lunedì 21 marzo 2011

Federali-Mattino. 21 marzo 2011. Rien à feter. Il confronto con l'Europa vede la Penisola piazzarsi ai primi posti della classifica dei mammoni o bamboccioni. I meridionali non intendono rinunciare alla tetta dalla quale hanno munto tanto denaro dal Nord. Il 17 marzo una vergona. I cittadini dell’Alto Adige sanno bene che i riferimenti storici e linguistici dei sudtirolesi sono diversi, che la loro identità li porta a guardare altrove, e non c’è da meravigliarsi per questo. Meritano rispetto. E' un inchino, un atto dovuto al suo partito. Quando si combatte per la pagnotta, in questo caso la seggiola, si hanno molte attenuanti.

Forza Oltrepadani:
Bozen. Unità d'Italia: i cittadini sono rimasti soli.
Bozen. I tricolori restano appesi: per protesta.
Bozen. Unità d'Italia: mille bolzanini all'alzabandiera bi-partisan con Holzmann e Spagnolli.
Bressanone. Unità, l'opposizione: «Dimissioni Pd».
Belluno. Cortina. Imprese: «Con le gare di talento diamo una chance ai giovani»
Aosta. Italia sì, Italia no, la guerra dei valdostani.

Bamboccioni padani:
Mantova. Goito, il contestatore leghista contestato a suon di fischi
Verona. L'innovazione per le pmi al «Cenacolo d'Impresa».
Scalata Parmalat, pronta cordata italiana.
Grandi banche in difesa del sistema-Italia

Mammoni italiani:
Crisi, un trentenne su due vive con i genitori


Bozen. Unità d'Italia: i cittadini sono rimasti soli.
di Sergio Baraldi
La celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia ha posto la società altoatesina di fronte ai problemi che ha davanti. E che cosa si scopre? Che italiani e tedeschi, divisi dalla ricorrenza, sono uniti dal medesimo problema: la politica.

Il mondo tedesco non ha partecipato ed era prevedibile. I cittadini dell’Alto Adige sanno bene che i riferimenti storici e linguistici dei sudtirolesi sono diversi, che la loro identità li porta a guardare altrove, e non c’è da meravigliarsi per questo. Meritano rispetto. L’impressione è che molti cittadini tedeschi, soprattutto a Bolzano, abbiano seguito la cerimonia dei 150 anni senza particolare animosità. Anche se alcuni episodi, fanno pensare che in una parte della società tedesca ci sia stata una reazione di diffidenza. In alcuni casi, è scattato il vecchio pregiudizio: se gli italiani tirano fuori le bandiere, ritornano il nazionalismo e il fascismo. Dice il protagonista del film “Tra le nuvole”: “Con lo stereotipo faccio prima”.

Quando si tocca l’identità, nel mondo tedesco c’è chi fatica a guardare ai propri vicini italiani con occhi diversi rispetto al passato. A non sentirsi minacciato E’ un sentimento che riguarda una minoranza, ma di cui si deve tenere conto. A mio avviso, in passato la comunità italiana ha commesso degli errori nel complesso rapporto con la società tedesca. Ed è vero che ci sono stati atteggiamenti di sfida che hanno contribuito a creare un pregiudizio difficile a morire (“Non possiamo fidarci degli italiani”). Ma la nostra comunità oggi è diversa. Basta leggere quello che la gente dice al nostro giornale.

I cittadini non nutrono sentimenti di rivalsa verso il gruppo linguistico tedesco, riconoscono la differenza della maggioranza tedesca, e certo non vogliono trasformare i sudtirolesi in italiani per forza. Ma i cittadini di lingua italiana sentono l’orgoglio per ciò che sono, ricordano che la Repubblica democratica, figlia del Risorgimento, ha lasciato una crescente autonomia al nostro territorio, e sembrano avere una moderata fiducia nella possibilità di costruire un futuro diverso dal passato. Persino sull’autonomia gli italiani stanno cambiando idea. Eppure settori della società tedesca non sembrano averne una percezione adeguata e vi leggono un gesto d’inimicizia. Gli errori del passato giustificano, da soli, questo atteggiamento? Il professore Palermo nel suo interessante articolo spiega che il problema culturale tra le diverse comunità è provare a capire ciascuno come pensa l’altro per potersi riconoscere. E’ certamente vero che questo vincolo psicologico e culturale impedisce una migliore comprensione reciproca. Ma ho l’i mpressione che a questo dato di fondo occorra aggiungere il ruolo negativo giocato della politica, italiana e tedesca. Cosa ha fatto la Svp per cercare di cogliere il nuovo maturato nella comunità italiana? E cosa ha fatto per trasmettere un’idea più esatta dei sentimenti e delle aspirazioni italiane alla sua comunità? Credo poco. Anzi, la politica tedesca ha acuito le divisioni, ha accreditato i vecchi sospetti, ha approfondito i solchi invece che colmarli.

