martedì 14 giugno 2011

Federali.Sera_14.6.11. Opinioni sui referendum. Giappone, Sicilia, Svizzera, Basilicata, Napoli.

Giappone: «Nucleare resta essenziale»
Sicilia. In gara i servizi pubblici locali
Svizzera. Il riscatto di una società stanca di illusionisti
Basilicata. Referendum, De Filippo: "Ora si rispetti spirito voto"
Basilicata. Referendum acqua e nucleare: la democrazia dal basso vince sempre
Napoli. E ora l'Acquedotto abbandoni i profitti
Sui servizi saltano le gare


Giappone: «Nucleare resta essenziale»
«Comprendo le proteste dopo Fukushima, ma l'atomo resta uno dei pilastri della nostra politica energetica»
MILANO - Per il Giappone l'energia nucleare «continuerà a essere uno dei quattro pilastri della politica energetica del Paese». È l'opinione espressa dal ministro dell'Industria, Banri Kaieda, a una richiesta di commento del risultato del referendum italiano. Kaieda, ammettendo di «comprendere» le spinte all'abbandono del nucleare anche in Giappone dopo di Fukushima, ha osservato che «l'erogazione poco flessibile dell'elettricità ha impatti sull'attività economica e la vita delle persone». Prima dell'11 marzo, la quota di nucleare prodotta dal Giappone era superiore al 30% del totale dell'energia. Dopo il terremoto e lo tsunami sono rimasti operatici solo 19 impianti su 54, e il tasso di utilizzo delle centrali è crollato al 40,9%, al livello più basso da maggio 1979, moltiplicando i timori sul rischio di blackout in piena estate.

PROBLEMI - Lunedì il governatore della provincia di Fukui, a sud di Tokyo, zona che ospita 14 centrali nucleari, ha annunciato che non darà l'autorizzazione alla ripresa dei reattori, fermi per manutenzione, se il governo centrale non chiarirà «le ragioni che hanno causato la recente chiusura della centrale di Hamaoka e lo stato degli altri impianti nel Paese». Inoltre la Tepco, la società che gestisce la centrale di Fukushima, ha ammesso che altri sei lavoratori che aveva partecipato ai soccorsi sono risultati sopra i limiti di contaminazione radioattiva e per la prima volta è stata riscontrata in mare una concentrazione 53 volte sopra la norma di stronzio-90, un elemento potentemente radioattivo che deriva dalla fusione dell'uranio.

Sicilia. In gara i servizi pubblici locali
Carlo Alberto Tregua - QdS
Com’era prevedibile i quattro referendum sono passati positivamente, secondo i promotori. Si è ripetuta l’ondata emotiva del 1987 quando quel referendum abolì la possibilità di utilizzare l’energia nucleare, col risultato che l’Italia in questi 24 anni ha subito un maggior costo di energia per ben 192 miliardi (8 miliardi per anno). Nello stesso periodo nessun governo democristianocentrico o di Centro-destra o di Centro-sinistra ha messo sul campo un piano energetico per ridurre di un terzo il relativo costo in capo ad imprese e cittadini. Il secondo danno che ha procurato il referendum riguarda la questione dei servizi pubblici locali, perchè vogliamo ricordare che le leggi abrogate non riguardavano solo il servizio idrico, ma anche altri.
 In breve, cosa ha deciso il popolo sovrano, bue ed ignorante, opportunamente disinformato da gente che vuole continuare a mangiare nella greppia pubblica; ha deciso che i servizi pubblici locali debbano essere gestiti da società-figlie degli enti locali alle quali gli stessi affidano in concessione diretta i medesimi.

 Ho contribuito alla vittoria dei Sì andando a votare quattro No, perchè ritengo un dovere democratico partecipare ad ogni competizione elettorale, anche se i padri costituenti, all’articolo 75, hanno inserito l’opzione dell’astensione oltre a quella di votare Sì o No. Perciò, opino
 Dare in concessione diretta i servizi pubblici locali significa evitare gli esami del mercato che si fanno attraverso le gare pubbliche; significa che tali servizi così gestiti possono costare qualunque prezzo per i cittadini e possono essere inefficienti in tutto o in parte, perchè nessuno ha il controllo del conto economico, in quanto non vi è l’obbligo di stendere a monte il piano aziendale.
 Nel panorama italiano, oltre ai circa 3,3 milioni di dipendenti pubblici ve ne sono forse altrettanti parapubblici, cioè dipendenti delle società costituite ad hoc da Stato, Regioni ed Enti locali. Tali società hanno lo scopo di dare sfogo al più becero clientelismo perché possono entrare i raccomandati, i clienti e tanti altri che gravitano come parassiti nelle segreterie degli uomini politici. La giurisprudenza (vedi in particolare la sentenza n. 72/09 Corte dei Conti Puglia, sezione di controllo) ha affermato la pariteticità fra enti pubblici e società pubbliche-figlie, per cui l’assunzione deve passare attraverso i concorsi.

