alle reti, in particolare snellire le procedure e i tempi delle operazioni doganali; agevolare e incentivare le azioni degli operatori multimodali e della logistica che di recente si vanno manifestando (ad oggi essi sono fortemente penalizzati attraverso vessazioni di diversa natura). Occorre puntare su investimenti mirati che coinvolgano su patti chiari e vincolanti gli operatori/armatori in modo da creare condizioni di stabilità e sviluppo sul medio-lungo periodo. Ma per tutte queste finalità, ed in particolare per quest'ultima, si pone un problema di governance di alto profilo, in grado di assicurare un rapporto equilibrato nella dialettica politico-economica nazionale ed internazionale, una capacità di interlocuzione di spessore con i grandi operatori del trasporto e del commercio internazionale. Bisognerebbe superare una prassi che vede privilegiare nomine dirigenziali localistiche e clientelari, puntando su staff competenti e di caratura internazionale, bisognerebbe ricondurre la frammentazione delle competenze ad una cabina di regia unica, un'authority “autorevole” e con poteri reali, bisognerebbe fare assumere al porto una valenza di porto-paese, capace di affermare il ruolo di super-hub portuale nel Mediterraneo, nella convinzione che lo sviluppo del porto calabrese possa riflettersi su tutta la portualità e quindi sull'intero sistema economico nazionale. Ma vi sono anche altre leve d'intervento, che potranno essere attivate solo con una seria presa di posizione da parte delle Regioni del Mezzogiorno. Si tratta di una sfida che richiede coraggio, ma che può avere una notevole rilevanza, per: a) una nuova politica di governo sui porti; in particolare coordinamento istituzionale, finalizzato ad una regia unica sulla portualità italiana, scevra da decisionismo locale, mirata al riordino della normativa portuale, con norme specifiche per il transhipment, alla riduzione del numero delle Autorità Portuali e alla previsione di una loro maggiore autonomia (ad esempio possibilità di adattare le tasse di ancoraggio delle navi alle situazioni di mercato); b) una nuova strategia di governo sulle ferrovie (riordino della normativa cargo, potenziamento nodo intermodale ferroviario di Gioia Tauro, incentivi al trasporto su ferro ed eliminazione alterazioni di mercato in atto); c) nuove direttive Ue (correzione distorsioni mercato e superamento di leggi vecchie e disomogenee), nuova attenzione al Mediterraneo (Area Libero Scambio) e ai rapporti di partenariato Sud-Nord; d) iniziative di grande rilievo sullo scenario internazionale (politica di marketing nel Mediterraneo e nel mondo); e) valorizzazione del rapporto università-porto, attraverso iniziative volte a rafforzare le sinergie e il sostegno all'innovazione degli operatori del commercio, della logistica, dell'industria. Questa volta Gioia Tauro rischia grosso. Ma in realtà a perdere sarà l'intera comunità calabrese, bruciando il futuro delle nuove generazioni, e a nulla varrà distribuire le responsabilità politiche. E' il momento allora di tirar fuori tutte le energie possibili e affrontare la battaglia in modo intelligente, cercando l'unità delle forze sociali ed economiche, attivando rapporti di alto profilo fra i presidenti delle Regioni di tutto il Mezzogiorno per una vertenza unitaria, giocando la partita all'attacco.