Durnwalder è l’ispiratore di questa linea, ma è raro trovare tra i vertici della Svp delle eccezioni. Il segretario Theiner ha tentato forse di non far cadere su una visione più aperta la pietra tombale della rigidità identitaria, ma poi ha dovuto cedere al suo partito che stava rispondendo al richiamo separazionista. Sta qui l’origine della scelta di Durnwalder d’interpretare il suo ruolo istituzionale a senso unico: non come presidente di tutti i cittadini, ma solo dei “suoi”. E’ lui che dà il via a una gestione parziale, unilaterale delle istituzioni. A Montecitorio nessuno si è accorto che Durnwalder mancava, ma il rispetto istituzionale avrebbe consigliato una scelta diversa. Persino Bossi, il vero “ nemico” dell’unità, ha dato una lezione politica a Durnwalder e ai suoi parlamentari, perché lui e gli altri ministri si sono presentati in Parlamento e valutato positivamente il discorso di Napolitano. Questa frattura peserà. Anche su Durnwalder, che si è rivelato un uomo del passato, che non sappiamo con quale credibilità possa inaugurare la nuova stagione autonomista di cui avremmo bisogno. Tuttavia, perché il vertice della Svp adotta questa linea? Basta la chiave identitaria a spiegare tutto? La Svp non ha avuto scrupoli quando si è trattato di trasformare la politica in contrattazione. L’on. Thaler aveva già traslocato in un altro gruppo “raccogliticcio” per sostenere Berlusconi. Hanno dovuto fermarla per non perdere la faccia, oltre a qualche parlamentare più coerente. La questione vera è che la Svp ha paura. Hobbes diceva che la risposta degli uomini alla paura è il calcolo razionale. E la paura della Svp è essere logorata dalla destra estrema tedesca, di scendere sotto la linea gotica del 50% alle prossime provinciali.

Bozen. I tricolori restano appesi: per protesta. Ancora centinaia di bandiere nei quartieri italiani: «Il 17 marzo una vergona».
di Riccardo Valletti. BOLZANO. La potremmo chiamare la "protesta dei balconi". Centinaia di tricolori rimangono ancora appesi nei quartieri italiani di Bolzano. «Li teniamo su per dare un segnale chiaro - dicono tra Don Bosco ed Europa-Novacella -. Per come siamo stati trattati il 17 marzo». Che le celebrazioni siano stati un flop assoluto non lo mette in discussione nessuno. Al momento di interrogarsi sui perché, le opinioni però si dividono, e spunta anche quel sospiro di rassegnazione rispetto ad una situazione che secondo molti non è destinata a cambiare nel breve periodo. I bolzanini di lingua italiana sentono di aver perso qualcosa il 17 marzo. Qualcuno parla di una mancata occasione per festeggiare liberamente, mentre altri rinfacciano alla politica la mancanza di coraggio per farlo. Nessun soddisfatto, nemmeno tra quelli che incolpano il cattivo tempo, e le colpe, se di colpe si può parlare, sono equamente distribuite all'interno del gruppo italiano.  «Non siamo riusciti a organizzare una festa dignitosa per colpa delle divisioni tra gli stessi italiani - afferma Renato Capon - troppi comitati e troppe strumentalizzazioni hanno fatto in modo che la gente festeggiasse in casa, ciascuno con la sua bandiera». Di tricolori in città se ne vedono ancora centinaia, rimasti appesi ai balconi forse più per protesta che per festeggiare. «Si direbbe - commenta Marta Devaliere - che abbiano fatto il minimo indispensabile per evitare problemi e tenerci buoni, ma forse questo è ancora più vergognoso che non festeggiare». A parlare di poco coraggio è Claudio Vicentini: «La politica ha dimostrato di non averne abbastanza, e i quartieri hanno risposto con le bandiere, io ne ho messa una di due metri». Vicentini non accetta la giustificazione dei toni dimessi per non urtare la sensibilità del lato tedesco «Le celebrazioni dell'unità d'Italia non erano una sfida alla parte tedesca della città. Bisogna finrila con questa storia di bollare come nazionalista che è affezionato al tricolore. Invece, sembrea che ci si debba quasi vergognare a dirsi orgogliosamente italiani». «E anche se poteva infastidire qualcuno - polemizza Giacomino Guerriero, 87 primavere portate alla grande - loro di certo non ci ricambiano la cortesia quando è il turno delle loro marce in pompa magna. Anzi: il sindaco è andato pure alle celebrazioni hoferiane, senza tanta storie». I festeggiamenti "carbonari", come li ha definiti l'ex sindaco Salghetti, dell'Italia unita hanno paradossalmente finito per dividere. «Il problema è nato con il no di Durnwalder - ragiona Domenica Angelini - se prima poteva essere una festa neutrale, da quel momento in poi ha assunto i connotati di uno schiaffo morale alla parte tedesca e quindi è cambiato tutto». In Alto Adige non si può, secondo Domenico Cusato, ‹‹festeggiare il sentimento nazionale senza andare contro la popolazione di lingua tedesca, perché sono loro per primi a sentirsi offesi››. Per questa ragione, continua Angelini, ‹‹festeggiare equivale a contestare, e quindi la gente ha paura delle ripercussioni economiche, delle conseguenze politiche››. È arrivato il momento di accettare, secondo Nicola Centrone ‹‹che qui gli italiani sono una minoranza e che stiamo lontani dal cuore dell'Italia, ma soprattutto che purtroppo rimarrà così ancora per molto tempo››. Forse per i festeggiamenti del bicentenario, prosegue Centrone, ‹‹se nei prossimi cinquant'anni saranno educate le nuove generazioni, le cose andranno diversamente, oggi è troppo presto››. Stiamo ancora pagando, afferma Carlo Garbin ‹‹i danni causati dai nostri nonni››. ‹‹C'è da ringraziare - ironizza Roberto Ghedina - che abbiano permesso di alzarla la bandiera, altro che solo cinque minuti, se facciamo troppo rumore questi ci mandano via›  La rivincita, afferma sarcastico Francesco Sacomano, «ce la prendiamo sul campo di pallone, quando la nazionale vince i Mondiali corrono tutti a sventolare il tricolore davanti alla sede della Svp. Un pò poco».


