martedì 6 marzo 2012

pm:6.3.12/ Per la Gazzetta del Mezzogiorno i poveri della Puglia sono piu’ virtuosi degli altri poveri del Sud. ---Se i lavoratori dipendenti italiani guadagnano mediamente meno dei colleghi delle altre nazioni dell'Unione europea, i sardi sono agli ultimi posti della classifica nazionale dei redditi, ancorché meno poveri di siciliani, pugliesi e calabresi.---Crescono i disoccupati fra i laureati. Vola la cassa integrazione a febbraio.---Il misterioso derivato della Goldman Sachs che ha consentito ad Atene di truccare i suoi conti nel 2001 per riuscire a rispettare i parametri Ue è costato alla Grecia fino a 2,3 miliardi di dollari.

«Un terzo dei pugliesi in condizioni di povertà»
L'UNIONE SARDA - Economia: Stipendi, i sardi incassano meno
Crescono i disoccupati fra i laureati. Vola la cassa integrazione a febbraio
Crisi: record depositi banche a Bce rialzo da 820,8 mld weekend
Germania: Bild, drastico calo utili della Bundesbank nel 2011
Atene, salasso da 2,3 miliardi dal derivato-choc di Goldman Sachs
Slovacchia, economia cresciuta del 3,3% nel 2011
Ticino. Frontalieri, in 5 anni un aumento del 40%
Ticino. Passo indietro a Mosca
Bozen, oltrepadania. Schützen, niente sfilata anti-alpini



«Un terzo dei pugliesi in condizioni di povertà»
BARI - Circa il 30% dei pugliesi è in condizioni di povertà. Il dato è emerso dall’«Indagine sulle condizioni economiche delle famiglie numerose e con minori», realizzata dalla Fondazione G. Brodolini in collaborazione con il Consorzio Meridia e coordinata dal prof. Vito Peragine dell’Università di Bari. I dati della ricerca sono stati presentati nei giorni scorsi nel corso del convegno «Povertà e politiche sociali in Puglia» organizzato da Regione Puglia- assessorato al Welfare, Fondazione Giacomo Brodolini di Roma e Consorzio Meridia di Bari. Hanno partecipato il direttore della Fondazione Brodolini Diego Teloni, il presidente di Confcooperative Puglia Gianfranco Visicchio e Anna Maria Candela, dirigente responsabile del servizio programmazione sociale e integrazione sociosanitaria della Regione Puglia e Michele Raitano (Università di Roma La Sapienza).
Dall’indagine, realizzata su un campione di 20.492 famiglie e 51.196 individui in Italia e 1.004 famiglie e 2.760 individui in Puglia, è emerso che se nel Mezzogiorno la percentuale di diffusione della povertà è del 32,92% contro una media nazionale del 18,48%. In Puglia tale percentuale è del 28,69%. La soglia di povertà, ovvero il livello di reddito annuale sotto il quale si è dichiarati poveri è pari ad euro 8.572 per famiglie composte da una persona per arrivare sino a ? 23.044 per nuclei di cinque componenti.
Per quanto concerne la gravità della situazione in Puglia, misurata dall’incidenza per classi di gravità, risulta che in Puglia quasi il 20% delle famiglie versa in una condizione di assoluta povertà mentre poco più dell’11% sono quelle appena povere e il 12% sono a rischio povertà. La media nazionale mostra invece il 10,37% di famiglie sicuramente povere, l’8,11 appena povere e l’8,77 a rischio povertà.
L’intensità della povertà, ovvero di distanza media tra il reddito dei poveri e la soglia di povertà, presenta invece le seguenti percentuali: 31,82% per la media nazionale, il 34,81% nel Mezzogiorno e il 34,49 in Puglia.
Le stime sulla diffusione e l’intensità della povertà testimoniano pertanto, riferite ai dati nazionali, una situazione drammatica per la Puglia. Qualora invece venga effettuato un confronto con l’area del Mezzogiorno, la Puglia rientra tra le regioni più virtuose, presentando indici di povertà più bassi rispetto alla realtà meridionale.
Guardando alle categorie più colpite, l’indagine mette in luce una mappa del rischio di povertà che pesa soprattutto su giovani, famiglie numerose, lavoratori (più che i pensionati), donne, persone poco istruite.
Le relazioni sono state commentate da Elena Granaglia, docente dell’Università Roma Tre e già componente della Commissione di indagine sull’esclusione sociale del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e da Paolo Liberati, docente dell’Università Roma Tre. Sono intervenuti anche l'assessore regionale al Welfare Elena Gentile e gli assessori comunali al Welfare Ludovico Abbaticchio e all’Economia e Finanze Giovanni Giannini.