Il porto di Gioia Tauro e il futuro che non c’è
13/06/2011
di PASQUALE MANCUSO Coordinatore provinciale Pd Catanzaro.
Sarà, com'è giusto, il Consiglio regionale della Calabria ad occuparsi del destino di Gioia Tauro dopo mesi di allarmi, commenti, riflessioni, rassicurazioni, polemiche. E' giusto che sia così e che tutti gli attori istituzionali e sociali concorrano a difendere il Porto e la sua prospettiva di crescita. Tra le pieghe del confronto, spesso aspro, una linea sembra prevalere ed indicare la “rotta” giusta per una strategia che punti a preservare ruolo e funzione del Porto: far aprire un “tavolo romano”, possibilmente a Palazzo Chigi, ed affrontare con energia dovuta l’emergenza ormai incombente. La soluzione sembra quella più naturale, ovvia quasi, perché il “caso” diventi “nazionale” e gli strumenti da individuare siano forti ed al più alto livello di responsabilità istituzionale e politica. E, tuttavia, proprio questa soluzione è, paradossalmente, la criticità più forte: il Governo Berlusconi ha già abbandonato Gioia Tauro! Ed ha già scelto la “piattaforma logistica” strategica del futuro: quella di Monfalcone-Trieste. Anche questo film ha la sua data di inizio e la sua trama è talmente chiara da lasciare poco spazio al dubbio. Ripercorriamola. E' il 15 dicembre 2010 e alla Farnesina, sede del Ministero degli Esteri, si tiene un vertice prima e una conferenza stampa poi con personaggi di primissimo piano: il ministro degli Esteri Franco Frattini, l'Amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni, Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il presidente della regione Friuli Renzo Tondo, il ministro degli Affari Regionali Raffaele Fitto, Fabrizio Palenzona Vicepresidente Unicredit, Piergiorgio Peluso, Responsabile Corporate e Investiment Banking Italia di Unicredit,Carlo Melfi, Director di APM Terminals Italia ovvero il colosso mondiale Maersk, Maurizio Maresca, Vicepresidente di Unicredit Logistics, per la presentazione di un ambiziosissimo e, soprattutto, pesantissimo progetto: la piattaforma logistica e portuale di Monfalcone e Trieste con un impegno economico pubblico-privato di proporzioni enormi: 1 miliardo di euro. Cifra da capogiro che consentirebbe, a regime, una movimentazione pari a ben 3,2 milioni di Teu a fronte degli attuali 9 milioni annui di tutta la portualità italiana e dei 9,7 milioni di Teu annui della sola Rotterdam, con un obiettivo dichiarato e che spazza via, da solo, Gioia Tauro: intercettare tutto lo scambio Europa-Far East con il supporto anche dell'altra piattaforma logistica di Vado Ligure, al fine di “tagliare” tempi e costi di percorrenza dei commerci con i nuovi ed appetitosi mercati orientali. La vicenda, in Calabria, passa quasi in silenzio ed è ripresa soltanto da alcuni esponenti di IdV prima e, successivamente, da alcuni Parlamentari del Pd (Oliverio, Laratta, Laganà); è oggi, tuttavia, che si fanno i conti con un progetto che mobilita, visti i soggetti in campo, interessi vastissimi e corposi. Nel mentre Tremonti, nella recente visita calabrese, dice di non “sapere nulla su Gioia Tauro”, sono i suoi colleghi Matteoli, Fitto e Letta ad assicurare alla piattaforma logistica Monfalcone-Trieste sostegno pieno e forte del Governo il 5 maggio scorso con un vertice a Palazzo Chigi e alla presenza anche di Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, e nel corso del quale viene dato il “via libera” al nuovo gateway dell'Alto Adriatico attraverso una “piena intesa politica” affidando, addirittura, il ruolo di coordinatore dell’intera operazione a Gianni Letta con l’obiettivo di pervenire, entro questa estate, ad una intesa Stato-Regione per “garantire una governance del sistema portuale in cui l'investimento privato possa essere realizzato nei tempi previsti” prevedendo, inoltre, la nomina di un commissario straordinario. Al termine dell'incontro di Palazzo Chigi il ministro Matteoli che in Calabria, nel suo ultimo tour elettorale, era stato assai vago se non recalcitrante sul destino di Gioia Tauro, al contrario, su Monfalcone-Trieste, con decisione estrema, non poteva che dichiarare: «Daremo il massimo supporto istituzionale all'iniziativa privata di realizzare la piastra logistica di Monfalcone. Sarebbe miope - prosegue Matteoli - rimanere indifferenti e non valutare la possibilità di dare attuazione a una proposta organica che offre al Paese e all'Unione Europea il rilancio di un contesto economico completamente sottoutilizzato e poco infrastrutturato. Ribadita la volontà politica di procedere alla realizzazione della piastra logistica, ci si attiverà da subito per definire un percorso anche legislativo, oltre che progettuale, dell’opera e bisognerà procedere a definire il decreto legislativo attuativo dello Statuto della Regione Friuli Venezia Giulia, lo strumento legislativo da scegliere tra un Dpcm o Dpr per identificare gli impegni e la legittimazione dell'intera operazione, la nomina di un commissario e la procedura con cui sottoporre l’accordo di programma alla Conferenza Unificata Stato-Regioni. Bisognerà infine supportare l’accordo con un quadro fonti-impieghi. Sono tutte azioni già oggetto di esame e di discussione che ora passeranno dall'ambito delle buone intenzioni alla fase concreta. Ritengo che questo percorso potrà essere definito entro la prossima estate». Questo è il “teatro”, per nulla confortante, che “pesa” sul destino di Gioia Tauro: possiamo essere ottimisti sulle intenzioni verso Gioia Tauro di un Governo, sicuramente sollecitato con grande forza dal Governo regionale e dallo stesso Consiglio regionale, che fino ad oggi sulla Calabria e sul Mezzogiorno ha riversato solo buonissime intenzioni e nulla più? E nel mentre si attende l'Alta Velocità da Battipaglia a Reggio Calabria, decisiva anch'essa per il destino del Porto di Gioia Tauro, nel nuovo contratto di Programma tra il Ministero delle Infrastrutture e R.F.I. aspettiamo il prossimo fotogramma: il “tavolo romano”. Sul “tavolo”, tuttavia, il Governo, con ogni probabilità, non avrà più granchè da offrire perché, nel frattempo, ne ha “imbandito” un altro, quello di Trieste-Monfalcone, e per ben altri commensali contro i quali battersi è impresa assai ardua e difficile, proibitiva. Nel frattempo, appena nominato, il “responsabile” Sottosegretario di Stato alle Infrastrutture Aurelio Misiti, sornione e serafico, annuncia: «Presto faremo il Ponte!». Fine della storia.

