domenica 9 gennaio 2011

Il grande creditore, la Cina

Il sorpasso e’ vicino. Nel grande portafoglio cinese presto saranno custoditi piu’ bond europei che titoli di Stato americani. Ieri il vicepremier cinese Li Keqiang era ancora sulla via del ritomo a Pechino con le borse gonfie di contratti tedeschi e spagnoli, che ecco arrivare una dichiarazione del vicepresidente della Banca Popolare cinese, Gang Yi. «L'euro e i mercati finanziari europei sono una parte importante del sistema finanziario globale e sono stati, sono e saranno uno dei settori di investimento piu’ importanti per le riserve cinesi in valuta estera».


I bond del Dragone
Negli ultimi giorni sulla stampa internazionale e tra gli economisti sono girati parecchi numeri. C'e’ chi ha tenuto una sorta di contabilita’ doppia, incrociando affari e politica. Esemplare, da questo punto di vista, l'accordo su due voci, siglato martedi’ 4 gennaio a Madrid da Li Keqiang e dal primo ministro José Luis Rodriguez Zapatero. Da una parte intese commerciali per un controvalore di 7,3 miliardi di euro; dall'altra l'impegno di Pechino a sottoscrivere titoli di Stato spagnoli per circa 6 miliardi di euro (secondo quanto rivelato dal quotidiano «El Pais»). Ma e’ solo l'ultimo passaggio. Da settimane a Lisbona non si fa che parlare di un soccorso cinese a sostegno della traballante finanza pubblica portoghese. E nei mesi scorsi l'intervento di Pechino ha sicuramente dato una mano a tenere in piedi la Grecia. E subito dopo l'Irlanda. Certo, le mosse degli investitori cinesi diventano visibili solo quando c'e’ burrasca sui mercati. Ma sarebbe fuorviante pensare che a Pechino interessino solo i titoli europei piu’ scalcagnati (o se si preferisce i «junk bond» della finanza mondiale). Qualche tempo fa, sulla stampa intemazionale («Financial Times», «La Tribune») sono circolate stime che, dopo aver visto all'opera Li Keqiang, assumono un significato piu’ profondo. Lo stock del debito pubblico europeo in mani cinesi oggi sarebbe pari a circa 630 miliardi di euro, vale a dire circa 819 miliardi di dollari. Il dato sull'esposizione americana, invece, e’ ufficiale: nell'ottobre 2010 Pechino (riserve dirette piu’ il patrimonio dei fondi sovrani controllati dal governo) possedeva titoli statunitensi per un valore di 910 miliardi di dollari. Ora, i segnali che arrivano, ormai da mesi, dal grande Paese orientale sono inequivocabili. Vendere bond americani e comprare altro. Anche (non solo) titoli di Stato europei. I numeri (oltre che la logica) dicono che nel portafoglio del Dragone cominciano a essere rappresentate tutte le emissioni disponibili, compresi quindi i buoni del Tesoro della Repubblica federale tedesca o della Repubblica francese.

Un euro per la Merkel
Attenzione, pero’, ai diversi angoli di osservazione. Visto da Pechino questo lavoro di «conversione» riguarda solo una parte della liquidita’ cinese, che rimane in parte prevalente parcheggiata in dollari. Come spiega al «Corriere» l'economista Wang Yuanlong, gia’ capo dell'Ufficio ricerche dalla Bank of China e oggi esperto del centro studi Tianda: «Non saranno mai cifre enormi. Quello di Pechino e’ un gesto che dara’ comunque fiducia all'economia europea. Un'ipotetica scomparsa della moneta comune sarebbe contro gli interessi cinesi. Significherebbe tornare al dollaro come unica moneta di riferimento, mentre il presidente Hu Jintao ripete che Pechino punta a una riforma del sistema monetario globale. Dunque sostenere l'euro e l'Europa e’ nel triplice interesse della Cina, dell'Unione Europea e della comunita’ internazionale». Una rappresentazione plastica di questo «triplice interesse» si e’ vista venerdi’ scorso a Berlino, dove Li Keqiang e’ stato vezzeggiato dai leader delle piu’ importanti multinazionali tedesche (e quindi europee): Volkswagen, Daimler Benz, Siemens, Basf, Bayer, Deutsche Bank (firmati protocolli commerciali per 8,7 miliardi di euro). La Germania ha piu’ bisogno dei mercati, che dei soldi cinesi. Ma per la cancelliera Angela Merkel la «spugna orientale» puo’ diventare decisiva per prosciugare il debito di vari Paesi dell'Unione Europea che sta mettendo a rischio la stabilita’ dell'euro.

