giovedì 16 dicembre 2010

IL FALEGNAME, LA FUORISEDE, LO STRANIERO DAVANTI AL GIUDICE LE FACCE DELLA GUERRIGLIA

CARLO BONINI ROMA - Ammesso che un brogliaccio di questura con le sue aride "annotazioni anagrafiche" possa dire qualcosa, i 23 fermati per i fatti di piazza del Popolo appaiono davvero il nuovo album di famiglia di una generazione che nessuno ha voglia di fissare negli occhi. Che con il nichilismo del "blocco nero" e i fatti di Genova 2001 nulla ha a che vedere. Ma molto ha a che fare con la maledizione dei "senza futuro".

Tutti incensurati. Tutti giovanissimi. Tutti senza una storia, tanto meno di militanza politica, con la S maiuscola. Per lo piů studenti universitari, un paio di ricercatori, un artigiano. Figli della piccola e media borghesia. Due sole ragazze. Poco piu' di vent'anni la prima, nata a Rieti e studentessa a Roma. Di 23, la seconda. «Uno scricciolo», dicono gli amici, sarda di Nuoro e da cinque anni pacifica "fuorisede" di Scienze Politiche a Roma. Un solo "straniero", un francese di Parigi (di cui pure si era parlato nell'immediatezza degli scontri e che, ieri sera, fonti qualificate della Questura davano «per certo» nell'elenco degli arrestati). Tutti «molto precari e molto incazzati», per dirla con il messaggio postato ieri sulla pagina Facebook degli "Atenei in rivolta". Trentasei anni il piů "vecchio", un falegname nato a San Miniato (provincia di Pisa) ma di casa a Cerreto Guidi (Firenze), una frequentazione saltuaria del centro sociale "Intifada" di Ponte a Elsa e qualche vecchia storia di "fumo". Diciannove anni il piů piccolo, un ragazzo di Roma. Aspettando che la procura dei minori proceda nei confronti del sedicenne, anche lui romano, «con la pala» e «le manette» sfilate in via del Babuino alla fondina di un maresciallo della Guardia di Finanza. Un ragazzino rintracciato ieri sera, confuso per un provocatore, ma semplice al terzo anno delle magistrali e con un padre dai trascorsi politici ormai antichi e un po' ingombranti. Questa mattina, i 23 saranno processati per direttissima da un tribunale che siedera' volutamente in sede collegiale, accusati (tutti) di resistenza pluriaggravata (dove l'aggravante e' data dall'essere stati fermati in piazza con il volto travisato da caschi o cappucci) e, solo in qualche caso, di lesioni. E questa mattina, dunque, usciranno dal loro anonimato, dalla corazza di definizioni che le immagini di devastazione e il loro rigurgito di rabbia violenta, gli hanno imbullonato addosso. Ieri, il procuratore aggiunto Pietro Saviotti ha voluto che il processo si celebrasse dopo ventiquattro ore di studio dei verbali di arresto. «Per non procedere in modosommario». «Per valutare attentamente l'incensuratezza e l'eta' degli imputati». «Per circoscrivere con precisione le condotte di cui ciascuno deve rispondere». Per non sommare, insomma, enfasi ad enfasi. Per non trasformare un processo per direttissima in un'ordalia. E magari provare a capire cosa davvero tenga insieme tre studenti di Genova tra i 18 ei 20 anni, con il ventunenne di Firenze, studente universitario di matematica, figlio di un artigiano, un ragazzo che il suo avvocato, Federica Falconi, racconta «schivo e riservato». O cosa condividano due ragazzi di Pisa che insieme non fanno quarant'anni con due "solitari" di Trento e Forli', con un paio di universitari torinesi, con sette romani che non arrivano a un'eta' media di ventuno anni. Il processo, le voci dei 23 di piazza del Popolo forse daranno qualche risposta che, al contrario, gli analisti del nostro Servizio intemo, l'Aisi, dicono gia' di avere. Per altro, da un qualche tempo. Dall'ultimo rapporto consegnato a Palazzo Chigi, in cui si torna ad agitare lo spettro di un «movimento antagonista» che si fa «magma violento», acefalo e dunque «terreno fertile per l'infiltrazione di settori pia' radicali interessati a promuovere uno scontro sociale con le istituzioni, piuttosto che una protesta propositiva e fattiva». A ben vedere, un'analisi non proprio freschissima, che ripropone lo scenario "classico", o "storico" se si preferisce, del Movimento sulla cui groppa salgono vecchi e nuovi arnesi di una possibile utopia eversiva. Ma, soprattutto, un'analisi che cancella l'idea che un movimento sia espressione di un'istanza o comunque di una sofferenza sociale. Ma, al contrario, ne sia soltanto il cinico detonatore («Nell'ultimo periodo - scrivono infatti gli analisti dell'Aisi – e' stata registrata una crescente attenzione del mondo antagonista per il clima di sofferenza sociale, individuato dai settori piu' radicali quale favorevole opportunita' per riacquistare credibilita' e consistenza». O ancora: «L'adesione congiunta delle anime autonome e anarchiche ha consentito la nascita di comitati antirazzisti»).
Fonte: http://tweb.interno.it/


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