L'UNIONE SARDA - Economia: Stipendi, i sardi incassano meno
06.03.2012
Le retribuzioni nell'Isola inferiori a quelle italiane, già più basse della media europea I sindacati: le aziende in difficoltà non applicano gli integrativi. Se i lavoratori dipendenti italiani guadagnano mediamente meno dei colleghi delle altre nazioni dell'Unione europea, i sardi sono agli ultimi posti della classifica nazionale dei redditi, ancorché meno poveri di siciliani, pugliesi e calabresi. Secondo i dati elaborati dal Centro studi “L'Unione Sarda” su dati Istat, la retribuzione media lorda in Sardegna è di 23.045 euro annui contro i 24.940 della media nazionale. Nella busta paga dei sardi, insomma, mancano circa 1900 euro lordi all'anno, il 7,6 per cento in meno. La retribuzione, è bene chiarirlo, è la somma dello stipendio e delle competenze accessorie e comprende gli oneri previdenziali ed erariali. Lo stipendio vero, quello che entra in tasca al lavoratore, è in media di 1288 euro al mese per un single e cresce a 1341 se si ha la moglie a carico e, per ogni figlio, di circa 50 euro.
AGRICOLTORI POVERI I dati rivelano che il settore dove le differenze con il resto del paese sono maggiori è quello dei servizi di informazione e comunicazione. Per fare un esempio, un dipendente di un call center in Sardegna guadagna il 22 per cento in meno di un collega che opera in un'altra regione. «Si delocalizza dove il lavoro costa meno e da noi costa meno», spiega Enzo Costa, segretario generale della Cgil. I più poveri in assoluto sono invece gli agricoltori e i pescatori che hanno uno stipendio lordo rispettivamente di 12.017 e 12.684, meno di 600 euro al mese, mentre i più ricchi sono i dipendenti delle società finanziarie e assicurative (39.330 euro annui) e quelli della Saras le cui retribuzioni lorde ammontano a 36.918 euro. Gli unici stipendi in media con quelli nazionali sono quelli dei docenti.
LE SPIEGAZIONI Ma perché i sardi guadagnano meno? La risposta accomuna tutti, dai sindacati ai rappresentanti delle aziende: le imprese sarde, contrariamente a quelle della Penisola, applicano solo in rari casi i contratti di secondo livello, quelli legati alla produttività. Per questo la loro busta paga è monca. «Dove l'economia tira, i lavoratori hanno la possibilità di guadagnare di più e di avere i cosiddetti superminimi più elevati, dove c'è crisi accade esattamente il contrario», evidenzia Costa. «Chi trova un lavoro qui si ritiene fortunato e si accontenta, in un'area dove c'è più mercato, chi ha un lavoro pensa subito a trovarne uno migliore o a ottenere un aumento di stipendio», aggiunge. «Insomma, se c'è dinamismo nel mercato c'è crescita anche salariale, dove non c'è dinamica accade il contrario. Non solo: la crescita dell'inflazione, oggi del 3,5 per cento, erode rapidamente il potere d'acquisto. Per questo», conclude Costa, «occorre lavorare per rendere dinamico il contesto economico e favorire la crescita». Francesca Ticca, segretario confederale della Uil sarda, condivide l'analisi e aggiunge. «Oggi la carenza di occupazione fa emergere anche un altro dato che si sta sottovalutando: quello del lavoro nero». In una cosa Ticca si differenzia: «Con il livello di disoccupazione che cresce e le crisi aziendali in atto discutere di salario integrativo mi sembra complicato».
CONFINDUSTRIA «Altro che contratti integrativi, da noi si applicano i disintegrativi», annota Gian Filippo Onnis, responsabile delle relazioni industriali di Confindustria Sardegna meridionale. «La verità è che la contribuzione di secondo livello, che nasce per incentivare i lavoratori a produrre di più per guadagnare di più, per una regione in crisi perenne come la nostra si è rivelata un boomerang». Insomma, i dipendenti sardi sono al minimo tabellare. Si salvano alcune grandi aziende, come la Saras, i cui dipendenti non a caso hanno redditi medi più elevati. Le considerazioni di Silvana Manurita, segretario generale Confapi Sardegna, sono simili a quelle del collega di Confindustria, con alcune aggiunte: «In Italia nove imprese su dieci sono piccole e questo giustifica la differenza di retribuzioni col resto d'Europa. La Sardegna ha aziende ancora più piccole e più in crisi, da qui la difficoltà a trattare e concedere premi di produttività».
VALORIZZARE MERITO Gli stipendi bassi accomunano, peraltro, dipendenti privati e pubblici che non godono quasi mai di una contrattazione di secondo livello. «I lavoratori pubblici sardi, come del resto quelli del privato, pagano la polverizzazione delle amministrazioni che non riescono a produrre economie di scala e quindi un salario accessorio adeguato a valorizzare il merito e le competenze», spiega Davide Paderi, segretario generale della Cisl Funzione pubblica. «Serve una contrattazione decentrata che leghi il merito territoriale e il miglioramento dei servizi con un parte sempre più importante di salario, proprio come fanno i sindacati tedeschi», aggiunge l'esponente della Cisl. La soluzione? «Bisogna avere il coraggio di ridurre gli sprechi e i costi inutili per rilanciare i servizi e la contrattazione e dare valore al lavoro».