De Magistris manda in soffitta i politici Ecco la giunta della società civile
Professionisti presi dai vari settori. Ma scoppia il caso Sergio D'Angelo. Lucci (Cisl): il sindaco spieghi
NAPOLI - Appuntamento alle 18 e 30 presso la sala giunta di Palazzo San Giacomo. Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris presenta oggi la sua squadra di governo: ecco chi amministrerà la città per i prossimi cinque anni. Un mix tra politica, società civile, professioni. I nomi più forti sono quelli di Tommaso Sodano, che andrà all’Ambiente e dovrà vedersela con l’incubo-rifiuti, e di Giuseppe Narducci, pm anticamorra, la cui scelta di lasciare la toga per diventare assessore nel giro di pochi giorni ha provocato molte polemiche. Gli altri assessori, salvo sorprese, sono quelli ormai noti: Luigi De Falco, Anna Donati, Alberto Lucarelli, Giuseppina Tommasielli, Antonella Di Nocera, Annamaria Palmieri, Marco Esposito, Bernardino Tuccillo, Riccardo Realfonzo, Sergio D’Angelo.

L'OMBRA DEL CONFLITTO D'INTERESSI - E proprio su quest’ultima probabilissima scelta di de Magistris si sono concentrate in queste ultime ore le polemiche più roventi: Sergio D’Angelo (dimissionario in queste ore) è infatti il presidente di Gesco, consorzio di cooperative sociali attivissimo nel settore dell’assistenza anche a Napoli. Gesco ha lavorato, e tanto, per il Comune di Napoli: secondo quanto dichiarato dall’ex assessore al Bilancio Michele Saggese al Corriere del Mezzogiorno, si tratta del «principale fornitore di servizi sociali del Comune di Napoli, dal quale avanza crediti tra i cinque e i dieci milioni di euro». Lina Lucci, segretario regionale Cisl, ha chiesto al sindaco di «spiegare questa nomina», sulla quale si addensa la nube del conflitto d’interessi.
Carlo Tarallo

