venerdì 25 marzo 2011

Federali-Sera. 25 marzo 2011. Il patriottismo è diventato anche di sinistra (mi riferisco, com'è chiaro, a quella sinistra di ascendenza marxista da molto tempo maggioritaria nella sua area; non già all'altra, ultraminoritaria, di ascendenza repubblicana e democratica, che invece patriottica lo è sempre stata). Carla Bruni, invece di cantare che «dans ma jeunesse/Il y a des rues dangereuses», canterà l'Inno di Mameli come Roberto Benigni al Festival di Sanremo. Lungo la costa, ad Ajdabiya, Brega, Ras Lanuf, si combatte per qualche cosa che sta nel deserto: il petrolio della Cirenaica, l'80% di tutto quanto rende la Libia di oggi un paese ricco.

Gente tosta:
Il “miracolo” giapponese parte da un’autostrada: riparata in 6 giorni.

Tribu':
Yemen. Militari schierati in centro a Sanaa.
Siria, Assad pronto a concessioni storiche.
La Cirenaica rivuole il suo petrolio.
Barricate inutili e veri interessi.
Contro Gheddafi l'armata Brancaleone più forte al mondo
La Ue vuole “mutilare” Gheddafi: “Blocco degli introiti di gas e petrolio”.
Libia: gli Emirati Arabi manderanno 12 aerei.
Libia, il comando delle operazioni alla Nato: “Difenderemo i civili”.

Profughi immigrati e clandestini:
Tunisini a Ventimiglia respinti dalla Francia.
Mogliano. Leghisti contro immigrati, zuffa in piazza.
Bologna. Profughi libici a Monghidoro? Il sindaco stronca La Russa.

I piu' colti:
Bozen. Cultura a Bolzano: la ripartizione a un tedesco.
Bozen. Duce a cavallo: il progetto tra un mese.
Trento. Celebrare l'Unità? Meglio andare al mare.
Trento. Trentino Alto Adige regione più colta d'Italia.

Alle solite:
È la solita Italia, più furba che forte.
Un nuovo patriottismo.


Il “miracolo” giapponese parte da un’autostrada: riparata in 6 giorni. TOKYO – Il “miracolo” giapponese parte da una tratto di autostrada. Massacrata dal terremoto, con crepe che somigliano più a voragini e sbalzi tra una lastra e l’altra profondi anche un metro. Questo è quello che vedevano i cittadini della regione del Kanto, nord di Tokyo, l’11 marzo dopo la scossa di 9 gradi Richter.
E quello stesso tratto si presenta completamente rinnovato e perfettamente ricostruito già il 17 marzo scorso, appena 6 giorni dopo il sisma. Uno sforzo compiuto dagli ingegneri e dagli operai della società Nexco che si è occupata dei cantieri. La società spiega sul suo sito che su 20 differenti strade e autostrade, circa 813 chilometri su 870 danneggiati dal terremoto sono già stati riaperti al pubblico.
Non solo, la Nexco in questi giorni è dovuta intervenire più volte per riparare i danni delle scosse di assestamento, non potenti come quella dell’11 mrzo ma abbastanza forti da richiedere un’ulteriore riparazione. “Chiediamo scusa – avvisa la Nexco – se non tutte le aree di servizio sono state riaperte”.
25 marzo 2011 | 09:00

Yemen. Militari schierati in centro a Sanaa. Saana, 25-03-2011
Le forze di sicurezza yemenite si stanno schierando in gran numero nel centro della capitale Sanaa, in attesa di una massiccia manifestazione contro il presidente
Ali Abdullah Saleh, annunciata per oggi dagli attivisti come 'Giornata dell'addio'. Per i manifestanti, la protesta sara' la piu' grande di sempre ed e' destinata a dare una spallata definitiva a Saleh. Risale a venerdi' scorso la piu' violenta delle giornate di protesta in Yemen, in cui almeno 50 manifestanti sono stati uccisi.

Per placare la piazza, Saleh ha promesso di non ricandidarsi e ha convocato elezioni anticipate entro un anno. Solo ieri sera, inoltre, ha annunciato l'amnistia per tutti i militari passati dalla parte degli oppositori.
Secondo l'inviato della Bbc, la capitale e' disseminata di checkpoint creati tanto dai militari quanto dagli organizzatori delle proteste. Le vie della citta', inoltre, sono piene di uomini armati e c'e' un timore concreto di un nuovo venerdi' di sangue.
Lasciare il paese, per i pochi stranieri che vi sono rimasti, e' diventato quasi impossibile, perche' i voli sono pieni da giorni, dopo che gran parte delle ambasciate ha deciso l'evacuazione del loro personale e hanno consigliato il rimpatrio dei connazionali.

Siria, Assad pronto a concessioni storiche. Ma l'opposizione torna di nuovo in piazza
Ultimo tentativo: fuori i detenuti e fine dell'emergenza Venerdì attese «manifestazioni anti-regime di massa»
MILANO - Sale la tensione in Siria. Il regime baathista annuncia la creazione di un comitato per avviare le tanto attese riforme politiche. E ordina il rilascio degli attivisti incarcerati nei giorni scorsi. È il risultato dopo l'uccisione di decine di civili caduti sotto i colpi della repressione delle forze di sicurezza governative nel sud della Siria che ha indotto il regime di Al Assad, in carica da quarant'anni, a dare un segno di cambiamento. Primo fra tutte le annunciate riforme, a partire dall'abrogazione della legge d'emergenza in vigore da 48 anni. Alla vigilia di «manifestazioni anti-regime di massa» convocate per venerdì sui social network e siti Internet degli attivisti per i diritti umani, Buthayna Shaaban, consigliere del rais Bashar al Assad, è apparsa in conferenza stampa a Damasco per leggere un elenco di circa dieci punti di «riforme politiche e sociali decise in seno alla direzione del partito Baath» che si è riunito in via straordinaria.