Bozen. Unità d'Italia: mille bolzanini all'alzabandiera bi-partisan con Holzmann e Spagnolli. BOLZANO. Dopo un 17 marzo festeggiato col freno a mano tirato, centinaia di bolzanini dei quartieri italiani (quasi un migliaio) si sono radunate fra ponte e Roma, Piazza Matteotti e via Aosta, per accogliere la fanfara dei bersaglieri.
Ma il fatto politico più rilevante è stato il festeggiamento trasversale al circolo Gentile che visto uno accanto all'altro il sindaco Spagnolli, il deputato del Pdl Giorgio Holzmann, il vicepresidente della Provincia Tommasini ed esponenti bipartsan da Unitalia a Sel. Centinaia ancora i tricolori esposti sulle case e nei negozi di Don Bosco ed Europa Novacella.

Bressanone. Unità, l'opposizione: «Dimissioni Pd». I consiglieri italiani chiedono ai due assessori di lasciare la giunta. di Tiziana Campagnoli. BRESSANONE. La richiesta non è ancora ufficiale, ma i l'opposizione di lingua italiana, da Stablum a Bova e Bessone, affermano che se il Pd non è in grado di rappresentare il gruppo linguistico italiano - e il riferimento è alle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia - dovrebbe farsi da parte.  «Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati è inutile - dice Dario Stablum - i compleanni vanno festeggiati alla giusta scadenza e di fronte alla situazione che si è determinata non dobbiamo elemosinare nulla. Mi riferisco ai 2-3 mila euro che il sindaco vuole concedere ora per il concerto. Se Pedron e soci non hanno un minimo di orgoglio nazionale e non se la sentono di garantire pari dignità tra i gruppi linguistici se ne vadano dalla giunta. La verità è che ai rappresentanti del Pd non interessa nulla della questione politica locale e che sono proprio loro, con un irresponsabile modo di fare, ad alimentare la conflittualità tra i gruppi e ad alzare muri. Una cosa è certa - conclude Stablum - Questi rappresentanti non li abbiamo votati né noi, né gli italiani che vogliono una convivenza reale e condivisa".  Stesso attacco da parte del consigliere di Uniti per il centrodestra Antonio Bova: «Se Pedron fosse stato veramente interessato, come assessore alla cultura italiana, avrebbe organizzato una manifestazione degna di questo nome, pretendendo il 25% di tutti i contributi stanziati nel 2009 per eventi come la celebrazione di Andreas Hofer e per il gemellaggio - spiega Antonio Bova - Quindi, su un totale di 115 mila euro, almeno 25 mila euro li avrebbe dovuti ottenere e mettere a bilancio. Cosa che non è accaduta. Il sindaco Pürgstaller, poi, ha anche lui delle responsabilità. Il primo cittadino di Terlano, cittadina a prevalenza tedesca, ha infatti organizzato l'alzabandiera come segno di rispetto nei confronti di tutti i suoi cittadini, italiani e tedeschi. Pürgstaller, invece, concede 2-3 mila euro per un concerto che ne costerà 20 mila e si svolgerà a maggio. Una cosa assurda, se si pensa che con questi soldi il Comune avrebbe potuto organizzare non uno ma più eventi in tutto il 2011, senza ignorare una data importante come quella del 17 marzo».  Bova conclude attaccando duramente Gianlorenzo Pedron: «Come si permette il vicesindaco di dire che se ci fosse stato l'alzabandiera ci sarebbero state quattro persone? Non sarebbe stato così, ma anche se in pochi meglio sarebbe stato meglio del niente, svendendo la dignità di chi si sente cittadino italiano. Il Pd aveva promesso un cambiamento rispetto alla politica di Stablum, ma purtroppo le cose sono peggiorate. Se Pedron non riesce a rappresentare i cittadini italiani la conclusione è una: faccia un passo indietro e si metta da parte».  Leghista con opinioni in controtendenza rispetto ai "suoi", il consigliere comunale Massimo Bessone (che in aula compone un unico gruppo con Bova): «Ignorare il 17 marzo è stato scandaloso, e parlo da italiano - spiega Bessone - Per eventi come l'anniversario di Hofer o il gemellaggio con Ratisbona non si è badato a spese, mentre per i 150 anni dell'unità non si è pensato neanche ad un evento, anche piccolo, che riunisse tutti, italiani e tedeschi. Non sarebbe stata una provocazione nei confronti del gruppo tedesco, anzi. Una manifestazione condivisa avrebbe unito le persone e allo stesso tempo sarebbe stato un segno importante di rispetto nei confronti degli italiani che qui ci vivono. Il sindaco non è il sindaco di tutti, e Pedron, che non ha fatto nulla per timore del muro contro muro, si è fatto mettere i piedi in testa. Il Pd si è svenduto e ha svenduto gli italiani. E la gente - conclude Bessone - è molto arrabbiata». 


