venerdì 8 aprile 2011

Questo sociologo e’ un mito. Davvero! si chiama Ricolfi. E’ un artista dell’analisi statistica. Creativa. Eziologica. Sballata. Lo dimostra l’Istat. Insomma, Ricolfi e' un perfetto idiota.

«Il sacco del Nord c'è davvero. Ma questo federalismo non va»


LA “CONTABILITÀ” DELL'ITALIA. Il noto sociologo scrittore ospite ieri dell'Università di Padova
Ricolfi: «Ogni anno il Settentrione vanta un credito di 50 miliardi». 08/04/2011
Piero Erle
PADOVA. «Quando presento questo studio ad altre latitudini, diciamo da Firenze in giù, mi danno subito del leghista. Ma è la realtà dei numeri che ho scoperto lavorando a questo libro. Perché la verità a cui sono arrivato con i miei collaboratori, ve lo dico subito, è che il Nord Italia, Emilia Romagna compresa, rispetto al resto del Paese e quindi il Sud ma anche il Centro, si ritrova ad avere un credito di qualcosa come 50 miliardi di euro l'anno».
Luca Ricolfi, sociologo, docente all'Università di Torino, noto e premiato editorialista de "La Stampa", presenta così il suo famoso libro "Il sacco del Nord. Saggio sulla giustizia territoriale". Ricolfi ieri era all'Università di Padova ospite del Dipartimento di scienze statistiche, circondato da colleghi e da studenti con cui ha dialogato sul modello di "contabilità liberale" con cui ha scoperchiato la pentola delle "cifre ufficiali" dello Stato italiano, disegnando una realtà del nostro Paese molto diversa da quella in cui si crede tradizionalmente.

NON ESISTONO REGIONI POVERE. Un esempio? Non è vero che esiste un abisso tra il reddito disponibile al Nord e quello al Sud, ovvero «non esistono Regioni povere e ricche», scandisce Ricolfi. Perché se si applica il suo modello di contabilità liberale occorre andare a vedere anche il "tenore di vita" di ogni area - esaminando ad esempio qual è il costo della vita - e viene fuori che il divario tra Nord e Sud in realtà oscilla in una forbice tra l'85% e il 113%, vale a dire che non c'è un vero divario.

I "TASSI" CHE SVEGLIANO L'ITALIA. Per verificare la reale contabilità del Paese, Ricolfi mette da parte la differenza pubblico-privato e mette in gioco invece prima di tutto la separazione tra tutto cio che è reale "produzione di ricchezza", che si confronta quindi con il libero mercato, e tutto ciò che è invece "improduttivo" nel senso che ricava profitto «da decisioni discrezionali del potere politico». Perché se ad esempio un ente pubblico raddoppia gli stipendi ai suoi dirigenti, spiega, non è che questo balzo di reddito sia classificabile come "produttivo". Ricolfi individua quindi alcuni "tassi" fondamentali nel fotografare la realtà di ogni regione: il tasso di parassitismo, quello di spreco,quello di evasione fiscale e il livello dei prezzi.