I responsabili istituzionali a tutti i livelli hanno fatto orecchie da mercante e continuano ad assumere nelle Spa pubbliche, senza concorsi. E continuano a sforare i bilanci, tanto poi l’ente-mamma ripiana le perdite.
 Ritornando al referendum, i promotori hanno dimenticato che esistono due norme: una europea e una nazionale. La prima (art. 106 Trattato Ue) stabilisce in modo inderogabile che le imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale devono rispettare le regole di concorrenza. Quella nazionale (L. 133 del 2008) conferma la norma europea e consente la deroga in pochissimi ed eccezionali casi.
 Dal che consegue che permane il divieto per gli enti pubblici di affidare in concessione diretta, senza gara, i servizi di loro competenza, mentre,  sempre secondo le norme europee e il codice degli appalti, possono partecipare alle gare le società di diritto privato, indipendentemente dal fatto che il loro capitale sia in mano pubblica o privata.

 Dunque, lo Stato ha organizzato un referendum inutile, per quanto concerne i due quesiti relativi al servizio idrico, perché la situazione non cambia. Anzi, si presenta l’occasione per questo Governo di regolare meglio tutta la materia con una legge quadro che recepisca in toto la normativa europea e che costringa, di conseguenza, a mettere in gara i servizi pubblici locali ed anche quelli statali.
 Il nostro Paese, fatto di corporazioni di privilegiati e di parassiti, non ne può più di vedere un continuo arretramento competitivo del sistema Italia perché la voracità del ceto politico e di quello amministrativo pubblico è aumentata a dismisura, divora risorse, mentre i cittadini stanno male.
 Tremonti dice che non ha denaro per fare la riforma fiscale. Mente, la riforma fiscale si può fare a saldi invariati. E mente perchè sa benissimo che può recuperare le risorse tagliando le rendite di posizione sotto forma di agevolazioni indebite ed inutili.
 Sia serio ed operi bene, anzicché pontificare.

Svizzera. Il riscatto di una società stanca di illusionisti
di Erminio Ferrari - 06/14/2011
Allora: non è che quando perse il referendum sul divorzio, nel 1974, la Democrazia Cristiana perse il governo del Paese. Passarono quasi altri vent’anni. E non è che chi vince un referendum vince poi le elezioni successive.

Speriamo che se ne ricordino i partiti usciti vincitori ieri in Italia. Dal Pd, benedetto dalla sfacciata fortuna di vincere una consultazione su cui (quantomeno per acqua e nucleare) era inizialmente tiepido, a dir poco; a Di Pietro, che sul nucleare ha cambiato idea appena in tempo per associarsi al referendum; al presuntuoso “terzo polo”.

Bene. Guardi di là e che cosa vedi? Vedi due tronfi personaggi messi col sedere a terra da quel “popolo” alla cui volontà amano attribuire il proprio potere. Uniti nello smacco (e tacciamo sulle pietose macchiette dei loro emuli), ma forse con gradi diversi di ammaccatura. In sintesi estrema diremmo che Berlusconi, al quale solo un’egolatria smodata acceca la vista, forse comincia a scontare il fuggi fuggi di un elettorato (che bene lo rispecchia) che molla il potente non appena il trono vacilla.
Mentre Bossi accusa una pericolosa (per lui) défaillance nel suo fiuto politico. A forza di rispondere alle obiezioni con il dito medio o con pernacchie, ilsenatùrnon si è accorto che anche la sua gente talvolta fa di testa propria.

Per entrambi, la percentuale dei partecipanti al referendum e l’altissima percentuale di sì, indicano senza equivoci che molti elettori di destra non sono “andati al mare”, né hanno spernacchiato i quesiti.

E questo è il primo dato politico rilevante: che il merito dei quesiti (a parte quello sul legittimo impedimento) è stato largamente adombrato dal significato politico complessivo della consultazione. Vale a dire, per usare le parole del ministro Maroni, uno “sberlone” (il secondo in due settimane) al governo. Un successo tattico, va detto chiaro, del Pd di Bersani.