Belluno. Cortina. Imprese: «Con le gare di talento diamo una chance ai giovani»
CORTINA. Il Meeting degli Industriali “junior” che tra un mese eleggono il nuovo presidente
Pedrollo: «L'iniziativa va: già finanziati tre innovativi business-plan». Roberta Paolini
CORTINA D'AMPEZZO (BL)
«Nonostante tutto…Impresa», l'annuale Meeting dei Giovani di Confindustria, ieri a Cortina, ha ragionato sul coraggio degli imprenditori, che a dispetto di tutto ciò che sta avvenendo non si arrendono e non hanno perso la voglia di competere. Giulio Pedrollo, presidente dei Giovani industriali del Veneto spiega: «Abbiamo scelto di vederci a Cortina, quest'anno, in prossimità della festa per i 150 anni dell'Italia, perché crediamo che sia simbolico del nostro voler andare oltre, guardando al futuro, a quello che le imprese possono fare per restituire orgoglio, competitività, crescita al nostro Paese».
FAVORIRE LA NASCITA DI NUOVE IMPRESE. Al centro della giornata la ricerca della ricetta che consenta all'Italia di rendere ancora possibile la voglia di fare impresa. Pedrollo definisce una road map che conduca al rinnovamento. «La formazione e l'Università sono al centro del programma. Il nostro ruolo di giovani imprenditori è quello di orientare. Su questo vogliamo essere sempre più incisivi con i giovani, avvertendoli che dalla scelta della laurea dipende anche il proprio futuro. Ogni anno le imprese hanno bisogno di 100 mila profili introvabili. Significa che i giovani devono saper scegliere bene il proprio percorso di studio». E poi l'imprenditorialità sarà un'altra parola d'ordine. Aggiunge Pedrollo: «Vogliamo e possiamo dare una possibilità ai giovani. Lo stiamo facendo a livello locale con delle gare di talento: mettiamo davanti ad una platea di potenziali investitori cinque giovani che in un breve intervallo devono essere in grado di presentare la propria idea ed il relativo business plan. Così siamo riusciti a dar vita a tre nuove imprese molto innovative e intendiamo portare questo modello a livello nazionale. Cercando di rendere questa iniziativa più organica».
L'ELEZIONE DEL NUOVO PRESIDENTE. Con ieri è partita la fase più dura della campagna per il rinnovo dei vertici nazionali dei Giovani. Al Meeting c'erano tutti e tre i candidati in gara per succedere a Federica Guidi. Si sfidano il toscano Jacopo Morelli, attuale vice della Guidi, e il ticket con il veneto Jacopo Silva e il piemontese Davide Canavesio. Il nuovo presidente sarà eletto il 29 aprile. Morelli sforna cifre auto-affermandosi in vantaggio: «Sono 134 voti in mio favore contro gli 87 che ha Canavesio. Il Trentino è al momento neutrale, ma già l'abbiamo conteggiata in favore di Canavesio-Silva». A ribattere all'ottimistica previsione è il padovano Silva: «È triste vedere come ci si riduca a volte a fare come i politici. In questo momento non esistono maggioranze o vantaggi: si vedranno al voto. Comunque, se vogliamo restare ai numeri, per quello che valgono al momento, da quanto risulta a noi a "ballare" sono una ventina di preferenze su 225. Quindi siamo in pareggio al momento». Per Silva-Canavesio ci sono Piemonte, Veneto e Trentino. Per Morelli, Toscana, Liguria e Lombardia.
GUIDI: LE PRIORITÀ PER LE IMPRESE. Su cosa dovrà fare l'Italia per diventare un Paese "accogliente" per le imprese è poi intervenuta Federica Guidi. Tra le priorità tracciate «la necessità di far partire investimenti pubblici nelle infrastrutture che sfruttino la tecnologia delle pmi», poi «la riforma fiscale e la necessità di pensare finalmente al problema della flessibilità in uscita. C'è un testo sulla flexicurity del senatore Ichino che andrebbe preso in considerazione». Antonio Costato, vicepresidente nazionale di Confindustria, ha invece ribadito che il federalismo sarebbe attuabile già in Veneto e Lombardia». Riguardo all'austerity di Tremonti ha preconizzato:« I tagli lineari continueranno. È inevitabile, noi siamo un Paese commissariato».

Aosta. Italia sì, Italia no, la guerra dei valdostani. Casa Pound contro la conferenza di Esprit Valdôtain. Saint - Christophe - Esprit Valdôtain con un incontro pubblico spiega perché non festeggia l’Unità d’Italia, mentre Casa Pound fa un picchetto fuori dalla porta. Entrambi sostengono che bilinguismo è strumentalizzato dalla politica. Pierre Lexert: "siamo un’etnia minacciata". Chi sono i veri valdostani oggi? Ognuno ha la sua risposta. Ne hanno una i simpatizzanti di Esprit Valdôtain, l’associazione culturale che ieri sera ha organizzato una conferenza dal titolo significativo, “150 ans... rien à feter”.  Ne hanno una anche i militanti di Casa Pound, che hanno presidiato l’ingresso della biblioteca di Saint Christophe, dove si svolgeva l’incontro, muniti di bandiere e di un grande striscione con su scritto “150 anni di sangue e di eroi”. Ne hanno sicuramente una anche tutti coloro che non erano lì, valdostani pure loro. “Siamo qui per affermare la nostra identità millenaria di italiani, contro un autonomismo di facciata e un impiego della lingua francese inesistente e strumentalizzato dal punto di vista politico” ha sostenuto un attivista di Casa Pound, che ha preferito restare anonimo. Nella sala conferenze della biblioteca, intanto, prendevano posto gli oratori, trai quali c’erano tre invitati speciali: Pierre Lexert, Patrick Bertoni e Lorenzo Del Boca. Curiosamente, anche loro hanno deplorato, in lingua francese, però, “l’autonomismo di facciata”, e hanno definito l’impiego della lingua francese inesistente e strumentalizzato dalla classe politica.
La premessa è la medesima, ovvero che il bilinguismo perfetto, secondo cui l’italiano e il francese avrebbero pari importanza, è una chimera, ma cambiano i presupposti e soprattutto gli obiettivi. In Valle d’Aosta, sostiene Esprit Valdôtain, il francese, soppiantato dal fascismo, e poi dall’immigrazione interna, avrebbe ricevuto il colpo di grazia da parte di una classe politica ostile alla lingua degli avi.