FEDERALISMO SÌ, MA NON COSÌ. L'analisi con questi "tassi" evidenzia sorprese. Ad esempio che a costare di più al sistema non sono i soldi che vanno dal Nord al Sud (12 miliardi), ma l'evasione fiscale (18 miliardi) e le inefficienze (20 miliardi). Ad esempio che la Liguria è una regione del Nord che sprofonda in questi dati di parassitismo-spreco. Che il Lazio non è per nulla efficiente. Che l'Umbria ha il record assurdo di false pensioni di invalidità («in tutto in Italia le false pensioni di invalidità ci costano qualcosa come 10 miliardi: una "finanziaria" intera»). Allora il federalismo può correggere la situazione? Per Ricolfi sì, potrebbe aiutare a recuperare quei 50 miliardi di credito per le Regioni del Nord che non riescono più a fare da locomotiva per tutta l'Italia. Ma non il federalismo della legge e dei decreti varati dal Governo: «Non funzionerà, e poi scatterà nel 2018-2020, troppo tardi». Quanto alla maggiore autonomia degli enti (Regioni, Province, Comuni) è duro: «Con compartecipazioni di Iva, Irpef e altro, e con la miriade di possibilità che un amministratore avrà di alzare un tributo, stabilire esenzioni, ridurne un altro, nessuno riuscirà ad avere le idee chiare su come è governato l'ente. E le imprese impazziranno in una "giungla fiscale" da un territorio all'altro».
asterisco.
Nessun appunto alla nuova metodologia del geniale Ricolfi. Che senso avrebbe? Questo tizio e’ un genio. Manco Kandinsky e Chagall messi insieme.
Nessun commento alle stupidaggini sbandierate dal genio, grazie alla sua nuova metodologia.
Bensi’, di seguito riporto l’analisi che – proprio oggi, venerdì 8 aprile 2011– L’Istat ha pubblicato.
Il commento e’ degli analisti dell’Istat.
Specifico che i dati riportati dall’Istat sono consolidati.
Il file completo si puo’ scaricare all’indirizzo:

Fonte: ISTAT, Noi Italia, 100 statistiche per capire il paese in cui viviamo, edizione 2011.

Famiglie in poverta’ relativa per regione
Anno 2009 (a) (per 100 famiglie residenti)
Piů di una famiglia su dieci vive in condizioni di poverta’ relativa e quasi una su venti in condizioni di poverta’ assoluta

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
Il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell’Italia meridionale e
insulare, con valori di incidenza piů che doppi rispetto alla media nazionale. Nel
Mezzogiorno, le famiglie in povertŕ relativa sono il 22,7 per cento di quelle residenti
(contro il 4,9 del Nord e il 5,9 del Centro) e quelle in povertŕ assoluta ne rappresentano
il 7,7 per cento (contro il 3,6 e il 2,7 rispettivamente).
Situazioni gravi per la povertŕ relativa, si osservano tra le famiglie residenti in Sicilia
(24,2 per cento), in Campania e in Basilicata (25,1); la situazione peggiore č
quella della Calabria dove oltre un quarto delle famiglie č povera (27,4). All’opposto,
nel resto del paese si registrano incidenze di povertŕ relativa decisamente piů
contenute: l’Emilia-Romagna rappresenta la regione con la piů bassa incidenza (pari
al 4,1 per cento), seguita dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Liguria, con valori
inferiori al 5 per cento.
Nel Mezzogiorno, inoltre, alla piů ampia diffusione della povertŕ si associa anche
una maggiore gravitŕ del fenomeno, le famiglie povere sono di piů e hanno livelli
di spesa mediamente molto piů bassi di quelli delle famiglie povere del Centro-
Nord. L’intensitŕ della povertŕ relativa č, infatti, pari al 22,5 per cento (contro il
17,5 del Nord e il 17,4 del Centro) e quella di povertŕ assoluta al 18,8 per cento
(contro rispettivamente il 15,1 e il 18,3).

Diseguaglianza dei redditi per regione (Indice di concentrazione di Gini sui redditi netti familiari esclusi i fitti imputati)
Anno 2008 (a)
Diseguaglianze elevate: nel Mezzogiorno solo alcune aree sono meno svantaggiate

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
Nel 2008, l’indice di diseguaglianza dei redditi varia da un minimo di 0,263 in
Abruzzo a un massimo di 0,335 in Sicilia. Tra le regioni in cui il valore č superiore
alla media nazionale (pari a 0,314) si trovano anche Campania, Lazio e Molise (con
valori rispettivamente di 0,327, 0,324, 0,319). La Sicilia presenta il reddito medio
annuo piů basso (22.044 euro, oltre il 25 per cento in meno del dato medio italiano);
inoltre, in tale regione, in base al reddito mediano, il 50 per cento delle famiglie si colloca
al di sotto di 17.748 euro annui (circa 1.480 euro al mese). Nel Mezzogiorno,
l’indice di concentrazione si attesta al di sotto del valore medio italiano in Abruzzo,
Basilicata, Sardegna e Puglia. Tra le regioni del Centro-Nord, la Valle d’Aosta e il
Lazio presentano i valori piů alti (rispettivamente 0,310 e 0,324). Un’elevata equitŕ
nella distribuzione dei redditi si osserva anche in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Umbria
e nella provincia autonoma di Trento. Il Trentino-Alto Adige, grazie al contributo
della provincia autonoma di Bolzano, presenta il piů alto reddito familiare medio
annuo (34.927 euro); seguono Valle d’Aosta (33.663), Emilia-Romagna (33.611) e
Lombardia (33.077).