CENTINAIA I MORTI - L'opposizione ha però respinto le aperture del governo, giudicate non sufficienti, e oppositori da Parigi hanno anche auspicato la caduta del regime, chiedendo sostegno all'Europa per rovesciarlo. Fin dalla mattinata di giovedì erano giunte dal sud del Paese drammatiche notizie su nuovi pesanti bilanci di vittime civili a Daraa, città 120 km a sud di Damasco e teatro da una settimana di proteste senza precedenti «contro la corruzione» e per la libertà. Testimoni oculari citati da organizzazioni umanitarie locali hanno parlato di un centinaio di morti dall'inizio della repressione, venerdì scorso. Fonti mediche di Daraa riferiscono invece di avere nei loro ospedali e ambulatori 37 salme, tutte di civili, molti colpiti al capo da proiettili. Mentre la centrale moschea al Omari di Daraa, fulcro della protesta e sede del raduno dei dimostranti, è stata sgombrata definitivamente dalle forze di sicurezza, le organizzazioni umanitarie denunciano l'arresto di centinaia di abitanti della città, a pochi km dal confine con la Giordania. La televisione di Stato siriana ha annunciato che il presidente Bashar Assad ha ordinato il rilascio di tutte le persone detenute per aver preso parte alle manifestazioni antigovernative a Daraa, nel sud del Paese. Secondo alcuni attivisti, i dimostranti fermati nella settimana di rivolte sarebbero decine. Le autorità hanno cercato di reprimere le proteste con l'uso della violenza e i manifestanti sostengono che diverse persone siano morte quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla. La televisione siriana non ha fornito dettagli sul numero totale dei detenuti.

ERRORI - Nel pomeriggio, circa 20.000 persone sono sfilate ai funerali di alcune vittime, tra cui figurano donne, bambini e membri del personale medico. A Damasco intanto la Shaaban non ha potuto esimersi dal rispondere a domande su quanto accaduto nel sud: «Il presidente non ha dato ordine di sparare pallottole vere sui manifestanti, ma questo non vuol dire che non siano stati commessi errori», ha detto. «Non dobbiamo confondere il comportamento dei singoli col desiderio e la determinazione del presidente Al Assad di portare la Siria verso una maggiore prosperità». Il consigliere del Raìs siriano ha poi ammesso che «le rivendicazioni degli abitanti di Daraa sono legittime, così come lo sono tutte le rivendicazioni dei siriani». Ma queste richieste «non possono essere espresse con la minaccia delle armi», ha detto la Shaaban, dopo aver letto l'elenco di riforme affidate ora a un non meglio precisato Alto comitato.

PARTITI E STAMPA - Questo consesso governativo, di cui non si conoscono però i membri, avrà l'onere di preparare, tra l'altro, una tanto reclamata legge sui partiti che - nelle speranze delle opposizioni - dovrebbe metter fine al monopolio del Baath. L'Alto comitato dovrà anche stilare una nuova legge sulla stampa, per «venire incontro - come ha detto la Shaaban - alle richieste della gente», che da decenni denuncia l'assenza di libertà di espressione. Tra le riforme ordinate da Assad ci sono anche l'innalzamento «immediato» del 30% dei salari ai dipendenti pubblici e la distribuzione di incentivi di varia natura, oltre alla promessa di un pacchetto per far fronte a disoccupazione e corruzione. La Shaaban non ha però menzionato in alcun modo la questione dei prigionieri politici, la cui scarcerazione è invocata da anni e da più parti, dentro e fuori la Siria. Ai circa 3.000 detenuti d'opinione che languono nelle carceri del Paese si è aggiunto oggi Mazen Darwish, leader degli attivisti delle campagne «per le riforme e le libertà», arrestato in serata a Damasco.

La Cirenaica rivuole il suo petrolio. Alberto Negri. BENGASI. Dal nostro inviato
A Bengasi, e forse non solo qui, c'è qualcuno che sogna una sorta di Emirato petrolifero della Cirenaica affacciato sul Mediterraneo, poco più di un milione e mezzo di abitanti da governare con l'oro nero. «Lungo la costa, ad Ajdabiya, Brega, Ras Lanuf, si combatte per qualche cosa che sta nel deserto: il petrolio della Cirenaica, l'80% di tutto quanto rende la Libia di oggi un paese ricco».
Wanise el Isawi, ingegnere della compagnia Arabian Gulf Company (Agco) non ha dubbi. E forse non li hanno neppure molti libici e occidentali che dagli anni Cinquanta si disputano il petrolio dei Senussi, la grande confraternita musulmana da cui discendeva re Idris e alla quale apparteneva anche Omar el Mukhtar, l'eroe della lotta anticoloniale. Anzi fu proprio a Bengasi che un monarca riluttante, sospinto dagli inglesi, proclamò nel 1951 l'indipendenza della Libia Unita dal balcone del palazzo moresco Al Manar: re Idris si sarebbe accontentato di molto meno e del titolo di emiro della Cirenaica.
La Cirenaica, dove è custodito pure il 50% delle riserve di gas, vuole riprendersi il suo petrolio, una ricchezza che negli oltre 40 anni di potere del Colonnello è passata da qui quasi senza lasciare traccia, almeno così sostengono gli insorti. Eppure nel 1978, quattro anni dopo l'ascesa di Gheddafi, la Libia era già il paese più affluente dell'Africa con un reddito pro capite di 14mila dollari. Cosa è successo?
«Gheddafi - spiega el Isawi - ci ha lasciato ai margini: la strategia per molto tempo è stata quella di estrarre all'Ovest, nella Sirte o in Tripolitania, sotto il controllo diretto del regime perché questa era considerata una regione ribelle, al punto che il Colonnello ha tentato persino di oscurare il mito di Omar el Mukhtar con il Libro Verde della sua rivoluzione».
Alla vigilia della rivolta, la Libia produceva 1,6 milioni di barili, 1,2 venivano estratti in Cirenaica, con la partecipazione di un gran numero di multinazionali, come conferma il capo del dipartimento riserve, Youssef Gherrye: «La nostra compagnia, l'Agco produce 500mila barili al giorno, gli altri 700mila sono distribuiti tra la francese Total, la spagnola Repsol, l'Eni, con il giacimento di Zuwaytinah, la tedesca Veba e un consorzio canadese». Certo l'Eni sul piano nazionale libico è il maggior produttore, con contratti prolungati fino al 2042 e Tripoli è stata agganciata nel 2004 all'Italia dal gasdotto Greenstream, un cordone ombelicale che nessun regime avrà mai il coraggio e forse neppure l'interesse a recidere.
Ma è chiaro che con l'insurrezione anti-Gheddafi il petrolio della Cirenaica è diventato la posta in gioco della guerra. Forse si spiega anche così l'atteggiamento bellicoso della Francia, molto reticente a sottoporsi alle decisioni politiche della Nato: per prima con i Rafale si è spinta a bombardare i caccia Mirage che Parigi aveva venduto a Tripoli e lo ha fatto con la speranza, non troppo nascosta, di riportare a casa, un giorno, contratti vantaggiosi.
Per questo costringere alla resa i lealisti di Ajdabiya - come si sta cercando di fare - è un'operazione umanitaria di protezione dei civili, sopraffatti e martoriati dai gheddafiani, ma anche una mossa indispensabile, destinata ad aprire agli insorti la strada per riprendere i terminali di Brega e Ras Lanuf con la sua raffineria. Questa è in sostanza la Cirenaica, tra geografia, storia e petrolio: parte a oriente al confine egiziano di Sollum e finisce più o meno a Ras Lanuf, con alle spalle il deserto sahariano segnato dall'oasi di Giarabub e dal 29° parallelo.
Se perde i terminali petroliferi Gheddafi, già soffocato in Tripolitania dalla mancanza di carburante e rifornimenti, è un raìs che vale ancor meno della metà. «Le vecchie lealtà delle tribù, indispensabili per controllare l'oro nero nel deserto - osserva l'ingegner Isawi - potrebbero sfaldarsi». Ed è quello che sperano a Bengasi e in Occidente: il pregiato petrolio libico, definito sweet, dolce, per il basso tenore di zolfo, ha segnato in realtà il destino amaro della Libia nelle mani di un dittatore.
Ma la Cirenaica è anche una lezione della storia. Con le nazionalizzazioni di Gheddafi e l'espulsione degli italiani nel '70, qui si sono infranti gli ultimi sogni di colonizzazione dell'impero fascista. Ai 10 comandamenti, scrive lo storico della Libia Federico Cresti, se ne dovrebbe aggiungere un altro: non desiderare la terra d'altri. Ma ora, di fronte alle ambizioni di vecchie e nuove potenze, si potrebbe persino aggiornare la lista: non desiderare - troppo - il petrolio altrui, anche quello della Cirenaica.

Barricate inutili e veri interessi. di Luigi Zingales
Mentre l'America assiste impassibile all'acquisto del simbolo del capitalismo, la Borsa di New York, da parte dei tedeschi di Deutsche Börse, l'Italia erige le barricate per difendere l'italianità di Parmalat dagli attacchi della francese Lactalis. Ma il governo è così impegnato a proteggere la proprietà italiana delle imprese nazionali che non si accorge di un ben più pericoloso takeover francese: quello della Libia. Approfittando delle difficoltà politiche e finanziarie dei governi Usa e inglese, la Francia si è erta a difesa degli interessi del popolo libico. Peccato che durante i massacri del Darfur i francesi non mossero un dito. E quando la maggioranza hutu sterminò la minoranza tutsi in Ruanda, i francesi fiancheggiarono gli aguzzini.
Non si tratta di spirito umanitario, dunque, ma di spirito commerciale. Con 43 miliardi di dollari di petrolio esportati ogni anno e 24,5 miliardi d'importazioni, la Libia è un partner commerciale che fa gola. Con quest'intervento il governo francese vuole accaparrarsi la fetta più grossa dell'interscambio con la Libia, a spese dell'Italia, oggi dominante. Vi immaginate cosa succederebbe se l'Italia guidasse un'ipotetica forza di pace in Ciad o in Costa d'Avorio, ex colonie francesi? Perché allora dobbiamo cedere la leadership dei rapporti con Tripoli alla Francia? Se non è strategica la Libia, perché dovrebbe esserlo Parmalat?
Perché il Governo finge di assumere il ruolo di difensore dell'interesse nazionale in campo societario quando non è in grado di difenderlo in politica estera? A chi giova questo nazionalismo economico? Non certo al paese. Quando la Ford voleva comprare l'Alfa Romeo, si preferì svenderla alla Fiat. Ci persero i contribuenti, i consumatori e gli operai dell'Alfa. A guadagnarci non fu neppure la Fiat. Il regalo ritardò solo la crisi. Lo stesso vale per l'Alitalia. Invece che venderla ai francesi di Air France, si è preferito svenderla a una cordata italiana, con grave danno di contribuenti, clienti e dipendenti. Non è difficile prevedere che Air France finirà per comprarla a un prezzo più basso.
Il nazionalismo, dunque, è solo un pretesto. Da un lato, il Governo lo usa per proteggere il suo diritto a intervenire nelle scelte societarie, diritto che non avrebbe in caso di proprietà straniera. Dall'altro, l'establishment industriale e finanziario lo usa per difendere le sue posizioni, posizioni sempre più a rischio in un mondo globalizzato. Ma questo "splendido isolamento" culturale è una camera a gas per i giovani. Secondo un'indagine recente, oltre il 60% dei manager italiani non si trova bene in Italia e sarebbe disposto a fare subito le valigie.

Non è un caso che molti tra i migliori manager italiani lavorino all'estero: da Diego Piacentini, vicepresidente di Amazon, a Guerrino De Luca, ex amministratore delegato di Logitech; da Vittorio Colao, amministratore delegato di Vodafone, a Toni Belloni, numero due di Lvmh, solo per citare alcuni esempi. Il nostro sistema nazional-popolare non premia la competenza ma la fedeltà. Per questo si sente il bisogno di barricarsi contro lo straniero, perché queste scelte di fedeltà, fatte in circoli chiusi invece che sul mercato, rendono le nostre imprese deboli. L'isolamento serve a preservare il potere di chi non se lo merita. Se questa è la scelta, ben vengano i francesi. Con tutti i loro difetti, hanno un rispetto per la professionalità e la competenza sconosciuto al nostro establishment.

