lunedì 21 marzo 2011

La Libia paga un prezzo alto per la libertà

Di Susanne Schanda, swissinfo.ch
Potere e tirannide sono i temi dominanti nei libri di Ibrahim al-Koni. Lo scrittore libico, che vive da anni in Svizzera, è appena tornato da un viaggio nel suo paese d’origine. «La Libia era matura per la rivoluzione», dice.




Cresciuto nelle ampie distese del deserto libico, Ibrahim al-Koni vive oggi ritirato ai margini delle Alpi svizzere. Concede raramente interviste e non vuole esprimersi su temi politici. Si considera uno scrittore, non un politico o un attivista. Ciò che ha da dire, ripete spesso, sta nei suoi libri.
Ora però il vento di rivoluzione nel mondo arabo e la repressione violenta scatenata da Gheddafi contro la popolazione civile lo hanno indotto ad abbandonare le sue riserve. «Ero in Libia, in visita da mio fratello ammalato, quando in Tunisia il venditore di verdure Mohammed Bouazizi si è dato fuoco e sono iniziate le prime manifestazioni contro il regime», racconta a swissinfo.ch.
Dall’osservatorio libico, al–Koni ha seguito con attenzione le rivoluzioni in Tunisia e in Egitto. Non si è stupito che la scintilla della rivolta abbia raggiunto anche la Libia: «La Libia era matura per la rivoluzione». Il giorno prima dell’inizio delle proteste, il 15 febbraio, è ripartito per la Svizzera.
Al-Koni non è stupito del coraggio dei suoi compatrioti. La popolazione libica è pacifica, tollerante e paziente, dice, ma dopo 42 anni di dittatura la pressione è diventata troppo grande. «Quando i libici hanno visto i loro vicini tunisini ed egiziani abbattere i loro dittatori si sono resi conto che neppure Gheddafi è invincibile».
La rivolta contro il regime di Gheddafi suscita però nello scrittore sentimenti contrastanti: «Mi rallegro del fatto che le persone combattano con tanta forza di volontà contro la dittatura, ma sono molto triste per le violenze. La popolazione sta pagando un prezzo molto alto per la libertà».

Deluso dalla rivoluzione di Gheddafi
Da decenni la vita culturale e intellettuale della Libia si limita a piccoli circoli privati. Il regime di Gheddafi ha impedito ogni libertà di stampa. In Occidente la letteratura libica è poco conosciuta, Ibrahim al-Koni è uno dei pochi autori libici tradotti anche in italiano.
I suoi libri sono ambientati nel deserto, il potere e la tirannia sono i suoi temi dominanti. Non è un caso: cresciuto in una tribù tuareg nel deserto libico, al-Koni era un giovane giornalista attivo a Tripoli quando Gheddafi ha preso il potere nel 1969.
«Siamo rimasti presto delusi della cosiddetta rivoluzione promessa da Gheddafi. Ho avuto molti conflitti con il regime e mi sentivo minacciato», racconta. Per questo nel 1970 è andato in Unione sovietica. Dopo gli studi letterari all’Istituto Gorki di Mosca ha lavorato come giornalista a Varsavia e a Mosca. Nel 1993 si è stabilito in Svizzera.

Fuga dalla tirannia
Nei suoi romanzi, lo scrittore libico trasferisce i temi del potere e della tirannia su un piano metaforico. Nel romanzo «Il tumore» (non tradotto in italiano), al-Koni racconta la vicenda di un sovrano ossessionato dal potere, che vive in un’oasi nel deserto.
Il corpo del sovrano e il suo vestito crescono l’uno nell’altro, diventando tutt’uno. Il sovrano sa che quando dovrà restituire l’abito, dovrà strapparsi la pelle di dosso e morire. Perciò si difende con violenza brutale. Per lo scrittore, il romanzo non è solo una metafora della dittatura libica, ma anche una riflessione filosofica sul desiderio di potere dell’uomo.
Ibrahim al-Koni ha ricevuto numerosi premi per la sua opera letteraria, tra cui nel 1996 anche il premio di stato libico per l’arte e la cultura. La fama internazionale gli ha garantito una certa protezione nel suo paese. «Il regime mi ha rispettato», dice, anche se ritiene di essere sempre stato sorvegliato dai servizi segreti durante le sue visite in Libia.
Negli ultimi anni il figlio di Gheddafi, Seif al-Islam, ha suscitato fra la popolazione la speranza di maggiori libertà e di una modernizzazione del paese. «Gheddafi padre ha però fatto fallire questo progetto, perché riteneva superflue le riforme. Per l’Europa era in ogni caso tornato ad essere frequentabile», osserva Ibrahim al-Koni.
Susanne Schanda, swissinfo.ch
(Traduzione e adattamento dal tedesco, Andrea Tognina)