Famiglie in condizione di deprivazione per regione
Anno 2009 (a) (per 100 famiglie residenti)
Il 15,3 per cento delle famiglie vive in una situazione di disagio economico: circa 3,8 milioni, per un totale di 9,4 milioni di individui

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
Nel 2009, il 15,3 per cento delle famiglie residenti in Italia presenta almeno tre delle
difficoltŕ considerate (il 6,9 per cento nel caso di quattro o piů) con differenze marcate
tra i diversi indicatori: circa il 4 per cento delle famiglie residenti dichiara di
non potersi permettere l’acquisto di una lavatrice, una televisione a colori, un telefono
o un’automobile, mentre sono il 40,6 per cento quelle che non possono permettersi
una settimana di vacanza lontani da casa. Circa una famiglia su dieci dichiara di non
riuscire a riscaldare adeguatamente l’abitazione e il 6,6 per cento di non potersi permettere
un pasto adeguato almeno ogni due giorni. Infine, circa l’11 per cento delle
famiglie residenti č rimasto in arretrato con almeno un pagamento tra mutuo, affitto,
bollette o debiti diversi dal mutuo; un terzo non riuscirebbe ad affrontare una spesa
imprevista di 750 euro.
Il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell’Italia meridionale e
insulare, con valori piů che doppi rispetto alla media nazionale. Nel Mezzogiorno, le
famiglie deprivate sono il 25,3 per cento di quelle residenti, contro il 9,3 per cento del
Nord e il 13,5 del Centro.
Le situazioni piů gravi si registrano tra le famiglie residenti in Sicilia (33,1 per cento),
in Campania (25,0), in Calabria (23,6) e in Puglia (23,3). I valori piů contenuti sono,
invece, quelli mostrati dalle famiglie residenti nella provincia di Bolzano (5,9 per
cento), in Liguria (7,1), in Lombardia (9,0) e in Veneto (9,3).

Spesa per prestazioni di protezione sociale in Italia per funzione
Anni 2003-2009 (composizioni
percentuali)
La funzione “vecchiaia” assorbe oltre meta’ della spesa

LA SITUAZIONE NAZIONALE
Nel 2009, la spesa per prestazioni di protezione sociale (che rappresenta il 95,4 per
cento della spesa complessiva per protezione sociale) č dedicata per oltre la metŕ alla
funzione “vecchiaia” (51,0 per cento) mentre la parte rimanente si distribuisce tra
“malattia/sanitŕ” (25,8), “superstiti” (9,4), “invaliditŕ” (6,0), “famiglia” (4,8) e “disoccupazione
e altra esclusione sociale” (3,0 per cento).
Rispetto al 2003, sono in aumento le quote di spesa destinate alle funzioni “disoccupazione
e altra esclusione sociale” (+0,8 punti percentuali, imputabili esclusivamente
alla crescita della spesa per “disoccupazione”), “malattia/salute” (+0,7) e “famiglia”
(+0,4), mentre registrano una diminuzione le quote relative alle rimanenti funzioni,
in particolare, “vecchiaia” (-0,9) e “superstiti” (-0,8). Il peso della spesa per prestazioni
sociali rispetto al Pil segna una forte crescita (+3,6 punti percentuali in sei anni),
osservabile anche a livello di singola funzione ed imputabile prevalentemente alle
funzioni “vecchiaia” (+1,6) e “malattia/salute” (+1,1).