Il secondo, più importante: non è che l’Italia si sia improvvisamente scoperta meno di destra. È che una larga parte di società italiana ha, dopo moltissimi anni, testimoniato una capacità reale, efficace, di orientamento della politica, a partire dalle scelte che riguardano direttamente la vita dei cittadini.

Far valere e tradurre in politica (prima ancora che in voti) questa potenziale ricchezza è il mandato affidato ai vincitori. Teniamoci.

Basilicata. Referendum, De Filippo: "Ora si rispetti spirito voto"
"Il risultato forse più importante è che l’Italia non è terra in cui fanno fortuna incantatori di serpenti e pifferai magici"
13/06/2011  “Gli italiani si sono espressi con chiarezza, ma ora bisogna vigilare perché tutti ne rispettino le volontà”. E’ il monito del Presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo. “Che la volontà popolare emersa dal referendum sia rispettata può sembrare ovvio, ma ci sono fondati motivi per cui vale la pena di ripetere che una democrazia rispetta le indicazioni del voto non le può aggirare con tecnicismi. Lo dico perché mi inquieta il fatto che il ministro Bossi dica oggi di aver avuto mandato dal premier, nel corso dell’ultimo Consiglio Dei Ministri, di fare una nuova legge sull’acqua. E lo dico perché anche il successo del referendum sul nucleare, tecnicamente, non chiude la partita sul sito di stoccaggio delle scorie perché non è intervenuto sulla norma con la quale il Governo ha scritto le regole per l’individuazione del deposito unico per lo stoccaggio delle scorie nucleari , definito ‘Deposito nazionale, incluso in un Parco Tecnologico comprensivo di un Centro di studi e sperimentazione’ e resta infatti vigente l’articolo che disciplina le modalità di localizzazione di detto Deposito sul territorio nazionale. Ma politicamente il voto referendario ha dato un’indicazione chiara, che si aggiunge a quella che era già venuta dai governi di tanti territori, tra cui appunto la Basilicata, che si sono visti impugnare le proprie leggi che chiudevano le porte al nucleare dal Governo.
 E anche sulla vicenda giudiziaria, c’è da augurarsi che si ponga fine a una stagione in cui sono state messe in campo svariate architetture ma tutte per garantire lo stesso risultato di impunità.
 Al di là del merito dei quesiti referendari – conclude De Filippo - il risultato forse più importante è che l’Italia non è terra in cui fanno fortuna incantatori di serpenti e pifferai magici: gli inviti all’astensione non hanno prodotto effetti, contrariamente a quello che qualcuno pensa, gli italiani non delegano il proprio cervello e la propria coscienza civile e un Paese con 150 anni sulle spalle non è ostaggio di imbonitori televisivi”.

Basilicata. Referendum acqua e nucleare: la democrazia dal basso vince sempre
Risultati referendum: il comunicato delle associazioni promotrici.
13/06/2011  Circa un anno e mezzo fa iniziammo la prima raccolte firme per il referendum sull’acqua, fu già un primo successo. Nacque il primo comitato acqua a Policoro. Nella nostra ormai decennale campagna contro il nucleare fu un piacere iniziare a divulgare il referendum contro le centrali nucleari spuntato dall’IDV (e ostacolato dal governo fino a due settimane fa). Siamo stati i primi a unire i fronti di lotta sui due referendum sul bene comune acqua energia invitando tutti gli altri comitati a fare altrettanto. Il lavoro svolto è stato premiato dalla partecipazione di questi due giorni al voto referendario, questo risultato ci riempie di gioia e di orgoglio, convinti di aver contributo alla crescita sociale della comunità e di aver tutelato in democrazia i nostri diritti di cittadini e consumatori.
 Ringraziamo il disoccupato che con i suoi pochi euro ha volantinato il messaggio contro un’energia costosa e pericolosa come il nucleare contro gli enormi investimenti pubblicitari che le lobby dell’energia hanno investito. Ringraziamo tutti quei volti di uomini e donne semplici che hanno trasmesso il messaggio del sì al referendum contro i volti famosi e prezzolati della medicina e del giornalismo. Chi ha lanciato messaggi da un megafono contro gli spot delle tivù vigliacche che non hanno nascosto la verità e i direttori dei giornali amanti della pagina a pagamento.
 Ringraziamo lo studente che inviato le sue mail e modificato il suo profilo su facebook per dare visibilità al referendum.Ringraziamo soprattutto gli anziani che sono stati i primi ad arrivare nei seggi, tra di loro abbiamo visto ultraottantenni, asmatici accompagnati da bombole di ossigeno e invalidi in carrozzella, uomini e donne che vogliono lasciare un futuro migliore ai loro figli e ai loro nipoti contrariamente agli “anta” della politica che eletti dal popolo pensano esclusivamente al business delle lobby industriali.
 Ringraziamo quei pochissimi religiosi che si sono schierati per la difesa del bene comune e contro il pericolo nucleare e padre Alex Zanotelli che nonostante la sua età non ci ha fatto mancare il suo messaggio di forza e sostegno .
 Ringraziamo le casalinghe, gli operai, i precari, gli insegnanti che hanno realizzato insieme con noi i banchetti informativi e le iniziative di piazza. Ringraziamo quei talenti in erba della musica e del teatro che offerto la propria arte per allietare le serate pro acqua e contro il nucleare.
 Il risultato di questo referendum è la conferma che la democrazia vince dal basso, ed è dal basso che si cambiano le cose, anche se con enormi sacrifici.
 IL vento del cambiamento torna a soffiare sulla nostra terra e sulla nostra società. In Basilicata sul nucleare e sull’acqua è solo l’inizio di un altro lungo percorso per difendere il nostro patrimonio idrico dall’inquinamento, dalle trivelle e dalle discariche e per denuclearizzare questa terra dalle scorie americane di Elk River.
Comitato Acqua Pubblica Policoro
 Noscorie Trisaia
 Karakteria
 Movimento Cinque Stelle Policoro
 Comitato Bosco Soprano Policoro

