venerdì 12 agosto 2011

Bari. Morti di Stato


Una vita senza lo Stato. La storia di un uomo tra dolore, solitudine, morte
di LIA GISOTTI GIORGINO (Presidente dell'Associazione per la tutela dei diritti dell'anziano)
Il 9 agosto 2011 è morto un uomo che ha solo sofferto nella sua vita. Un uomo che ha lottato perché gli fosse riconosciuta adeguata assistenza per l’unico figlio reso disabile grave all’età di quattro anni a causa di una vaccinazione antivaiolosa. Ha lottato perché il diritto all’assistenza fosse almeno pari al danno subìto. Un danno che sarebbe stato compito dello Stato risarcire. Un compito mai assolto.


Un anno fa questo uomo ha perso il figlio di 54 anni, il figlio uomo-bambino, venuto a mancare per una improvvisa reazione allergica a un farmaco. Due mesi fa è venuta a mancare anche la moglie, disabile a sua volta per una artropatia diffusa. Non ha saputo sopravvivere al dolore della morte del figlio. L’altroieri è morto lui. Colpito da ictus, era stato ricoverato nella Divisione di Neurologia dell’ospedale «Di Venere» di Bari-Carbonara.

Dopo le cure del caso, quest’uomo sensibile, intelligente, disperato avrebbe dovuto essere ricoverato in una struttura adeguata per la riabilitazione. Ma la macchina burocratica si è inceppata. Tale struttura aveva bisogno di accedere alla pensione dell’interessato e, perché i servizi sociali potessero autorizzarne il trasferimento, occorreva aspettare che il direttore della banca rientrasse dalle ferie e autorizzasse l’accesso al conto corrente. Un «blocco» bancario, quindi, ha impedito il trasferimento nella struttura riabilitativa. Più celere è stata la morte. Un improvviso peggioramento ne ha accelerato la fine. Ancora una volta hanno prevalso la lentezza burocratica e il ritardo procedurale.

L’Associazione per la tutela dei diritti dell’anziano, che da oltre trenta anni si occupa di casi come questo, ha seguito nel tempo le vicende della sfortunata famiglia. Sono stata a trovare quest’uomo in una stanza di degenza con sei posti letto, mentre il caldo imperversava a circa quaranta gradi. Ne ho colto il respiro affannoso, lo sguardo lontano e assente. Non mi ha riconosciuto, questa volta. Era prossima ormai la fine che è giunta nelle prime ore del mattino del 9 agosto. Il volontariato può fare poco se non ha la collaborazione attenta delle istituzioni. La giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali, ma alla realizzazione di essa è essenziale il principio della differenza o della discriminazione positiva: dare di più a chi ha di meno, dare più attenzione, più ascolto, più cura. In presenza di ineguaglianze dovute alla natura o alle storie personali, l’unica ineguaglianza consentita dovrebbe essere quella che va a vantaggio dei meno fortunati. La sofferenza dei poveri, dei soli, dei non garantiti bisogna che abbia un riconoscimento celere e immediato perché non sia poi troppo tardi.

La storia dei coniugi Barberini e del loro dramma
La tragedia di avere 80 anni e un figlio disabile
Il racconto di Lia Gisotti Giorgino è l’epilogo di una storia che la Gazzetta ha raccontato circa 3 anni fa. Ecco l’articolo uscito sulle pagine della Gazzetta, cronaca di Bari il 19 luglio 2008, con la storia dei coniugi Barberini, del loro figlio disabile e di un disperato appello lanciato: «Aiutateci o moriremo insieme»