Contro Gheddafi l'armata Brancaleone più forte al mondo
Sarkozy e Obama, impermeabili al ridicolo, prima dicono, poi smentiscono, quindi correggono. di Diego Gabutti. C'è un inconfondibile tocco (come dire?) d'italianità nella gestione dell'operazione Odissey Dawn da parte dei «volenterosi». Nicolas Sarkozy (sarà per via della nazionalità della sua signora, anche se Carla Bruni, a suo tempo, dichiarò di vergognarsi d'essere stata scaricata dalla cicogna nel versante sbagliato delle Alpi) è il più italiano di tutti: l'operazione è cosa di famiglia, l'Aube Odyssée c'est moi. Non scherza nemmeno Barack Obama, il presidente americano, che un giorno minaccia l'iradiddio e il giorno dopo, italianissimamente, cambia idea e poi la ricambia, ma il presidente francese non lo batte nessuno. Sarkozy è persino più italiano dei leghisti d'Umberto Bossi (che sono italiani al punto d'offendersi se qualcuno li definisce italiani). Tra poco, vedrete, l'inquilino dell'Eliseo gesticolerà come un posteggiatore napoletano. Si presenterà alle conferenze stampa in canottiera come Tonino Di Pietro in costume da contadino molisano quando finge di manovrare un trattore a beneficio delle telecamere.
Carla Bruni, invece di cantare che «dans ma jeunesse/Il y a des rues dangereuses», canterà l'Inno di Mameli come Roberto Benigni al Festival di Sanremo. Nemmeno Silvio Berlusconi, che dicendosi «addolorato» per la sorte del povero Gheddafi (e famiglia numerosa a carico) si dimostra più italiano di Edmondo De Amicis e Carolina Invernizio sommati insieme e moltiplicati per cinque, è italiano come Sarkozy quando, in un primo momento, intima alla Nato di stare alla larga da Tripoli bel suol d'amore e, in un secondo momento, ci ripensa, poi ci ripensa ancora, e, in buona sostanza, rimane sempre della stessa idea: dirigere le operazioni in Libia da solo. Qualcuno dice che si tratta d'un attacco di megalomania (capita ai francesi, ma capita anche agl'italiani, quando la politica e il nazionalismo superano, diciamo così, la gradazione alcolica consentita). Altri (gl'italiani, Bossi in testa) sostengono invece che vuole portarci via di prepotenza i contratti energetici: prima manda i suoi Mirage III a proteggere gl'insorti, poi presenta il conto.
Ciò crea, di nuovo italianissimamente, dei malumori nella coalizione. Alcuni alleati (per esempio, inutile dirlo, gl'italiani, che prendono malissimo ogni tentativo, anche immaginario, d'involargli con un ollallà gas e petrolio) potrebbero essere persino tentati di tifare per il tiranno e di remare contro la coalizione. Anche su questo, forse, fa conto il Colonnello Muammar Gheddafi che, per quanto si serva dai sarti che vestono gli stregoni malvagi dei film e dei romanzi fantasy, non è affatto un babbeo irrimediabile. Anzi. Se davvero, come scrivono Libero e il Giornale, e come pensa (qui dicendolo e qui negandolo) la nostra maggioranza di governo, Sarkozy mira ad abbattere il Colonnello per prendere il posto del suo partner privilegiato, l'Italia, sulla piazza petrolifera libica, be', se le cose stanno effettivamente così, Gheddafi resterà dov'è (magari chiuso in un bunker e con la flotta aerea distrutta ma al potere) ancora a lungo. Gli è persino arrivato il messaggio che dicevamo prima e che, secondo le malelingue, potrebbe equivalere a una strizzatina d'occhio: «Sono addolorato per il Colonnello». Perchè non c'è italiano, naturalmente, più italiano d'un italiano, quando ci si mette d'impegno. Dopotutto è stato un italiano, Torquato Accetto, mica un francese e tanto meno un americano, a elaborare, nel XVI secolo, il concetto di «dissimulazione onesta»: l'arte di mettere la prudenza, qualcuno dice la menzogna, ma comunque l'arte di fare melina imbambolando e paralizzando il nemico, al servizio delle buone cause, eternamente minacciate da tiranni, simulatori e doppiogiochisti che si credono Napoleone. È stato Niccolò Machiavelli, mica Nicolas Machiavellì, a scrivere Il Principe e a fondare, insieme alla moderna teoria politica, la modernità stessa. Non è che gl'italiani per karma storico e geografico, con la loro bandiera dei tre colori e la loro pizza ai quattro formaggi, si lasciano bagnare il naso da questi italiani d'occasione, italiani rabberciati alla bell'e meglio che mirano troppo scopertamente, come bulli nell'intervallo delle dieci, a mettere le mani sulle loro merendine.

La Ue vuole “mutilare” Gheddafi: “Blocco degli introiti di gas e petrolio”. BRUXELLES – L’Unione europea è pronta ad adottare nuove sanzioni nei confronti della Libia, ”incluse quelle necessarie per impedire che gli introiti derivanti dalla vendita di petrolio e gas arrivino al regime di Gheddafi”. E’ quanto si legge in un estratto delle conclusioni del Consiglio europeo sulla Libia. I Paesi membri ”presenteranno analoghe proposte al Consiglio di sicurezza dell’Onu”.
Inoltre, ha proseguito l’Unione Europea, ”le operazioni militari si concluderanno quando la popolazione civile sarà al sicuro dalla minaccia di attacchi e quando gli obiettivi della risoluzione 1973 saranno raggiunti”.
Il Consiglio europeo ha voluto ”enfatizzare il ruolo chiave dei paesi arabi, ed in particolare della Lega Araba, nel supporto attivo per la messa in atto della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite e per trovare una soluzione politica” alla crisi libica.

