venerdì 7 gennaio 2011

Il federalismo padano? Zero quoziente familiare

DI STEFANO SANSONETI
Si fa presto a dire quoziente familiare. Della misura, che dovrebbe agevolare fiscalmente le famiglie (in particolare quelle numerose), si parla da anni.


Il punto è che i principali studi disponibili sul suo effetto finanziario non forniscono segnali confortanti, in un momento di vacche magre come quello attuale. A seconda di come lo si declina, infatti, il quoziente può costare da un minimo di 8 a un massimo di 32 miliardi di euro. Cifre ragguardevoli, in grado di far capire perché il ministro dell'economia, Giulio Tremonti, vede l'operazione come fumo negli occhi. E questo nonostante l'Udc di Pier Ferdinando Casini abbia proprio chiesto l'approvazione di questa misura come condizione minima per votare a favore del federalismo fiscale tanto caro alla Lega di Umberto Bossi e alla stesso titolare del dicastero di via XX Settembre. ItaliaOggi ha incrociato i risultati di alcuni dei più recenti studi compiuti sugli effetti finanziari del quoziente. Il quale, in buona sostanza, prevede un meccanismo di tassazione che tenga conto del reddito complessivo familiare, al posto di quello del singolo individuo, e realizzi così un fisco a misura di famiglia, con particolare attenzione a quelle che tirano avanti con un solo reddito. Uno dei più dettagliati dossier è stato messo a punto qualche anno fa dall'Isae, l'Istituto di studi e analisi economica. Nel rapporto si considerano tre ipotesi alternative: la prima implica la somma dei redditi dei componenti della famiglia dopo aver applicato a essi le relative deduzioni; la seconda sottrae al reddito individuale solo quella parte della deduzione che effettivamente si differenzia in funzione del
tipo di reddito; la terza applica al reddito equivalente l'intero ammontare della deduzione decrescente. Gli effetti sul bilancio statale sono diversi. Nella prima ipotesi, quella minima e quindi difficilmente spendibile da un punto di vista politico, le casse statali se la potrebbero cavare con 3,7 miliardi di euro. Che già diventano 7,8 nel secondo caso, per arrivare 'addirittura a 18 miliardi nel terzo. Insomma, dare un po' più di corpo al quoziente significa spendere come minimo 8 miliardi. Poi c'è un'analisi condotta dalle Acli, con la collaborazione dell'Università cattolica di Milano. In questo caso le stime, pur prendendo spunto dal quoziente familiare utilizzato in Francia, si basano su un meccanismo con coefficienti adattati alla realtà macroeconomica italiana. La conclusione a cui giunge la simulazione è che il gettito dell'imposta sulle persone fisiche si ridurrebbe del 25%, cioè costerebbe alle casse dello stato la bellezza di 32 miliardi di euro. Da ogni osservatorio, come si vede, spuntano cifre a dir poco insostenibili. O che almeno Tremonti, al momento, non è assolutamente intenzionato a sostenere.
 

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