Napoli. E ora l'Acquedotto abbandoni i profitti: decida di diminuire le tariffe del servizio
Dei quesiti referendari quello che avrà maggiori effetti sull’Aqp, al contrario di quanto si possa pensare a prima vista, è quello relativo alla composizione delle tariffe
Dei due quesiti che riguardavano l’acqua, quello che avrà maggiori effetti sull’Acquedotto Pugliese — al contrario di quanto si possa pensare a prima vista — è quello relativo alle tariffe. Nato 91 anni fa come Ente Autonomo Acquedotto Pugliese grazie alla legge 1365/20 che lo istituì come evoluzione del consorzio del 1902 tra lo Stato e le province di Bari, Foggia e Lecce, l’Aqp è un unicum nel panorama italiano: la concessione alla gestione del servizio idrico fu attribuita fino al 2018 in forza della legge del ’99 che trasformò l’allora Ente autonomo in Spa (comunque pubblica). Per cancellare quella legge è necessaria un’altra che la abroghi espressamente, e quindi anche il decreto Ronchi che riguardava (prima della vittoria dei sì) affidamenti in house da parte di enti pubblici locali non toccava quelli ope legis. A spingere l’Acquedotto Pugliese verso i privati avrebbe dovuto essere un’altra legge, mai abrogata e mai rispettata: la 448 del 2001 del governo Berlusconi con la quale il Tesoro cedette senza alcun onere alle Regioni Puglia e Basilicata l’Acquedotto Pugliese con l’unico obbligo di avviare la dismissione delle azioni dell’Aqp entro sei mesi dalla data del 31 gennaio 2002. Ma questa è un’altra storia, con una verità amara: in quasi dieci anni nessuno ha rispettato la legge e nessuno ne ha chiesto conto.

Tornando agli effetti del referendum, il secondo quesito potrebbe avere conseguenze più concrete per l’Aqp: è stata infatti abrogata la norma che consente «al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio». Si badi che questa norma non riguarda soltanto i profitti dei privati ma anche quelli dei gestori pubblici come Aqp. Con l’Aqp pubblico — e ben remunerato — è stato effettuato solo un terzo (670 milioni) dei circa 2 miliardi di investimenti previsti dal Piano d’Ambito dal 2002 al 2009. Di conseguenza, le perdite della rete sono rimaste elevate: secondo i dati (2008) Istat, le perdite della rete idrica pugliese sono pari al 47%: dei 485,3 milioni di metri cubi di acqua immessa nelle reti, solo 259,1 milioni (il 53%) vengono erogati. Il Piano d’Ambito è stato rimodulato, per manifesta impossibilità di attuarlo così come definito, con un piano tariffario che ha previsto, da gennaio 2009 a gennaio 2011, un incremento delle tariffe del 17,5%, da 1,31 a 1,54 euro. Adesso, con l’eliminazione del 7%, sarà ancora più difficile fare investimenti. Ma visto che lo è stato anche in passato con l’Aqp ben remunerato, almeno ora l’Acquedotto «ripubblicizzato» vendoliano non aumenti più le tariffe. Anzi, le abbassi almeno di quel 7% che chi festeggia la vittoria dei sì ha etichettato come «profitto garantito».
di Michelangelo Borrillo

Sui servizi saltano le gare
di Giorgio Santilli
Per acqua, rifiuti e trasporto locale si apre una nuova stagione: il ritorno al predominio dell'in house. O, se si preferisce, il mantenimento del predominio attuale.

