mercoledì 12 gennaio 2011

Monnezza napoletana, e Napoli non c’entra

Appello per Napoli, il dibattito continua
Velardi batte ancora un colpo. E Lepore risponde


di CLAUDIO VELARDI
Amedeo mio, a me dei cervelloni della sinistra non importa granché. Io ti chiedo semplicemente cosa oggi tiene insieme il Mezzogiorno. Un'identità territoriale? Non direi. Cosa ha a che vedere lo sviluppo impetuoso della Puglia con lo spaventoso sottosviluppo di tutta la Calabria? Che cosa accomuna le problematiche di tre aree metropolitane come Napoli, Palermo e Bari con le aree interne della Basilicata, con la Sardegna? C'è una civiltà materiale comune nel Mezzogiorno? C'è qualcosa che politicamente tiene insieme il Sud? Ormai le regioni vanno tutte per conto loro, peraltro (comprensibilmente) in rapporto con l'Europa, perché è da lì che vengono i soldi. La nazione siciliana (l'unico Stato che sopravvive in Italia) ha un suo profilo assolutamente diverso dal resto del Sud, e non solo per lo Statuto autonomo, ma perché si va del tutto autonomizzando politicamente, in forme più corpose dei leghisti al Nord. C'è un problema comune di infrastrutture? Neppure, perché i corridoi europei tagliano il Mezzogiorno in senso longitudinale. Infine, perché mai Napoli dovrebbe, e in che modo potrebbe mai, esercitare una sorta di egemonia nei confronti di territori che ormai la sopravanzano in termini di sviluppo e di civiltà? E potrei proseguire, se vogliamo fare un dibattito serio... Lascia stare i dibattiti sul Mezzogiorno. I meridionalisti sono come i costituzionalisti, che difendono la Costituzione perché altrimenti non avrebbero come impiegare il tempo e guadagnarsi il pane.

di AMEDEO LEPORE
Caro Claudio, questo sviluppo impetuoso di alcune regioni meridionali non riesco proprio a vederlo! La Puglia, nel 2009, ha subito un calo del PIL del 5% rispetto all'anno precedente, attestandosi su un Prodotto Interno Lordo pro-capite par...i a 16.880 euro. Per non parlare della povertà e della disoccupazione... La “nazione siciliana”, invece, ha perso solo il 3,1% del PIL e si è attestata su 17.144 euro di PIL pro-capite, mentre il Centro-Nord ha avuto un risultato pari a 29.449 euro. Ed è preferibile non parlare degli indicatori di qualità - quelli che la Banca d’Italia ha riscoperto come “capitale sociale” -, che in tutto il Mezzogiorno sono assai negativi. Le aree urbane di maggiori dimensioni presentano sicuramente problemi diversi da quelli delle zone interne, ma starei attento a sostenere che la crisi non abbia colpito pesantemente entrambe. Tuttavia, il pensiero individuale di chi, come me, fa di mestiere lo storico economico e non il meridionalista, riguarda alcuni aspetti della vicenda del Mezzogiorno, su cui potremmo cercare di discutere senza pregiudizi.
Ti faccio alcuni esempi. È vero o no che alcuni anni fa vi è stata una rovinosa semplificazione della “questione meridionale” da parte di chi pensava che la cosiddetta “rivoluzione dei sindaci” e la scelta di impiegare le risorse pubbliche disponibili in progetti di “sviluppo locale” avrebbero risolto ogni cosa? A conti fatti, questa forma di negazione di “una civiltà materiale comune” dell’intero Mezzogiorno e della necessità di strategie unitarie, di tipo macroeconomico, ha comportato il maggiore spreco di risorse mai realizzatosi nella storia italiana. Da qui sono derivate anche alcuni dei giudizi più sferzanti sulla politica e sulle classi dirigenti meridionali: non senza ragioni, quindi. Inoltre, si ha voglia di abbaiare alla Lega o di mimare, attraverso il “partito del Sud”, quel movimento! La situazione può cambiare solo se ci rendiamo consapevoli di un compito da svolgere, come meridionali – direi anche come italiani e come europei, se non avessi timore di incorrere nei tuoi strali sui luoghi comuni –. Questo compito, di cui Napoli potrebbe essere protagonista (senza ritornare alla sua storia e alla sua cultura, ma anche solo perché le aree metropolitane nel mondo contemporaneo svolgono una funzione di attrattori e di motori di sviluppo), non deve essere necessariamente la riproposizione farsesca di una tragedia. Si può pensare che insieme agli scarsi interventi macroeconomici possibili, di tipo stimolativo e correttivo, “dall’alto”, per capirci, possano sorgere iniziative di tipo innovativo e di mercato, “dal basso”, attraverso una partecipazione diffusa, anche individuale, di tanti napoletani e meridionali, di tante “eccellenze” del Sud, di quelli che ogni giorno si propongono l’obiettivo di realizzare concretamente novità e risultati nella propria attività? Io credo, scusami per la mancanza di “realismo” e di originalità, che sia possibile superare un’antica antinomia del meridionalismo, tutto stretto tra i “programmisti” e gli “abolizionisti”, tra i sostenitori assoluti delle politiche nazionali e gli apologeti della crescita locale. La rete telematica, Internet, può aiutare a realizzare l’infrastruttura più necessaria per il Mezzogiorno, quella immateriale; può mettere in connessione con il mondo i meridionali, facendoli uscire da una chiusura stantia nel loro orgoglioso e deleterio municipalismo, aprendoli al flusso dell’economia e della società globale. Con i suoi pregi e i suoi difetti, ma aperta!

Questa infrastruttura prescinde perfino dai corridoi europei ed è un problema che accomuna tutto il Mezzogiorno, che ne ha bisogno, vista la sua totale assenza in termini di velocità e di copertura, uniformemente. Il “nuovo meridionalismo”, con la Cassa per il Mezzogiorno - perlomeno sino alla nascita delle regioni -, ha rappresentato finora l’unico effetto positivo per il Sud: ha ridotto il divario e fatto sorgere una classe dirigente in grado di guidare il paese. Non siamo più in quell’epoca, ma un’idea nuova, in grado di fare massa critica è altrettanto indispensabile, forse di più. Altrimenti, caro Claudio, Napoli, forse, potrà essere, grazie all’alta velocità, una periferia romana; mentre, il Mezzogiorno e, con lui, l’Italia, diventeranno una frontiera disagiata e in ritardo delle aree emergenti, che ci lambiscono sempre più da vicino. Ti sto scrivendo, infatti, da Tirana, dove assisto ad una trasformazione magmatica, ma straordinaria. Una città di un milione di abitanti, in un paese di poco più di tre, che approfittando di un sentire comune e di tanti giovani, oltre che di molte altre cose buone e meno buone, sta conducendo davvero la sua “rivoluzione”. E così, buona parte dei Balcani.

Perché, allora, non smetterla con il senso comune dei “tanti Mezzogiorno” e guardare alla nostra terra con un po’ più di amore, con un pò più di considerazione nelle nostre possibilità e nella nostra capacità di non rivendicare solo nuove prospettive, ma di costruirle fattivamente, con un impegno più difficile, meno illuministico e più rispettoso di una storia, certo più dignitosa del punto estremo al quale siamo arrivati oggi? Di questo vorrei discutere e non solo di novità fini a se stesse. Del “nuovismo” abbiamo già provato la futilità e i danni. Torno al mio lavoro, con il quale mi guadagno pane e companatico. Da un mondo in movimento, che può essere anche il nostro. Con amicizia, Amedeo.
 

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