Libia: un attacco giustificato ma dall'esito incerto
Di Armando Mombelli, swissinfo.ch
I bombardamenti delle forze alleate contro le truppe di Gheddafi sono giustificabili per proteggere la popolazione libica e sostenere lo slancio di rivolte nei paesi musulmani, afferma la stampa elvetica. Molti commentatori sono tuttavia scettici sulla conclusione di questa operazione militare.
"Otto anni dopo l'invasione delle truppe internazionali in Iraq e dieci anni dopo l'intervento in Afghanistan, un presidente americano ha ordinato un nuovo attacco ad un paese musulmano", osserva il Tages Anzeiger, rilevando come, a differenza di George W. Bush, Barack Obama può contare "su una vera coalizione, inclusa la Lega Araba, e su una chiara risoluzione delle Nazioni unite".
Secondo il giornale zurighese, a dirigere l'operazione contro la Libia è in realtà la Casa Bianca, benché l'amministrazione americana continui ad affermare che la guida si trova nelle mani degli alleati. "I missili diretti contro Muammar Gheddafi e le sue istallazioni militari non sono partiti dagli arsenali del presidente francese Nicolas Sarkozy, ma dalle corazzate e dai sottomarini americani".
"Come il suo predecessore, anche Obama si muove con lo stile di un presidente imperatore: il Congresso non solo non ha autorizzato questa operazione militare, ma non è stato neppure consultato", annota ancora il Tages Anzeiger, chiedendosi quale sarà ora l'esito di questo attacco. "Se questa manovra militare avrà successo in poco tempo, Obama verrà festeggiato come vincitore e difensore dei diritti umani in Nordafrica. Altrimenti rischia di essere paragonato a George W.Bush, la cui guerra in Iraq è diventata ben presto incontrollabile e ha danneggiato la sua presidenza".

Manca un concetto
Anche la Basler Zeitung si chiede, come si concluderà questo intervento. "Cosa succederà, se i bombardamenti non riusciranno a far crollare il regime libico? Non è possibile negoziare con una persona come Gheddafi e non vi è da prevedere un attacco delle truppe alleate al suolo: per una simile offensiva non otterrebbero il sostegno degli altri paesi arabi".
"Velivoli militari e missili possono servire a proteggere la popolazione libica dalla violenza delle forze armate fedeli al regime. Ma non rappresentano ancora un concetto per risolvere la crisi libica. Gli sbagli compiuti in passato dagli Occidentali non si lasciano correggere con questa operazione militare", aggiunge il quotidiano basilese.

Nessuna legittimità
"Finora i membri della coalizione dichiarano che intendono innanzitutto far rispettare la risoluzione dell'ONU, allo scopo di proteggere i civili con tutti i mezzi necessari, ed escludono un intervento al suolo. Gli alleati affermano inoltre che una soluzione diplomatica è ancora possibile", rileva con scetticismo Le Temps. "Ma che cosa vi è ancora da discutere con un uomo accusato di crimini di guerra, qualificato di 'tiranno' dallo stesso presidente americano e accusato di non avere nessuna legittimità dal segretario generale dell'ONU?"
Il giornale romando non intravede tuttavia alcun altra opzione per risolvere la crisi libica: "Da una decina di giorni i rischi di un'inazione sono diventati più importanti di quelli di un intervento per aiutare non solo la popolazione libica, ma anche le rivolte in corso in altri paesi musulmani. Ed ora è troppo tardi per fare marcia indietro".

Freddo inverno
Piuttosto scettico anche il commento pubblicato da 24Heures e la Tribune de Genève. "Una guerra per proteggere i civili, d'accordo. Ma fino a dove? Tutti sanno che i bombardamenti aerei non basteranno a stanare il padrone di Tripoli. Questo non rappresenterebbe l'obbiettivo ufficiale dell'operazione militare. Ma gli alleati potranno accontentarsi di congelare semplicemente le posizioni militari tra le truppe di Gheddafi e i rivoltosi?".
"Si promette una guerra breve. Ma anche questa potrebbe durare, come le altre. Verrà un giorno, in cui bisognerà appoggiare le forze della libertà, mal organizzate e armate. Si parlerà allora d'invasione, di guerra del petrolio. La Primavera araba – la giovane alleanza tra le democrazie e i popoli musulmani che aspirano alla libertà – rischia allora di entrare in un lungo e freddo inverno".

Buon programma
"Il tempo può giocare a favore di Gheddafi", sottolinea La Regione, "soprattutto se un’offensiva tanto massiccia non dovesse raggiungere il suo evidente scopo: provocare diserzioni o ribellioni anche all’interno di un esercito libico di cui non si conosce l’effettivo grado di fedeltà al rais. Se fallisse questo disegno, diventerebbe molto più problematico stanare l’uomo di Tripoli, che potrebbe proteggersi dietro gli 'scudi umani' più o meno volontari da piazzare attorno alle sue caserme e ai suoi bunker".
"Il protrarsi del martellamento militare, e inevitabilmente dei cosiddetti 'danni collaterali' sulle popolazioni civili, potrebbe anche provocare ondate di riflusso nelle popolazioni arabe in subbuglio, che non sopporterebbero a lungo le quotidiane immagini di libici morti o feriti per mano occidentale", avverte il foglio ticinese, per il quale "liberarsi di Gheddafi è un buon programma, ma è ancora tutto da vedere se lo sia anche il modo scelto per attuarlo".
Armando Mombelli, swissinfo.ch




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