giovedì 16 dicembre 2010

A.C. Munnezza-City

Articolo di Società cultura e religione, pubblicato venerdì 26 novembre 2010 in Olanda.
[Articolo originale "Vuilnis-city FC " di Ralf Groothuizen]
[HP/De Tijd]

Il 2 dicembre l’FC Utrecht giocherà contro il fiore all’occhiello della città in testa alla classifica europea della spazzatura: l’SSC Napoli. Storie dalla città pazza per il calcio, di Maradona, e un po’ di Ruud Krol. “Glielo auguro proprio ai napoletani, sai!”
A Napoli c’è sempre traffico. Ventiquattro ore al giorno. Non si può contare fino a dieci senza che un automobilista sfrecci suonando il clacson. Eccetto la domenica pomeriggio tra le tre e le cinque. Quelle sono le uniche due ore della settimana in cui le strade sono tranquille.
A quell’ora gioca il Napoli. Gli uomini sono incollati davanti alla tv. Le donne sono in cucina che preparano il pranzo domenicale, per dopo la partita. A Napoli vedi dappertutto ragazzini che assomigliano ai loro idoli, per esempio allo slovacco Hamsik, il David Beckham del Napoli. Hamsik ha un abbonamento settimanale dal parrucchiere. Ultimamente sfoggia un mohawk: rasatura ai lati e al centro una specie di cresta di gallo. Di conseguenza per strada si vedono sempre più adolescenti con lo stesso taglio
Circolano anche dei sosia della star argentina Ezequiel Lavezzi. Ragazzini al massimo quattordicenni giocano a pallone per strada in completa tenuta del Napoli, incluse le stesse scarpe con cui gioca Lavezzi. Hanno i capelli lunghi e pettinati esattamente come Lavezzi, con lo stesso ciuffo. Sul collo hanno tatuata una stellina, proprio come Lavezzi. Ora ci sono anche ragazzini che si fanno mettere l’apparecchio ai denti per assomigliare a Edison Cavani. Questo capocannoniere uruguayano infatti ne porta uno.

Il centro storico di Napoli è pieno di piccoli magazzini e scantinati dove ometti riparano, carteggiano e raschiano motorini, sedie e cornici, e ai muri di tutti questi laboratori sono appesi poster vecchi e ingialliti del SSC Napoli, fondato nel 1926. Di solito c’è anche un poster di Maradona, che qui è santo, e poster di astri del momento e una foto della squadra.
Intere pizzerie e gelaterie sono tappezzate di fotografie nelle quali qualcuno, di solito il proprietario, è immortalato con un calciatore. Alla gente qui piace appendere ai muri cose legate alla loro ‘bella Napoli’ e meglio ancora se con loro stessi accanto ai loro idoli.

Sia chiaro: qui si va pazzi per il calcio. In una città tenuta in pugno da corruzione, mafia e disoccupazione la partita è uno dei pochi momenti in cui per un po’ si possono dimenticare tutti i problemi. Chi dice Napoli, lo dice come fosse automaticamente sinonimo di: sacchi di spazzatura.
Ma l’unica corretta reazione del cane di Pavlov effettivamente sarebbe: Maradona. I muri della città sono tappezzati di sue immagini. Molti ragazzi nati alla fine degli anni ottanta, all’epoca in cui Maradona giocava qui, si chiamano Diego. E di sabato pomeriggio, nel parco di Capodimonte, una ventina di padroni chiamano contemporaneamente il loro cane: “Diego!”. Durante gli ultimi Mondiali di calcio, i napoletani non hanno pianto per un secondo l’eliminazione dell’Italia. Sono passati senza problemi all’Argentina, il Paese del Pibe.
Una breve lezione di storia. Come mai Maradona è così popolare a Napoli? Non solo perché sapeva giocare così magnificamente. Maradona è riuscito a fare ciò che non era mai riuscito a un club del Sud, né da allora è più riuscito. Grazie a lui, e solo a lui, il Napoli ha vinto lo scudetto. Il Napoli è diventato campione d’Italia. Per ben due volte. Nel 1989 il Napoli ha vinto anche la Coppa UEFA. Nel 1990 è poi arrivato forse il maggior successo: nel torneo di Coppa Italia il Napoli ha battuto l’odiata Juventus nientemeno che 5 a 1.

La Juventus è la ricchissima squadra della nordica Torino, la squadra della famiglia più ricca d’Italia, gli Agnelli, i padroni della Fiat. Molti napoletani vivevano al Nord, emigrati in cerca di lavoro e di una vita migliore.
Negli anni ottanta Napoli era conosciuta come un luogo di perdizione, una città caotica, criminale e pericolosa. I napoletani venivano quindi visti male al di fuori della loro città. Ma il 10 maggio del 1987 gli operai napoletani alla Fiat e dovunque nel mondo hanno potuto finalmente mettersi al collo con orgoglio la loro sciarpa del Napoli. Non se la sono più tolta per anni, “grazie, grazie” Maradona!

