domenica 23 gennaio 2011

Notizie dall’Unione europea, 23 gennaio 2011

Politica ed economia:
1. La Polonia dribbla la crisi e attira investimenti esteri.
2. L'Ungheria populista di Viktor Orban spaventa i mercati.

Finanza e debito pubblico:
3. Banche, cura da 275 miliardi.
4. Per Basilea 3 servono 275 miliardi.

1. La Polonia dribbla la crisi e attira investimenti esteri. Vittorio Da Rold. VARSAVIA. Dal nostro inviato. La Polonia è pronta a dribblare la crisi con i prossimi campionati di calcio europei 2012 che varranno, secondo le stime, un incremento dell'1,5% del Pil polacco. La prima azienda italiana a cogliere l'occasione dei prossimi euro campionati previsti in Polonia (insieme alla vicina Ucraina) nel 2012 è stata la Cimolai di Udine (costruzioni speciali in acciaio) che partecipa alla realizzazione del futuristico stadio nazionale di Varsavia (55mila posti complessivi tutti al coperto) fornendo e mettendo in opera le avveniristiche strutture in metallo che coprono tutta l'opera che sorge vicino alla Vistola.
Le tenso-strutture in acciaio, montate verso il cielo il 15 dicembre scorso, sono impressionanti per la bellezza e il senso di leggerezza che danno allo stadio che diverrà, c'è da scommetterci, il simbolo degli Europei.
La Polonia è in buona salute, correrà nel 2011 secondo le stime di mercato al 4,4% (3,4% per l'Fmi) e attrae investimenti aiutata dalla manna di Bruxelles, oltre 81 miliardi di euro di aiuti strutturali e per l'agricoltura fino al 2013, che dà l'opportunità ai polacchi, ma anche agli investitori esteri, di tentare una "ripartenza" con slancio e determinazione.
I finanziamenti europei, tra fondi di coesione e fondi per agricoltura e pesca, rappresentano ogni anno trasferimenti pari in media al 3,3% del Pil polacco. Un'occasione da non perdere, soprattutto in tempi di crisi.
Giuseppe Cafiero, vice presidente del gruppo Astaldi, impegnato in Polonia nella costruzione di alcuni lotti autostradali e della seconda linea della metropolitana di Varsavia, ricordava qualche tempo fa «la grande serietà del paese che facilita molto gli investimenti stranieri». Inoltre degli 81 miliardi di fondi europei in arrivo, 25 sono destinati alle infrastrutture, tra le quali il rifacimento della rete ferroviaria e l'ammodernamento dei canali navigabili. Senza dimenticare che la Inso, un general contractor internazionale per progetti di ingegneria, costruzione e fornitura di tecnologie, in partnership con CCC Consorzio Cooperativo Costruzioni, ha siglato il preliminare di contratto con il gruppo privato di investimenti ORCO Property per la realizzazione della Torre Zlota 44, un grattacielo alto 192 metri situato nel centro di Varsavia vicino al palazzo della Cultura. Si tratta di un progetto estremamente significativo sia per l'investimento previsto, che ammonta a oltre 80 milioni di euro, sia dal punto di vista architettonico, portando la prestigiosa firma dell'architetto, di origine polacca, Daniel Libeskind.
Un piano di ammodernamento paragonabile a quello compiuto qualche anno fa dalla Spagna.
«Le nostre aziende, quando non usufruiscono direttamente dei fondi Ue, possono usare le agevolazioni delle 14 Zone economiche speciali, dove trovano esenzioni da imposte sul reddito e incentivi per assumere personale», ricorda Domenica Brosio, direttore dell'ufficio Ice, l'Istituto italiano per il commercio estero, di Varsavia.
La cornucopia di Euro 2012, i campionati europei di calcio, va vista dagli investitori non solo sotto il profilo infrastrutturale, ma anche dello sviluppo del settore telematico e informatico, di internet a banda larga, di un generale e più ampio ammodernamento delle infrastrutture del paese sul Baltico.