Un predominio che nelle risorse idriche riguarda il 60% delle attuali gestioni, con prospettive di nuove espansioni future della macchina pubblica, a scapito dei concessionari privati e delle spa miste che hanno bisogno di una gara per poter acquisire la gestione. La gara non è più obbligatoria.

Sono le aziende pubbliche controllate al 100% dagli enti locali e affidatarie del servizio senza alcuna gara i veri vincitori del referendum: tutte le attuali gestioni vengono salvaguardate fino alla loro scadenza naturale. Anche per dopo, un trionfo del pubblico: con il voto referendario il divieto di affidamento in house è saltato. Anche per la 'casta' è un bel successo: poltrone e assunzioni garantite ai sistemi politici locali per i prossimi decenni.

La rivoluzione promessa dalla riforma Fitto-Ronchi, con la fine prematura delle gestioni in house a fine 2011 e con l'avvio di una nuova stagione di gare per affidare il servizio a nuovi gestori, viene spazzata via. Per introdurre una norma che liberalizzasse i servizi pubblici locali il Parlamento aveva impiegato più di dieci anni.

Cade anche la privatizzazione forzata, che era il vero obiettivo dei referendari, almeno ufficialmente. La cessione obbligata del 40% del capitale delle aziende pubbliche non sarebbe scattata però in ogni caso, come hanno fatto credere i comitati promotori del referendum, ma solo se gli enti locali avessero rifiutato la liberalizzazione della gara e avessero deciso di proteggere la loro azienda, riconfermandole la gestione del servizio. Il referendum sui servizi pubblici locali cristallizza di fatto la situazione attuale e rende improbabile qualunque evoluzione.

Il regolamento comunitario che subentra alla riforma Fitto-Ronchi consente infatti per il futuro sia l'affidamento in house, ma solo ad aziende pubbliche controllate al 100% dagli enti locali, sia l'affidamento a privati o a spa miste o quotate tramite gara. L'unico dubbio riguarda quindi la legittimazione delle società quotate, come Acea o A2A, che hanno avuto l'affidamento del servizio senza gara: quelle gestioni oggi non hanno più una copertura normativa, perché le norme Ue non prevedono l'affidamento senza gara a un'azienda diversa da quella controllata al 100% dagli enti locali.

Resta da capire se questa assenza di copertura produce effetti immediati o solo dai prossimi affidamenti. Le associazioni per ora minimizzano. La questione è annosa e potrebbe richiedere una norma di salvaguardia ad hoc di queste gestioni.

Per la gestione dell'acqua un'ulteriore spinta alla ripubblicizzazione o, meglio, alla rifiscalizzazione del settore arriva dal secondo quesito, quello sulla tariffa idrica. Viene cancellata la 'adeguata remunerazione del capitale investito' dagli elementi che contribuiscono a formare la tariffa pagata dai cittadini per la fornitura dei servizi di distribuzione dell'acqua, di depurazione e di fognatura. Restano ferme le altre componenti della tariffa idrica previste dal primo comma dell'articolo 154 del decreto legislativo 152/2006 (codice ambientale).

Oggi l'adeguata remunerazione del capitale, che copre l'ammortamento degli investimenti al lordo dei costi finanziari del debito, è fissata al 7%. Difficile che passi la linea interpretativa dell'ala più estrema dei promotori referendari, quella che vorrebbe il finanziamento con contributo pubblico a fondo perduto per tutti gli investimenti (pianificati in 64 miliardi per i prossimi trenta anni).

Sarà quindi necessaria una nuova legge per capire se e quanto si debba remunerare il capitale investito: dovrà stabilire criteri diversi da quelli di oggi, ma senza banche e capitali privati esiste solo lo Stato. E lo Stato oggi non ha risorse per finanziare questi investimenti. Il rischio è quello di ridimensionare notevolmente i programmi che prevedono lavori per ridurre le perdite nella rete acquedottistica e per realizzare gli impianti di depurazione necessari per adeguarci agli standard europei.
 14 giugno 2011

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