Napolitano: A Napoli tante difficoltà ma anche carica di ottimismo
L'appello del Capo dello Stato: salvare il cantiere stabiese di Fincantieri
Napoli, 13 giu (Il Velino/Velino Campania) - “C'è una piena consapevolezza della gravità della situazione di Napoli per i tanti aspetti di dfificoltà in cui si trova la città, ma c'è anche una notevole carica di ottimismo per il futuro e questo mi sembra molto indicativo e interessante. Rintengo che il filmato proiettato dall'Unione industriali (in cui si parla dei progetti in corso da parte degli imprenditori, ndr), rappresenti i punti di forza su cui costruire per garantire un nuovo sviluppo”. Lo ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parlando con i giornalisti a margine dell'assemblea pubblica dell'Unione industriali di Napoli che si sta svolgendo a Pozzuoli. Su Fincantieri, il Capo dello Stato ha lanciato un appello: “Ho incontrato una delegazione di lavoratori: Fincantieri è una realtà che non ho dimenticato neanche di citare quando ho incontrato gli operai liguri dicendo quello che rappresenta storicamente il cantiere stabiese per la città e per tutta l'area partenopea. È il cantiere più antico che abbiamo, dobbiamo tutelarlo. Deve essere messo in grado di reggere la competizione internazionale che è molto agguerrita. Per gli operai - ha aggiunto Napolitano - la necessità e possibilità di rilancio passano tramite la realizzazione del bacino carenaggio e di costruzione: su questo dovrebbe reggere il tavolo regionale deciso a livello nazionale sia per la Campania che per la Liguria. Questo pomeriggio incontrerà il presidente Caldoro per parlare anche di questo".
(rep/fmc) 13 giu 2011 13:38

Napoli, Capo dello Stato: in passato troppi progetti inconcludenti
Napoli, 13 giu (Il Velino/Velino Campania) - "L'emergenza rifiuti è una delle terribili questioni che pesano sulla vita della città: ricordo già in anni passati la mancata realizzazione di progetti portati avanti in maniera inconcludente come Bagnoli e Napoli Est". Lo ha detto il Capo dello Stato Giorgio Napolitano sulla questione rifiuti a Napoli. "Si possono fare tante cose positive per Napoli, ma finché c'è la piaga dei rifiuti tutto il resto sarà sommerso. Ho registrato su questo la disponibilità del sindaco de Magistris", ha aggiunto.
(rep/fmc) 13 giu 2011 13:37

Matera. Agricoltura e tecnologia. Così si sconfiggerà il «cancro» del kiwi
Si chiama «cancro batterico» e sta mettendo in ginocchio le colture di kiwi, varietà presente nel Metapontino quale area leader sui 30 mila ettari di superficie coltivati nel nostro Paese; che significa una produzione di circa 500mila tonnellate di produzione vendibile ed un corrispettivo valore economico stimabile in circa 500 milioni di euro. L’epidemia, però, ha dimensioni mondiali, per cui si stano cercando rimedi che, non a caso, stanno maturando proprio in riva allo Jonio lucano, dove la produzione è forte e le applicazioni tecnologiche sono ormai all’avanguardia.

Da un decennio nei laboratori della società Metapontum Agrobios, nel cuore agricolo del Materano, si vanno mettendo a punto tecnologie per l’introduzione di microchip che gli addetti ai lavori chiamano «tag». Sembrano delle pilloline e vengono inserite direttamente nei tessuti delle piante quando sono ancora giovani così da rendere agevole la tracciabilità e la qualità dei processi produttivi, un processo basato sull’intellig ente uso delle radiofrequenze, tecnica in codice denominata «Rfid». In pratica, se interrogato, il microchip risponde e fornisce tutte le informazioni necessarie sulla provenienza, stato di salute e molto altro ancora, custodisce la carta d’identità del kiwi.

Insomma, questa pratica consente di etichettare in maniera indelebile la singola pianta partendo dalle piante madri, per seguire successivamente la fase di moltiplicazione in vivaio e la messa a dimora in pieno campo. Ovviamente, la tecnologia è coperta da un processo di tutela e tanto di brevetto. Non è la prima volta che se ne parla, perchè i primi esperimenti sono stati già effettuati con successo su piante di agrumi inserendo minuscoli «tag» all’interno dei tessuti legnosi, verificando la compatibilità e gli effetti sullo sviluppo delle piante. Successivi sviluppi della tecnologia hanno permesso di etichettare con «Rfid» piante di importanti specie agrarie, come ad esempio la vite, l’albicocco e il pesco. Da qualche tempo a questa parte l’attenzione si è concentrata sul kiwi, considerati i forti attacchi da Pseudomonas syringae pv. Actinidie, nome scientifico dell’agente che provoca la grave patologia nota anche come “cancro batterico” e che sta minacciando seriamente queste produzioni.

