martedì 13 settembre 2011

Federali.sera_13.9.11. Mai dire mai.----Angela Merkel: Percio' il compito piu' importante e' impedire un default non gestito perche' questo non riguarderebbe soltanto la Grecia. Il pericolo che questo toccherebbe tutti, o almeno un certo numero di paesi, e' molto grosso.----Tremonti riveve i cinesi.

In Basilicata un cimitero di scorie nucleari
Grecia, Merkel: fare tutto contro default non gestito
Crisi: bond tedeschi, interessi ai minimi
E i cinesi ora guardano al debito pubblico italiano
La Ue fa strada al gas del Caspio
Francia. La zavorra di Atene che pesa per 40 miliardi sui tre colossi


In Basilicata un cimitero di scorie nucleari
di PASQUALE DORIA
MATERA - Ci sono state commissioni parlamentari e verifiche di ogni tipo per stabilire cosa rimane della stagione «atomica» al Centro ricerche della Trisaia. L’ultima conferma è nella pubblicazione di una serie di cablogrammi tra la Sogin, la società del ministero del Tesoro che gestisce le scorie radioattive custodite nella struttura in riva allo Jonio lucano, e un’agenzia governativa Usa. Le notizie sono affiorate dalla montagna di documenti scaricati in rete da Julian Assange tramite WikiLeaks. È stata diffusa, tra l’altro, una lista di materiale nucleare nella quale non compare il plutonio. Ma l’uranio altamente arricchito c’è. È noto anche come uranio a gradazione per le armi (Heu) e, nello stato che i tecnici definiscono fresh, ovvero puro, è presente nella quantità di 15.398,4 grammi unitamente a 92.414,2 grammi irradiati. La prima quantità dovrebbe essere riconducibile alle 84 barre Usa trasferite tra il 1969 e il 1971 al Centro ricerche della Trisaia dal reattore di Elk River, centrale nucleare del Minnesota in disarmo. La Trisaia allora era gestita dal Cnen; poi, arrivò l’Enea e ora, per la parte nucleare, opera Sogin. Una ventina di queste barre subirono un trattamento particolare, furono riprocessate, un procedimento che tecnicamente ha prodotto materiale altamente radioattivo.
Gli addetti ai lavori definiscono fissile l’uranio, nel senso che può sostenere una reazione a catena. Quello altamente arricchito è utile per usi civili e per realizzare ordigni nucleari. Si tratta di materiale strategico, interessante dal punto di vista commerciale e anche bellico, cosa che fa della Trisaia, un vero e propio cimitero di scorie, un obiettivo sensibile piazzato dagli anni Sessanta nel cuore della piana Metapontina. È la zona agricola e turistica più ricca della regione Basilicata. Nella lista diffusa online figurano, inoltre, 2.754 grammi di uranio a basso arricchimento e 6.069 grammi di uranio impoverito conservato in una soluzione nitro. Grande è la quantità di uranio naturale, pari a 1.114.042,8 grammi. L'uranio, che non è un minerale abbondante, è stato il primo elemento fissile scoperto in natura. Qualità, che dopo complessi processi di lavorazione, lo rende la principale materia prima per gli ordigni nucleari e la costruzione, nonchè l'alimentazione di reattori nucleari. Vale molto e muove grandi appetiti. Per la cronaca, è solo il caso di ricordare il Centro ricerche sorge non lontano dal Terzo Cavone, ubertosa contrada nel territorio di Scanzano Jonico, quasi attaccata ai cento ettari sui quali si è sviluppata la breve stagione nucleare made in Italy.
Il 12 novembre del 2003, mentre il paese piangeva i morti di Nassirya, il Consiglio dei ministri del Governo Berlusconi decise che tutte le scorie del Belpaese dovevano essere stoccate in una miniera di salgemma a Terzo Cavone. Non fu rotto neppure un vetro, ma in centomila protestarono contro questa decisione destinata ad essere ben presto ritirata, anche perchè tecnicamente irrealizzabile.

