venerdì 7 gennaio 2011

Federalismo fiscale entro gennaio o morte.

Di Massimo Bordignon
Non è un buon auspicio per una riforma che, ricordiamocelo, non riguarda solo una parte politica, ma l`intero paese e che è stata approvata dal Parlamento quasi all`unanimità.
Inoltre, è un ricatto di cui non si capisce bene il significato: se tutto è legato al federalismo fiscale entro gennaio, perché mai la Lega dovrebbe rimanere al governo una volta raggiunto il suo obiettivo?


Lasciamo dunque perdere le fibrillazioni e i ricatti della politica e concentriamoci invece sulla riforma in corso.
Che c`è che va e che non va nel modello di federalismo fiscale che sta emergendo e cosa potremmo fare per migliorarlo? Al di là dei meriti o dei demeriti dei singoli provvedimenti, quella che appare più carente è la visione complessiva e di lungo periodo del progetto.

La pressione delle forze politiche ha finito con il far prevalere gli aspetti di immediata resa medìatìca, dìmentìcandosi di quelli di sostanza. Per esempio, sulla base del decreto sul federalismo municipale ora sotto esame alla commissione bicamerale, sappiamo bene cosa succederà alla finanza comunale domani. Ma non sappiamo cosa succederà domani l`altro, perché non sappiamo quali saranno gli spazi di manovra effettivamente riconosciuti ai comuni sulla nuova imposta municipale, quale sarà l`evoluzione del nuovo fondo di riequilibrio introdotto dal decreto, come sarà alimentato, come confluirà nel fondo perequativo previsto dalla legge delega e come tutto questo si legherà al nuovo sistema di calcolo dei fabbisogni comunali approvato con un decreto precedente.
La confusione è pericolosa per la capacità di programmazione degli enti locali e di giudizio su un provvedimento importante da parte dell`opinione pubblica.

Che dovremmo fare allora? Tornare all`essenziale e concentrarci su quelli che sono i principi fondamentali del federalismo fiscale.

Primo, non si può avere davvero federalismo fiscale senza riconoscere una forte dose di autonomia tributaria agli enti locali. Da questo punto di vista, i decreti delegati proposti appaiono tutti carenti. Gli spazi di manovra sui tributi locali sono eccessivamente vincolati dallo stato, senza che se ne capisca bene il motivo.

Perché, per dire, alle regioni si consente di ridurre l`Irap, ma solo se non si aumenta l`addizionale Irpef più di tanto? Che autonomia tributaria è quella che predetermina non solo gli spazi di manovra sull`aliquota ma anche tutte le detrazioni, come nel caso dell`imposta municipale unica? Per i comuni c`è poi un problema fondamentale.
Può avere senso identificare nel patrimonio immobiliare la fonte fondamentale della loro autonomia tributaria; non ha senso delimitare ex ante questo patrimonio, escludendo a priori dalla tassazione tutta la parte relativa alle prime case, cioè in sostanza i residenti che più avrebbero incentivo a controllare i comportamenti degli enti locali.
Se per ovvie ragioni politiche non si vuole reintrodurre l`Ici, si studino soluzioni alternative, come per esempio l`imposta sui servizi, di cui a lungo si è parlato.

Secondo, la perequazione. La riforma offre già tutte le garanzie possibili perché i governi locali più poveri abbiano comunque risorse sufficienti per garantire i servizi fondamentali.
Il temuto taglio delle risorse al Sud, su cui pure si concentra la maggior parte del díbattíto pubblico, è un non problema alla luce delle disposizioni della legge delega, ed è una responsabilità pesante delle varie forze politiche far credere, per motivi strumentali, che sarà questo l`effetto del federalismo fiscale.
Il problema vero qui non è la perequazione, ma come renderla funzionale alla ripresa di livelli di efficienza adeguati. A questo dovevano servire i costi standard. Ed è una responsabilità pesante della politica aver perso questa occasione nel caso della sanità, dove i costi standard introdotti non hanno in realtà nessun effetto, nemmeno in prospettiva, sulla distribuzione delle risorse tra le regioni.

C`è infine un ultimo punto fondamentale.
Per ragioni non interamente chiare, con la legge delega si è scelto un modello di federalismo fiscale che dovrebbe valere simultaneamente per tutte le autonomie territoriali, indipendentemente dal grado di efficienza raggiunto. Ma è un modello che rischia di scontentare il Nord, che vorrebbe più autonomia, spaventando comunque il Sud. Esiste un`alternativa: il decentramento a velocità variabile.

La legge delega non attribuisce nuove competenze alle regioni, ma prepara la strada perché nuove funzioni siano esercitate in futuro, in particolare sulla scuola e sulla finanza locale. Perché non rendere l`accesso a queste funzioni, e alle relative risorse, dipendente dal grado di efficienza raggiunto nell`offerta dei servizi e nel rispetto dei patti di stabilità? Lungi dall`essere discriminatorio, questo approccio incentiverebbe anche le regioni che sono plù indietro a rimettersi in pari e consentirebbe di sperimentare sulle regioni più avanzate la capacità effettiva di organizzare in modo efficiente le funzioni devolute.
 

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