Dove puntare soprattutto? Il settore energetico, delle rinnovabili e della tutela ambientale sono tra i più promettenti e da tenere d'occhio. La Polonia deve ridurre la dipendenza energetica dal carbone (che oggi la fa da padrone ma che crea problemi ambientali) e punta alla costruzione di centrali nucleari e alle fonti rinnovabili meno invasive per l'ambiente. Altre opportunità da non perdere sono offerte dal settore turistico-alberghiero (che per il 2012 avrà il tutto esaurito per l'arrivo dei tifosi di calcio europei) e quello ospedaliero. È come se la Polonia voltasse pagina.
Il paese è caratterizzato da un sistema industriale storicamente solido, servizi in forte crescita (si veda l'esempio del quarto knowledge centre della McKinsey al mondo, il colosso della consulenza finanziaria che qui ha assunto un centinaio di ricercatori per fornire consulenza in Europa e in altri continenti); una transizione politica senza particolari scossoni dopo gli anni del comunismo; un alto grado di istruzione.
La presenza italiana oltre agli insediamenti storici di Fiat a Tychy e Bielsko-Biala, di Unicredit con Banca Pekao SA, principale del paese, e della Ferrero, vede anche altre presenze più recenti come il gruppo Marcegaglia (dal 2004) con la produzione, con 210 addetti, di condensatori per il settore elettrodomestici, refrigeratori e pannelli coibentati per l'edilizia presso lo stabilimento a Praszka e successivamente a ottobre 2010 viene inaugurato l'impianto siderurgico (tubi e laminati in acciaio) presso Kluczbork, il secondo in ordine di tempo del gruppo in Polonia, con un investimento di 120 milioni di euro e una produzione annua complessiva di 300mila tonnellate e 300 addetti.
Anche Banca Intesa Sanpaolo è in corsa per l'acquisizione di una quota di Polbank, un istituto oggi in mano alla banca ellenica Efg Eurobank Egasias SA che ora vuole venderne almeno una parte.
La Brembo investirà 85 milioni di euro per aumentare la capacità del suo impianto di Debrowa Gornicza, che produce freni a disco. Poi c'è la Lampre, che a Kutno produrrà lamiere prerivestite. Senza dimenticare Indesit a Lodz, Finmeccanica (acquisizione un anno fa dell'azienda elicotteristica polacca PZL-Swidnik) ed Eni impegnata con la Snam nella costruzione del terminal di rigassificazione presso il porto di Swinoujscie sul Mar Baltico.
Ecco perché la Polonia detiene il secondo posto in Europa dopo la Finlandia per i posti di lavoro generati da investimenti diretti esteri.
Per ora Varsavia durante la crisi si è mossa con passi appropriati, la svalutazione fino al 50% nel punto massimo della crisi dello zloty poi tornato su livelli più accettabili, la buona tenuta del sistema bancario hanno funzionato da ammortizzatori contro gli shock esterni. La fase peggiore della crisi sembra alle spalle e ora Varsavia grazie ai fondi Ue e alle agevolazioni delle zone speciali cerca partner stranieri per crescere al 4,4% nel 2011 secondo le stime di Marcin Mrowiec, capoeconomista di Bank Pekao Sa del gruppo UniCredit.
Si tratta di un'opportunità unica per ammodernare l'economia, la sua competitività e superare keynesianamente le secche della crisi.
I PUNTI DI FORZA POLACCHI
Pil in salute
Varsavia correrà nel 2011 dal 4,4,% (stime analisti) al 3,4% (l'Fmi)
Fondi Ue e Zone speciali
Il paese attrae investimenti aiutata dai fondi Ue, 81 miliardi di euro fino al 2013, e dalle zone speciali economiche
Sistema solido
C'è un sistema industriale solido; servizi sofisticati (hub di McKinsey); una transizione politica senza scossoni; un grado di istruzione elevato
I PUNTI DEBOLI UNGHERESI
Tasse
Tassa sulle banche e società (catene retail, società energetiche e di telecom); politiche eterodosse e populiste anti-Fmi e anti-Ue
Mutui
Prestiti in valuta, specialmente in franchi svizzeri (due terzi dei mutui alle famiglie in valuta estera)
Debiti
C'è un forte indebitamento di imprese e famiglie. Il deficit del bilancio centrale magiaro è secondo i criteri Ue al 3,8% del Pil nel 2010

2. L'Ungheria populista di Viktor Orban spaventa i mercati. V.D.R.. VIENNA. Dal nostro inviato
Acque agitate a Budapest per una frase. La politica economica del governo ungherese di Viktor Orban è «rischiosa». Il commento sembra asettico, quasi neutro, ma se viene detto dal governatore della banca centrale ungherese Andras Simor, il cui mandato è in scadenza a marzo, le cose cambiano. Rispondendo a una domanda nell'ambito del Central East European Forum di Euromoney svoltosi a Vienna mercoledì scorso il governatore ha dato fuoco alle polveri contro la politica «populista» del governo magiaro.