Grecia, Merkel: fare tutto contro default non gestito
13 settembre, 10:36
BERLINO - ''Deve essere fatto tutto il possibile per tenere insieme politicamente l'eurozona perche' altrimenti possiamo ottenere velocemente un effetto domino'': lo ha detto oggi la cancelliera tedesca Angela Merkel nel corso di un'intervista all'emittente radio Rbb. Nell'eurozona devono essere impediti ''processi incontrollati'' per conservare una moneta stabile, ha aggiunto. ''Percio' il compito piu' importante e' impedire un default non 'gestito' perche' questo non riguarderebbe soltanto la Grecia. Il pericolo che questo toccherebbe tutti, o almeno un certo numero di paesi, e' molto grosso''.

Crisi: bond tedeschi, interessi ai minimi
Record su semestrali e su decennali nel mercato secondario
12 settembre, 21:04
(ANSA) - BERLINO, 12 SET - Minimo storico, sul mercato dei titoli di debito, per i bond tedeschi. La Germania ha piazzato oggi 3,891 miliardi di euro di titoli con scadenza a sei mesi a un tasso di interessi record dello 0,18%. L'ultima emissione degli stessi titoli, all'inizio di agosto, aveva registrato interessi allo 0,6945%.
Il calo dei tassi sul mercato primario ha fatto scendere anche i bond sul mercato secondario, dove i decennali tedeschi sono calati fino alla percentuale record di 1,709%.

E i cinesi ora guardano al debito pubblico italiano
Ca. Mar.
ROMA
 È stata un visita passata un po' in sordina, tra la manovra in eterno cantiere e le tempeste della politica. Ma la missione della scorsa settimana in Italia del ceo della China Investment Corporation (Cic), Low Jiwei, ha gettato solide basi per un consolidamento dei rapporti economici e istituzionali tra i due paesi. Jiwei ha incontrato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e quello degli Esteri, Franco Frattini, a cui ha aggiunto colloqui ai massimi livelli anche in Banca d'Italia. Secondo quanto riferito da fonti finanziarie - riporta il Financial Times - tra il ceo di Cic e le autorità italiane si sarebbe discusso di aumentare in modo massiccio l'impegno di acquisto di titoli di Stato italiani, forse fino al 10% (e oltre) dello stock complessivo, che sfiora 1,9 milioni di miliardi. Inoltre nel corso della visita è stata confermata la stima della quota cinese del 4% di titoli di stato italiani.
 Ma Jiwei nel suo tour romano ha incontrato anche i vertici della Cassa Depositi e Prestiti, e in particolare il presidente Franco Bassanini e l'amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini. Alla Cassa il colloquio ha affrontato l'ipotesi di future partecipazioni del Cic a operazioni che saranno messe in campo dal neonato Fondo strategico italiano (Fsi) - controllata dalla Cdp al 90% - il cui cda proprio ieri ha nominato come a.d. Maurizio Tamagnini.
 Il Cic è il secondo dei cinque Fondi Sovrani cinesi «non-commodity» , incluso quello di Hong Kong, ed il quinto a livello mondiale per capitale potenziale di investimento, con una dotazione stimata di circa 409,6 miliardi di dollari e gestisce buona parte dei 3.200 miliardi di valuta estera cinese.
 Tre settimane fa una delegazione di funzionari italiani ha effettuato una missione a Pechino proprio per discutere di possibili collaborazioni, e in agosto lo stesso direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, ha incontrato investitori cinesi. Pur essendo un Fondo relativamente giovane, istituito da meno di quattro anni fa, conta già importanti partecipazioni estere, tra le quali il 9,4% di Blackstone Group, per un valore di 3 miliardi di dollari, ed il 9,9% di Morgan Stanley, per un valore di 5,6 miliardi di dollari. Le previsioni che vedevano Cic superare in breve tempo il principale Fondo emiratino (Adia), alla guida della ranking list mondiale dei Fondi Sovrani sono state disattese anche a causa delle ingenti perdite legate agli investimenti in Blackstone e Morgan Stanley del 2008.
 Negli incontri in Italia Jiwei ha visto anche il direttore generale di Unicredit, Roberto Nicastro, e il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli. E di grandi lavori e possibili investimenti i i cinesi hanno parlato specie con esponenti della Regione Sicilia, per il co-finanziamento di opere infrastrutturali, con l'obiettivo di fare della Sicilia un hub per i commerci del Mediterraneo, e a questo fine è stato già stipulato un memorandum con la China Development Bank.
 In particolare i progetti guardano a opere aeroportuali, al sistema ferroviario, ma si cita anche il Ponte sullo Stretto di Messina, progetto che ogni tanto riaffiora dall'oblio in cui è da tempo piombato.