Il terrorismo culturale italiano
Se il gruppo assiepato fuori dalla biblioteca poteva essere a giusto titolo definito “nostalgico”, chi stava dentro l’edificio non era da meno, anche se faceva riferimento non al ventennio, ma ai secoli di autonomia linguistica prima dell’Unità d’Italia. Un’epoca conclusasi bruscamente, ha ricordato Pierre Lexert, storico e intellettuale franco-valdostano: “La Valle d’Aosta, che aveva alle spalle 1400 anni di non –italianità si è ritrovata in Italia dall’oggi al domani, e si è travestita da regione italiana” E’ come prendere una bottiglia di Borgogna e attaccarci un’etichetta con su scritto Chianti, cambia il nome, ma il vino è lo stesso”.  E’ un po’ quello che è successo in Savoia, ha spiegato il giornalista transalpino Patrick Bertoni. “L’annessione alla Francia è stata estorta con mezzi anti-democratici, è stato un matrimonio forzato. Ma la storia la scrivono i vincitori, purtroppo, e così le giovani generazioni savoiarde non ne sanno quasi nulla”.
La Valle d’Aosta non se la passerebbe meglio, anzi. La diffusione del francese si è affievolita sempre di più. “Negli uffici pubblici devo spiegare come si scrive il mio nome, e se mi esprimo in francese vengo derisa e ignorata. Subiamo ogni giorno il terrorismo culturale degli italiani” spiega Patrizia Bérard, moderatrice della serata. Altro che “maîtres chez-nous”. E’ Pierre Lexert, però, a sdoganare chiaramente il termine “etnia”, definendo le tre componenti demografiche principali della regione autonoma: i valdostani, gli italiani e i “misti”. Solo i primi parlano francese, o per lo meno lo parlerebbero, se fossero meno soggetti al colonialismo culturale imperante: “I nostri insegnanti di francese – ha affermato - sono italiani. Chi studia la lingua francese lo fa solo per lavorare in regione, e poi se la dimentica immediatamente. I veri valdostani francofoni, invece, si ostinano a parlare un francese approssimativo, e spesso vengono superati dagli italiani nei concorsi pubblici. Motivo per cui poi se la prendono con il bilinguismo. L’unica soluzione possibile era da attuare per tempo: creare due filiere scolastiche distinte, una francese e una italiana, come hanno fatto in Alto Adige. Ma ormai è troppo tardi”. 

Controstoria del Risorgimento
Quanto allo storico ed ex presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Lorenzo del Boca, si è espresso in italiano per raccontare l’unificazione dell’Italia, argomento di due suoi libri. “La verità non ha colore, né tricolore, e il revisionismo, inteso come ricerca di documenti e restituzione del diritto di parola anche ai vinti, è legittimo e doveroso” è stata la premessa, che forse non sarebbe dispiaciuta ai militanti di Casa Pound in attesa fuori dalla porta. “Non capisco la foga con cui si parla di Italia, soprattutto da parte di esponenti della sinistra come Bersani e la Finocchiaro, che tifavano Urss. Tutto ciò che oggi ci fa infuriare ha un padre e una madre, Vittorio Emanuele II e Cavour  - ha sostenuto l’autore di “Polentoni: come il Nord è stato tradito”.

“Oggi ci si indigna per cose che sono avvenute anche in passato. Cavour approvava leggi a proprio vantaggio, non l’abbiamo mica inventato oggi il conflitto di interessi. Sempre Cavour non esitò a silurare D’Azeglio e a formare un governo con Rattazzi, acerrimo nemico del proprio schieramento, ma adesso diamo del voltagabbana a Domenico Scilipoti, dipietrista che ha salvato il governo Berlusconi. Infine – ha concluso - nel 1905 Cavour ha aderito alla Guerra di Crimea, che è costata la vita di 1500 bersaglieri, per potersi sedere al tavolo dei vincitori, e noi lo definiamo comunque un grande statista. Lo stesso tipo di ragionamento portò Mussolini ad trascinare l’Italia in guerra attaccando la Francia. Insomma, nell’esprimere valutazioni storiche usiamo due pesi e due misure”. Con questi arditi parallelismi è calato il sipario sulla serata. di Elena Tartaglione 20/03/2011

Mantova. Goito, il contestatore leghista contestato a suon di fischi
E' stata liquidata con i fischi, l'uscita dell'assessore Remo Pagani che nel consiglio comunale di Goito sul 150º ha attaccato un deputato, l'Unità d'Italia e il Sud. Parole su cui indagano i carabinieri. GOITO. Festeggiamenti che continueranno per tutto l'anno, ma anche contestazioni dei leghisti rispediti al mittente con il suono inequivocabile dei fischi. Goito, roccaforte del Risorgimento, si prepara a un 150º ricco di appuntamenti e manifestazioni. Per presentarle è stato convocato un consiglio comunale aperto in teatro. L'assessore all'istruzione Remo Pagani ha letto una lettera in controtendenza dai toni molto pesanti. Tanto che ora verrà esaminata dai carabinieri.