Spesa per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per regione
Anno 2008 (a) (in percentuale del Pil)
Ampi i divari tra le regioni italiane

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
Fra i destinatari dell’assistenza vi sono al primo posto le famiglie con figli, cui č destinato
circa il 40 per cento della spesa complessiva; seguono gli anziani e i disabili,
entrambi con il 21 per cento della spesa. Le politiche di contrasto alla povertŕ e all’esclusione
sociale assorbono il 7,6 per cento della spesa sociale dei comuni, mentre
il 6,3 per cento č relativo ad attivitŕ generali o rivolte alla “multiutenza”. Le quote
residue riguardano le aree di utenza “immigrati e nomadi” (2,7 per cento) e “dipendenze”
(0,7 per cento).
A livello regionale emerge un ampio divario nelle risorse impegnate dai comuni in
rapporto alla popolazione residente: la spesa per abitante nel 2008 varia da un minimo
di circa 29 euro in Calabria a un massimo di circa 280 euro a Trento. Al di sotto del
valore medio italiano si collocano tutte le regioni del Mezzogiorno (ad eccezione
della Sardegna) ma anche Umbria, Marche e Veneto. Anche dal punto di vista del
tipo di rischio o bisogno su cui si concentrano le risorse si mettono in luce differenze
regionali significative. Le regioni del Mezzogiorno hanno una maggiore quota di risorse
assorbite dalle politiche di contrasto alla povertŕ e all’esclusione sociale: il 10,1
per cento nel complesso, con un picco del 25,4 per cento in Calabria. Le regioni del
Nord, ad eccezione di Lombardia ed Emilia-Romagna, mostrano una maggiore attenzione
verso gli anziani e, soprattutto nel Nord-est, verso i disabili.
Se si considera la spesa dedicata ai servizi sociali in rapporto al Pil, la maggior parte
delle regioni si colloca in una fascia intermedia che varia dallo 0,3 per cento al 0,5
per cento del Pil regionale. Al di sotto dello 0,3 per cento vi sono la Calabria, il Molise
e l’Abruzzo, mentre fra le aree che impegnano le percentuali piů alte di risorse
vi sono la Valle d’Aosta, Trento e Bolzano, la Sardegna, il Friuli-Venezia Giulia e
l’Emilia-Romagna.

Indice di copertura previdenziale per regione
Anno 2008 (rapporto percentuale tra contributi versati e prestazioni
erogate)
Prestazioni per abitante piů elevate nelle regioni del Centro-Nord

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
Nell’Italia settentrionale si concentra la quota maggiore sia della spesa per prestazioni
sociali (50,5 per cento), sia delle entrate contributive (56,3 per cento): la Lombardia
si distingue per il bilancio leggermente positivo, con 48,8 miliardi di euro
erogati (5.036 euro per abitante), quasi 53 miliardi di contributi versati e un indice di
copertura previdenziale uguale a 108,5. Anche il Trentino-Alto Adige, soprattutto
grazie al contributo di Bolzano, č caratterizzato da un bilancio in attivo e da un indice
di copertura previdenziale pari a 107,2. Il Lazio č la seconda regione per ammontare
complessivo di prestazioni sociali erogate (27,4 miliardi, 4.902 euro per
abitante) e contributi versati (circa 27,0 miliardi), mentre nel complesso del Mezzogiorno
la quota di prestazioni erogata rappresenta il 28,2 per cento del totale e quella
dei contributi č pari al 21,6 per cento. Qui č la Campania a essere caratterizzata dai
livelli piů elevati in termini di spese e entrate, che corrispondono rispettivamente al
19,9 e al 13,5 cento del Pil. Poiché le prestazioni sociali e i contributi previdenziali
sono legati alla struttura demografica e produttiva del Paese, i dati pro capite confermano
le differenze territoriali e il disavanzo relativo piů elevato delle regioni del
Mezzogiorno, causato soprattutto dal minor livello contributivo. Fanno eccezione la
Liguria e l’Umbria con indici di copertura tra i piů bassi, insieme a Calabria, Puglia,
Sicilia e Molise. In Liguria, caratterizzata da un’elevata quota di anziani, si registra
anche la spesa pro capite per prestazioni sociali piů alta, seguita da Friuli-Venezia
Giulia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Le spese per abitante piů basse del Paese si riscontrano
invece in Campania e in Sicilia.
Rispetto al Pil, č il Nord-est e, in particolare, il Trentino-Alto Adige a registrare le percentuali
di spesa piů contenute. Nel Mezzogiorno si spende di piů, anche se la Liguria
si attesta sugli stessi livelli di Puglia e Calabria. Riguardo ai contributi versati in
rapporto al Pil, Lombardia, Lazio, Trento, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte sono in
testa; in coda Molise, Valle d’Aosta e Calabria.