È noto agli operatori che i rapporti tra il premier di centrodestra Viktor Orban e il governatore Andras Simor - nominato dal vecchio esecutivo socialista - non sono idilliaci e Orban vorrebbe che Simor passasse la mano al più presto. Ma dietro la querelle tra esecutivo e banca centrale c'è il timore che le nuove iniziative spaventino i mercati e gli investitori internazionali.
Come mai? Paranoie di investitori o preoccupazioni reali? Il governo Orban in un paese dove i due terzi delle famiglie hanno mutui in valuta estera ha proposto di riprendere il controllo sulle nomine di quattro dei sette membri del consiglio monetario della banca centrale, in scadenza a febbraio, creando una maggioranza capace di bloccare le decisioni del governatore e dei suoi due vice. Oggi invece due dei nuovi membri del consiglio sono scelti dal governatore all'interno delle stanze ovattate dell'istituto.
Sullo sfondo dei contrasti sull'autonomia della Banca centrale, c'è la volontà del governo di avere mano libera nella politica fiscale. E questo non è un bel segnale.
Una situazione anche politicamente imbarazzante visto che l'Ungheria oggi ricopre l'incarico di presidente di turno dell'Unione europea a cui seguirà a giugno la vicina Polonia. Il governo di centrodestra guidato da Orban è entrato in carica a metà anno e, da allora, sono scintille. Non solo con il governatore della Banca centrale, ma anche con la commissione Ue (per la controversa legge bavaglio contro la libertà di stampa) e con il principale creditore, il Fondo monetario internazionale. Orban, che ha messo in soffitta le precedenti politiche d'austerità seguite dal governo socialista, ha rispedito al mittente le ricette proposte dal fondo, il quale però è capofila di un prestito da 20 miliardi di euro accordato assieme a Banca Mondiale, Ue e Bce, prestito stand-by che ha salvato dal baratro il paese che in quel periodo segnò un -6,3 del Pil.
Non solo. In un'intervista al giornale tedesco Bild, il premier magiaro ha detto che l'Ungheria vuole passare dall'80 al 72-73% nel rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Un traguardo ambizioso, che però non convince affatto l'Fmi.
«Una riduzione del debito è sempre la benvenuta», ha commentato cauta Iryna Ivaschenko, la responsabile permanente dell'Fmi a Budapest, intervenuta a un dibattito sempre del Forum Euromoney a Vienna. «Quello che però viene richiesto - ha continuato - su un più lungo periodo di tempo, è che la dinamica del debito sia sostenibile e che mantenga una traiettoria di riduzione».
Anche Anne-Marie Gulde, senior adviser dell'Fmi per l'European Department, ha detto sempre a Vienna a margine del medesimo convegno che sebbene l'Europa centro-orientale sia ritornata largamente alla crescita, la regione sta ancora soffrendo per gli aggiustamenti macroeconomici necessari e rimane «vulnerabile».
Gulde è stata particolarmente critica verso il premier ungherese che ha varato misure una tantum sul fronte delle entrate includendo «le imposte sulle banche, sulle compagnie energetiche, di telecomunicazione e sull'agro-alimentare e ha spostato 14 miliardi di euro dai fondi pensione privati alle esigenze del bilancio pubblico». In futuro però bisognerà pagare comunque queste pensioni e il governo di Budapest sta facendo manovre contabili che potranno soddisfare nel breve periodo le esigenze di Eurostat ma che nel lungo rappresentano «prestiti sul futuro del paese».
L'Fmi ha criticato la scelta ungherese di non procedere con tagli strutturali ma d'intervenire sul deficit attraverso tasse una tantum. Senza contare il prelievo di 14 miliardi dai fondi pensione privati, una scelta che ha allarmato pensionati e Borsa.
