venerdì 8 aprile 2011

Federali-Sera. 8 aprile 2011. Trento. Tredici segretarie? S'è sbagliato! Di segretarie ne ho tredici sì ma per turno e noi lavoriamo su sei turni. Però, sei turni! Altro che Province che per sudar i deve tor zo l'Aspirina. -----Il 30% dei trentini è bevitore a rischio.-------Varese. Siamo di fronte all’ennesima sentenza della Corte Costituzionale che testimonia la volontà di una parte della magistratura di impedire la realizzazione di quelle misure che i cittadini giustamente chiedono e che difendono la sicurezza di tutti noi. E’ un comportamento politicamente inaccettabile per il quale occorre determinare risposte pronte.

Trenta trentini trotterellando:
Aostee'. Le Pillole di Statuto speciale in onda su Aujourd'hui Vallée
Trento. Dellai e la leggenda delle tredici segretarie.
Trento. Il 30% dei trentini è bevitore a rischio

Immigrati, profughi o migranti:
Roma. Scontro Italia-Francia, Maroni: tunisini liberi di sconfinare
Udin. Oltre 100 mila immigrati in Fvg: piano regionale da 4 milioni
Modena. A giorni arriveranno i primi 230 profughi
Genova. La Regione dice no ad altri 400 immigrati a Ventimiglia

Beffe:
L'ultima beffa del caso Parmalat

Risultati politici padani:
Venezia. La Consulta disarma gli «sceriffi» veneti
Varese. "Sindaci sceriffi" fuori legge
Udin. La Consulta boccia la legge regionale che voleva avere appalti più veloci
Padova. Il prefetto scrive ai sindaci: al bando le strisce pedonali "padane"


Le Pillole di Statuto speciale in onda su Aujourd'hui Vallée
08/04/2011. AOSTA. "Pillole di Statuto Speciale", lo speciale realizzato da Aostaoggi.tv con il patrocinio morale e la collaborazione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta in occasione del 65° anniversario dell'autonomia ed il 63° anniversario dello Statuto Speciale valdostano, sarà trasmesso questa sera, alle ore 21, sul canale televisivo Aujourd'hui Vallée (canale n° 12 del digitale terrestre salvo diversa configurazione dell'apparecchio).
"Pillole di Statuto", ideato e coordinato dal condirettore di Aostaoggi Piero Minuzzo, spiega alcuni degli articoli fondamentali dello Statuto con Thierry, Simone, Federico, Carlotta ed Alice e l'aiuto del presidente del Consiglio Valle Alberto Cerise e dei consiglieri regionali Luciano Caveri, Dario Comé, Raimondo Donzel, Leonardo La Torre, Roberto Louvin ed Alberto Zucchi.
Lo Statuto speciale valdostano, che è una legge costituzionale, fissa le competenze della nostra Regione ed i rapporti con lo Stato Italiano. Lo speciale di Aostaoggi.tv ha l'obiettivo di diffondere tra i giovani la conoscenza della nostra Carta Costituzionale.
 Marco Camilli

Trento. Dellai e la leggenda delle tredici segretarie.
08/04/2011 08:48
TRENTO - Il confinante presidente della Provincia di Belluno, il giovane Giampaolo Bottaccin, un po' perché dalle sue parti tira una forte aria di secessione dal Veneto al Trentino Alto - Adige, un po' perché il Leone di Venezia concede poco alle sue terre alpestri, ieri s'è fatto uscire dal senno una battutaccia che ha per argomento Dellai e le sue segretarie. No...fermi! Non pensate male. Il presidente della Provincia autonoma è uno irreprensibilissimo. No, il leghista Bottaccin se la prende con Dellai perché di segretarie, secondo lui, ne ha troppe. Tante quante ne vorrebbe assumere lui.

La battuta è questa è l'ha inserita in un ragionamento sull'autonomia, scarsa, che lo Statuto della Regione Veneto, governata dall'ex ministro Zaia, anche lui del Carroccio, concederebbe alla bella, e in buona parte sorella, terra bellunese. «Non si pensi nemmeno per un secondo che, percorrendo questa strada, potremo avere l'autonomia di Trento e Bolzano, quella è ben altra cosa - ha affermato Bottacin -. Altrimenti avrei assunto tredici segretarie, come ha fatto il mio collega trentino per risolvere il problema della disoccupazione». Eccolo qui, tredici segretarie o segretari per smetterla con i pregiudizi sessisti. In effetti, informandosi un attimo, la segreteria del presidente Dellai è composta da tredici persone. Tre fanno parte del suo staff politico, le altre dieci di quella che viene definita la segreteria tecnica. La segreteria politica, o particolare che dir si voglia, viene nominata direttamente dal presidente: sono insomma persone di fiducia. Gli altri dieci addetti fanno parte dell'organico della Provincia e molte delle funzionarie lavorano in presidenza dai tempi di Carlo Andreotti e anche di Mario Malossini.

Quindi, non sono persone che Lorenzo Dellai ha assunto di recente e quindi l'opera di contenimento della disoccupazione non c'entra. Poi c'è da aggiungere che la Provincia di Trento è autonoma e ha tante competenze che una «normale» non ha. Insomma, questo è un quasi Stato....le solite considerazioni, insomma. Lorenzo Dellai, non ha preso male la battuta del collega bellunese. Anzi, l'ha messa sul ridere. «Tredici segretarie? S'è sbagliato! - ha detto - Di segretarie ne ho tredici sì ma per turno e noi lavoriamo su sei turni». Però, sei turni! Altro che Province che per sudar i deve tor zo l'Aspirina . No, turni massacranti e, in effetti, visti i ritmi di Dellai è probabile che più di uno sia a livelli di stress da sbiellare.

Comunque, Dellai, che ha il gusto del mettere un po' di «veleno» in coda al suo dire, nei confronti di Bottaccin ha lanciato questa frase esoterica: «Stia attento che il 13 è un numero che porta sf....ortuna». Poi il governatore del Trentino, indossata di nuovo la veste istituzionale, ha detto: «Quando Bottaccin vuol parlare di cose serie sa dove trovarmi». Resta però il fatto che, federalismo o no, nei confronti delle autonomie, da parte delle regioni e delle province ordinarie, arrivano continuamente punzecchiature. Per quanto riguarda Belluno poi di mezzo c'è l'aspirazione autonomista della provincia dolomitica che, da sempre, soffre dell'incomprensione della lagunare e aristocratica Venezia e guarda, ammiccante , al Trentino.

Trento. Il 30% dei trentini è bevitore a rischio
08/04/2011 09:08
RENZO M. GROSSELLI Il 30% dei trentini dai 18 ai 69 anni può essere considerato bevitore a rischio (il 65% dei trentini della stessa classe di età sono consumatori di alcol). Ma non basta. Il 20% dei quindicenni dichiara di aver «fatto la balla» più di una volta. Ricerche scientifiche dicono che il Trentino, insieme alle altre regioni del nord-est, rappresenta il territorio con la percentuale più elevata di bevitori a rischio in Italia. Di qui l'importanza di iniziative che mettano questo problema sociale, oltreché sanitario, al centro del dibattito e dell'attenzione. Aprile è il mese dedicato dall'Istituto superiore della sanità alla prevenzione alcologica e domenica è la giornata dedicata ai Club alcologici territoriali (metodo Hudolin), gli ex Club degli alcolisti in trattamento. Trento in verità sarà sollecitata ad una meditazione nella giornata di domani quando l'associazione dei Club alcologici in collaborazione con l'Azienda sanitaria distribuirà in piazza Battisti depliant e materiale informativo.

In molti altri centri del Trentino, domenica però, si avranno dibattiti, giornate di riflessione, distribuzione di materiale informativo). Perché il problema in Italia è grave ma in Trentino lo è di più. «I bevitori a rischio da noi - dice il dottor Roberto Pancheri direttore del Servizio di riferimento per le attività alcologiche dell'Azienda sanitaria - sono il 30%, contro il 18% a livello nazionale». Le categorie che rientrano in questa percentuale sono i "forti bevitori" che rapprentano il 12% della popolazione che consuma alcolici (il 9% in Italia). Poi coloro che bevono alcolici fuori dai pasti: 15% in Trentino, 8% in Italia. Infine i bevitori "binge", in grossa sostanza coloro che bevono per sballare ma anche coloro che approfittano di ogni festa, la sagra o la cena con amici, per bere forte. Questi ultimi da noi sono il 12% dei bevitori contro il 6% nazionale. L'abuso di alcol costituisce un dato di allarme sociale da noi. «Per più motivi - conferma Pancheri - Per la salute della persona, incominciando dal fegato (ma non solo).

Poi per il rischio di far male a terze persone, con l'automobile per esempio ma anche in vari altri modi. Infine i giovani, adolescenti e post, per i quali aumenta del 400% il rischio di maturare la dipendenza dall'alcol». Il problema è quello di stabilire quanti di coloro che corrono il rischio poi, alla fine, cadono nella dipendenza da alcol. «Rispetto ad altre droghe pesanti, l'alcol non a tutti procura dipendenza. Ma il rischio di diventare dipendente è del 15% tra coloro che iniziano a bere. E un altro 15% avrà problemi alcol-correlati (incidenti stradali e altro)». Un livello di rischio molto alto.

Sarà la pura astinenza l'arma migliore per combattere questo cancro sociale, alle volte ammantato di falsi valori e miti? «Non sappiamo in anticipo chi andrà incontro alla dipendenza, dovuta a moltissimi fattori, e chi rischierà di avere problemi alcol-correlati. E allora? Guardi, per noi è normale pensare che è sempre l'altro quello che avrà problemi. Ma se parli con i parenti, le famiglie degli alcolisti che vengono nei club, ti dicono che si tratta di persone normalissime». Un paio di bicchieri? Ci blocca il medico: «La normale consuetudine di bere non ci dà assolutamente la sicurezza che sapremo controllarci sempre». Il cittadino, a volte, si trova confuso nei confronti del funzionamento dei club degli alcolisti. C'è chi teme che ad una dipendenza se ne sostituisca un'altra, un poco come lo è per la figura del psicoterapeuta. Uno va da lui e poi ne avrà sempre bisogno.

Roma. Scontro Italia-Francia, Maroni: tunisini liberi di sconfinare
07 aprile 2011
FRANCIA: E’ SCONTRO APERTO CON L’ITALIA
Berlusconi firma il decreto
Roma - Se un tunisino cui l’Italia ha concesso il permesso di soggiorno temporaneo cerca di varcare la frontiera «la Francia non può respingerlo». Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nel corso della trasmissione `Porta a Porta´.

«La circolare che il ministro dell’Interno francese ha diramato ai prefetti - ha spiegato Maroni - non dice che il permesso temporaneo non è valido, ma pone cinque condizioni che sono tutte soddisfatte». Dunque, ha aggiunto, «non c’è bisogno di negoziati: le obiezioni della Francia non sono fondate in base alle regole esistenti».

«Capisco che ci sono le elezioni in Francia nel 2012 e che Sarkozy ha la concorrenza dell’estrema destra, ma mostrare i muscoli è sbagliato, mettere le truppe sulle frontiere è la cosa più sbagliata», ha poi aggiunto Maroni, che in precedenza aveva spiegato che la Francia per poter respingere gli immigrati con permesso italiano a questo punto deve «uscire da Schengen o sospendere il trattato».

La concessione di un permesso temporaneo, potrebbe però anche non bastare per risolvere i problemi italiani. Come ha sottolineato l’Ue, infatti, «dare un permesso» agli immigrati non implica automaticamente il loro diritto di viaggiare nell’area Schengen. Dipende, insomma, dal tipo di permesso rilasciato e quello individuato dall’Italia, sottolinea Bruxelles, «ancora non ci è stato notificato». Di certo, per l’Ue, tra i criteri necessari, c’è il fatto che gli immigrati «dovranno dimostrare i mezzi di sussistenza» e già questo rende molto difficile la loro circolazione. Per questo l’Italia punta anche alla protezione temporanea. Quella dell’immigrazione infatti, secondo il Governo, è una questione che deve essere affrontata dall’Ue e non da Francia e Italia.

Contrariato per la posizione francese, e un po’ anche per i dubbi della Ue, Maroni ha invece preso atto con soddisfazione dei primi risultati dell’accordo con la Tunisia. Un volo è decollato poco dopo le 20 da Lampedusa con a bordo una trentina di migranti diretti a Tunisi. È il primo rimpatrio dopo la firma dell’accordo italo-tunisino avvenuta martedì scorso. L’ultimo sbarco di tunisini è avvenuto nell’isola alle 0,30 della notte di mercoledì, quando sono arrivati 104 migranti su un barcone soccorso dalla Guardia Costiera.

Udin. Oltre 100 mila immigrati in Fvg: piano regionale da 4 milioni
di Paolo Mosanghini
Impegno in sei aree: dall'istruzione alla formazione, dal problema della casa al sociale
UDINE. In Friuli Venezia Giulia la percentuale di stranieri residenti è dell'8,2% contro una media nazionale del 7%. Gli stranieri residenti nel 2009 avevano superato quota 100.000; al primo gennaio 2010 risultavano essere 100.850, così distribuiti: in provincia di Udine 37.823; in provincia di Pordenone 34.582; in provincia di Trieste 17.961; e in quella di Gorizia 10.484.

Il consiglio regionale ha dato il via libera al programma che prevede sei ambiti di intervento con un impegno complessivo di spesa di circa 4 milioni di euro. In commissione anche la Lega ha votato l'approvazione, chiedendo un monitoraggio continuo sugli interventi. La prima area di intervento, come spiega il presidente della terza commissione consiliare Giorgio Venier Romano, riguarda l'istruzione e la formazione, con l'inserimento degli alunni stranieri, ma anche con l'apprendimento per gli adulti (previsione di spesa regionale per 1.373.761,53 euro).

C'è poi il comparto casa, con interventi in caso di forte disagio abitativo (, 700.000 euro previsti dalle casse della Regione; e ancora il settore socio-sanitario, con servizi di mediazione linguistica (previsioni di spesa per 250.000 euro). Per quanto riguarda l'informazione, con servizi territoriali e sociali che escono dalla fase sperimentale portata avanti dalle Province, la spesa prevista è di 1.100.000 euro.

La quinta area è quella inerente alla protezione sociale, con il rafforzamento del lavoro tra soggetti pubblici e privati, per i richiedenti asilo e i rifugiati, e per l'integrazione con le comunità limitrofe al Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Gradisca d'Isonzo, 60.000 gli euro previsti di spesa; infine, il settore delle indagini, delle ricerche e della sperimentazione, con la nuova edizione dell'annuario statistico dell'immigrazione, la partecipazione a progetti comunitari.

La terza commissione del consiglio regionale ha espresso parere favorevole a maggioranza (una parte dei consiglieri ha votato astensione) al Programma immigrazione 2011 previsto dalla legge regionale 9 del 2008, destinato agli immigrati regolarmente presenti in Friuli Venezia Giulia, compresi coloro che vi soggiornano per motivi di protezione sociale o che non possono essere respinti in quanto perseguitati.

«Il programma comprende una dotazione di 4 milioni di euro. Di questi 3,5 da parte della Regione, 500 mila euro sono invece di provenienza statale - sottolinea il presidente della terza commissione Giorgio Venier Romano -. Il testo è stato approvato a maggioranza, con alcune astensioni. E va detto che la Lega ha chiesto un monitoraggio continuo», conclude Venier Romano.

Modena. A giorni arriveranno i primi 230 profughi
Un centinaio da Lampedusa a Modena, gli altri assegnati a tutti i distretti e distribuiti nei Comuni Si tratterebbe soprattutto di minori e nuclei famigliari, attesi per la prossima settimana. Ma se prima si parlava solo di alcuni contenitori sparsi per la provincia, ora la strategia è cambiata.
di Davide Berti
MODENA. Saranno circa 230 i profughi e gli immigrati del Nord Africa destinati al territorio modenese in questa prima fase dell'emergenza umanitaria e per i quali gli enti locali stanno individuando le strutture per l'accoglienza idonee a ospitare piccoli gruppi di alcune decine di persone.
Si tratterebbe soprattutto di minori e nuclei famigliari, attesi per la prossima settimana. Ma se prima si parlava solo di alcuni contenitori sparsi per la provincia, ora la strategia è cambiata. Sono alcune decine i siti che si stanno valutando, un paio per ogni distretto. Dei 230 che arriveranno con la prima ondata, circa un centinaio saranno destinati a Modena e gli altri sparsi sul territorio. Il motivo è evitare di creare problemi di ordine pubblico e igienico-sanitari. Il San Filippo Neri, di proprietà della Provincia, avrebbe risposto ai requisiti, ma ieri è uscito dalla lista perchè non sarebbe libero da subito. A Modena un'alternativa è la casa di Marzaglia già occupata dagli anarchici, ma ci sono più edifici e appartamenti dove potrebbero essere dislocati, sempre in piccoli numeri.

Per la provincia resta Montefiorino, resta una struttura a Vignola, resta Carpi. Altre disponibilità saranno attivate attraverso le Caritas, ma è chiaro che anche la zona di Sassuolo, quella di Mirandola e i comuni della zona di Castelfranco dovranno fare la loro parte. Tutto è stato stabilito nel corso della seconda riunione del Tavolo regionale che si è svolta ieri a Bologna; una terza riunione è già convocata per martedì 12 aprile per l'individuazione dei luoghi. Nel frattempo, oltre agli enti locali, in collaborazione con le Prefetture, viene effettuata una ricognizione anche con le diocesi e altri soggetti privati per individuare, da subito, strutture già predisposte per l'accoglienza. E il primo appuntamento sarà proprio questa mattina.

A livello regionale sono 1.500 le persone in arrivo in questa prima fase, che saranno accolte un po' in tutte le province, mentre il numero totale dei profughi in Emilia Romagna è di 3.700. A Modena spetterà comunque il 15 per cento degli stranieri che arriveranno in totale, quindi una cifra stimata attorno alle 550 persone - in linea con la proporzione già annunciata di uno ogni mille abitanti - quando ci sarà anche la seconda tornata di profughi.

«Non sono previste tendopoli e abbiamo ottenuto assicurazioni rispetto alla copertura economica da parte del Governo di tutta la fase di accoglienza con apposite risorse della Protezione civile, senza alcuna anticipazione da parte degli enti locali», spiega il vice presidente della Provincia Mario Galli che ha partecipato all'incontro insieme agli assessori al Sociale del Comune di Modena Francesca Maletti e del Comune di Carpi Alberto Bellelli.

«Non c'è ancora chiarezza - aggiunge Galli - sulla nazionalità delle persone che saranno inviate nel nostro territorio, così come sulla presenza di nuclei familiari, ma l'ipotesi è che si tratti di immigrati che hanno ottenuto il permesso di soggiorno temporaneo concesso con il decreto odierno firmato dal presidente del Consiglio. La permanenza, quindi, andrebbe garantita per un periodo che va dai tre ai sei mesi».

A Modena, inoltre, attraverso la rete dei servizi sociali saranno destinati anche alcuni dei minori che saranno accolti a livello regionale. «Tra le questioni poste al Tavolo - sottolinea Galli - rimane aperta quella della sicurezza delle strutture di accoglienza, che deve essere garantita dalle forze dell'ordine, a partire dai problemi legati all'identificazione delle persone ospiti».
8 aprile 2011

Genova. La Regione dice no ad altri 400 immigrati a Ventimiglia
07 aprile 2011
Genova - La Liguria dice no all’ ipotesi ventilata dal ministro Maroni di sistemare 400 immigrati nel centro di accoglienza di Ventimiglia, al confine con la Francia.

Lo ha chiesto al Governo la Regione Liguria, per evitare «il rischio di dar vita a pericolose compressioni sul territorio con immigrati che non vogliono rimanere».

«Di fronte a situazioni come Ventimiglia è necessario che il Governo si muova stipulando accordi bilaterali con i Paesi limitrofi o chiedendo l’ accompagnamento dell’Unione Europea per superare le rigidità dei Paesi confinanti». L’assessore regionale ligure alle politiche sociali Lorena Rambaudi, coordinatrice del tavolo regionale sui profughi, intervistata su Radio19 , sottolinea l’atteggiamento della Francia che «sta mettendo in campo misure rigide per limitare l’ingresso degli immigrati dall’Italia».

«Anche ieri, nel corso dell’incontro tra Governo e Regioni - ha detto Rambaudi - proprio pensando a Ventimiglia abbiamo parlato del problema dei territori di confine e chiesto per questi che il Governo si muova al più presto stipulando accordi bilaterali o chiedendo l’intervento della Ue. Si tratta di un problema che abbiamo posto sia in termini giuridici che politici di fronte al quale il Governo deve muoversi al più presto».

Oggi, intanto, la situazione a Ventimiglia e al confine è stata tranquilla ed è decisamente diminuita, a differenza dei giorni passati, la presenza di stranieri nelle strade della città e nella caserma in cui è stato allestito il centro di prima accoglienza.

L'ultima beffa del caso Parmalat
La prescrizione blocca i risarcimenti
Processo ai banchieri per aggiotaggio, a rischio 80 mila risparmiatori
MILANO - Dicembre del 2003: dopo un rocambolesco e ancora oscuro viaggio di Calisto Tanzi in Ecuador per la Parmalat non ci sono più speranze. Per il manager scattano le manette. Per la multinazionale si arriva allo spaventoso crac da 14 miliardi e si apre il paracadute della Marzano Bis, l'amministrazione straordinaria. Per oltre 120 mila obbligazionisti del re del latte Uht e delle carte false inizia una dolorosa Via Crucis. Aprile del 2011, il 18 per l'esattezza, tra pochissimi giorni: le banche potrebbero non pagare e per 80 mila di quei risparmiatori si potrebbe chiudere l'ultima finestra per sperare nei rimborsi.

La questione è complessa: il 18 è attesa la sentenza di primo grado nel processo per aggiotaggio presso il Tribunale di Milano contro le banche Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank e Morgan Stanley e i cinque manager degli istituti esteri. Le date sono importanti: perché nel caso di aggiotaggio la prescrizione del reato per le persone fisiche scatta dopo sette anni e mezzo. Cioè tra poche settimane. Dunque c'è il rischio di una beffa per chi seguiva il processo speranzoso sulla strade della giustizia. La verità è che per i manager che - secondo l'accusa sostenuta dai magistrati Eugenio Fusco, Carlo Nocerino e Francesco Greco - sono coinvolti nelle vicende del crac, anche se si dovesse arrivare a una sentenza di colpevolezza di primo grado, seppure molto importante, sarebbe penalmente una vittoria di Pirro. Con l'appello, per Carlo Pagliani, Paolo Basso (Morgan Stanley), Marco Pracca, Tommaso Zibordi (Deutsche Bank) e Paolo Botta (di Citi) scatterebbe senz'altro la prescrizione del reato.

Il punto è che l'aggiotaggio è un reato puntuale: se c'è stato deve essere stato compiuto un giorno preciso. Sull'argomento c'è un'ampia manualistica. E inoltre con le nuove norme non sarebbe comunque possibile tentare di dimostrare che si tratterebbe di reiterazione del reato. Già la Chiaruttini nella sua famosa analisi all'inizio del primo processo aveva adombrato il rischio prescrizione. Non che i giudici non se ne siano resi conto: dallo scorso gennaio il processo ha subito un'accelerazione proprio per evitare il rischio di arrivare alla prescrizione addirittura prima della sentenza. Va detto onestamente che il processo principale, quello per le responsabilità del crac vero e proprio, è quello di Parma. Un avvocato di una delle banche considera l'appuntamento milanese una «scheggia». Anche perché la stessa persona sottolinea come la maggior parte dei risparmiatori che si sono costituiti parte civile nel processo (32 mila rappresentati dall'avvocato Carlo Federico Grosso e circa 8 mila rappresentati dalle associazioni dei consumatori) abbiano già sottoscritto degli accordi con le banche nel processo.

Ma sembra un punto di vista di parte. Perché da un punto di vista mediatico e di partecipazione emotiva, al processo sono in molti che attendono di vedere cosa succederà agli istituti di credito tra gli ex creditori di Tanzi. Basterebbe una passeggiata nella blogosfera. La posizione delle banche estere è comunque diversa perché in un'affollata aula del Tribunale meneghino, lo scorso gennaio, Fusco ha chiesto in base alla legge 231 - non aver predisposto delle strutture atte a evitare che i propri dipendenti si possano rendere responsabili di comportamenti contro il mercato - di procedere contro le banche confiscando parallelamente la cifra monstre di 120 milioni.

Contro la 231 non c'è prescrizione. Ma in ogni caso la Cassazione ha già chiarito che non è possibile costituirsi parte civile contro le società per le responsabilità amministrative. Dunque, in soldoni, da un'eventuale sentenza di colpevolezza delle banche come persone giuridiche non arriverà nulla ai risparmiatori. L'unica speranza era la sentenza contro le persone fisiche che avrebbe permesso ai risparmiatori di chiedere di fronte al giudice civile il risarcimento del danno subito. Ma gli unici che potrebbero trarne vantaggio a questo punto sono 1.200 parti civili che non hanno firmato per vari motivi gli accordi con le banche. Per loro, in caso di sentenza favorevole, potrebbe aprirsi qualche spiraglio. Per tutti gli altri, se ancora hanno le azioni che hanno ricevuto sulla base del concordato in cambio dei Tanzi-bond, non resta che sperare in una ripresa del titolo Parmalat in Borsa nella contesa in corso tra Italia e Francia.
Massimo Sideri













































Venezia. La Consulta disarma gli «sceriffi» veneti
«Illegittimi i poteri ricevuti dal pacchetto Maroni». Stop alle ordinanze anti-lucciole e anti-accattoni
VENEZIA — Via stella e cinturone. All’improvviso i sindaci-sceriffi di tutta Italia si ritrovano denudati dei superpoteri in materia di ordine pubblico conferiti loro dal pacchetto sicurezza Maroni 2008, mandato a gambe all’aria proprio dal Veneto. La buccia di banana l’ha pestata il primo cittadino di Selvazzano (Padova), Enoch Soranzo (a capo di una coalizione Lega-Pdl), che lo scorso novembre ha emanato un’ordinanza anti-accattonaggio contro la quale l’associazione «Razzismo Stop», allertata da un gruppo di cittadini, ha presentato ricorso al Tar. L’idea dei ricorrenti, assistiti dall’avvocato padovano Giovanni Dell’Agnese, era di contestare «uno spot elettorale travestito da provvedimento, visto che a Selvazzano ci sono soltanto un mendicante davanti alla Chiesa e uno davanti al supermercato, inoffensivi per la collettività ». In realtà l’iniziativa è andata molto più lontano, perchè il Tar non si è limitato a sospendere l’ordinanza contestata, ma ha pure sollevato davanti alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’articolo 54 del pacchetto sicurezza, che tali superpoteri conferisce ai sindaci. E che la Consulta ha dichiarato «illegittimi».

Significa dire addio alla miriade di ordinanze anti-lucciole (fecero scuola quelle di Padova, con multe portate a 500 euro, di Vicenza, con il cartello di divieto di transito nelle «vie a luci rosse», di Mogliano, che proibisce la contrattazione con il cliente), anti-droga (multe di 500 euro a chi consuma o compra stupefacenti in pubblico, a Belluno e nella città del Santo), anti-accattoni (in vigore pure a Belluno, Cittadella e Treviso), anti-bivacco sulle panchine (a Vicenza) e addirittura anti- gay (nella Spresiano di centrosinistra), anti-panino (a Verona è vietato mangiare sulle scalinate dei monumenti) e anti-fumo nei parchi (sempre nel capoluogo scaligero), che in maniera bipartisan imperversano nei Comuni veneti da tre anni. I giudici bocciano la legge 125 del 2008 nella parte in cui consente al sindaco di adottare provvedimenti «a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana, anche al di fuori dei casi di «contingibilità e urgenza». Il motivo? Vìola gli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione, riguardanti il principio di uguaglianza, la riserva di legge e il principio di legalità in materia di sanzioni amministrative.