Crescono i disoccupati fra i laureati. Vola la cassa integrazione a febbraio
A febbraio chieste 82 milioni di ore di cig: +49%
ROMA - Cala l'occupazione, cala il lavoro stabile, cala il reddito: per i laureati italiani lo scenario non offre motivi di ottimismo. E questa abbondanza di segni «meno» dovrebbe indurre il Governo a investire con urgenza in istruzione, ricerca, innovazione e cultura, anche considerando che mentre al contrarsi dell'occupazione negli altri Paesi è cresciuta la quota di occupati ad alta qualificazione, nel nostro Paese è avvenuto il contrario. È il messaggio lanciato dal consorzio Almalaurea che oggi ha presentato, nella sede della Conferenza dei rettori (Crui), il XIV rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati. Un'indagine che che ha coinvolto circa 400 mila laureati.
Torna a correre la cassa integrazione. A febbraio - secondo i dati diffusi dall'Inps - le aziende italiane hanno chiesto l'autorizzazione per 82 milioni di ore di cig con un aumento del 49,1% rispetto ai 55 milioni di gennaio (dato più basso dall'agosto 2009) e del 16,8% rispetto a febbraio 2011. Vola la cassa in deroga (+134% su gennaio). Nel complesso - segnala l'Inps - nei primi due mesi dell'anno sono state autorizzate alle aziende 136,9 milioni di ore di cassa integrazione a fronte dei 130,2 milioni del 2011 (+5,1%). «Il dato di febbraio 2012 - si legge in una nota dell'Istituto di previdenza - fa registrare una inversione di tendenza rispetto all'ultimo quadrimestre, in cui il numero di ore autorizzate è costantemente diminuito, sia in termini assoluti, sia in confronto agli stessi mesi dell'anno precedente».
Crescono i disoccupati fra i laureati. Anche medici e ingegneri faticano a trovare lavoro. Aumenta la disoccupazione (in misura superiore rispetto all'anno passato) fra i laureati triennali che passa dal 16% del 2009 al 19% del 2010. Ma non solo. Lievita anche, e risulta perfino più consistente, fra i laureati specialistici, quelli con un percorso di studi più lungo (dal 18 al 20%) e fra gli specialistici a ciclo unico come i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza (dal 16,5 al 19%). Una tendenza che si registra finanche fra i laureati tradizionalmente caratterizzati da un più favorevole posizionamento sul mercato del lavoro, come, ad esempio, gli ingegneri.
Cresce la precarietà. Con la sola eccezione dei laureati specialistici a ciclo unico, a un anno dall'acquisizione della laurea diminuisce, fra i laureati occupati, il lavoro stabile. La stabilità riguarda il 42,5% dei laureati occupati di primo livello e il 34% dei laureati specialistici (con una riduzione, rispettivamente, di 4 e di 1 punto percentuale rispetto all'indagine precedente). Nello stesso tempo si dilata la consistenza delle forme contrattuali a tempo determinato e interinale e del lavoro nero. Quest'ultimo, a un anno, riguarda il 6% dei laureati di primo livello, il 7% degli specialistici, l'11% di quelli a ciclo unico.
Buste paga più leggere. Le retribuzioni a un anno dalla laurea (pari a 1.105 euro mensili netti per i laureati di primo livello, 1.050 per gli specialistici a ciclo unico, 1.080 per gli specialistici), già non elevate, perdono ulteriormente potere d'acquisto rispetto alle indagini precedenti (la contrazione risulta compresa fra il 2 e il 6% solo nell'ultimo anno).
E pure il titolo perde peso. Se è vero che la condizione occupazionale e retributiva dei laureati resta migliore di quella dei diplomati (fino a oggi, nell'intero arco della vita lavorativa, i laureati hanno presentato un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati), l'ultimo rapporto Almalaurea mostra che anche l'efficacia del titolo universitario - e cioè utilizzo, nel lavoro svolto, delle competenze acquisite all'università e la richiesta della laurea per l'esercizio della propria attività lavorativa - è in calo rispetto alla precedente rilevazione: il titolo è almeno efficace (ovvero molto efficace o efficace) per 51 triennali su cento (oltre 2 punti percentuali in meno rispetto all'indagine 2010) e per 44 laureati specialistici su cento (-1 punto). L'efficacia massima (81%) si riscontra tra gli specialistici a ciclo unico (-3 punti rispetto a un anno fa).