Tasso di pensionamento per regione
Anno 2008 (valori percentuali)
Tasso di pensionamento e importi medi piů elevati nelle regioni del Centro-Nord

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
Nell’Italia settentrionale si concentra la maggior parte delle prestazioni pensionistiche
(48,0 per cento) e della spesa erogata (50,9 per cento). Gli importi medi dei redditi
pensionistici risultano essere piů elevati nelle regioni del Nord (10.930 euro) e del
Centro (10.762 euro). La Lombardia č la regione con la piů alta quota di prestazioni
(16,1 per cento) e di spesa erogata (17,8 per cento), mentre il beneficio relativo č pari
al 34,3 per cento. Segue il Lazio con una quota di prestazioni pari all’8,6 per cento e
una percentuale di spesa pari al 9,9 per cento, mentre l’indice di beneficio relativo risulta
essere pari al 39,1 per cento. Nel Lazio si registra anche l’importo medio pensionistico
piů elevato in assoluto (11.920 euro), seguono la Lombardia (11.396 euro)
e la Liguria (11.198 euro). Nelle regioni del Mezzogiorno emerge un maggior peso
relativo delle prestazioni di tipo assistenziale, per quanto riguarda sia il numero (44,8
per cento) sia la spesa (43,9 per cento). La regione Molise presenta l’importo medio
pensionistico piů basso (8.087 euro).
L’analisi dei tassi di pensionamento, che forniscono una misura standardizzata dell’incidenza
del numero dei trattamenti nelle diverse aree territoriali, conferma che
nelle regioni del Nord, con 40,8 pensioni ogni 100 abitanti, e nelle regioni del Centro,
con 40,5 pensioni per abitante, si registrano valori superiori al dato nazionale
(38,8). L’Umbria č la regione con il piů alto tasso di pensionamento (49,2 per cento),
seguita dalla Liguria (49,0 per cento). La Campania, invece, č la regione con il piů
basso tasso di pensionamento (31,8 per cento).
Nel Nord-est si registra la percentuale di spesa rispetto al Pil piů contenuta (13,8 per
cento) con il valore piů basso conseguito dalla provincia di Bolzano (10,4 per cento).
Nel Mezzogiorno si spende di piů (17,8 per cento), ma la Liguria č la regione che
spende la piů alta percentuale del Pil per le pensioni (20,1 per cento) seguita da Puglia
(19,0 per cento), Umbria (18,8 per cento) e Calabria (18,7 per cento).

Comuni che hanno attivato il servizio di asilo nido per regione
Anno 2008 (valori percentuali sul totale dei comuni della regione)
Permangono forti disparitŕ regionali nell’offerta pubblica dei servizi