Libia: gli Emirati Arabi manderanno 12 aerei. NEW YORK – Gli Emirati arabi manderanno 12 aerei da combattimento in Libia, per rafforzare la coalizione internazionale. Lo hanno riferito fonti americane.
Secondo quanto riferito dalla Cnn e da altri blog statunitensi, si tratta di sei F-16 e di sei Mirage. La Cnn ha riferito anche che la Turchia si è impegnata a mettere a disposizione alcune sue basi militari per le operazioni di rafforzamento della no fly zone sulla Libia.
24 marzo 2011 | 23:48

Libia, il comando delle operazioni alla Nato: “Difenderemo i civili”. BRUXELLES – Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha confermato che l’alleanza ”agirà per proteggere i civili contro il regime di Gheddafi”.
La Nato ha comunicato ufficialmente di avere raggiunto un accordo per guidare le operazioni per imporre sulla Libia la no fly zone, al termine di una riunione del Consiglio Atlantico a Bruxelles. Intervistato dalla Cnn, Rasmussen ha annunciato che la Nato ”avrà il comando entro un paio di giorni”. Alla domanda su chi avrà il comando delle operazioni, Rasmussen ha risposto: ”Questa decisione spetta al comando supremo della Nato”.

Tunisini a Ventimiglia respinti dalla Francia. 24 marzo 2011. Ventimiglia - Allarme migranti: migliora la situazione nella stazione ferroviaria, grazie anche ad un monitoraggio continuo delle forze di polizia, ma peggiora quella agli ex valichi: la situazione è la stessa da alcuni giorni, con i tunisini che vorrebbero lasciare l’Italia per raggiungere la Francia, dove la lingua e decenni di migrazioni li favorirebbero. I più scaltri riescono a trovare varchi nelle zone più montuose, ma molti altri si fermano al confine italiano.
Proprio alla frontiera nelle scorse ore, vi è stato un irrigidimento dei controlli della gendarmeria francese. Il risultato si vede ad occhio, con numerosi gruppi di tunisini che stazionano in zona senza sapere dove andare.
Ieri mattina, nell'area della stazione ferroviaria, dopo l'allarme lanciato dal sindaco Gaetano Scullino, vi sono stati diversi sopralluoghi: ha iniziato il primo cittadino, intorno alle 6 di mattina, quando la stazione è affollata di frontalieri ed è poi proseguita con ulteriori monitoraggi da parte del comandante dei carabinieri di Ventimiglia Di Pilato e del dirigente del commissariato Ruggiero. A dar loro manforte, anche i carabinieri del battaglione e il reparto anticrimine della polizia.

Un primo risultato, intanto, è arrivato anche dalle Ferrovie: che hanno accolto l'appello di tenere aperti i bagni pubblici durante la notte. Mentre per quanto riguarda l'apertura degli ex locali della polizia di frontiera, potrebbe essere risolutivo un intervento del prefetto di Imperia.

Mogliano. Leghisti contro immigrati, zuffa in piazza. Spintoni per una bottiglia gettata a terra da un giovane nordafricano. Arrivano i carabinieri. MOGLIANO. «Sceriffo» Gherardi in azione: ammonisce il giovane immigrato e scatta il parapiglia. Zuffa in piazza tra un gruppetto di giovani e due esponenti leghisti martedì attorno all'ora di cena. Spintoni e insulti hanno convinto i passanti ha chiamare i carabinieri. «Niente di grave - assicura l'assessore Alberto Gherardi - ci siamo chiariti a voce».  La colluttazione è avvenuta martedì attorno alle 20 all'angolo tra via De Gasperi e via Don Bosco, a due passi da Piazza Caduti. Tutto è partito dal gesto di un giovane di origini nordafricane che secondo quanto riferito dai testimoni avrebbe gettato a terra una bottiglia di vodka mandandola in mille pezzi. «E adesso chi raccoglie?» gli avrebbero chiesto i due esponenti del Carroccio diretti dal municipio verso la loro sede di via Don Bosco. Non è chiaro se il ragazzo si fosse già scolato la bottiglia oppure se imprecasse per averne perso il contenuto da condividere con alcuni amici. Fatto sta che l'invito, non sappiamo in che toni gli sia stato rivolto, non è certo stato accolto bene, né dal diretto interessato e nemmeno dai suoi amici. E' scattato subito il parapiglia: «Leghisti di m...» e via così. Da una parte l'assessore alla sicurezza e allo sport Alberto Gherardi, accompagnato dal consigliere Fabio Mason, dall'altra un gruppo di ragazzi attorno ai vent'anni, formato da quattro o cinque persone. La zuffa deve aver impensierito qualche passante perchè dopo pochi minuti sono arrivati i carabinieri messi in allerta dal centralino del 113. Sia l'edicolante che stava chiudendo il negozio, la pizzeria rosticceria che sta all'angolo della via e il cafè Goppion sul lato opposto della strada negano di aver chiesto l'intervento delle forze dell'ordine. Alla fine quando sono arrivati i carabinieri la situazione si era già stemperata. Anche se qualche cazzotto o qualche spintone deve essere pure volato. Lo «sceriffo» Gherardi preferisce minimizzare: «Eravamo arrivati sulla porta della nostra sede quando abbiamo visto la scena. Abbiamo solo cercato di far capire ai ragazzi che spaccare le bottiglie in strada e sul marciapiede non è proprio la cosa più bella da fare - spiega - c'erano tutti i vetri in giro, se uno fa questi gesti, alla base c'è ovviamente un malessere. Abbiamo parlato e abbiamo cercato di capire». L'intervento dei carabinieri era proprio necessario? «E' normale che quando si vedono delle persone un pò agitate qualcuno li chiami - spiega Gherardi - alla fine abbiamo parlato con loro con grande tranquillità. C'era un ragazzo un pò più agitato degli altri, forse aveva esagerato, lo abbiamo redarguito per un brutto gesto così
24 marzo 2011
come avrebbe fatto qualsiasi altro cittadino. Ma è un episodio che non va enfatizzato».