Le parole di Sante Bardini di Cerlongo lette dall'assessore Pagani verranno vagliate per verificare se contengano insulti a qualche carica istitizionale o se si configurino reati più gravi. Traendo spunto da alcune riflessioni manifestate pubblicamente dal presidente del consiglio comunale Pietro Marcazzan sul valore dell'Unità nazionale, Pagani ha dichiarato che questi festeggiamenti non erano condivisi allo stesso modo da tutti i cittadini, sottolineando che sul tema vi sono varie sensibilità politiche e storiche di cui l'amministrazione deve tenere conto.

«Il suo è un inchino, un atto dovuto al suo partito - ha poi detto a nome di Bardini riferendosi al presidente del consiglio comunale, appartenente all'Udc e in corsa per la presidenza della Provincia - Quando si combatte per la pagnotta, in questo caso la seggiola, si hanno molte attenuanti».

Nel Bardini-pensiero espresso dall'assessore si è arrivati a definire i comportamenti dei meridionali «tesi a lucrare i vantaggi di una sempre invocata assistenza dagli ampi risvolti clientelari», aggiungendo che «non intendono rinunciare alla tetta dalla quale hanno munto tanto denaro dal Nord».

Il sindaco Anita Marchetti si è immediatamente dissociata dal contenuto della missiva (che tra l'altro era indirizzata al vicesindaco leghista Ugo Coffani), dicendosi «orgogliosa dei bersaglieri».

All'indirizzo del Carroccio si sono levate contestazioni dai presenti e alcuni hanno preferito abbandonare l'assemblea. Marcazzan, che al momento dell'Inno si era messo una mano sul cuore, ha ribadito l'orgoglio di appartenere ad un'Italia indivisibile, ricevendo acclamazioni e solidarietà. Daniele Carozzi, consigliere nazionale dell'Associazione Bersaglieri, ha ammesso di non essersi allontanato solo per rispetto verso il primo cittadino.

Verona. L'innovazione per le pmi al «Cenacolo d'Impresa». Nuovo appuntamento giovedì del «Cenacolo dell'Impresa», l'iniziativa del gruppo Piccola di Confindustria Verona, dedicato all'innnovazione e al cambiamento delle piccole e medie imprese.
Un tema che verrà trattato nell'incontro in programma alle 18 all'hotel Caesius di Bardolino, sul lago di Garda attraverso due importanti testimonianze aziendali di successo.
Interverranno all'appuntamento Diego Caron, presidente di Caron A&D Srl nonché presidente della Piccola Industria di Confindustria Vicenza e Fausto Ceolini, manager che ha recentemente conseguito la «Black Belt» in Lean-SixSigma.
Come consuetudine per i «Cenacoli», si legge in una nota di Confindustria Verona, «sarà utilizzato un linguaggio semplice e un approccio pratico, poiché si vuole dare l'occasione agli imprenditori di sentire dalla viva voce di testimoni di azienda quali sono gli indirizzi che offrono le nuove tecnologie, i nuovi modelli ed i nuovi processi di cambiamento e di innovazione».
Franco Miller, presidente della Piccola Industria di Confindustria Verona si dice «molto soddisfatto per la buona riuscita del primo incontro, sintomo che l'argomento è di grande interesse. Ora è necessario approfondire il tema dell'innovazione per scoprire tutte le opportunità e i benefici per ogni azienda. Senza la capacità di rigenerarsi con nuovi progetti», dice ancora Miller, «si ha di fronte a sé un futuro incerto; lo scopo dei nostri incontri è quello di aiutare gli imprenditori a "sognare" il loro futuro e fornirgli i principi per realizzarlo».
Il Cenacolo, che vede la collaborazione di Veneto Banca in qualità di sponsor, proseguirà, poi, con altri 3 appuntamenti itineranti sul territorio.
I posti disponibili sono limitati, precisa la nota di Confindustria Verona, la partecipazione è gratuita e le adesioni sono aperte anche ai piccoli imprenditori anche non associati a Confindustria Verona.

Scalata Parmalat, pronta cordata italiana. Parmalat è al centro di uno scenario industriale, che sta facendo convergere l’attenzione non solo delle alte sfere della finanza, ma persino della politica. Il colosso alimentare francese Lactalis, già proprietaria di marchi italiani come Galbani e Invernizzi, vorrebbe scalare la Parmalat, forte del suo già 14,28% delle azioni nel gruppo italiano. A questa ipotesi si sta contrapponendo una cordata italiana, organizzata dall’ad Intesa, Corrado Passera, alla ricerca di soci da mettere insieme, per fare rimanere Parmalat italiana. Intesa ha già un 2,4% in Parmalat, senz’altro una quota molto inferiore alla francese Lactalis, ma in questi ultimi giorni pare che Passera stia convincendo il gruppo Ferrero (quello della nutella, per capirci), a partecipare alla scalata italiana, forte dei suoi 6 miliardi di euro di fatturato all’anno.