Si comprende bene che la qualità fitosanitaria del materiale di propagazione è fondamentale per la prevenzione di questa patologia da quarantena. Del resto, andrebbe rispettato il decreto del ministero per l’Agricoltura del 7 febbraio del 2011: prevede, fra le diverse misure fitosanitarie, l’etichettatura di ogni singola pianta, a partire dalla fonte primaria, fino ai campi di piante madri e piante figlie. Ed è fin troppo chiaro che le tecnologie «Rfid» consentono di identificare con certezza le piante a garanzia della tracciabilità e della qualità del materiale vivaistico. Si tratta di adottare un sistema di prevenzione capace di contribuire a ripristinare le condizioni fitosanitarie necessarie per il ripristino della coltivazione del kiwi. E l’Agrobios è già un caso di scuola. [p.d.]

Lecce. Il «re» delle tv all'assalto del Comune
Paolo Pagliaro guida «Alleanza per Lecce e Salento»
«Primarie interne per scegliere collocazione politica»
LECCE - Alle prossime elezioni comunali di Lecce, previste nella primavera del 2012, in campo ci sarà un altro soggetto politico che in un modo o nell’altro potrebbe condizionarne l’esito dal punto di vista dei consensi. La sua collocazione sarà molto ambita dal centrodestra e dal centrosinistra ma anche dalla coalizione nata dal patto tra Fini, Casini e Rutelli. «Alleanza per Lecce ed il Salento» è una federazione composta da sei liste la cui regia politica è stata affidata a Paolo Pagliaro, patron del gruppo televisivo Mixer Media e promotore del movimento Regione Salento, uno degli imprenditori più noti ed influenti della città. Pagliaro, che ha annunciato l’intenzione di non candidarsi (ma al voto mancano ancora diversi mesi e tutto può cambiare), con la sua federazione punta a rinnovare la classe politica leccese, un po’ come è accaduto a Napoli con l’elezione a sindaco di Luigi De Magistris ed a Milano con Giuliano Pisapia.

Un movimento di «rottura», dunque, con in campo 192 candidati per le sei liste annunciate. «Siamo decisivi per la vittoria del futuro sindaco di Lecce», ha affermato Pagliaro ieri mattina nella convention che si è svolta all’hotel Tiziano davanti a circa 200 simpatizzanti. E poi ha aggiunto: «Deciderà la base perché sono un guerriero non un comandante». Le liste sono Moderati e Popolari, Democrazia Cristiana per il Salento, Movimento Regione Salento, Lista Buccoliero, I leccesi e Partito dell’Unione per il Salento. «Un patto d’onore fra uomini liberi», hanno ribadito i sei responsabili delle liste, ossia Alessio Greco per Moderati e Popolari, Alfredo Pagliaro (assessore della giunta Perrone e fratello di Paolo) per Democrazia Cristiana per il Salento, Franco De Jaco (avvocato di Cosima Serrano, moglie di Michele Misseri) per Movimento Regione Salento, Antonio Buccoliero per Lista Buccoliero, Franco Ruggiero per I Leccesi, Giuseppe Tondo per Partito dell’Unione per il Salento. Il patron di TeleRama ha annunciato: «Non sarò io a decidere d’imperio la nostra collocazione politica. Alla base non ci sono scelte legate a poltrone e incarichi perché non è questo il nostro linguaggio. Determinante per la nostra scelta sarà la volontà degli iscritti e dei simpatizzanti». Il Movimento Regione Salento non esclude il ricorso alle primarie interne per decidere la collocazione politica. Lo stesso potrebbero fare anche le altre federazioni, anche se la presenza tra le liste di quella guidata da Alfredo Pagliaro, assessore di Paolo Perrone, potrebbe trainare l’alleanza nell’orbita del centrodestra. Paolo Pagliaro alla platea del Tiziano ha parlato per 45 minuti tra lunghi applausi. Un discorso lungo ed appassionato il suo nel corso del quale ha celebrato il sogno della Regione Salento. «Questo sogno attraverserà e contagerà il Consiglio comunale», ha detto l’imprenditore leccese che poi ha bocciato il filobus, stigmatizzato gli slogan sul fotovoltaico e l’eolico, rilanciato i parchi della speranza e dell’amore, la trasparenza del potere, la città delle 20 piazze e il patto per la casa. Un’alleanza, quella guidata da Pagliaro, che punterà ad una percentuale in doppia cifra dei consensi.
Salvatore Avitabile