Al bar Nilo in via San Biagio dei Librai hanno adornato un altarino al Ciuffo, con una ciocca di capelli di Maradona racchiusa dietro al plexiglas. I turisti che fanno una foto dell’altarino non possono poi fare a meno di bere un caffè al bar. Il proprietario giura che la ciocca è originale. Conquistata da un amico che una volta ha viaggiato seduto dietro Maradona in aereo.
Colpisce però che ci sia un altro calciatore spesso presente a Napoli. Diciamo la verità: non ci sono murales dedicati a lui. Avrebbe dovuto far diventare la squadra campione. Ma c’è sui poster a lato dello specchio dal barbiere o in una foto sulla parete dietro le casse di zucchine e pomodori dal fruttivendolo. Ruud Krol nella maglietta azzurra del Napoli. Krol è l’unico olandese ad aver mai indossato l’azzurro. Ha fatto un solo goal nelle quattro stagioni in cui ha giocato qui.

Si è però distinto in un altro modo: con i suoi assist decisivi ha servito centinaia di volte le punte, mettendole in condizione di trovarsi da sole di fronte al portiere, cosa che lo ha reso estremamente popolare in città. Non tanto popolare quanto Maradona, perché non è possibile ma abbastanza amato da ricevere, a distanza di più di 25 anni, una telefonata mensile dall’emittente radiofonica napoletana Kiss Kiss.
La radio gli chiede un parere sul Napoli e sullo stato del calcio italiano e finisce sempre con questa domanda: “Rudy, quando torni e diventi il nostro allenatore?”. Krol risponde che gli piacerebbe. “Sì! Come no! Mi adatto bene alla cultura. Sono uno che riesce a immedesimarsi con facilità in altre culture. All’inizio mi sembrava strano che tutti gli uomini mi baciassero ma in seguito l’ho trovato normalissimo.”
Per i lettori più giovani: dopo Johan Cruijff, Ruud Krol è stato forse il miglior calciatore che l’Olanda abbia mai avuto. Alla fine della sua carriera voleva andar via dall’Ajax, con cui aveva vinto sei volte il campionato, tre volte la Coppa dei Campioni e una volta la Coppa Intercontinentale. Ha perso due finali della Coppa del Mondo con l’Olanda. Per un po’ sembrava che la sua carriera si sarebbe conclusa in silenzio con i canadesi del Vancouver Whitecaps. “E poi alla fine di agosto arrivò la proposta del Napoli. Sono venuti a Vancouver e mi hanno ingaggiato. Fantastico”, racconta Krol con un forte accento di Amsterdam. “Un colore fantastico, l’azzurro di quella maglietta. Quelli a Napoli sono stati i miei anni più belli. Mi manca tuttora.”
Non è raro che i napoletani oltre i quaranta raccontino che negli anni in cui Krol giocava al Napoli si andava a vedere gli allenamenti con autobus pieni di gente. Dopo l’allenamento Krol rimaneva per provare i passaggi lunghi. Aveva un centinaio di palloni davanti a sé e li calciava via uno alla volta, dritti sul petto di qualcuno che stava in piedi dall’altra parte del campo. “È vero, sì,” conferma Krol da Johannesburg, dove attualmente è l’allenatore degli Orlando Pirates. “Gli allenamenti erano sempre affollati. Per sviluppare l’automatismo rimanevo con due o tre giocatori a provare i passaggi lunghi. “Lo adoravano.”

Dritta: se vuoi mangiare a sbafo a Napoli, inizia a parlare di Krol. Basta che accenni al suo nome. Un pizzaiolo che si rispetti ti offre la pizza gratis o magari un bicchierino di limoncello a fine cena. Qui la gente ha a cuore i suoi eroi. “Dov’è che mangi a proposito? Hai mai mangiato da Ciro alla Mergellina? Buonissimo! E al porticciolo, ci vai a mangiare ogni tanto? In zona centro, vicino alle barchette dei pescatori. Sì, sì, quella fortezza murata, sì. Lì ci sono un paio di ristoranti carini. Eh sì… i miei anni con il Napoli…”