La Ue fa strada al gas del Caspio
Luca Veronese
 Sarà l'Unione europea a negoziare direttamente con Azerbaijan e Turkmenistan un trattato vincolante per la costruzione di un gasdotto che collegherà l'Asia centrale e il Caspio all'Europa. È la prima volta che i Paesi membri assegnano alla Commissione i poteri di negoziare un trattato nel settore energetico. Ed è la prima volta - come sottolinea la nota ufficiale di Bruxelles - che l'Unione europea propone un trattato a sostegno di un progetto di infrastrutture. L'Europa avrà una voce sola nella delicata partita del gas del Caucaso e negli sviluppi del cosiddetto Corridoio Sud che secondo gli obiettivi della Ue dovrebbe arrivare a coprire tra il 10% e il 20% del fabbisogno di gas Ue entro il 2020, garantendo un'alternativa alle importazioni dalla Russia: sia quelle previste dalla pipeline Nord Stream che quelle veicolate sulla linea South Stream. Aggirando anche le ricorrenti dispute tra Russia e Ucraina che già nel 2009 avevano portato al blocco delle forniture verso l'Europa.
 Una vera svolta politica per Bruxelles: da tempo infatti i Governi sono consapevoli della necessità di usare tutta la massa critica della dimensione europea nei negoziati con i Paesi fornitori di energia. L'iniziativa arriva a pochi giorni dalla presentazione della proposta di Bruxelles di una politica estera comune dell'energia - che nonostante le molte perplessità degli analisti indica il Corridoio Sud come «una priorità dell'Unione europea» - e avrà un impatto sulla potenziale realizzazione di progetti chiave per l'approvvigionamento di gas della Ue che non hanno ancora risolto i problemi politici e di sostenibilità economica. Primo tra tutti il Nabucco, la via di importazione di gas naturale che partendo dal Caucaso, passa dalla Turchia, quindi a sud del Mar Nero, per poi risalire via terra attraverso Bulgaria, Romania, Ungheria, fino a giungere in Austria. Ma anche i due progetti concorrenti del Nabucco: il gasdotto Itgi, l'Interconnettore Turchia-Grecia-Italia, al quale partecipa Edison, che nell'ultima parte del percorso dovrebbe attraversare lo Ionio; e il gasdotto Trans-Adriatico, il Tap - in inglese Trans-Adriatic Pipeline - che dovrebbe collegare Italia e Grecia, passando però anche attraverso l'Albania.
 «L'Europa - ha detto ieri il commissario Ue all'Energia, il tedesco Günther Oettinger - ora sta parlando con una sola voce. Questo gasdotto è un progetto importante nel Corridoio Sud per portare nuove risorse di gas all'Europa. Abbiamo intenzione di realizzarlo al più presto possibile».
 I negoziati di Bruxelles con Azerbaijan e Turkmenistan riguarderanno quindi anche un trattato con impegni legali vincolanti fra le parti e le intese bilaterali necessarie per realizzare il progetto, per la costruzione e il funzionamento, oltre al quadro legale che sarà applicato alla fornitura di gas dal Turkmenistan, con il relativo riconoscimento degli accordi commerciali. Già nel gennaio scorso il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, e il presidente dell'Azerbaijan, Ilham Aliyev, hanno firmato una dichiarazione congiunta per la fornitura di gas all'Europa.
 Secondo fonti comunitarie, la decisione di ieri di dare mandato alla Commissione per avviare i negoziati con un Paese che dispone di grandi riserve di gas, come il Turkmenistan, «avrà un impatto positivo sul progetto Nabucco, che potrebbe ottenere così una garanzia degli approvvigionamenti». A subire potenziali effetti negativi potrebbe essere invece South Stream, il progetto guidato da Gazprom ed Eni, che rappresenta «di fatto è un progetto concorrente». «Un accordo con il Turkmenistan potrebbe essere concluso entro l'anno - riferiscono a Bruxelles - e questo potrebbe permettere di realizzare un gasdotto lungo e di grande portata». «Inoltre - fanno sapere sempre a Bruxelles - sfruttare la piena capacità di Nabucco rende il progetto più sostenibile dal punto di vista economico, con una riduzione dei costi per metro cubo».