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
Nonostante i segnali di miglioramento che caratterizzano la diffusione sul territorio
dell’offerta pubblica di servizi per la prima infanzia, permangono forti disparitŕ nelle
opportunitŕ di accesso ai servizi a seconda della regione di residenza.
Nel 2008, il 59,0 per cento dei comuni del Centro-Nord possiede strutture comunali
o eroga contributi per la fruizione di servizi privati, contro il 33,8 nel Mezzogiorno.
I livelli piů alti dell’indicatore si riscontrano nelle regioni Emilia-Romagna, con l’88,0
per cento dei comuni che offrono servizi per la prima infanzia, Friuli-Venezia Giulia
con l’83,1 per cento e Valle d’Aosta con il 78,4 per cento.
Il target del 35 per cento appare particolarmente ambizioso per alcune regioni del
Mezzogiorno, quali Molise e Calabria, dove soltanto il 7,4 e il 15,6 per cento dei comuni
offrono servizi per l’infanzia. Sempre al di sotto della soglia di riferimento si
trovano Sardegna e Basilicata, con il 20,4 e il 21,4 per cento dei comuni dotati di
questi servizi, mentre Abruzzo, Campania e Puglia hanno ampiamente superato
l’obiettivo. La Sicilia, sempre nel 2008, presenta una diffusione sul territorio dei servizi
per l’infanzia prossima al valore target (34,6 per cento).
L’attivazione per il servizio di asilo nido č prevalente ovunque rispetto ai servizi integrativi
e innovativi per la prima infanzia: dal 2004 al 2008 si č passati dal 32,8 per
cento al 40,9 per cento dei comuni italiani per quanto riguarda gli asili nido e dall’11,9
per cento al 23,7 per cento per gli altri servizi socio-educativi.

Bambini di 0-2 anni che utilizzano il servizio di asilo nido per regione
Anno 2008 (valori percentuali)
Soltanto un bambino su dieci fruisce dell’offerta pubblica di asili nido

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
A livello regionale, il quadro relativo all’offerta pubblica di servizi per l’infanzia č ancora
molto disomogeneo: nel 2008 la percentuale di bambini che usufruisce dei servizi
per l’infanzia supera il 28 per cento in Valle d’Aosta e in Emilia-Romagna,
mentre non raggiunge il 3 per cento in Calabria e in Campania. Il divario tra i territori
č ben sintetizzato dal confronto tra i valori assunti dall’indicatore al Centro-Nord
(16,9 per cento) e nel Mezzogiorno (5 per cento). Anche se rispetto all’anno base di
riferimento si intravedono alcuni segnali di miglioramento, la quota di domanda soddisfatta
č ancora molto limitata rispetto al potenziale bacino di utenza.
Per quanto riguarda il servizio di asilo nido, si passa dal 9 per cento dei bambini di
0-2 anni fruitori dell’offerta pubblica nel 2004 al 10,4 per cento nel 2008; al Centro-
Nord i bambini iscritti in asilo nido sono il 13,9 per cento dei residenti fra 0 e 2 anni,
mentre nel Mezzogiorno sono il 4,0 per cento. Per i servizi integrativi/innovativi per
l’infanzia, tra il 2004 e il 2008 si passa dal 2,4 al 2,3 per cento dei bambini iscritti.
Se si considerano anche i bambini che frequentano un asilo privato tout court, nel
2008 risultano iscritti agli asili nido il 15,3 per cento del totale i bambini da 0 a 2
anni (indagine multiscopo sulle famiglie - aspetti della vita quotidiana). Per effetto
della natura campionaria del dato, considerata anche l’esigua numerositŕ del fenomeno,
la stima prodotta puň variare tra un minimo di 12,8 per cento ad un massimo
di 17,8 per cento.

Spesa statale per regione
Anno 2008 (euro per abitante)
Spesa statale per abitante piů elevata al Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno

L’ITALIA E LE SUE REGIONI
Le informazioni disponibili a livello nazionale consentono di concludere che, tra il
1990 ed il 2009, mentre le Ula per abitante presentano una dinamica di leggera decrescita,
le spese per abitante (calcolate a prezzi correnti) crescono piů intensamente
nel periodo considerato.
Relativamente alla spesa statale regionalizzata per abitante, si nota come la spesa del
Centro-Nord sia sistematicamente superiore a quella del Mezzogiorno: la tendenza si
attenua negli anni piů recenti, dopo aver raggiunto differenziali del 23 per cento circa
nel 2002. Nel 2008, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Lazio e Friuli-Venezia Giulia
detengono il primato della maggiore spesa statale, mentre si collocano in coda
Puglia, Veneto e Campania.

Il sacco del Mezzogiorno c’e’ davvero.
Idiota.
grecanico

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