Non si sa ancora se Ferrero parteciperà più per motivo finanziari, oppure se vorrà effettuare una strategia di tipo industriale, creando un gruppo alimentare italiano, che diventerebbe un colosso mondiale.

Sta di fatto che sembra riscuotere successo ed entusiasmo la mossa di Intesa, apprezzata anche dal Ministro Romani, il quale ritiene giusto trattenere in Italia un grande marchio come Parmalat, non per motivi di protezionismo, ma perchè sarebbe ingiusto che un marchio del genere possa essere acquisito da un gruppo straniero, magari al solo fine di trasferire all’estero il know-how, chiudendo battenti in Italia.

Grandi banche in difesa del sistema-Italia
di Alessandro Graziani
MILANO - Per salvare Fondiaria-Sai, UniCredit si appresta a varare un'operazione da 170 milioni per rilevare parte dei diritti di opzione di Premafin e sottoscrivere fino al 7% della compagnia assicurativa (che poi, a valle, ricapitalizzerà la controllata Milano Assicurazioni) sostituendo i francesi di Groupama, che ormai hanno abbandonato il campo. Per il momento, senza il supporto nè di Mediobanca (bloccata dai vincoli Antitrust) nè di Intesa Sanpaolo (anche'essa potezialmente in conflitto, per i vincoli assicurativi derivanti dall'essere il più grande polo bancassicurativo domestico).

Ma sul versante Italia-Francia è grande anche l'impegno di Intesa Sanpaolo sul fronte Parmalat, dove è al lavoro per una cordata italiana che fermi l'avanzata dei francesi di Lactalis. Intesa potrebbe collaborare con Mediobanca se davvero entrerà in gioco Ferrero, candidato partner industriale della nuova Parmalat (interessata a dialogare con Granarolo per creare un maxi-polo italiano nel settore dei derivati del latte). E poi il caso Telecom. In fase di rinnovo dei vertici, si è registrata un'unanimità di vedute tra UniCredit e Mediobanca (nel comitato nomine) e poi tra Piazzetta Cuccia e Intesa nel board di Telco.

Ma anche su Edison, contesa dai francesi di Edf, c'è un filo comune che unisce le banche italiane. Si profila dunque, per la prima volta da molti anni e nei limiti dei vincoli Antitrust, un dialogo di sistema tra le prime tre grandi banche italiane? Più che una certezza, per il momento sembra trattarsi di un auspicio. Assai gradito dal ministero dell'Economia guidato da Giulio Tremonti, pronto a scendere in campo per difendere l'italianità delle aziende strategiche per il sistema Paese. Sistema che è difendibile non con blindature fuori dai tempi, ma solo con operazioni di mercato (meglio, se garantite da normative analoghe a quelle di altri Paesi). E per questo, proprio in queste ore, sono in corso discussioni tra le principali banche italiane (Intesa, UniCredit, Mediobanca) dall'esito non scontato.

Rispetto alle divisioni di anni fa, c'è oggettivamente un clima diverso. Senza andare indietro nel tempo alle grandi divisioni del 1999 all'epoca dell'Opa Telecom, o alle successive fratture determinate nel primo round della vicenda Edison-Edf, anche nell'ultimo decennio le grandi banche si sono spesso mosse in campi avversi. È solo nell'ultimo biennio, nel post-crisi, che la rivalità ha lasciato lo spazio alla collaborazione. Raramente a tre, più spesso a coppie. Con UniCredit-Intesa Sanpaolo a braccetto su vari dossier (da Zaleski a Zunino, da Aedes a Safilo) e con un asse UniCredit-Mediobanca che regge e si consolida. Meno frequente, invece, la collaborazione tra Intesa Sanpaolo e Mediobanca, "antrpologicamente" divise da una diffidenza che risale ai tempi di Enrico Cuccia, e che è proseguita con il passaggio della Comit a Intesa (concordata a patto che Piazza della Scala cedesse le quote di Mediobanca, evitando ogni collegamento diretto).
Oggi, tuttavia, il clima sul fronte operativo è cambiato – complice la crisi che richiede di trovare sempre più spesso soluzioni di sistema condivise – e anche tra Intesa e Mediobanca non sono mancate le occasioni di collaborazione. «In Italia fare sistema è ancora molto difficile, ma nel mondo bancario si sta migliorando», commenta un autorevole banchiere. Il rischio non è tanto che questa o quell'impresa passi in mani estere, ma che intere filiere produttive o distretti industriali spariscano. Per le banche, oltrechè una questione di responsabilità, è anche e soprattutto interesse difendere un sistema che porta ricavi al conto economico. In definitiva, due grandi banche domestiche come Intesa Sanpaolo e UniCredit funzionano se l'intero sistema-Paese regge. Lo stesso vale per Mediobanca, che pure è concentrata più sui large corporate.
Ecco perchè, pur tra mille diffidenze e difficoltà, le tre grandi banche stanno tentando una non facile collaborazione. Sul versante Parmalat, per esempio, fino a poche ore fa non sono mancate visioni fortemente differenziate, anche perchè i francesi di Lactalis, in prima battuta, pare che abbiano bussato alle porte di Mediobanca. Ma dopo il coinvolgimento della italiana Ferrero, ora esiste una reale chance di collaborazione tutta italiana a difesa del settore alimentare italiano, con UniCredit pronto ad aggregarsi in fase di finanziatore.
20 marzo 2011