Krol definisce travolgente l’amore dei napoletani per la loro squadra e per i loro giocatori. C’è voluto del tempo perchè il sobrio nativo di Amsterdam ci si abituasse. Krol si emoziona ancora a pensarci. “Quella gente non conosceva la gelosia. Niente. Niente del genere. Ti adoravano.” Un paio d’anni prima del suo trasferimento a Napoli Krol era già stato nella città, per un campionato europeo. “Con la selezione olandese eravamo in un albergo un po’ fuori città. Attraversavamo Napoli in autobus ma non avevo idea che fosse così.” Così come? “Un manicomio. Semplicemente un manicomio!”
La città lo accolse con entusiasmo. “Il giorno che mi hanno presentato giocavamo contro l’Olbia. Avevo fatto un viaggio di 38 ore, dall’America. Sono arrivato direttamente dall’aereoporto e ho giocato per un’oretta. È andata abbastanza bene, ma non benissimo. Ho preso due volte la traversa e una volta il palo. E ho fatto un paio di buoni passaggi. Il giorno successivo sono andato a fare un giro in città. In un primo momento ho cercato comunque di rimanere sobrio. Dare uno sguardo al centro. Alla fine mi ha dovuto scortare via la polizia. Sai com’è, la gente continuava ad arrivare. All’inizio era un gruppetto, e io a stringere le mani e fare autografi. Ma poi sono diventati così tanti, semplicemente non riuscivo più a venirne fuori.”

Ci sono anche stati dei momenti in cui Krol non si è sentito a suo agio a causa di quell’amore diretto, quella devozione. Napoli è una città povera. La disoccupazione oscilla tra il trenta e il quaranta percento. Ai tempi di Krol non era diverso. In città ci sono quartieri popolari dove la gente vive in case che non sono mai state completamente ricostruite dopo il forte terremoto del 1980. Sono i quartieri dove i ragazzini in motorino portano Rolex che hanno rubato ai turisti per poi rivenderli ad altri turisti. Piccola criminalità. Legge della giungla.
Harry Vermeegen, il giornalista sportivo di quei tempi, una volta portò Krol in uno di quei quartieri per un reportage. Entrarono nel quartiere con le telecamere che già filmavano. Krol: “Così davvero non andava bene, senza avvisare prima. In quella strada c’era un club di tifosi e si sono molto arrabbiati con me. Non avevano niente da darmi. Ho dovuto promettere loro di tornare la settimana successiva. L’ho fatto e mi hanno regalato dodici bottiglie di vino, una medaglia d’oro, pasta per minimo due mesi, formaggio – cose di quel genere.” Si sentiva imbarazzato dal fatto che gente costretta a vivere con poco avesse coperto di doni un calciatore ‘con uno stipendio principesco’ come lui. “Quella povera gente, che vivevano in tredici in una piccola casetta. E che avessero regalato proprio a me tutte quelle cose… non mi faceva sentire per niente contento. L’unica cosa che potevo fare per ricambiare era giocare al meglio al San Paolo.”

Chi deve vincere il 2 dicembre? “Deve vincere il Napoli, certo. Lo dico onestamente. Non ho niente contro l’Utrecht. Ci ho spesso giocato contro. Tutto qui. Glielo auguro proprio ai napoletani, sai!”

Stadio San Paolo, 25 ottobre. Prima che inizi la partita Napoli-Milan, Alberto Lombardo sta ad aspettare all’ingresso riservato alla stampa. Lombardo è un tipico napoletano: abbronzato, denti bianchissimi e una risata aperta. Sul suo biglietto da visita c’è scritto “Alberto Lombardo, giornalista freelance”. L’inchiostro è ancora umido. È evidente che ha stampato e ritagliato da sè i biglietti da visita. Sono pure storti.

“Ehi, non puoi far finta che io sia il tuo assistente?”, così si presenta. Ma sì, perchè no. I napoletani fanno di tutto per arrivare vicino ai loro idoli. Persino inventarsi lavori.

Dopo la partita, Alberto stesso non sa cosa fare quando arriviamo nel tunnel dei giocatori. Non ha preso appunti. È felice come un bambino e mi spinge in mano una macchina fotografica. Quello che ne consegue è una sessione fotografica di un’ora e mezza. Naturalmente Alberto non ha mai scritto un articolo sulla partita. Ma la sua bacheca di Facebook è piena di foto sue con il portiere De Sanctis, con Cavani, con Hamsik e con l’allenatore. Tutti fino all’ultimo che è uscito dagli spogliatoi: il fisioterapista di riserva.

Ora mi manda messaggi in continuazione. Spera così di procurarsi i biglietti per la partita contro l’Utrecht. Vuole sedersi di nuovo nella tribuna stampa. E accedere agli spogliatoi. Vuole esserci se il Napoli andrà avanti in Europa.

Mi chiede quali immagini del “mio amato Napoli” abbia trasmesso la televisione olandese negli ultimi dieci anni. “Lasciami indovinare: munnezza, camorra e ancora munnezza. Sempre la stessa solfa. È ora che i notiziari parlino positivamente di noi. La nostra città ne ha bisogno.”
Napoli ha urgente bisogno di nuovi eroi, di nuovi poster e, chissà, di nuovi ciuffi di capelli per costruirci intorno piccole cappelle. In ogni caso, ora, basta con le montagne di spazzatura. Tutto eccetto quello.

Fonte:
http://italiadallestero.info/archives/10561


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