Crisi: record depositi banche a Bce rialzo da 820,8 mld weekend
06 marzo, 10:50
(ANSA) - ROMA, 6 MAR - I depositi a un giorno effettuati dalle banche operanti nell'area euro nella 'deposit facility' della banca centrale europea hanno raggiunto ieri un nuovo record a 827,5 miliardi di euro, in lieve rialzo dagli 820,8 miliardi del weekend. Lo si desume dai dati forniti dall'EUrotower.

Germania: Bild, drastico calo utili della Bundesbank nel 2011
(AGI) - Berlino, 6 mar. - La crisi economica in corso ha drasticamente ridotto gli utili realizzati dalla Bundesbank nel 2011. Bild rivela sulla base di informazioni ottenute dal ministero delle Finanze che lo scorso anno gli utili sono scesi sotto il miliardo di euro. Si tratta del valore piu' basso di utili realizzati negli ultimi sette anni, mentre nel 2010 la Buba aveva realizzato un guadagno di 2,2 miliardi di euro. Il calo degli utili sarebbe dovuto anche a maggiori accantonamenti decisi a causa della perdurante crisi economica. Le ridotte entrate della Buba creano un problema anche al ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble (Cdu), che si ritrovera' ad incassare 1,5 miliardi di euro in meno del previsto. Secondo i piani di bilancio, infatti, il governo tedesco contava su un versamento di utili da parte della Bundesbank pari a 2,5 miliardi di euro.