Budapest, proprio nel momento in cui detiene il semestre di presidenza europea, pare allontanarsi dall'obiettivo dell'ingresso verso l'euro. Il primo ministro magiaro, recentemente, ha previsto che l'Ungheria entrerà nell'Eurozona alla fine di questo decennio, precisando che nell'euro, oggi, è meglio non esserci. Parole che certo avranno spaventato gli investitori internazionali che ora guardano con sospetto alle politiche di Orban. Che rischia di restare solo. Con i suoi guai.
3. Banche, cura da 275 miliardi. Le nuove regole di Basilea 3 presentano il conto alle banche: per adeguarsi alle normative definitive, quelle del 2022, gli istituti di credito europei dovranno raccogliere nuovi capitali per 275 miliardi di euro. Il calcolo arriva da uno studio fresco di stampa di Boston Consulting Group: nei prossimi anni gli istituti di credito dovranno avviare maxi-ricapitalizzazioni solo per adeguarsi a Basilea 3. Le banche che più dovranno raccogliere capitali sono quelle tedesche: 65,5 miliardi di euro. Al secondo posto le italiane, con necessità per 42,5 miliardi. Al terzo le francesi: 41,3 miliardi. Ma gli istituti più penalizzati dalla nuova normativa, proporzionalmente alle loro dimensioni, sono quelli svizzeri. Non solo: le necessità di capitale aumenterebbero se la crisi degli stati sovrani peggiorasse.
Intanto cresce la richiesta di prestiti agevolati da parte delle Pmi che hanno scelto di finanziarsi con il plafond messo a disposizione dalla Cassa depositi e prestiti. Entro fine febbraio verrà raggiunta quota 3,5 miliardi su una dote complessiva di 8 miliardi. La preferenza è per strumenti con rimborsi su scadenze più lunghe.
4. Per Basilea 3 servono 275 miliardi. Morya Longo. Primo dato di fatto: sulle banche europee pesa la crescente rischiosità degli stati. Secondo dato di fatto: il costo del rischio in pochi anni è più che raddoppiato rispetto ai ricavi. Terzo dato di fatto: le nuove regole di Basilea 3 richiedono maggiore capitale. Basta mettere questi tre elementi insieme, per giungere a una conclusione ovvia: nei prossimi anni le banche di tutta Europa dovranno chiedere soldi agli azionisti. Tanti soldi. Boston Consulting Group calcola che, solo per adeguarsi ai requisiti di Basilea 3 del 2022, le banche europee dovranno realizzare aumenti di capitale per 275 miliardi di euro. Se si somma anche il potenziale rischio-stati, la cifra lievita ulteriormente. Tanto che in quest'ultima ipotesi, l'istituto di ricerca indipendente Autonomous calcola che solo le banche spagnole potrebbero essere costrette a ricapitalizzarsi per 250 miliardi, nel caso in cui Madrid finisse nelle stesse grane di Dublino. Si tratta di stime, ovvio. Negli anni le cose potrebbero cambiare. Ma una cosa è certa: a dispetto di quello che dicono i banchieri, ora come ora le banche europee non hanno sufficiente capitale.
Andiamo con ordine. La prima spinta al rafforzamento patrimoniale arriva dalle nuove regole di Basilea 3. Come noto, gli accordi di Basilea prevedono che a fronte di ogni rischio una banca metta da parte un po' di capitale. Se si guardano i coefficienti patrimoniali degli istituti europei (cioè quegli indicatori che mostrano la loro solidità), in apparenza sembra che più o meno tutti siano già a posto per soddisfare le normative future di Basilea 3. Il problema è che le nuove regole sono più severe nei calcoli rispetto a quelle attuali di Basilea 2: il fatto che i coefficienti sembrino già oggi in linea con i requisiti di Basilea 3 – afferma Boston Consulting – è dunque solo un effetto ottico. Insomma: prendendo i bilanci di oggi e applicando i metodi di calcolo di Basilea 3, i coefficienti scendono drammaticamente.