Sarcastica la reazione del presidente di Anci Veneto, Giorgio Dal Negro (Pdl): «Bene, bravi, sette più. Se anche gli interventi spiccioli di ordine pubblico verranno sottratti ai sindaci, le nostre città sono destinate ad un progressivo degrado. Se non potremo più intervenire su nulla, bisognerà distogliere carabinieri, polizia e Guardia di finanza da compiti certamente più gravosi. E’ chiaro che chi ha scritto questa sentenza capisce poco di come si amministra una comunità locale ». Critico anche Flavio Tosi (Lega), primo cittadino di Verona: «La Consulta sbaglia, così non agisce nell’interesse dei cittadini, di cui invece dovrebbe preoccuparsi chi è pagato con le tasse di tutti. Tutte le ordinanze da noi emesse sulla base di una norma sacrosanta e utilissima sono su richiesta e a difesa della popolazione. Quanto a Verona, abbiamo emanato sempre provvedimenti annuali e non a tempo indeterminato, perciò siamo tranquilli ». Dall’altra parte della barricata non si scompone invece il Flavio- sceriffo del Pd, cioè il sindaco di Padova Zanonato: «Ho firmato il mio primo provvedimento anti-prostituzione nel 1994, molto prima del pacchetto sicurezza. Sull’articolo 54 ho sempre nutrito dei dubbi, perchè certi temi vanno gestiti con l’apposito regolamento di polizia urbana. La sentenza dunque non mi sorprende, quanto a Padova rifarò l’ordinanza con il vecchio motivo dei problemi al traffico causati dalle file dei clienti delle prostitute, che nessuno aveva mai impugnato». In forse invece quella sulla droga. «Potrebbe decadere — ammette Zanonato— vedremo come adottare misure diverse». Gongola infine Luca Bertolino, portavoce di «Razzismo Stop»: «Speriamo che una buona volta si ponga fine all’epopea dei sindaci- sceriffi: hanno fatto solo danni. I fenomeni sociali non sono problemi e basta, e comunque non si risolvono mostrando i muscoli, ma con il dialogo».
Michela Nicolussi Moro

Varese. "Sindaci sceriffi" fuori legge
La Consulta boccia il pacchetto sicurezza. La rabbia di Reguzzoni e Fontana
di VINCENZO CORONETTI
Colpo di spugna sui super poteri dei sindaci in materia di sicurezza, previsti dal "pacchetto" del governo Berlusconi. Poteri che dal 2008 ad oggi si sono tradotti in divieti contro l’accattonaggio o le lucciole in numerose città. La loro illegittimità è stata stabilita dalla Corte Costituzionale che ha bocciato la legge 125 di tre anni fa nella parte in cui consente che il primo cittadino adotti provvedimenti "a contenuto normativo ed efficacia a tempo inderminato" per prevenire e eliminare pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche al di fuori dai casi di «contingibilità ed urgenza". La decisione della Corte ha scatenato una serie di reazioni, soprattutto di esponenti del centrodestra che sottolineano aspetti sia di ordine politico sia legislativo. Per Marco Reguzzoni, bustocco, presidente dei deputati leghisti a Montecitorio «il Carroccio vuole che le nostre città tornino a essere vivibili e sicure: i maggiori poteri ai sindaci sono necessari per garantire le nostre case e le nostre vite». Di più: «Siamo di fronte all’ennesima sentenza della Corte Costituzionale che testimonia la volontà di una parte della magistratura di impedire la realizzazione di quelle misure che i cittadini giustamente chiedono e che difendono la sicurezza di tutti noi. E’ un comportamento politicamente inaccettabile per il quale occorre determinare risposte pronte».

Udin. La Consulta boccia la legge regionale che voleva avere appalti più veloci
di Beniamino Pagliaro
UDINE. Gli interventi straordinari della Regione nel campo degli appalti pubblici introdotti dalla legge anticrisi nel 2009 e nel 2010 sono incostituzionali. La sentenza della Corte costituzionale è stata depositata ieri dopo una lunga analisi: la nuova battaglia sull'asse Trieste-Roma ha visto ancora una volta prevalere l'impugnativa del Governo di fronte alle pretese «speciali» del Friuli Venezia Giulia.

La materia del contendere non è spiccatamente politica: l'articolo «impallinato» dalla Consulta è quello, votato da un Consiglio regionale trasversale, che prevede alcune misure a sostegno dell'occupazione nel comparto edile e l'accelerazione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici. Lo scontro, infatti, è più tra burocrazie che partiti: poco centra il governo «amico», il Consiglio dei ministri ha impugnato e il giudice costituzionale ha dato ragione a Roma.

La censura non riguarda comunque tutti i commi dell'articolo 1 bis (legge 11 del 2009) impugnato dal governo. Nella sentenza, la Corte riconosce infatti che la Regione ha la competenza primaria nella materia dei lavori pubblici, ma «ciò non significa - spiega la Consulta - che la legislazione regionale sia libera di esplicarsi senza alcun vincolo e che non possano trovare applicazione le disposizioni di principio» contenute nel Codice dei contratti pubblici, emanato su base anche di alcune direttive comunitarie.