Atene, salasso da 2,3 miliardi dal derivato-choc di Goldman Sachs
Parlano i protagonisti della transazione del 2001 che ha consentito alla Grecia di far sparire dai suoi debiti 2 miliardi di euro: "Già dal primo giorno il paese doveva alla banca d'affari 600 milioni, poi con le oscillazioni sui tassi il conto è salito in quattro anni da 2,8 a 5,1 miliardi di euro"
ATENE - Il misterioso derivato della Goldman Sachs che ha consentito ad Atene di truccare i suoi conti nel 2001 per riuscire a rispettare i parametri Ue è costato alla Grecia fino a 2,3 miliardi di dollari. A rivelarlo sono stati Spyros Papanicolau e Christoforos Sardelis, i due capi dell'agenzia sul debito ellenico tra il 1999 e il 2006 responsabili della transazione che ha cancellato dalla sera alla mattina 2 miliardi di euro dall'esposizione del paese. Un esercizio di finanza creativa "che la nazione non era in grado di capire e di cui non ha mai compreso bene i rischi reali", ha detto Papanicolau. Grazie a cui la Goldman Sachs - sostiene - ha guadagnato solo nel 2001 ben 600 milioni di euro, il 12% dei profitti della sua divisione che si occupava di questo tipo di accordi.
"E' stata un'intesa tra due peccatori" hanno ammesso i due manager ellenici. Da una parte la Grecia che doveva a tutti i costi far quadrare i suoi conti per non perdere il treno dell'euro, dall'altra la banca d'affari Usa allettata dalle maxi-commissioni. Goldman Sachs ha così acquistato 2,8 miliardi di titoli di stato ellenici emessi in dollari e yen e li ha convertiti in euro a un tasso di cambio storico, coprendo poi l'operazione per il rimborso con un derivato legato ai tassi d'interesse. Obbligando Atene - sostengono oggi Papanicolau e Sardelis - ad accettare queste condizioni senza verificare eventuali offerte dei concorrenti.
Il debito tra la Grecia e il colosso a stelle e strisce, a quel punto, è sparito dal bilancio  pubblico. "Già al momento della firma dovevamo già alla banca 600 milioni di euro", ha spiegato Papanicolau. E il conto, a causa delle oscillazione del mercato, ha continuato a salire arrivando nel 2005 a 5,1 miliardi. Quando l'ente per la gestione del debito greco ha preferito fissare a questo livello con un'altra operazione finanziaria il massimo delle sue perdite. Goldman Sachs non ha voluto far commenti su queste cifre.

Slovacchia, economia cresciuta del 3,3% nel 2011
L'economia della Slovacchia è cresciuta del 3,3% lo scorso anno, con un rallentamento rispetto al più 4,2% del 2010. In base ai dati diffusi dall'ufficio statistico nazionale, il pil slovacco nel quarto trimestre è cresciuto dello 0,9% destagionalizzato rispetto ai tre mesi precedenti, quando era aumentato dello 0,8%.
Su base annua l'economia è cresciuta del 3,4% tra ottobre e dicembre dal più 3,0% del trimestre precedente. L'ufficio ha rivisto al rialzo la crescita 2010 dal 4,0% al 4,2%, ma anche la recessione 2009 è stata rivista in peggio a una contrazione del 4,9% del Pil, dal 4,8%.
L'economia slovacca, trainata dall'export di auto ed elettronica, dovrebbe essere la migliore dell'eurozona quest'anno, insieme a quella estone, con una crescita dell'1,1%. La Slovacchia, entrata nella Ue nel 2004 e nell'eurozona nel 2009, è molto dipendente dall'export verso i partner europei, in particolare la Germania.