Boston Consulting ha fatto questo esercizio per 84 banche europee, che coprono il 98% della capitalizzazione totale. E i risultati sono sorprendenti. In alcuni paesi, quelli più aggressivi e che più utilizzano titoli ibridi di capitale, le banche si trovano di fronte ad una vera e propria "emorragia" di Tier 1. Il caso più eclatante è quello della Svizzera: attualmente le banche hanno un «Core Tier 1 ratio» (il coefficiente chiave) al 15,9%, ben oltre i limiti di Basilea 3. Ma se lo stesso coefficiente si calcola con le regole di Basilea 3 (alcune sono ancora da definire, per cui resta un margine d'errore), si perdono ben 12,5 punti percentuali: il «Core Tier 1 ratio», quindi, con le nuove normative scenderebbe al 3,4%. E allora sì che servirebbero aumenti di capitale: 18,4 miliardi solo per le banche svizzere.
Calcoli analoghi Bcg li fa per tutti i paesi europei. Si scopre così che le banche tedesche sono quelle che più di tutte dovranno chiedere soldi agli azionisti (65,5 miliardi), mentre quelle italiane hanno bisogno di 42,5 miliardi. «Le italiane – spiega Gennaro Casale, partner di Bcg – da un lato hanno sempre fatto un uso inferiore degli strumenti ibridi di capitale e dall'altro sono più concentrate sull'attività commerciale. Questo le penalizza meno, in termini relativi, rispetto a quelle di altri paesi». E lo stesso concetto è stato espresso, a margine di un convegno a Bergamo, dal presidente del consiglio di sorverglianza di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli: nell'introduzione delle regole più rigorose di Basilea 3 – ha detto – bisogna «tenere conto anche delle diversità delle situazioni, non solo tra paese e paese ma anche tra un modo e un altro di operare delle banche».
Ma ci sono anche altri problemi. Sempre Boston Consulting evidenzia che il costo del rischio (cioè le rettifiche di valore più il costo del capitale assorbito) sta salendo a passi da gigante rispetto ai ricavi. Il rapporto era al 30% prima della crisi e ora è al 67%. «Questa – spiega Casale, partner di Bcg – è stata la causa principale della distruzione di valore in Europa. Più che la discesa dei ricavi e il costo della raccolta». D'altro canto, aumenta anche il costo del capitale. E poi, come detto, c'è la variabile indipendente del rischio-stati: se la crisi europea dovesse proseguire, per le banche – molto esposte sui debiti governativi – servirebbe ancora più capitale. Insomma: i banchieri negano tutti, ma il futuro è lastricato di possibili aumenti di capitale. Forse non imminenti. Forse non su queste cifre. Ma difficilmente la partita è finita qui. Altro che dividendi: nei prossimi anni saranno gli azionisti a dare soldi, non viceversa.
m.longo@ilsole24ore.com
Il grafico ricalcola i coefficienti patrimoniali delle banche europee (nello specifico il «Core Tier 1 ratio») alla luce della riforma di Basilea 3. Si calcola innanzitutto l'attuale «Core Tier 1 ratio», sui bilanci del 2009, basandosi sulle metodologie di calcolo dell'attuale normativa di Basilea 2: questo è il primo dato che si trova a sinistra per ogni paese. Dato che le metodologie di calcolo di Basilea 3 sono più severe, partendo dagli stessi dati dei bilanci 2009 si sottrae il «Core Tier 1» che verrebbe meno se fosse già in vigore la normativa di Basilea 3 definitiva (quella del 2022). Il secondo numero, sotto la voce «riduzione», rappresenta dunque la percentuale di «Core Tier 1» che verrebbe meno. Il terzo numero, infine, indica quale sarebbe il «Core Tier 1» se le metodologie di calcolo di Basilea 3 fossero già in vigore. Alla fine si evidenzia l'aumento di capitale necessario per riportare i coefficienti patrimoniali ai livelli corretti. Prediamo l'Italia come esempio. Ora il «Core Tier 1» medio delle banche è dell'8,3% (secondo Basilea 2). Se si applicasse il metodo di calcolo di Basilea 3, si perderebbero 3,8 punti percentuali, portando il coefficiente al 4,4%. Morale: servirebbero 42,5 miliardi di euro di nuovo capitale per tornare a posto.
 

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