Bozen. «Notti di torture» Oggi i carabinieri decidono se querelare
BOLZANO. Oggi il Comando generale dei carabinieri a Roma dovrebbe decidere come e se reagire alle accuse contenute nei manifesti del «Südtiroler Freiheit» per le presunte torture riservate ad alcuni sudtirolesi arrestati per la partecipazione alla cosiddetta «notte dei fuochi» che diede il via alla stagione delle bombe anti italiane negli anni Sessanta in Alto Adige. Come noto la Procura della Repubblica sta già procedendo d'ufficio per vilipendio ma oggi l'Arma dovrebbe decidere se sporgere querela per diffamazione. E potrà farlo potenzialmente ogni carabiniere in servizio in Italia promuovendo una sorta di «class action» senza precedenti. Nel frattempo Eva Klotz e gli altri esponenti del «Südtiroler Freiheit» si difendono affermando che gli episodi di violenza cui sarebbero stati sottoposti molti sudtirolesi coinvolti negli attentati dell'epoca sarebbero storicamente documentati. In effetti all'epoca alcuni detenuti denunciarono di essere stati picchiati e torturati nel corso degli interrogatori dei carabinieri ma fin da allora l'Arma replicò sdegnata sostenendo che i terroristi si erano procurati da soli le ferite allo scopo di screditare l'Italia. All'epoca gli ambienti irredentisti sudtirolesi cercarono di addebitare ai presunti maltrattamenti anche i decessi avvenuti in carcere (per cause naturali) di Franz Höfler (17 novembre 1961) e di Anton Gostner (7 gennaio 1962). Con l'accusa di percosse e maltrattamenti dieci carabinieri finirono sotto processo a Trento il 20 agosto 1963. Otto furono assolti per non aver commesso il fatto, due invece furono salvati dall'aministia. Il tribunale non ritenne che il tenente Vittorio Rotellini ed il brigadiere Luigi D'Andrea fossero estranei ad episodi di violenza avvenuti in caserma durante gli interrogatori. In sentenza però i giudici parlarono di «esagerazioni», non di episodi di tortura. L'Arma si ritenne sempre estranea ad accuse di torture e maltrattamenti al punto che per tutti i carabinieri coinvolti nel processo di Trento vi fu l'elogio ufficiale del generale De Lorenzo, comandante della Benemerita. Oggi, a 50 anni di distanza, Eva Klotz ed il suo «Südtiroler Freiheit» accusano tutta l'Arma dei carabinieri di essersi resa responsabile di vere e proprie torture nei confronti di alcuni terroristi dell'epoca. Sui manifesti che verranno affissi nelle prossime ore in tutto l'Alto Adige si fa riferimento a presunte «Folternächte» (notti di torture) con la raffigurazione di una macchia di sangue accanto ad un cappello d'ordinanza dell'Arma. Formalmente l'indagine della Procura della Repubblica di Bolzano (avviata d'ufficio per vilipendio) riguarda Eva Klotz, Sven Knoll e Werner Thaler, responsabile del sito internet del movimento politico oltranzista. Per i tre il rischio giudiziario per il momento è molto limitato. Per vilipendio delle Forze Armate si arriva al massimo a 5 mila euro di multa. Ben più pesanti potrebbero essere le conseguenze giudiziarie in caso di querela per diffamazione da parte dell'Arma.

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