La mappa degli affari
II dividendo economico incassato dal governo cinese sara’ molto alto e probabilmente portera’ ad avvicinare i flussi di capitali industriali in entrata e in uscita. Secondo le cifre fornite dal viceministro Xu Xianping gli investimenti diretti dell'Europa in Cina, alla fine del 2009, erano pari a 68 miliardi di euro. Il flusso inverso (dalla Cina verso l'Europa), invece, si fermava a quota 6,8 miliardi di dollari, un decimo, con 1.400 imprese cinesi, precisa Xu Xianping, «che danno lavoro a circa 15 mila dipendenti locali». Uno studio dell'istituto britannico Chatham House segnala che il 50% delle risorse cinesi prende la strada di Gran Bretagna e Germania (l'Italia assorbe una quota pari al 4%). Ma da tempo Pechino sta allargando il compasso e ora e’ molto difficile tenere il conto delle ultime iniziative. La piu’ clamorosa (forse): l'affare Volvo. La casa automobilistica svedese e’ stata ceduta dalla Ford al prezzo di 1,8 miliardi di dollari alla cinese Geely, guidata dall'imprenditore Li Shufu. In Svizzera c'e’ stata l'acquisizione della Addax Petroleum Corporation da parte del gruppo petrolifero Sinopec per 7,2 miliardi di dollari (nel 2009). In Grecia la Cosco, il piu’ grande gruppo di trasporto marittimo cinese e fra i piu’ grandi al mondo, sta costruendo un terminal per navi transoceaniche al Pireo, il porto di Atene. In Irlanda dovrebbe essere approvato il piano per insediare un distretto manifatturiero cinese nel centro del Paese (ad Athlone, investimento di 50 milioni di euro). Simile il progetto di un parco industriale formato da piccole e medie imprese orientali a Chateauroux, cento chilometri a sud di Parigi. Mezza Bulgaria, dalla strade alle telecomunicazioni, dovrebbe essere sistemata dalle multinazionali di Pechino, come la Huawei. In Italia, infine, Cina non significa solo il tessile «low cost» di Prato, i centri massaggi di Milano o le bancarelle dei mercati rionali. Societa’ cinesi sono gia’ leader nel solare, aumentano il loro peso specifico nella farmaceutica, nella cantieristica in altri settori con discreto contenuto tecnologico. La Quianjiang ha comprato le moto di Benelli; la Haier i frigoriferi di Meneghetti (in provincia di Padova) e poi si e’ insediata nel distretto di Varese; la Zoomlipn ha rilevato la Cifa (macchine utensili per l'edilizia). Si potrebbe continuare per ore, basterebbe riferire del pellegrinaggio all'Expo di Shanghai intrapreso da tutti i governi europei ; (dal Belgio alla Romania), in cerca di investimenti cinesi da riportare a casa.

L'esclusiva di Pechino
Ancora una volta, pero’, e’ utile guardare lo scenario con gli occhi di Pechino. Con la sua economia avanzata e fortemente integrata sull'intero continente, l'Europa e’ certo un teatro privilegiato dell'espansione cinese, ma in un contesto allargato a tutto il mondo, Mare Artico compreso. Non e’ un caso se tra le dieci operazioni cinesi all'estero nel 2010 (acquisizioni o fusioni) solo due siano europee: la Volvo appunto (quarta in classifica per importanza), preceduta dalla conquista dell'australiana Arrow Energy a opera dell'alleanza tra PetroChina e l'olandese Shell, per 3,1 miliardi di dollari. Al primo posto della lista, compilata dall'agenzia ufficiale «Xinhua», figura l'acquisizione di un'unita’ brasiliana della madritena Repsol da parte del colosso petrolifero pubblico Sinopec (7 miliardi di dollari), al secondo posto l'acquisto di quote dell'argentina Bridas (energia). Come dire: attenzione adesso a non immaginare un asse preferenziale Unione Europea-Cina. E’ un errore che hanno gia’ fatto gli americani nel 2008. Pechino parla e, soprattutto, fa affari con tutti.
Marco Del Corona Giuseppe Sarcina.
 

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