venerdì 7 gennaio 2011

Nell'anno dell'Unità d'Italia è tutto un fiorire di autonomie

di Piero La Porta prlprt@gmail.com  
Ogni inizio d'anno induce a previsioni; lasciamole tuttavia ai cartomanti. Meglio comprendere dove siamo arrivati.


Federalismo. Oscilla tra trionfo e fallimento, un po' come il governo. Dagli inizi degli anni '90, la lezione di Umberto Bossi è tuttavia più gradita di quanto non si ammetta.
Dal Salento alla Sicilia, dal Cilento alla Sardegna, per non parlare della Garfagnana, dove i ritratti di Stalin scompaiono come quelli di Ataturk a Istanbul, è tutto un fiorire di «autonomia», «legasud», «lega meridionale», «indipendenza sarda» e via centrifugando. Fra Lega e polveroni meridionali c'è tuttavia differenza.
La Lega, affrancatasi dai velenosi suggeritori tedeschi e statunitensi degli albori, è aderente agli interessi dell'elettorato.
A sud abbiamo il solito notabilato autoctono, volteggiante dai Borbone, ai Savoia, dal fascismo alle camarille della prima repubblica, tradendo tutti e tutti corrompendo. Approda all'autonomismo come il moribondo all'eutanasia, scampando all'unica sorte che meriterebbe: il gulag, peccato che sia troppo tardi.

Onore a Giuseppe Di Vittorio. Il 27 marzo 2011 si commemorerà la dichiarazione del Regno d'Italia in quel giorno del 1861. Il 7 gennaio, con la festa della bandiera a Reggio Emilia, partiranno le celebrazioni del 150° dell'Unità, non il giornale, la Patria.
Mentre il Parlamento sabaudo si proclamava italiano, a pochi chilometri si scannavano bersaglieri e fedeli di casa Borbone.
Quest'ultimi definiti poi «briganti» dai vincitori, i quali mai avrebbero supposto che a celebrarli, persino sinceramente, sarebbe intervenuto un Giorgio Napolitano che fu intellettualmente sodale coi briganti, attraverso Antonio Gramsci.
Né egli poté immaginare, il 4 novembre del 1957, che 54 anni dopo sarebbe stato impegnato a sventolare il tricolore, piuttosto che commemorare Giuseppe Di Vittorio, morto di crepacuore quando lui gli recò il diktat di Palmiro Togliatti: «O rinneghi la rivoluzione ungherese o sei fuori dal partito».
Con questi precedenti come stupirsi della Fiom?

Dagli alleati mi guardi Iddio. La Francia ci considera, nei suoi documenti ufficiali, area di mercato strategico e traghetta il killer Cesare Battisti in Brasile. La Gran Bretagna esige di scorazzare a suo comodo, come fanno le sue forze speciali in Sardegna, dall'Alpi alla Sicilia, gravitando su quest'ultima.
Da quando Giulio Tremonti cura le finanze un po' più attentamente dei suoi predecessori, passeggeri paganti del Britannia, Londra ha dovuto fare una manovra da 130 miliardi di sterline.
Se l'avessimo costretta nel 1993, invece di pagare noi 150mila miliardi di lirette, forse sarebbe stato meglio. Suvvia la perfezione non è di questo mondo, tanto meno dell'Europa e sorvoliamo sulla Ue, che rinnega le radici cristiane e i cristiani con le radici.

Il Golia giallo. Viviamo in un mondo difficile e l'unico punto fermo negli ultimi anni lo offre un pontefice che, secondo un autorevolissimo cardinale di curia, sarebbe stato «di rapida transizione».
Questo stesso cardinale è inorridito quando ha letto in un documento riservato della curia che il papa considera la Cina nel momento corrente molto debole e con la catena decisionale alquanto confusa, frammentata e con i rami mutuamente conflittuali.
Saremo attenti nell'anno che entra o osservare se a proposito di Pechino ha ragione Moody's che la teme (e però ci ha rifilato i bond argentini e dava per spazzatura i titoli Fiat mentre entrava in Chrysler) oppure il più piccolo stato del mondo che sfida questo Golia con l'itterizia. In ogni caso, come si diceva un tempo, Viva il Papa!

 

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