Crisi, un trentenne su due vive con i genitori
Tra le motivazioni le difficolta' nel trovare un lavoro sufficientemente remunerativo e una abitazione. 20 marzo, 15:38. ROMA  - In Italia quasi le metà degli uomini (47,7%) tra i 25 e i 34 anni abita ancora con i genitori, una quota tra le più alte registrate tra i Paesi del Vecchio Continente. Va invece un po' meglio per le donne, anche se la percentuale rimane elevata (32,7%), ma il confronto con l'Europa vede sempre la Penisola piazzarsi ai primi posti della classifica dei "mammoni" o "bamboccioni". E' quanto riporta il primo numero dell'Osservatorio Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), pubblicato in questi giorni, nell'articolo di Monya Ferritti 'I Millenials e il lavoro', che fa riferimento ai dati Eurostat del 2008. Guardando all'Eurozona, l'Italia si piazza quinta nella graduatoria maschile e sesta in quella femminile.

Il fenomeno della permanenza di un individuo con oltre 25 anni nella famiglia di origine, si legge sempre nell'articolo, "é sempre più marcato" e costituisce per l'Italia "un nodo critico importante". Basti pensare che nella vicina Francia, le quote dei ragazzi tra i 25 e i 34 anni ancora a casa dei genitori sono molto più basse (13% per gli uomini e 8% per le donne). Per non parlare della Danimarca (2,8% e 0,5%) e, in generale, dei Paesi scandinavi. Per l'autrice sono diversi i fattori che rallentano l'uscita dei giovani dalla casa dei genitori. Tra le motivazioni principali, però, si ritrovano sicuramente gli ostacoli posti dal mercato del lavoro e da quello abitativo. Più in particolare, da una parte la partecipazione all'attività produttiva è rallentata da una formazione più lunga e dall'altra i giovani 'millenialis', 18 anni compiuti dopo il 2000, che "entrano nel mondo del lavoro trovano una situazione molto diversa da quella delle generazioni precedenti. Si è, infatti, irrobustita la barriera in ingresso e la domanda di lavoro è spesso instabile".

SOLO 41,5% GIOVANI DISPOSTO A QUALSIASI LAVORO - Solo il 41,5% dei giovani tra i 18 e i 29 anni si dice disponibile ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, una quota che scende al 18% per i laureati. E' quanto riporta nel suo primo numero l'Osservatorio Isfol, pubblicato in questi giorni, nell'articolo di Monya Ferritti 'I Millenials e il lavoro', che riprende i risultati dell'indagine Isfol-Plus 2008 (Partecipation Labour Uneployment Survey). Inoltre l'analisi rileva che quasi il 29,1% rifiuterebbe una proposta che prevede il trasferimento. Non a caso, si legge sempre nella rivista, su dieci under 30 che hanno ricevuto un'offerta, nei 30 giorni precedenti alla rilevazione, quattro hanno rifiutato.

DA AZIENDE STRANIERE PIU' RISORSE PER FORMAZIONE MANAGER - Il 2010 segna una tenuta dei budget per la formazione rivolta ai manager rispetto alla caduta dell'anno precedente. Ciò nonostante, mentre il 30,8% delle multinazionali con sede in Italia ha aumentato i budget, e sono ben il 35,3% quelle con sede centrale all'estero che prevedono una crescita delle risorse, tra le imprese nazionali solo il 21,2% ha fatto altrettanto. E' quanto riporta il primo numero dell'Osservatorio Isfol nell'articolo 'Il sistema della formazione manageriale oltre la crisi' di Elio Borgonovi, Salvatore Garbellano e Mauro Meda. I risultati arrivano da un'indagine condotta dall'Associazione italiana per la formazione manageriale (Asfor) denominata 'Osservatorio Learneng' (svolta tra il settembre del 2009 e il giugno del 2010).

BOOM DOMANDE SOSTEGNO E BONUS IN 2009, +17% A 6,9 MLN - Quasi 6,9 milioni di dichiarazioni presentate nel corso del 2009, nel pieno della crisi, per richiedere prestazioni agevolate: dall'assegno per nuclei familiari con almeno tre figli, all'assegno di maternità per le madri prive di assicurazione, dalle borse di studio al bonus elettrico e alla carta acquisti, dai libri agli asili nido. Sono i numeri contenuti nell'ultimo rapporto Isee 2010 (l'Indicatore della situazione economica equivalente), della Direzione generale per l'inclusione e i diritti sociali del ministero del Lavoro e delle politiche sociali realizzato in collaborazione con il Cer (Centro Europa Ricerche) e l'Inps. Numeri record: i 6,9 milioni di cosiddette Dsu, Dichiarazioni sostitutive uniche - sottoscritte per accedere a prestazioni, servizi sociali o assistenziali, a livello nazionale o locale, in rapporto alla situazione economica - sono state un milione in più rispetto al 2008, segnando una crescita che sfiora il 17%. Da quando è stato istituito l'Isee - evidenzia il rapporto - si tratta della cifra più alta e di uno dei maggiori incrementi in termini assoluti del numero di dichiarazioni presentate (solo nel 2004 si era avuta una crescita maggiore). E la popolazione Isee, considerando gli individui coinvolti, supera così i 17 milioni, con un incremento sul 2008 del 10,5%. Il Sud primeggia e in sole quattro regioni - Sicilia, Campania, Puglia e Calabria - si concentrano più della metà delle dichiarazioni, con 3,5 milioni di domande sottoscritte. (ANSA).

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