Bologna. Profughi libici a Monghidoro? Il sindaco stronca La Russa. Il primo cittadino Marino Lorenzini (Pdl): "Lassù solo calanchi: le tende non ci stanno". Bologna, 25 marzo 2011 - «PORTARE a Monghidoro i profughi libici? Non sanno di cosa parlano». Il sindaco Pdl Marino Lorenzini salta dalla sedia. Ma allo stesso tempo sembra non dare troppo peso alla cosa. «Quell’area è inaccessibile, tutta boschi a calanchi. Non c’è spazio neppure per piantare una tenda». Eppure fra i tredici siti messi a disposizione dal ministero della Difesa a quello dell’Interno, per accogliere eventuali esodi consistenti di profughi, figura proprio quest’area al confine tra Monghidoro e il comune toscano di Firenzuola. Terreno demaniale e militare, ma solo sulla carta. Anche perché, taglia corto Lorenzini, «lassù non si è mai visto un militare, né tantomeno un carro armato». Si chiama Tre Poggioli, questa località ventosa di crinale che dall’impianto eolico dei Casoni di Romagna sale verso il passo della Raticosa.

A MONGHIDORO ne volevano fare un parco, ma lo Stato non ha mai voluto vendere il terreno. «Il Comune — spiega Lorenzini — avrebbe voluto acquisire quei terreni proprio perché adiacenti al parco della Martina, per farne una grande area protetta, ma non fu possibile in quanto il ministero non l’ha mai inserita tra i beni alienabili. L’operazione risale agli anni Novanta e alla fine non se ne fece nulla. Per questo oggi, però, il terreno non è utilizzabile. Non ci sono acqua né servizi e fabbricati. Un terreno calanchivo, in buona parte coperto da bosco, dove peraltro gli espropri sono incompleti, quindi disponibile a macchia di leopardo. A mio avviso non ci sarebbe modo neppure per allestire una tenda. E se davvero dal ministero hanno fatto questa scelta, non sanno di cosa parlano».

Bozen. Cultura a Bolzano: la ripartizione a un tedesco. Pressione Svp in Comune: non riconfermata la dirigente Anna Vittorio. di Valeria Frangipane
BOLZANO. Terremoto in Comune. La ripartizione cultura da sempre nelle mani di un italiano rischia di perdere la sua direttrice, Anna Vittorio, che non verrebbe riconfermata. Probabile - viste le pesanti pressioni messe in campo dal vicesindaco Svp Klaus Ladinser - che la poltroni passi ad un tedesco. L'assessore al personale Luigi Gallo taglia corto: «Non conosco la questione». L'assessore alla cultura, Patrizia Trincanato, non smentisce: «Stiamo riflettendo sulla direzione».
Perchè? «Perchè la città si sta attrezzando per affrontare grandi sfide. Penso a Bolzano capitale europea della cultura, ai Musei che vanno ripensati (a partire da quello che dovrebbe essere allestito attorno al Monumento della Vittoria ndr), al Polo bibliotecario che si andrà a realizzare al posto dell'ex Longon ecc. Per tutti questi motivi credo che il capoluogo stia per giocarsi un ruolo strategico ed è per questo che stiamo riflettendo con serenità sulla persona a cui affidare la direzione della ripartizione cultura».
Voci di corridoio spiegano però che tra l'assessore - che dovrà indicare il nuovo direttore - e la Vittorio non ci sia mai stata eccessiva simpatia. Anzi, si dice che quando la Trincanato lavorava all'Ufficio famiglia l'antipatia tra le due donne fosse evidente. Assessore cosa ne dice, la sua sarà una scelta ragionata o motivata da motivi di antipatia personale? «Penso alla città. Non sto mettendo in campo alcun personalismo. Ci mancherebbe». Possibile che il nuovo direttore possa essere di madrelingua tedesca? «La ripartizione è italiana, tedesca e ladina, non vedo dove stia il problema. Voglio una persona competente che sia in grado di dare all'Ufficio uno slancio maggiore e trovo riduttivo inciampare ogni volta nella questione etnica. Quando devo pensare ad un
chirurgo che opera penso che deve essere bravo, non penso se parla italiano, tedesco o cinese».
Sarà anche vero, assessore, ma un bravo chirurgo che non abbia il patentino non entra all'ospedale di Bolzano. In tutta questa storia l'unica che se la ride è l'Svp che da settimane lavora ai fianchi per prendersi la direzione della Ripartizione. Basti pensare che negli ultimi giorni, proprio la Svp cittadina, supportata da undici associazioni culturali tedesche, ha alzato la voce per chiedere un referente comunale per la cultura tedesca. Perché grazie alla riorganizzazione dell'organigramma municipale elaborata dalla giunta ed in fase di approvazione, l'ufficio cultura tedesca è stato soppresso. E siccome "gutta cavat lapidem" le undici associazioni hanno scritto una missiva al sindaco, ai vertici cittadini Svp e al delegato comunale per la cultura tedesca, ossia il vicesindaco Klaus Ladinser, per chiedere che venga istituito un referente tutto per loro. «Non vogliamo arrivare a una crisi di maggioranza - dice il capogruppo Svp in consiglio, Georg Mayr - ma è fuori di dubbio che si debba mettere in discussione l'intero comparto culturale all'interno del Comune».
Non si tratta solo della mancanza di un referente per l'ambito tedesco, ma è anche una questione di finanziamenti, spiegano gli interessati. Secondo le associazioni interessate se ne dovrebbe discutere approfonditamente. Gli attuali referenti in Comune, almeno a detta delle associazioni - fra le quali la compagnia bolzanina degli Schützen, la Croce nera, i veterani di guerra, la sezione cittadina dell'Alpenverein Südtirol - non sarebbero all'altezza del compito da svolgere, soprattutto in tema di erogazione di contributi. Insomma potrebbe scapparci la direzione di ripartizione. 25 marzo 2011

Bozen. Duce a cavallo: il progetto tra un mese. Durnwalder al neo ministro Galan: «Resta valido il patto con Bondi sui monumenti». BOLZANO. Tra un mese verrà scelto il progetto per la storicizzazione e copertura del Duce a cavallo di piazza Tribunale. Si è insediata ieri la commissione di esperti che dovrà selezionare le 5 proposte migliori arrivate al concorso di idee per il bassorilievo di Mussolini a cavallo in piazza Tribunale, uno dei monumenti fascisti interessati dall'accordo Bondi-Durnwalder. Ma da ieri è Giancarlo Galan il nuovo ministro della Cultura. Prende il posto del dimissionario Sandro Bondi, che gli ha lasciato in eredità il patto con Luis Durnwalder. Che cosa accadrà di quel patto? «Nulla, resta valido», risponde Durnwalder, che ieri ha inviato un messaggio di congratulazioni al ministro che lascia il dicastero dell'Agricoltura per i Beni culturali. I due sono stati protagonisti di vivaci polemiche, all'epoca in cui Galan era presidente del Veneto e amava bersagliare i ricchi vicini dell'autonomia speciale. «Umanamente i rapporti sono buoni», sorride Durnwalder. «Direi anch'io che un impegno ministeriale ha una valenza che prescinde dai singoli ministri», ammette il deputato del Pdl Giorgio Holzmann, «parlerò comunque con Galan per ribadire la necessità di soluzioni equilibrate». Ma nella destra e nel centrodesta c'è invece chi coltiva la speranza di mandare in archivio l'accordo. Donato Seppi punta proprio sulle scintille tra i due governatori: «Accordo nullo». Alessandro Urzì (Fli) ha scritto a Galan sollecitandolo a «sanare la ferita».  Questa la dichiarazione di Durnwalder dopo la nomina di Galan: «Faccio i miei sentiti auguri all'ex collega Galan». Sull'accordo per la storicizzazione dei monumenti fascisti Durnwalder sottolinea: «Gli impegni presi da Bondi restano in vigore, perché fatti come ministro e cioè come rappresentante del governo. La nomina di un nuovo ministro non rimette tutto in discussione».  Per la Provincia c'è una ragione in più nel tenere fede ai tempi stretti fissati per il concorso di idee sul bassorilievo. Ieri l'assessore Sabina Kasslatter Mur ha incontrato i cinque esperti che selezioneranno i progetti finalisti per piazza Tribunale. L'opera resterà al proprio posto, è confermato, ma dovrà essere coperta. La soluzione uscirà appunto dal concorso. Così Kasslatter Mur: «La commissione dovrà proporre alla giunta provinciale le soluzioni migliori per rendere l'opera di Piffrader meno visibile e musealizzata, mantenendo da un lato la possibilità di visitarla, ma evitando dall'altro le provocazioni e la glorificazione del regime fascista». La commissione con Nadia Moroder, Giorgio Mezzalira, Wolfgang Piller, Hans Karl Peterlini e Letizia Ragaglia, che effettuerà presto un sopralluogo nella piazza, selezionerà cinque progetti tra i 486 arrivati. La scelta finale spetterà alla giunta provinciale, sentito il sindaco Luigi Spagnolli. (fr.g.)

Trento. Celebrare l'Unità? Meglio andare al mare. 25/03/2011 08:49
TRENTO - Le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia in consiglio provinciale sono abortite per paura delle polemiche, ma a una bella gita al mare nessuno ha detto di no. E il presidente del consiglio provinciale, Bruno Dorigatti, ha ripiegato su questa seconda scelta rinunciando alla seduta commemorativa. Così, dopo il consiglio regionale del Trentino Alto Adige, anche il consiglio provinciale di Trento non terrà alcuna seduta celebrativa dei 150 anni dell'Unità d'Italia, contrariamente a quanto hanno fatto o faranno tutti gli altri consigli regionali e a quanto concordato nei giorni precedenti il 17 marzo nella riunione dei presidenti delle assemblee regionali. Il presidente Dorigatti si è spaventato dalla reazione del capogruppo della Lega nord, Alessandro Savoi, che alla notizia della seduta straordinaria ha fatto sapere che i consiglieri del Carroccio non avrebbero partecipato. Nella stessa maggioranza, di cui Dorigatti (Pd) è espressione, l'Unità d'Italia non è stata vissuta con serenità visto che il Patt ha preso le distanze dalle celebrazioni con l'assenza dei suoi principali esponenti provinciali (salvo la consigliera Caterina Dominici). La convocazione di una seduta celebrativa, dunque, avrebbe rappresentato un problema che il neopresidente Bruno Dorigatti ha voluto evitare. «Invece della seduta straordinaria - fa sapere Dorigatti - celebreremo l'Unità d'Italia a Ventotene, l'isola dove Altiero Spinelli e altri oppositori al fascismo scrissero il manifesto che fu riferimento per la nascita dell'Unione europea». Ventotene è oggi un'amena isola in provincia di Latina con un ex carcere, dove furono rinchiusi molti oppositori del fascismo. «Tutti i capigruppo - dice il presidente Dorigatti - sono d'accordo». Su una gita nei mari del Sud neppure le Stelle alpine o la Lega sollevano polemiche.

Trento. Trentino Alto Adige regione più colta d'Italia. 25/03/2011 10:11. BOLZANO - Il Trentino Alto Adige è la regione ''piu' colta'' d'Italia. Lo rivela il Rapporto 2010 di Federculture, presentato oggi a Roma, secondo il quale gli abitanti della regione sono in testa a quasi tutte le classifiche di partecipazione alle attivita' culturali, soprattutto musei e mostre. Oltre che per gli amanti dell'arte, il Trentino Alto Adige si segnala per la fruizione di musica dal vivo e per la partecipazione agli spettacoli sportivi.