Ticino. Frontalieri, in 5 anni un aumento del 40%
Negli ultimi cinque anni i frontalieri in Ticino sono aumentati del 40%. Sono passati da 38mila a 54mila e oggi rappresentano un quarto dei lavoratori. Secondo Luca Albertoni della Camera di commercio occorre una presa di coscienza collettiva. Nel privato, ma anche nel settore pubblico. Da parte sua Stefano Rizzi evidenzia quanto fa il Cantone per sostenere le aziende che assumono lavoratori residenti e Giancarlo Bosisio dell’OCST mette in guardia sulle cifre e sulle responsabilità dei datori di lavoro.

Ticino. Passo indietro a Mosca
di Giuseppe D’Amato - 03/06/2012
La Russia compie un preoccupante passo indietro nella complessa strada del raggiungimento di un’accettabile democrazia post-sovietica e le conseguenze di tale situazione creatasi sono difficilmente ipotizzabili. Il rischio di una lunga fase di imprevedibile instabilità interna è dietro l’angolo.
Autorevoli ambienti occidentali prevedono anche una forte ondata di antiamericanismo negli affari e nella politica internazionale. È bastato sentire, domenica sera, il discorso di Vladimir Putin ai suoi sostenitori – dai pesanti toni patriottici – per avere la conferma che si va verso gelidi rapporti est-ovest.
Ma torniamo al fronte interno. Una delle evidenti novità di queste ore è che rispetto al passato persino il grande sconfitto delle presidenziali, Gennadij Zjuganov, non è stato zitto e ha sparato ad alzo zero contro l’Amministrazione Putin.
Il segretario del Pc, uno dei responsabili indiretti della deriva del sistema politico federale, non avendo permesso la nascita di un partito socialdemocratico come nel resto dell’Europa orientale, ha parlato di un potere “impreparato” alle necessarie “misure impopolari” da prendere nel breve periodo e di “epoca nuova”, che inizia. Una sensazione quest’ultima, a dire il vero, ben diffusa nella popolazione.
Ecco, quindi, una delle ragioni per cui le composite opposizioni, private della partecipazione al voto di dicembre, non hanno intenzione di smobilitare. È iniziata la “fase due”, quella del “dialogo” alla Duma tra i rappresentanti di Putin e i leader del movimento extraparlamentare.
L’obiettivo è di riformare il sistema politico. Tempo per l’accordo: un anno. Poi nuove legislative. Quelle di dicembre saranno ricordate soprattutto per il record di brogli e irregolarità. Nel frattempo le manifestazioni non cesseranno anche perché la società civile si è stufata del “sistema marcio” imperante nel Paese.
La Russia si trova così davanti a una lunga guerra di posizione dagli esiti non scontati e fortemente dipendente dalla situazione economica. In questi ultimi mesi il governo ha speso cifre folli per contrastare la crisi in arrivo dall’Europa e persino la Banca centrale ha preferito non fare previsioni sul corso del rublo nei prossimi sei mesi.
La “battaglia” di Russia pertanto continua, ma con un Vladimir Putin che ha ottenuto quello che voleva, ossia la legittimazione – o quasi – da presidente. Il “leader nazionale” tirerà dritto per la sua strada, ma dovrà scendere a patti.
Nelle ultime ore gli analisti discutono della decisione del presidente uscente Dmitri Medvedev di far riaprire il caso dell’ex oligarca Michail Khodorkovski, arcinemico di Putin, da anni in prigione. La domanda è se questo sia un segnale di apertura o di debolezza. Noi propendiamo per la seconda possibilità considerando i comportamenti storici dei governanti di questo Paese.
Il potere del tandem al Cremlino scricchiola più di quanto si possa pensare all’estero. Lo dimostra l’aggressività dei due domenica sera ai festeggiamenti per la vittoria. Putin e Medvedev temono anche un Occidente apertamente anti-russo, che decida di isolare la Russia. I presupposti (dalla Siria all’Iran) ci sono tutti.

Bozen, oltrepadania. Schützen, niente sfilata anti-alpini
Anullata quella del 24 aprile, ma il 14 marcia per l'autodeterminazione
di Davide Pasquali
BOLZANO. Nuova offensiva degli Schützen, sulla toponomastica e i relitti fascisti. Non però contro l'adunata degli Alpini. Sui nomi, nuova martellante campagna pubblicitaria, sfruttando oltre ai cartelloni, pure i nuovi media come social network e web. Sui relitti fascisti sit in davanti al commissariato del governo, non il 24 aprile come inizialmente previsto, bensì 10 giorni prima. Per non interferire con l'adunata degli Alpini. Contro la cui festa gli Schützen non si oppongono. «Sfiliamo noi, liberi di sfilare anche loro», commenta con inusuale pacatezza il comandante provinciale Elmar Thaler. Che però chiede agli Alpini di dichiararsi ufficialmente antifascisti. «Ci vorrebbe così poco, speriamo lo facciano». TOPONOMASTICA. «Noi - sostiene il Landeskommandant - vogliamo che venga fuori la verità. Non è vero che gli Schützen vogliono togliere tutti i toponimi italiani. I toponimi storicamente cresciuti vanno bene. Sono gli altri nomi, pseudoitaliani, fascisti, inventati da Tolomei, noi quelli vogliamo togliere. Gli altri possono restare senz'altro. Non cambierà niente: là dove c'è la maggioranza italiana, nei paesi, là sicuramente rimarranno anche i toponimi italiani. Già da sempre c'erano». Adesso, «noi puntiamo a che tutti i consiglieri ci pensino ancora una volta a dare il loro voto nella legge sulla toponomastica, di cui è terminata la discussione generale. I consiglieri Svp, soprattutto, dovrebbero votare secondo coscienza e non secondo le direttive del partito». ALPINI. «Facciano quello che vogliono. Non c'è problema. L'unica cosa: loro fanno 
sempre finta di niente. Di cono: non vogliamo fare politica, la nostra è solo
una festa. Però passano davanti a Mussolini, arrivano fino al monumento. Che almeno prendano le distanze. Sarebbe così facile.... Per quanto riguarda l'adunata, che la facciano. È diritto di ognuno. Come facciamo noi qualche festa, la possono fare anche gli alpini. Certo, i disagi ci saranno e forse non era il caso di organizzare un simile evento a Bolzano... Comunque vedremo, speriamo bene». MANIFESTAZIONI. Contro gli alpini si sfilerà? «No. Però ci piacerebbe che il presidente Ana facesse una dichiarazione. Anche io, fino ad adesso, sono sempre stato convinto che gli alpini sono antifascisti. Però, ogni volta che chiediamo una dichiarazione, loro si trincerano dietro il fatto che loro non fanno politica, "noi facciamo solo festa". Ma sono convinto che qualcosa dovrebbero dire. Sarebbe così facile... Altrimenti, prima o poi, il dubbio ti viene, no?». SIT IN. Non ci sarà dunque la marcia di protesta del 24 aprile, per evitare la quale secondo le indiscrezioni sarebbe intervenuta, diplomaticamente, la prefettura. Ci sarà però una marcia per la libertà, dieci giorni prima, il 14 aprile. Non sarà nemmeno una vera e propria marcia. Non passerà davanti ai relitti fascisti. Solo un paio di centinaia di metri, da via Fago al Commissariato. Si darà l'addio all'Italia. Poi i partecipanti si dirigeranno a palazzo Widmann, per chiedere ai politici di intraprendere tutte le vie possibili per iniziare una nuova era. Senza l'Italia. Stavolta retrocedono d'un passo, gli Schützen, ma non demordono. 6 marzo 2012

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