«Sono stanco, stanco, stanco. Ho lottato, non sono un poveretto, ora però non ce la faccio più. Ho ottant’anni e non vedo futuro per mio figlio, oltre che per me e per mia moglie. Allora moriremo insieme tutti e tre». Emanuele (Lillino) Barberini è disperato, ma lancia una provocazione pesante perché in realtà non intende smettere di lottare per suo figlio Francesco, 54 anni con l’età mentale di un bimbo di 4 anni, quando a causa delle vaccinazioni antivaiolosa e antidifterica contrasse una encefalite postvaccinica gravissima. Lillino Barberini ha 80 anni, vive a Bari in via Martinez, una traversa di corso De Gasperi, in una villetta vicino al circolo tennis con sua moglie Bruna (73 anni) e l’unico figlio, Francesco.
Il calvario di Francesco e dei suoi genitori è cominciato 50 anni fa, quando a causa delle vaccinazioni diventò totalmente non autosufficiente. Ha bisogno di essere assistito continuamente, 24 ore su 24: ha bisogno di essere imboccato, non cammina, ha crisi epilettiche e prende una quindicina di pillole al giorno. Il papà e la mamma sono anziani e stremati, non ce la fanno più e chiedono di poter contare su una assistenza 24 ore su 24, anche di notte. Proprio soli Lillino e sua moglie Bruna non sono, perché mattina e pomeriggio, fino a sera, c’è un assistente che lavora per una cooperativa comunale, pagato per 500 euro dalla coppia di anziani e per il resto dal Comune.

«Un costo che possiamo permetterci perché li riceviamo ai sensi della legge 201, che indennizza le persone danneggiate da vaccinazioni come Francesco, ai quali si aggiungono i circa 400 euro di pensione di invalidità. Ovviamente il totale riesce a coprire a malapena la quantità complessiva dei costi».
«La mia pensione è di mille euro al mese e non basta per vivere - spiega il sig. Barbieri, che è pensionato delle Poste, ma che nella sua vita ha lavorato sin da giovanissimo come ragioniere, prima in banca, poi in aziende private e infine alle Poste - Per seguire in maniera adeguata nostro figlio sono necessarie spese continue, innumerevoli, quasi incredibili. A tutto questo occorre aggiungere che sia io che mia moglie siamo affetti da malanni gravi, io ho subito tre interventi chirurgici. Di notte, poi, la nostra vita diventa ancora di più un incubo. Non chiedo la luna, ma soltanto l’applicazione della legge regionale 104 del 1992 che parla di dignità, di diritto all’assitenza 24 ore su 24 proprio per i casi come quello di mio figlio. Parlano di strutture “dopo di noi”, per quando i genitori dei disabili muoiono, ma si rendono conto che non riescono a pensare nemmeno all’oggi, ad oggi che noi siamo ancora in vita? Come pretendono di riuscire a dare assistenza dopo?».
L’ipotesi di una struttura nella quale ricoverare il figlio, Barberini la scarta: «Non se ne parla neanche. Tanti anni fa ho girato con mio figlio per tanti istituti, in tutta Italia, senza trovarne uno adeguato. E poi sono le famiglie che devono occuparsi dei figli disabili. Ci diano le risorse e la possibilità di una copertura assistenziale 24 ore su 24».

«Ma le istituzioni si devono sbrigare - conclude - La nostra è una tragedia annunciata: siamo vecchi, stanchi e ammalati. Si muovano o sarà troppo tardi». Il Comune di Bari, con una nota ha fatto sapere di seguire «con grande attenzione e premura» la vicenda degli anziani coniugi Barberini e del loro figlio disabile. «La famiglia - rileva l’assessore comunale alle Politiche sociali, Susi Mazzei, in una dichiarazione - ha infatti cominciato a beneficiare dell’assistenza domiciliare dal 2005 e, proprio per l’età avanzata dei genitori e per la grave disabilità del figlio, è stato possibile garantire loro il massimo di ore previste». «Il Comune di Bari - aggiunge - continuerà a garantire, come ha sempre fatto a partire dal 2005, il massimo dell’assistenza e del supporto, proponendo alla famiglia eventuali soluzioni alternative di intesa con i servizi della sanità territoriale. È un tema, quello dell’assistenza ai disabili, molto sentito dell’ammini - strazione comunale che oltre ad essere impegnata nella realizzazione di alloggi per disabili, sta anche lavorando all’apertura a Bari di una struttura per il “Dopo di Noi”». [m. mar.]

Nessun commento: