domenica 10 aprile 2011

Italianità, il rimedio peggiore del male

di Guido Tabellini – Il Sole 24 Ore
È in arrivo una nuova politica industriale? Dietro la difesa dell'italianità e il fondo della Cassa depositi e prestiti per sostenere le imprese ritenute di rilevanza nazionale vi è davvero una nuova visione strategica? Oppure si tratta solo di opportunismo politico o, più semplicemente, di idee sbagliate?


Il ragionamento di chi ha promosso il fondo e vuole difendere la proprietà italiana è semplice: in Italia vi sono poche imprese di grandi dimensioni e davvero multinazionali; non possiamo permetterci che ci siano portate via da un acquirente straniero, magari interessato solo al marchio o a smembrarne le attività.

La premessa è senz'altro corretta: secondo uno studio recente di Mediobanca che ha censito 374 grandi multinazionali nel mondo, solo 21 sono italiane; le multinazionali tedesche e francesi offrono lavoro a 16-17 loro abitanti ogni mille; in Italia il numero è di 6 su mille. Ma il rimedio proposto – difendere a tutti i costi la proprietà italiana con risorse pubbliche e cambiando le regole del gioco - è peggiore del male che si vuole curare. Le imprese italiane non sono solo di piccole dimensioni. Esse sono anche sottocapitalizzate e si finanziano principalmente con il credito bancario. Le due caratteristiche sono collegate tra loro: la scarsità di mezzi propri è uno degli ostacoli alla crescita delle imprese. La sotto-capitalizzazione delle imprese italiane non è casuale. Essa riflette anche il disinteresse degli investitori istituzionali verso le aziende italiane – anche i fondi italiani investono solo una piccola frazione del patrimonio gestito nelle aziende quotate in Italia. La difesa dell'italianità a tutti i costi aggraverà questo problema, perché terrà lontani i capitali stranieri e ridurrà la contendibilità delle nostre imprese. La contendibilità del controllo è uno dei fattori che tengono alto il prezzo delle azioni, e che attirano capitali verso la Borsa. Imprese meno contendibili non sono solo meno efficienti, ma valgono anche di meno.

È un prezzo da pagare, pur di non perdere il controllo delle imprese italiane? Forse, se i capitali stranieri stessero davvero invadendo il nostro Paese. Ma la realtà è che gli investimenti esteri in Italia sono al lumicino. Come ha osservato Fabiano Schivardi su lavoce.info, in Italia la quota di aziende situate sul territorio nazionale e controllate da capitali esteri è tra le più basse in Europa: 4,1% in Italia, contro il 10,3% in Francia e il 12,2% in Regno Unito. Inoltre il sostegno alla crescita dimensionale delle imprese attraverso risorse semi-pubbliche o incoraggiando le fusioni tra imprese italiane è un'arma spuntata. Non sempre le grandi dimensioni sono un vantaggio, anzi. Sempre secondo Mediobanca, in un ampio campione di piccole e medie imprese manifatturiere in Italia, Spagna e Germania, le imprese più piccole sono tendenzialmente più efficienti e hanno margini di profitto più elevati. La produttività delle imprese invece è fortemente correlata con la loro internazionalizzazione. Quasi certamente ciò riflette una causalità bidirezionale: esporto di più perché sono più produttivo, e a sua volta la concorrenza internazionale mi spinge a diventare ancora più produttivo.

In altre parole, non è la crescita dimensionale in quanto tale ciò che più serve alle imprese italiane. Occorre invece accompagnare le nostre imprese nella loro internazionalizzazione, consentendo a quelle più produttive di crescere e affermarsi sui mercati internazionali. Ma non è affatto detto che capitali italiani (magari di origine pubblica) siano più funzionali a raggiungere questo obiettivo, rispetto alla fusione con imprese di altri paesi. Più in generale, e come ben sappiamo, le piccole dimensioni delle imprese italiane e la scarsa presenza di multinazionali sono un sintomo di altri problemi più profondi, nelle relazioni industriali, nel funzionamento della giustizia, nella lotta all'evasione fiscale, nella struttura della tassazione, nel mancato rispetto per le regole e la legalità. È affrontando questi problemi di fondo, e non improvvisando difese estemporanee della struttura proprietaria esistente, che si sostiene davvero la produzione italiana. Nelle prossime settimane, il Governo dovrà predisporre le proposte di riforma per rendere più competitiva la nostra economia, nell'ambito del Patto per l'Euro approvato nel Consiglio Europeo di fine marzo. Il fondo strategico per la difesa delle imprese italiane non è un buon modo per iniziare questo percorso.

10 aprile 2011

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