È la solita Italia, più furba che forte. di Sergio Luciano. Quando nel 1492 il re di Francia Carlo VIII fu invitato da Ludovico il Moro in Italia affinché detronizzasse dal regno di Napoli gli odiati (e deboli) aragonesi, si ritrovò la strada spianata, dal Monginevro in giù, da un'impressionante serie di asservimenti preventivi da parte dei regimelli i cui territorio attraversava. Sia i piemontesi che i lombardi e i papalini si inchinarono al suo passaggio, lo aiutarono e lo finanziarono, tanto che proprio Papa Alessandro VI, non senza ironia, coniò la famosa sintesi: «Il Re di Francia ha conquistato l'Italia col gesso», il gesso usato dalle sue soldataglie per segnare sulle porte le case dove mandare le truppe a dormire. Poi, conquistato Napoli, il giovane re francese si accorse che il clima stava cambiando e decise di risalire in patria, trovandosi la strada sbarrata a Fornovo dalle truppe italiane coalizzate, su cui riuscì a stento a prevalere. Ma sarebbe tornato a vendicarsi, se il buon Dio non se lo fosse chiamato ventottenne, anzitempo. I casi finanziari di questi giorni – dalla Fonsai alla Edison alle Generali e a Mediobanca, senza dimenticare Parmalat – fanno pensare all'epopea di Carlo VIII. Quando ad esempio nell'89 alcune banche azioniste del Nuovo Banco Ambrosiano decisero di venderlo alla Banca Commerciale, il presidente della banca «preda» Giovanni Bazoli si difese chiamando in casa il Crédit Agricole, quale «cavaliere bianco» anti-Comit. Un film assai simile si è visto, successivamente, nel sistema Mediobanca-Generali con il finanziere Vincent Bollorè; e si stava per vedere nel caso di Groupama con Fondiaria-Sai. Quando poi, quattro anni fa, l'Ambrosiano, nel frattempo diventato Banca Intesa, ha deciso di fondersi col Sanpaolo Imi, e di dare il benservito ai soci francesi di cui non c'era più bisogno, il minimo che si potesse fare era dargli in cambio gli sportelli di Cariparma, che tanto andavano comunque venduti, causa antitrust. Altro che invasione. Quanto a Bollorè, che oggi si senta fregato per aver messo a suo tempo tanti soldi in Mediobanca – invocatovi a gran voce da Maranghi & C. – sperando prima o poi, grazie a questo, di riuscire a far vendere le Generali ai suoi amici di Axa, senza essere poi riuscito neanche a sfiorare il suo vero obiettivo... be', è almeno comprensibile. È la solita Italia. Più furba che forte. Più levantina che trasparente. Se poi i signori Bulgari vendono dall'oggi al domani tutto a Bernard Arnault; e se tre fondi stranieri, altrettanto rapidamente, cedono a Lactalis le loro quote in Parmalat, che meraviglia? In un mercato inaffidabile, è così che si fa: se ci si riesce. O, come dicono in Borsa: a brigante, brigante e mezzo.

Un nuovo patriottismo. L'anniversario dell'Unità ha messo in luce un cambiamento importante dell'Italia di questi anni: il patriottismo è diventato anche di sinistra (mi riferisco, com'è chiaro, a quella sinistra di ascendenza marxista da molto tempo maggioritaria nella sua area; non già all'altra, ultraminoritaria, di ascendenza repubblicana e democratica, che invece patriottica lo è sempre stata).

Naturalmente anche prima di oggi moltissimi italiani appartenenti alla sinistra suddetta hanno nutrito un forte sentimento della patria, e in moltissime occasioni lo hanno manifestato con le parole e coi fatti. Tuttavia mai prima d'ora il patriottismo era entrato nel bagaglio ideologico di tale sinistra, nel suo orizzonte emotivo e culturale. Addirittura per gran parte della Prima Repubblica quella sinistra, lo si ricorderà, di patrie non nascondeva di averne due (l'altra essendo, ahimé, l'Unione sovietica). Oggi, invece, le cose per fortuna appaiono (se non altro appaiono) ben diverse.

I motivi del cambiamento sono molti. Innanzi tutto il fatto che la tradizionale inquilina dello «spazio patriottico», e cioè la destra, intralciata politicamente dalla presenza della Lega, si è fatta stupidamente paralizzare dai suoi veti lasciando libero il campo che un tempo era tipicamente suo. Pur avendo i voti di tanti italiani che un reale e forte sentimento della patria lo hanno, eccome!, essa, tuttavia, non è riuscita a dare a tale sentimento dei suoi elettori alcuna efficace rappresentazione politica. È accaduto invece che, essendo la destra alleata politica di una forza così sguaiatamente «antitaliana» come per l'appunto la Lega, questo solo fatto abbia subito trasformato il patriottismo in un'arma efficace contro il governo e la maggioranza, e perciò assai appetibile da parte della sinistra. La quale così ha trovato anche un modo per riempire almeno in certa misura il vuoto prodotto nel suo bagaglio ideologico dalla fine del comunismo.

Si aggiunga un ultimo fatto decisivo. E cioè che da oltre una decina d'anni il patriottismo, insieme al culto della Costituzione, è ormai diventato l'ideologia ufficiale della presidenza della Repubblica. Ciò è accaduto in coincidenza con un andamento delle cose che ha fatto del presidente della Repubblica il vero dominus virtuale del sistema politico-istituzionale, determinando, di pari passo, anche una forte crescita simbolica della sua immagine. Si è trattato di un processo che, iniziato con Pertini, è divenuto - dopo i settennati molto divisivi di Cossiga e Scalfaro - sempre più pronunciato con la presidenza di Ciampi e di Napolitano. Il progressivo discredito della politica, la sua rissosità inconcludente, la sua perdita di orizzonte ideale, insieme alla pochezza del personale di governo hanno avuto il risultato di esaltare sempre di più, per contrasto, la figura politica sì, ma istituzionalmente super partes e circondata di un apparato cerimoniale intrinsecamente nobilitante, del capo dello Stato. In breve, questi è diventato l'unico protagonista della scena ufficiale capace (perché credibile) di un discorso pubblico «alto», il solo in grado di parlare al Paese del suo passato e del suo futuro. Facendo uso, naturalmente, di toni e contenuti patriottici: gli unici consentiti dalla specificità del pur grande potere presidenziale.

Ma sia Ciampi che Napolitano non venivano dal nulla. Venivano entrambi da un retroterra ideologico di sinistra, sia pure di due sinistre diverse. La loro biografia personale e il prestigio del loro ruolo hanno avuto dunque l'effetto ovvio di accelerare ancora di più la corsa al patriottismo di una sinistra orfana di tanti ismi ormai annientati dalla storia.
Ernesto Galli Della Loggia

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