Francia. La zavorra di Atene che pesa per 40 miliardi sui tre colossi
Fabio Pavesi
 Il mercato non poteva che reagire così. Nervosamente e talmente carico di paura da liberarsi in fretta dei titoli delle banche transalpine.
 I timori per un eventuale intervento di downgrading da parte di Moody's sui tre grandi istituti di Francia e la situazione sempre più aggrovigliata della Grecia hanno trovato sfogo solo in questo modo. Vendendo.
 Ormai è un fatto che siano la Francia e le sue banche (e a seguire la Germania e i suoi istituti) a rischiare di più da un default greco. Sui 340 miliardi di debito complessivo di Atene quasi un terzo, un centinaio di miliardi, è di fatto in mani francesi e tedesche. Sideralmente lontana la situazione delle banche italiane che cumulano tutte insieme meno di 1,5 miliardi verso Atene.
 L'esposizione complessiva dello Stato francese verso Atene supera i 50 miliardi di euro. Da qui i contraccolpi borsistici. Quasi inevitabili quando affiorano incertezze sulla via d'uscita dalla pesantissima crisi greca. Se si vuole capire meglio l'entità del fenomeno basta ripercorrere il dettaglio dell'esposizione di Parigi. Bnp Paribas, secondo le stime di Exane circolate ieri, ha in pancia 4,4 miliardi di bond greci. L'altra grande banca Société Générale di bond ne conteggiava per un valore di 1,8 miliardi che dopo le svalutazioni del semestre dovrebbero essere oggi pari a circa 1,4 miliardi.
 Il Credit Agricole ha l'esposizione più bassa ai titoli ellenici con solo 329 milioni. Ma non sono solo i bond a pesare sui conti. Le tre grandi banche transalpine avrebbero, sempre secondo le stime di Exane, un'esposizione sull'intera economia di Atene assai rilevante: per Bnp Paribas si tratterebbe di 3,4 miliardi; per SocGen si parla di 3,9 miliardi e si ribalta invece la posizione del Credit Agricole che in virtù del fatto di avere la maggioranza del capitale della greca Emporiki Bank si trova ad avere un'esposizione indiretta ad Atene per 24,9 miliardi.
 Che può accadere? Tutto da ora in poi dato che un default greco non è affatto escluso.
 Ma anche se si salvasse (per ora) Atene, resta inevitabile la necessità di dover tagliare i valori della Grecia nei bilanci delle tre big transalpine.
 Se si assumesse un taglio del 50% sui bond e del 20% sull'esposizione all'intera economia del disastrato Paese, per gli analisti di Exane, l'impatto in termini di capitale sarebbe assai evidente. Eppure anche ieri le banche francesi hanno cercato di rassicurare i mercati. SocGen ha voluto con un comunicato riaffermare la sua solidità finanziaria e il suo grado alto di liquidità e ha annunciato di voler cedere asset per 4 miliardi entro il 2013, ridurre del 5% la base di costo del segmento corporate e investment banking e operare una «riduzione significativa degli effettivi» in diversi Paesi. Anche Bnp Paribas settimana scorsa aveva voluto rassicurare i mercati sul tema della liquidità affermando che ha ampia disponibilità di fondi a breve termine in dollari depositati presso la Federal Reserve. Tutto bene, ma il mercato sembra non avere requie e nell'incertezza tende a vendere.
 Fa impressione vedere comunque le performance delle banche francesi (e di quelle tedesche) che ormai da inizio anno vedono in gran parte le loro capitalizzazioni dimezzate. Sarà certo l'incubo greco con il Paese che vivrà anche nel 2011 una recessione profonda con il Pil a cadere almeno del 5 per cento, secondo la gran parte delle stime, e la fuga dei depositanti dagli istituti di credito ellenici che ogni mese che passa si fa più profonda. Sarà la Grecia, ma il malessere sembra rivelare incertezze più profonde sulla tenuta dei bilanci delle grandi banche del Nord Europa.

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