La Corte ha considerato inammissibile la questione di legittimità sollevata dal Governo sul comma che prevede che fino al dicembre 2011, per fronteggiare la crisi, «i lavori di importo pari o inferiore a un milione di euro al netto dell'Iva non presentano interesse transfrontaliero». Questa parte della legge resta così intatta.

La legge è invece stata censurata nella parte in cui prevede l'esclusione automatica delle offerte anomale con il criterio del prezzo più basso perchè, secondo la Corte, in questo modo viene introdotta «una disciplina diversa da quella nazionale, idonea ad incidere negativamente sul livello della concorrenza».

È poi stata bocciata la parte della legge che non prevede, oltre alle forme di pubblicità degli appalti stabilite a livello regionale, che si applichino quelle imposte dal Codice dei contratti. Infine, la legge è censurata perchè, prevedendo la selezione di tre soli soggetti, rispetto ai cinque previsti a livello nazionale, per gli appalti del valore pari o inferiore ai 50 mila euro al netto dell'Iva, va a «incidere negativamente sul livello complessivo di tutela della concorrenza nel particolare segmento di mercato preso in considerazione».

La sentenza obbligherà la giunta regionale e il Consiglio a rimettere mano al testo di legge in alcune parti. La decisione segue la bocciatura del welfare «padano», delle norme sulla sicurezza, e di innumerevoli impugnative da parte del Governo: il nodo dei rapporti Stato-Regione, non sempre preso in grande considerazione, acquista peso.

È dunque un'altra legge della Regione che viene colpita e alla quale il consiglio regionale dovrà mettere mano, dopo che anche altre riforme sono state bocciate da Roma.

Padova. Il prefetto scrive ai sindaci: al bando le strisce pedonali "padane"
Ennio Mario Sodano chiude la disputa ricordando anche alle forze dell'ordine la nota interpretativa del ministero dei Trasporti: "Sono vietate, gravi responsabilità in caso di incidenti". Ruzzante (Pd): "Avevamo ragione".
di Silvia Bergamin
SAN MARTINO DI LUPARI. Strisce padane, il ministero dà ragione al consigliere regionale Piero Ruzzante (Pd), bocciando la vernice verde (e di qualsiasi altro colore) sugli attraversamenti pedonali. Il caso era emerso a San Martino con un centinaio di strisce verde leghista. Ora il prefetto di Padova, Ennio Mario Sodano, chiude la disputa scrivendo a tutti i sindaci della provincia e alle forze dell'ordine, facendo propria la nota del ministero dei Trasporti: «Se la colorazione del fondo stradale è localizzata in corrispondenza dell'attraversamento pedonale e realizzata utilizzando vernici, rientra nel campo della segnaletica stradale orizzontale e di conseguenza tale pratica è vietata». Altra cosa sarebbe se il conglomerato con cui è realizzato il manto stradale fosse di colore diverso.

Sempre nella nota del ministero si fa presente che «anche la recente normativa europea, relativa alla segnaletica orizzontale, fa riferimento esclusivamente ai colori bianco e giallo».

Gli utenti della strada, osserva il prefetto, «devono riconoscere la segnaletica del Codice della strada che deve essere uniforme su tutto il territorio nazionale». Considerato che «eventuali violazioni potrebbero comportare gravi responsabilità, specie in caso di incidenti - rileva Sodano - i sindaci sono pregati di effettuare le opportune verifiche e sanare eventuali irregolarità». Le forze di polizia dovranno segnalare eventuali irregolarità.

«Avevamo ragione noi. Il governo di Lega e Pdl, con il ministro dei Trasporti Matteoli, ci ha dato ragione - sottolinea Ruzzante - Ora i sindaci di San Martino, San Giorgio in Bosco e tutti i Comuni leghisti che hanno voluto forzare il Codice della strada per farsi pubblicità con i soldi dei cittadini si attengano alle disposizioni del prefetto e del loro governo. In caso d'incidenti, la responsabilità sarà loro, che per ostentare la padanizzazione hanno prodotto insicurezza. Non solo non fanno nulla, fanno anche danni: abbiano l'umiltà che devono tenere i rappresentati delle istituzioni».

A San Giorgio in Bosco è stata usata vernice verde e azzurra, una decina gli attraversamenti pedonali; oltre un centinaio a San Martino di Lupari. «Sono passati cinque mesi da quando denunciammo l'irregolarità - osserva Marco Marangoni del Pd di San Martino - ma dalla nostra denuncia il sindaco Gerry Boratto ha proseguito nel realizzarne di nuovi a Campagnalta. Inoltre i cittadini stanno ancora attendendo risposta sull'ammontare complessivo delle spese sostenute per padanizzare il paese; ora è giusto che paghi chi ha sbagliato. Le spese devono essere pagate di tasca propria dal sindaco». «La circolare del prefetto finalmente non lascia dubbi - conclude Ruzzante - da un punto di vista formale ma anche sostanziale».

Nessun commento: