martedì 12 aprile 2011

Federali-Sera. 12 aprile 2011. Parigi. Il Figaro di ieri ha invece spiegato che il ministro dell'interno d'Oltralpe, Claude Guénant, ha confermato a Maroni che la Francia si sente in diritto di riportare in Italia tutti gli immigrati che volessero entrare clandestinamente in Francia. ----Bozen. Il governo italiano condanna le affermazioni - provocatorie ed irresponsabili - di alcuni esponenti politici austriaci sull'autodeterminazione, come un attacco alla pacifica convivenza in Alto Adige. ---È ufficiale: Fukushima come Chernobyl.

Stati convulsivi:
Svizzera. L'onda leghista travolge il Ticino
Svizzera. Rubygate e Italia – un paese fuori controllo
San Marino. Frontalieri, anzichè prendervela con San Marino perchè non ve la prendete con il vostro Governo?”
San Marino. Frontalieri, L'USL di Rimini vuole tutti i suoi contributi sanitari          
San Marino. Criminalità: preoccupazioni e cautela…di The Joker
Autodeterminazione del Sudtirolo, Frattini protesta con Vienna

Forza Oltrepadani:
Bozen. L'Udc: Rai, manovre Svp pericolose
Trento. Più soldi ai partiti, i trentini dicono no
Belluno. «L'autonomia va mantenuta»
Udin. Le regole Ue al posto del “welfare padano”

Tensione padana:
Milano. Pentito: così la 'ndrangheta uccide al Nord
Venezia. Terza corsia, è tutto fermo
Venezia. Tangenti a Venezia, trovata una ricevuta di pagamento
Padova. Saia e Lega: «Chiudiamo i centri sociali»
Reggio Emilia. E' allarme-mutui a Reggio decine di famiglie «morose»

Migranti, tra poco con la paghetta:
Sarokozy sparando alla Libia ha impallinato l'Europa
Il ritorno all'Europa delle nazioni
Treviso. Profughi, Genty attacca Bossi
Mestre. Lega e clandestini, D’Alema attacca
Ferrara. «Noi qui non li vogliamo»

È ufficiale:
Italia, ripresa troppo lenta: l’Fmi chiede altre misure di bilancio
È ufficiale: Fukushima come Chernobyl


Svizzera. L'onda leghista travolge il Ticino
Di Andrea Clementi, swissinfo.ch
Domenica storica in Ticino: la Lega strappa il secondo seggio in governo ai liberali radicali, diventando il partito di maggioranza relativa. In calo anche socialisti e popolari democratici, crescono gli ecologisti.
Il verdetto delle urne – in attesa dei risultati per quanto concerne il parlamento – è chiaro: la Lega dei ticinesi è il primo partito del cantone, con il 30% delle preferenze, e per la prima volta potrà contare su due suoi esponenti – Marco Borradori e il neo-eletto Norman Gobbi – in Consiglio di Stato.

Brace e cenere
Secondo il Corriere del Ticino, si tratta di un risultato «che viene da lontano, da un cambiamento profondo del tessuto che compone la base elettorale: sempre più svincolata dalle logiche che governano e con cui governano i partiti tradizionali; e sempre più incline a premiare chi mostra, anche se in modi a volte discutibili, di essere attento a cogliere e raccogliere le sue inquietudini. Magari soffiando a sua volta sul fuoco, ma con l'indubbia capacità di riconoscere subito la brace, anche sotto la cenere».
In ogni caso, continua, «non si può non leggere il risultato ticinese di domenica nel contesto delle tendenze nazionali, a cominciare da quella alla polarizzazione della scena politica. La ritrovata unità d'intenti fra Lega e Unione democratica di centro da un lato, ma anche il successo dei Verdi [+4%] dall'altro, mostrano che anche il Ticino, a suo modo, segue queste spinte. Ne dovranno tenere conto, volenti o nolenti, anche quei Confederati che troppo spesso dipingono il Cantone italofono come propaggine poco affidabile e contagiata da vizi importati da sud».
Il Corriere del Ticino fa comunque presente «il rischio di impasse […]: se si innescasse […] un meccanismo di ripicche e veti incrociati, in effetti la paralisi sarebbe garantita. Con un rischio di logoramento innanzitutto per la Lega, che non potrà certo muoversi d'ora in poi come si è mossa fin qui. Esaurita l'euforia per la vittoria, la ricerca di nuovi equilibri interni sarà la principale sfida che dovrà affrontare».

C'è Lega e Lega
Il Giornale del popolo considera quella della Lega «una vittoria che forse […] metterà fine al fenomeno dei superindignati a corrente alternata: quelli che, quando la Lega non fa comodo ai loro giochi, si indignano con chi non si indigna perché la Lega esiste».
Inoltre, evidenzia il quotidiano d'ispirazione cattolica, «da tempo si è capito che le guasconate di Bignasca, il linguaggio satirico-gogliardico del suo giornale […] sono una cosa, il lavoro dei suoi uomini politici (peraltro orientati dal fiuto del presidente) un’altra».
Il Giornale del popolo evidenzia poi i gravi problemi del Partito liberale radicale: «La campagna elettorale cui abbiamo appena assistito ha dato uno spettacolo impietoso di come ormai a tenere insieme il "partitone" non potesse essere che un vantaggio di posizione nella pura gestione del potere. Perché mai altrimenti le due cosiddette anime, radicali e liberali, dovrebbero coabitare?»

Un terremoto più o meno previsto
Secondo la Regione, «il terremoto era previsto, ma non di questa magnitudo. Ad originarlo più fattori: sicuramente le effettive incertezze del momento politico e storico, facilmente trasformabili in paure e voglia di ricette muscolose; sicuramente l’eterna doppia natura del movimento, con da un lato la locomotiva istituzionale Marco Borradori e dall’altro il barricadero Nano Bignasca (ora in coppia con l’UDC)».
Quest'ultimo è «un presidentissimo che con un linguaggio chiaro e diretto promette anche la luna alla "gente" usando il tritatutto domenicale, mentre le altre forze politiche si illudono ancora che basti chiedere un atto di fiducia ogni quattro anni, facendo magari riferimento a quanto fatto nei decenni passati, perché il gregge segua il buon pastore. Così non è stato e non sarà più».
Infine, vi è un terzo fattore stando al foglio bellinzonese: «La congiunturale estrema debolezza del Partito liberale radicale, che al massacro ci è andato cantando, accorgendosi troppo tardi del grave pericolo». Ma anche socialisti e popolari democratici devono riflettere sull'esito del voto: «Il PPD sarà obbligato a decidere da che parte stare in governo. Giuliano Bignasca lo sa benissimo e, visto il ruolo di Beltraminelli, ago della bilancia fra due leghisti da una parte e Sadis e Bertoli dall’altra, dai microfoni della Rsi ha già avvertito l’ex collega di Municipio con termini piuttosto eloquenti».
Ma «anche in casa socialista qualcosa non funziona più per il verso giusto. [...] Una parte dei voti è stata evidentemente travasata sui verdi (+4%), che però non volano come altrove sulla spinta dell’effetto Fukushima. I socialisti [..] ora, grazie ad un ministro particolarmente preparato [Manuele Bertoli, primo consigliere di stato cieco], di fronte allo spostamento a destra del baricentro politico, torneranno verosimilmente a fare maggiormente i socialisti e a tentare di riuscire comunque a farsi sentire e a tessere reti di consensi […]. Non ci illudiamo invece che il voto di ieri spinga l’area rosso-verde a raggruppare le forze, invece di continuare a dividersi e a gioire per le altrui perdite».

Lunedì nero per il PLR
Anche la stampa svizzerotedesca e quella romanda hanno seguito con interesse il voto ticinese, coinciso con le votazioni cantonali lucernesi, in cui liberali radicali e popolari democratici hanno perso terreno a scapito di Verdi, Verdi liberali e UDC.
Secondo Der Bund, «il Ticino costituisce un indicatore importante in vista dell'autunno: il partito liberale radicale sarà costretto a guardare in faccia la realtà», una realtà che lo vede in calo in consensi da ormai più di un trentennio. Il trionfo leghista, continua il quotidiano, rappresenta però anche un messaggio anche per l'UDC: «A destra, come si è visto a Ginevra con il successo del Mouvement Citoyens Genevois, c'è posto anche per altri».
La Neue Zürcher Zeitung parla di «Vittoria-tsunami in Ticino», mentre la Tribune de Genève titola: «La Lega fa man bassa di voti», e si chiede se la doppia presenza in governo porterà a un «imborghesimento» del partito. Pure Le Temps sottolinea che si è trattato di una «domenica amara per il PLR».
Andrea Clementi, swissinfo.ch

Svizzera. Rubygate e Italia – un paese fuori controllo
di René Lenzin – 3 aprile 2011
Pubblicato in: Svizzera
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Mercoledì inizia a Milano il processo contro Berlusconi per concussione e prostituzione. La vicenda va oltre questo caso particolare.

Mettiamo da parte per una volta la questione, tuttora controversa, se il primo ministro italiano abbia fatto sesso a pagamento con la allora 17enne marocchina Ruby Rubacuore. Resta comunque un fatto: Berlusconi in persona ha telefonato a fine maggio alla questura di Milano, per fare pressioni affinché la stessa Ruby, fermata per furto, venisse rilasciata. Quand’anche avesse davvero creduto, che si trattava di una nipote dell’ex presidente egiziano Hosni Moubarak, in quale paese democratico dopo una simile vicenda un capo di governo non avrebbe rassegnato le proprie dimissioni?

Perché in Italia non è così? Questa è la domanda più frequente, che si pongono – e non per la prima volta – gli osservatori stranieri in relazione a Berlusconi. Le risposte verranno dal “Rubygate”, il processo contro il premier che inizierà la settimana prossima e che farà chiarezza sul caso Italia, che è molto più importante che far chiarezza su questa vicenda specifica che coinvolge Berlusconi.

1. La Maitresse in Parlamento
Una figura chiave in tutta la vicenda Rubygate è Nicole Minetti, 26enne consigliere regionale del PdL in Lombardia. Assieme al direttore del TG4 Emilio Fede e al manager dei vip Lele Mora avrebbe procacciato quelle circa 45 ragazze, con cui secondo le accuse il premier si sarebbe trastullato.  Su ognuno dei tre incombe una imputazione per sfruttamento della prostituzione.

La Minetti è stata l’igienista dentale di Berlusconi, prima di aver partecipato a qualche programma televisivo e di aver fatto il suo ingresso in politica. É stata eletta alle elezioni regionali, sulla base di una legge elettorale votata dal secondo governo Berlusconi e che poi lo stesso ministro competente ridendosela aveva definito una “porcata”. Vengono stilate liste elettorali che non possono essere modificate, che danno ai capi di partito la possibilità di scelta dei candidati da eleggere o non eleggere. E ciò per concedere incarichi, retribuzioni principesche e altri privilegi come vitalizi dopo solo una legislatura.

2. Il farsi giustizia da sè della magistratura
La maggior parte di ciò che l’opinione pubblica conosce del ruolo della Minetti nel caso Rubygate, lo ha appreso da indiscrezioni provenienti dalle autorità inquirenti. Il fatto che parecchi quotidiani italiani pubblicano con regolarità e in maniera dettagliata i risultati degli interrogatori e delle intercettazioni telefoniche, fa giungere ad una sola conclusione: i giornali vengono sistematicamente tenuti informati da documenti strettamente confidenziali provenienti dagli ambienti giudiziari – e non parliamo solo della vicenda Ruby. Quindi la giustizia che già è frustrata dai continui attacchi di Berlusconi e che è sofferente per un organico ormai da tempo sottodimensionato, asseconda il colpevolismo mediatico. E viola i principi fondamentali del diritto pubblico come quello della presunzione di innocenza.

Di questa giustizia fai da te della magistratura in Italia si parla poco. Tranne nel caso in cui il quotidiano Il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi ha attaccato il procuratore Ilda Boccassini, che sostiene l’accusa nella vicenda Ruby. Immediatamente il Consiglio Superiore della Magistratura ha avviato un’indagine interna per il trapelare delle indiscrezioni. Simili retroscena alimentano gli attacchi dalla coalizione di destra, giudici e pubblici ministeri perseguono una politica di sinistra o per lo meno si sono costituiti come un inviolabile stato nello stato.

3. Trasparenza senza trasparenza
I giornali dedicano numerose pagine a queste indiscrezioni, senza scrupoli e spesso indipendentemente dalla rilevanza penale del fatto. Particolarmente impegnati in questo campo sono i due corrispondenti del quotidiano La Repubblica, Piero Colaprico e Giuseppe D’Avanzo. Si pensi per esempio al 16 marzo, il giorno in cui un inquirente milanese ha deciso di processare Berlusconi con rito abbreviato.  In quel caso hanno descritto un interrogatorio di Ruby avvenuto il 3 agosto 2010, come se vi fossero stati presenti. Nocciolo della questione: Ruby avrebbe detto a Berlusconi di essere minorenne. Il 16 febbraio anche  il Corriere della Sera scrisse che quel 3 agosto ebbero luogo due interrogatori. Secondo il Corriere Ruby sarebbe solo caduta in contraddizione rispondendo alla domanda se Berlusconi fosse a conoscenza della sua vera età.

La Repubblica aveva fonti di informazioni diverse, forse molto meno affidabili del Corriere della Sera? O i giornali si attengono ad un ordine del giorno assegnato loro da Berlusconi? Perché non hanno pubblicato gli atti su Internet dopo lo scoop, in modo che i lettori stessi potessero farsene un’idea? “Nella vicenda Ruby sono fiero di ogni indiscrezione che riesco a pubblicare” ha riferito brevemente Colaprico ad un giornalista straniero a Milano.

4. Il nemico del mio nemico
Ruby non è l’unico processo, che Berlusconi deve affrontare in questi giorni. Nel frattempo il parlamento discute in merito alla riforma della giustizia una nuova legge, che permetterebbe a Berlusconi di liberarsi di uno di questi processi. Inoltre questa settimana sono avvenuti tafferugli nella camera dei deputati, che hanno visto come protagonista il ministro della difesa Ignazio La Russa. La Russa avrebbe offeso non solo i deputati della sinistra ma anche il presidente della Camera Gianfranco Fini.

Fini non ha considerato questo attacco rivolto alla sua persona, bensì alle istituzioni statali, così come fa ogni volta per ogni attacco alla sua persona rivoltogli dalla coalizione di governo, che lo ha preso di mira da quando lui ha rotto con Berlusconi. Il fatto che Fini stesso mini queste istituzioni, ricoprendo contemporaneamente il ruolo di leader dell’opposizione e il ruolo di presidente della Camera sostanzialmente super partes, non sembra preoccuparlo. E nemmeno gli altri partiti dell’opposizione, che di solito chiedono ad alta voce più rispetto nei confronti delle istituzioni. Come si dice nelle alte sfere della poltica: “Il nemico del mio nemico è mio amico”.

5. La principessa al ballo delle debuttanti
Di nuovo parliamo di Ruby. Comparirà in processo sia come testimone per l’accusa che per la difesa. In quanto vittima del reato di prostituzione minorile, dal punto di vista dell’accusa, lei è anche parte lesa. Non è una beffa? Stiamo parlando di una 17enne, che si spaccia per 24enne e ne ha anche l’aspetto e che sembra avere un unico scopo nella vita: diventare famosa e ricca il prima possibile. Che sembra parli del più o del meno negli interrogatori e nelle intercettazioni telefoniche. Che si gode le sue apparizioni televisive tra lacrime ed esaperata gestualità. Che si fa portare a Vienna in jet per fare il suo ingresso al ballo delle debuttanti come fosse una principessa.

Cosucce, verrebbe da dire. Se si trattasse di un caso isolato e non di centinaia di ragazze, che mirano a raggiungere esattamente il medesimo scopo. Ma finora non tutte sono riuscite, come Ruby, Noemi Letizia o Patrizia D’Addario, a metter piede nella agognata camera da letto di Berlusconi.

San Marino. Frontalieri, anzichè prendervela con San Marino perchè non ve la prendete con il vostro Governo?”
Scritto da La Redazione - martedì, 12 aprile 2011
Mi pare che nel nostro Stato non ci siano persone che fanno bene i conti. Si è mai fatto il conto economico tra azienda che lavora a San Marino e lo Stato di San Marino? Penso proprio di no! Valutando che in molte aziende ci sono lavoratori stranieri, e questi giustamente al momento della pensione bisogna pagargliela, allora facciamoci due conti della serva, che non saranno precisissimi ma molto attendibili e che renderanno l’idea. Prendiamo per esempio: un lavoratore che abbia versato per 35 anni nel fondo pensione sammarinese, grosso modo ha versato la somma di € 180000 (cifra calcolata per eccesso perché nella vita lavorativa il lavoratore ha versato i contributo con livelli anche inferiori) e annualmente ne riceverà € 21.000 circa. In pratica, la somma che ha versato un lavoratore nel corso della pensione la ritira in nove anni. Mediamente e fortunatamente una persona vive più dei nove anni della andata in pensione, la vita media è 80 anni, il fondo dovrà pagare sei anni per i quali non ha ricevuto i versamenti. I seimila frontalieri un giorno andranno in pensione e gli auguro lunga vita anche oltre alla media.
Lo Stato di San Marino dovrà sborsare annualmente € 126.000.000. (somma che non è stata versata). E se qualche intelligentone mi viene a dire che il fondo pensione è in attivo, si faccia i conti in prospettiva almeno per la vita media di ogni lavoratore.
Adesso vorrei rivolgermi ai frontalieri che si sentono discriminati. Perché ve la prendete con San Marino che in qualche modo vi dà il lavoro, perché non ve la prendete con il vostro governo che ci sta mettendo in condizioni di crisi? Tenete conto che se le cose vanno bene a San Marino di conseguenza vanno bene anche a Voi. Comunque non preoccupatevi perché presto la crisi sarà veramente forte e non sarete più obbligati a venire a lavorare a San Marino! Tornando sui conti sopra esposti invito i nostri governanti di rifare i conti sulle buste paga e di dare a Cesare quello che è di Cesare ma di aumentarle le aliquote ai frontalieri in quanto non contribuiscono al pagamento di tasse e nella vita sociale del nostro Paese

San Marino. Frontalieri, L'USL di Rimini vuole tutti i suoi contributi sanitari          
Lunedì 11 Aprile 2011
di Saverio Mercadante
SAN MARINO - L’Azienda USL di Rimini vuole tutti i soldi dei contributi sanitari dei frontalieri che risiedono nel suo territorio. E sta facendo di tutto per averli, coinvolgendo direttamente il ministero della Salute. Queste pressioni di Rimini potrebbero generare un effetto a cascata sulle altre aziende USL di Pesaro e Urbino e Forlì-Cesena, se si mettesse in moto un richiesta ufficiale di rivalsa nei confronti della Repubblica di San Marino.

E non esiste nessun accordo scritto per una quota minima di 1200 frontalieri che dovrebbero presentare il cosiddetto modello Ismar 5 per il versamento dei contributi sanitari in Italia. Ipotesi che viene fatta girare soprattutto in ambiente sindacale, ma che non ha avuto nessun riscontro né all’ISS e soprattutto all’Azienda USL di Rimini.

Anzi, all’ISS la danno per risibile: “Non c’è nessun accordo di questo tipo e non c’è nessun tipo di limitazione rispetto ai frontalieri che vengano a presentarsi ai nostri sportelli per compilare l’Ismar 5. E sarebbe assurdo se ci fosse”. Ipotesi che viene rigettata con una risata anche alla USL di Rimini: “A noi non consta niente del genere. Sarebbe un curioso accordo. Come si fa a dire a un frontaliere non puoi fare l’Ismar 5 perché siamo arrivati a quota?”

Sono circa 4.500 o poco più i frontalieri che fanno capo alla USL di Rimini e, di questi, sono già 1.500, secondo i dati più recenti, quelli che hanno presentato il modulo Ismar 5 alla USL, che di fatto impone allo Stato sammarinese di versare all’Italia i contributi sanitari che gli stessi lavoratori frontalieri versano all’ISS. E che, lo ricordiamo, ha effetto retroattivo di due anni. Nel bilancio dell’ISS sono state accantonate delle somme in previsione di risarcimenti di questo tipo. E all’ISS confermano comunque che recentemente c’è stato un incremento significativo dei frontalieri agli sportelli dell’Ufficio prestazioni sanitarie per la compilazione dell’Ismar 5.
Ma veniamo alle pressioni che l’Azienda USL di Rimini ha fatto per far entrare in cassa i mancati contributi sanitari dei frontalieri riminesi. Non avendo nessuna competenza diretta per i rapporti con San Marino, ed essendo un soggetto senza personalità giuridica, la dirigenza della USL si è rivolta direttamente al ministero della salute per attivare tutti gli strumenti di pressione. In particolare, nel febbraio del 2010 c’è stato un incontro al Ministero della Sanità con i suoi rappresentanti, i vertici dell’ISS e quelli dell’USL di Rimini, che sono stati promotori dell’incontro affinché si trovasse una soluzione per risolvere il problema dei mancati versamenti che privano l’USL di Rimini di circa cinque milioni di euro all’anno. A tutt’oggi però i risultati sono ancora scarsi, quanto meno, dicono all’USL, nel non disincentivare i frontalieri. E in riva all’Adriatico si attende con impazienza un passo ufficiale del Ministero della Salute nei confronti dei propri omologhi sammarinesi.

La prassi in vigore a tutt’oggi è questa: il modulo Ismar 5 viene compilato dall’Ufficio prestazioni sanitarie su richiesta del frontaliere. Ripetiamo, su richiesta del frontaliere. Perché, è questo il nodo da risolvere: non c’è nessuna obbligatorietà di presentazione del-l’Ismar 5 per il frontaliere, né eventualmente per le imprese. Dall’ISS dicono che non esiste nessun automatismo. Un principio che è stato ribadito anche qualche anno fa in incontri ufficiali. Probabilmente allora c’era una sorta di patto di non belligeranza tra San Marino e l’Italia su questo fronte per convenienze reciproche: i frontalieri italiani portavano nel circondario un monte redditi notevole (circa 140 milioni di euro) e l’Italia non faceva pressioni più di tanto sui contributi sanitari.
La quota mensile di contributi sanitari versati all’Italia è di 315 euro mensili. Qui scatta la reciprocità: per i frontalieri sammarinesi che lavorano in Italia la quota mensile di contributi sanitari all’ISS è di circa 315 euro per i lavoratori e 350 per i pensionati. Sono le quote stabilite e aggiornate di una convenzione stipulata nel 1974.
Intanto tra i frontalieri la situazione sembra essere sempre più incandescente dopo la sentenza del Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme, che ha sancito la legittimità della “supertassa” e l’eliminazione (auspichiamo temporanea) della franchigia di 8.000 euro dal decreto mille proroghe.

Non sono ancora organizzati in un’associazione, viaggiano in ordine sparso, hanno rapporti difficili con il sindacato. Qualcuno propone alle prossime elezioni di scrivere “frontaliere” sulla scheda elettorale, annullandola. Qualcun altro suggerisce addirittura di bruciarla. Dopo le lettere a Napolitano e ai giornali, lo sciopero dei consumi e l’invito alla compilazione del modello Ismar 5 che sarebbe esplosivo per le casse dell’ISS, comincia a girare su Facebook anche l’ipotesi di un blocco delle strade della Repubblica, all’interno della Repubblica per non avere problemi con la Digos.

San Marino. Criminalità: preoccupazioni e cautela…di The Joker
Scritto da La Redazione - martedì, 12 aprile 2011
Si susseguono le dichiarazioni ad effetto che scatenano, all’interno di San Marino, l’indignazione e la condanna indiscriminata, senza processo, “dei colpevoli”.
La colpevolizzazione indiscriminata determina il venir meno della fiducia nelle Istituzioni da parte dei cittadini creando una netta divisione fra la popolazione che è controproducente alla risoluzione di qualsiasi problematica.

Certamente le affermazioni del Colonnello della Guardia di Finanza, Enrico Cecchi, e del Procuratore Capo di Rimini, Dott. Paolo Giovagnoli, entrambi ottimi servitori dello Stato Italiano, rivelano alcune verità.
La verità è che il criminale è una persona presente in tutti i Paesi, non dipende dalla Nazionalità, dal colore della pelle o dall’essere maschio o femmina, un delinquente rimane una persona che delinque, qualunque sia lo Stato di appartenenza, e come tale va perseguita.
Quello che non convince sono i modi e i termini utilizzati.
La presenza delle organizzazioni criminose a Rimini ed in Romagna, più in generale, non è certo dovuta alla vicinanza con San Marino, anzi San Marino ne ha subito e ne subisce invece le conseguenze.

Fin dagli anni ’60 la Romagna è stata terra di “confino”, quanti malavitosi sono stati inviati in questa terra al soggiorno obbligato? …… sicuramente hanno mantenuto stretti contatti con le famiglie di appartenenza ed hanno radicato una nuova attività criminosa in questa terra.
Quale migliore terra di conquista dove, nel periodo estivo, si radunano milioni di turisti e tutto può passare inosservato? Quale migliore opportunità per taglieggiare una miriade di piccole imprese, a carattere famigliare, che non hanno la forza e la capacità di potersi difendere?

Le dichiarazioni ad effetto (tipo: prima che ci scappi il morto…) non vorrei fossero strumentali alla continuazione del famigerato disegno di distruzione, prima mediatica poi reale, della Repubblica di San Marino.
In questi giorni poi, il colonnello della Gdf Gianfranco Lucignano, ha rincarato le accuse addebitando a San Marino anche le cause dell’evasione che si registra nel Riminese fin dagli anni ’70. Ma i 200 miliardi di evasione italiana avvengono tutti nella Provincia di Rimini? Oppure quella di Rimini è una misera gocciolina rispetto al resto del territorio Italiano?
Le varie “mafie” in Italia sono presenti da secoli, perché lo Stato Italiano, nonostante gli ingenti mezzi a disposizione, non è ancora riuscito a debellarle? E pretende che ci riesca oggi la Repubblica di San Marino? Vuole forse avere un “capro espiatorio impotente” a cui addossare le colpe che sono il frutto della propria inefficienza? Non sarà che San Marino è destinato a recitare la parte dell’agnello come ben descritto da Fedro(*) ….!!!
Se però proviamo a leggere attentamente le dichiarazioni troviamo che oggi le cose sono cambiate, ma, per accusare, si fa sempre riferimento a situazioni accumulate negli anni, trasmesse all’opinione pubblica come se fossero il presente, indagini che solo a distanza di anni vengono esternate a causa della lentezza della giustizia Italiana.
Invece di plaudere alla svolta operata dalla Repubblica di San Marino, si continua ad accusare, colpevolizzare ed accanirsi, sintomo questo che la collaborazione avanzata e dimostrata da San Marino non è ancora negli obiettivi dei rappresentanti Istituzionali della Repubblica Italiana.
Cerchiamo di tenere gli occhi aperti, di non strapparci le vesti per i contenuti espressi, che in ogni caso devono essere attenzionati, verificati e immediatamente stroncati, ma cerchiamo anche con preoccupazione e con la giusta cautela di non cadere nella trappola mediatica continuamente tesa con maestria.
Vorrei ricordare che nel mondo l’Italia è conosciuta per “Mafia, spaghetti e mandolino” e difficilmente riuscirà a togliersi questa etichetta….
The Joker

Autodeterminazione del Sudtirolo, Frattini protesta con Vienna
Lettera del ministro dopo l'attacco del deputato austriaco Martin Graf: salvaguardare la convivenza in Alto Adige, no alle affermazioni provocatorie e irresponsabili
di Maurizio Dallago
BOLZANO. Il governo italiano condanna le affermazioni - «provocatorie ed irresponsabili» - di alcuni esponenti politici austriaci sull'autodeterminazione, come «un attacco alla pacifica convivenza in Alto Adige».

Allo stesso tempo Palazzo Chigi ritiene che «certe nostalgie pantirolesi siano sempre più isolate nel panorama politico d'Oltrebrennero». Su questo argomento il ministro Franco Frattini ha inviato due formali lettere di protesta al presidente del parlamento austriaco, Barbara Prammer ed al ministro degli Esteri Michael Spindelegger.

È quanto afferma il sottosegretario Alfredo Mantica rispondendo ad un'interrogazione della deputata Michaela Biancofiore (Pdl). La risposta del vice di Frattini arriva in questi giorni su una tematica che aveva preso il via nell'estate del 2009, quando il terzo presidente del Parlamento austriaco, Martin Graf dei liberali di destra (Fpö), aveva lanciato la proposta di un referendum sull'autodecisione.

Graf puntava alla riunificazione del Tirolo, mettendo nello stesso calderone vari argomenti: dai presunti diritti calpestati della popolazione di lingua tedesca fino ad un paragone tra Italia e dittatura nella ex Germania orientale. Subito si dissociarono sia Spindelegger, che il capitano del Tirolo Platter fino alla stessa Svp, che definì le parole di Graf come «una provocazione».

«Le affermazioni del deputato austriaco Martin Graf in materia di autodeterminazione dell'Alto Adige sono state oggetto di due formali lettere di protesta del ministro Frattini, in cui sono stati sottolineati l'inaccettabilità delle affermazioni dell'onorevole Graf, nonché il palese contrasto delle medesime con lo stato di eccellenza che caratterizza i rapporti italo-austriaci», sottolinea Mantica, ricordando poi come «anche in ragione della carica ricoperta da Graf siano state respinte e condannate in modo particolare le affermazioni in cui si metteva sullo stesso piano il comportamento dell'Italia nei confronti della minoranza di lingua tedesca dell'Alto Adige con quello di uno Stato non democratico».

Il governo italiano sottolinea, invece, la necessità di mantenere una stretta e attenta collaborazione con Vienna, «al fine di contrastare con efficacia qualsiasi anacronistico tentativo di ritorno al passato». Ecco il richiamo all'Austria «al senso di responsabilità che dovrebbe ispirare la condotta di chiunque rivesta cariche istituzionali, dal momento che dichiarazioni come quelle di Martin Graf costituiscono di fatto un attacco alla pacifica convivenza che in tanti anni i nostri Paesi hanno costruito tra le popolazioni altoatesine e che ha assicurato alle medesime un alto livello di prosperità e progresso». Roma rileva d'altra parte che «le dichiarazioni del terzo presidente del Parlamento austriaco sono state oggetto di una consistente levata di scudi da parte di un ampio raggio di autorevoli personalità austriache, anche di governo, tra cui il ministro Spindelegger e il governatore Platter».

In un momento in cui «certe nostalgie pantirolesi appaiono sempre più isolate nel panorama politico austriaco». È ancora il sottosegretario Mantica a rimarcare come «a fronte di ricorrenti provocazioni degli attivisti altoatesini, il governo ed altre istituzioni austriache tengano a salvaguardare il rapporto di stretta amicizia e collaborazione con l'Italia, con un'azione di contenimento nei riguardi di coloro che in Austria vorrebbero sostenerli». Infine una frecciata al movimento di Eva Klotz, vista la definizione della Südtiroler Freiheit. Per Roma è «un movimento indipendentista con nostalgie pantirolesi» verso cui gli stessi austriaci sono piuttosto freddi.

Bozen. L'Udc: Rai, manovre Svp pericolose
BOLZANO. L'Udc altoatesina ritiene che la richiesta del presidente Durnwalder per un canale Rai tutto provinciale vada gestita con la massima attenzione e prudenza, visto che quello dell'informazione è un ambito molto delicato. «Senza voler entrare nel merito di una vicenda piuttosto ingarbugliata normativamente e dagli sviluppi tecnici incerti - si legge in una nota del segretario Paolo Degasper - va premesso che l'Udc è di prassi orientata positivamente quando si parla di miglioramento qualitativo dei contenuti dei programmi, soprattutto se ciò significasse approfondire realtà e tematiche, anche storiche, spesso sconosciute o addirittura ignorate da una parte consistente della popolazione». Il timore è che ci siano ingerenze da parte della politica e in particolare della Volkspartei. «Stiamo attenti a non farci affascinare troppo dal federalismo televisivo in atto. Se da un lato va percorsa la strada di un'offerta più ampia ed attinente al territorio, dall'altro possiamo permetterci il rischio di affidare alla giunta provinciale, tra l'altro guidata da una forza politica etnica e maggioritaria, la scelta dell'indirizzo informativo? Il governo e la dirigenza Rai si affrettino ad eliminare la partita Rai dalla trattativa con la Svp a garanzia del suo appoggio silente al governo».

Trento. Più soldi ai partiti, i trentini dicono no
12/04/2011 08:42
TRENTO - All'onorevole Ugo Sposetti, tesoriere del Pd nazionale, va riconosciuto il coraggio. In tempi di crisi, di antipolitica a mille, ha proposto una legge con la quale si rintrodurrebbe il finanziamento pubblico ai partiti. Se passasse si raddoppierebbero i soldi che dalle casse dello Stato passerebbero ai partiti: 170 milioni di euro all'anno di rimborsi elettorali, più 185 milioni all'anno di finanziamenti non ai partiti - partiti ma alle fondazioni dei partiti. La proposta di legge che oggi va in Commissione affari costituzionali della Camera è stata firmata da altri 54 parlamentari, anche del Pdl, un dipietrista, e da Luca Barbareschi.

E gli onorevoli trentini? Nessuno di loro ha firmato al contrario dei colleghi altoatesini dove la proposta ha trovato una forte adesione: quella di Luisa Gnecchi del Pd; di Karl Zeller e Siegfried Brugger della Svp. Sì diceva che i trentini non hanno firmato e, tranne una cauta adesione di Laura Froner , sono contrari. Ironici fino al sarcasmo i leghisti. «Certo che questi del Pd - dice il senatore Sergio Divina - parlano bene ma razzolano male. I partiti non hanno bisogno di soldi, noi della Lega non abbiamo problemi». Strano. «Perché? Al di là dei rimborsi elettorali versiamo tantissimi soldi al partito».

L'onorevole Maurizio Fugatti dice che stando così le cose non condivide la proposta Sposetti che, gli ricordiamo, ha un carattere trasversale. «Sì, ci sono alcuni deputati non di primo piano del Pdl. Ma come fanno a fare proposte del genere quando il governo ha tagliato del 10% i rimborsi elettorali? Non solo ma è stata tolto l'articolo della legge sui rimborsi elettorali che faceva durare cinque anni i rimborsi anche se la legislatura finiva dopo due anni. Un'assurdità che permetteva ai partiti di ottenere rimborsi doppi: quelli per la legislatura finita anzitempo e della nuova». Eppure quest'ultimo è uno dei punti forti del disegno di legge promosso dal tesoriere del Pd. «Andremo a verificare - afferma Luisa Gnecchi -, ma l'abolizione di questa norma c'è nella proposta di legge e questo serve anche ad equilibrare i maggiori trasferimenti finanziari alle forze politiche».

Belluno. «L'autonomia va mantenuta»
Il magistrato Guido Papalia teme gli effetti della riforma
di Roberto De Nart
BELLUNO. Ora è tutto chiaro, il padrone del vapore non vuole più essere disturbato. «Quando si dice che bisogna modificare l'architettura costituzionale affinché la Corte non cancelli le leggi, allora è evidente il motivo di questa riforma: non si vogliono più controlli». Lo ha detto il procuratore generale di Brescia Guido Papalia sabato sera al Centro Giovanni XXIII di Belluno, relatore della conferenza dal titolo "Riforma della giustizia o giustizia nella riforma?" organizzato dalle associazioni "Oasi" e "Libera, contro tutte le mafie".  La moderatrice avvocato Alessandra Fontana ha posto alcune questioni al magistrato, che ha smontato l'ipotesi di riforma costituzionale presentata in Parlamento svelando quelle sfumature di terminologia che nascondono il tentativo di ritornare allo Statuto albertino, dove i giudici erano un'emanazione del potere esecutivo. E per il quale nel 1926 Gramsci si batteva sostenendo che lo Stato doveva riconoscere una magistratura indipendente.  «Uno dei modi per indebolire la Costituzione - ha detto Papalia - è definire principi, per poi rinviare la loro applicazione ad una legge ordinaria, quindi soggetta al legislatore. Ecco il risultato della riforma. Così i principi li determina il legislatore e non più la Costituzione. Affinché tutti siano uguali davanti alla legge, è necessaria l'obbligatorietà dell'azione penale, come stabilisce oggi la Costituzione, cosicché i pm devono perseguire qualsiasi reato da chiunque venga commesso. La riforma, invece, toglie ai pm la possibilità di esercitare l'azione penale, perché dice che sarà la legge, quindi il potere esecutivo, a stabilire quali reati perseguire. Voi capite» ha proseguito Papalia «che in una zona controllata dalla mafia, dire che saranno perseguitati i reati di mafia e non quelli contro la pubblica amministrazione, equivale a non combattere la mafia».  Ma c'è di più, in questa riforma proposta dal ministro della Giustizia. «Abbiamo una magistratura indipendente, indicata come modello dagli stati europei. E una polizia giudiziaria tra le migliori, proprio perché libera di muoversi su indicazione del magistrato. Ebbene, la riforma vuole sottrarre la polizia giudiziaria al magistrato, facendola dipendere dal ministero dell'Interno. E' evidente che depistaggi e deviazioni dei servizi segreti come quelli accaduti durante gli anni delle stragi, non sarebbero stati smascherati con una polizia giudiziaria sottoposta al ministero dell'Interno». Non basta. Si vuole modificare anche la composizione del Csm, organo di autogoverno della magistratura, oggi per 1/3 di nomina politica. «Si vorrebbe portare al 50% la percentuale di giudici non togati decisi dall'esecutivo, cosicché basterebbe poco a far traballare l'indipendenza della magistratura». Sulla prescrizione breve il procuratore generale di Brescia è sarcastico: «Era meglio dire sì al Lodo Alfano, così tutto questo non sarebbe successo». E anche qui dipinge una situazione paradossale, dove per sottrarre Berlusconi ai suoi processi, perché oramai tutto ruota intorno a questo, si va a interrompere un processo già iniziato. «L'Europa ci dice di esaurire i processi in tempi ragionevoli e di evitare la prescrizione, che non esiste in America ed Inghilterra. In altri stati europei la prescrizione esiste laddove non sia iniziato il processo, ma una volta avviato viene portato a termine. Da noi succede il contrario. E se passa la riforma, si vuole istituire un processo-bis, annullando gli effetti della sentenza di primo grado passata in giudicato».

Udin. Le regole Ue al posto del “welfare padano”
di Anna Buttazzoni
Il centrodestra modifica la norma e vuole una dichiarazione Isee regionale. Serracchiani: era ora
UDINE. La Regione è pronta a dire addio al "welfare padano" e a cambiare le norme che - approvate dal Consiglio regionale su iniziativa della Lega - limitano l'accesso a diversi sostegni in campo sociale. Spariranno i requisiti come la residenza in Italia e in Friuli Vg da un certo numero di anni, per lasciar posto a leggi di ispirazione europea, così da non correre rischi di infrazione.

L'amministrazione lavorerà su due "tavoli", uno coordinato dall'assessore a Istruzione e Famiglia, Roberto Molinaro (Udc), con i funzionari della Regione coinvolti dalla legge e con i responsabili dell'Avvocatura; l'altro sarà invece interregionale e verrà costituito assieme a Lombardia, Veneto e Provincia di Trento, che con il Friuli Vg condividono problematiche simili in tema di accesso degli stranieri al welfare.

Ieri è stato il governatore Renzo Tondo a riferire alla giunta l'intenzione di cambiare le regole, dopo aver partecipato a un incontro "ristretto" con gli assessori Molinaro, Vladimir Kosic (Salute), Riccardo Riccardi (Casa); i capigruppo in Consiglio del Pdl, Daniele Galasso, e della Lega, Danilo Narduzzi, e alcuni funzionari. «Andiamo verso la modifica della legge - ha spiegato Galasso - che compiremo seguendo la direttiva europea del 2003 e portando all'attenzione del governo un "pacchetto" di proposte».

E siccome il solco tracciato è quello della Ue, il gruppo "ristretto" ha individuato quali saranno i servizi cui l'accesso sarà uguale per tutti: il sostegno al reddito minimo, il sociale di base, l'assistenza alla malattia, la gravidanza e l'assistenza parentale. Sostegni "uguali per tutti" dai quali è invece escluso il capitolo-Casa. «Si tratta - ha aggiunto Galasso - di una sfera non ancora definita dall'Unione europea e alla quale pensiamo di dare dei titoli di preferenza che definiremo con gli uffici».

E una soluzione è stata immaginata anche per gli extracomunitari, per non inciampare nell'accusa di "discriminazione". Politici e tecnici sono d'accordo: per accedere ai sostegni regionali gli extracomunitari dovranno avere lo status di soggiornante di lungo periodo, avere risorse stabili e regolari per mantenere sè e la propria famiglia, un'assicurazione per la malattia e soggiornare legalmente in Europa o in Italia da almeno 5 anni ininterrotti.

«Questo è quanto stabilito dalla Ue - ha aggiunto Galasso -, perché non vogliamo, e non abbiamo mai voluto, discriminare nessuno o agevolare smaccatamente i cittadini della regione, ma non possiamo tollerare che chi risiede e lavora qui venga penalizzato da graduatorie che favoriscono gli extracomunitari».

Verrà anche creato un Isee - indicatore della situazione economica equivalente - regionale da calcolare escludendo il reddito degli anziani da 70 anni in su che vivono in famiglia e la prima casa di proprietà.

«Ce n'è voluto anche troppo ma alla fine la giunta ha dovuto capire e cambiare rotta: era ora». Così l'eurodeputata e segretaria regionale del Pd Debora Serracchiani, ha commentato la scelta della giunta.

«Oltre al secco danno d'immagine che abbiamo subito - ha osservato la democratica, ciò che lascia l'amaro in bocca è il tempo gettato in un iter che ha afflitto e umiliato non solo il Consiglio ma anche gli uffici tecnici, costretti a confrontarsi con una materia palesemente assurda. Non è poi affatto consolante sapere che da adesso confronteremo le nostre nuove norme con quelle venete e lombarde, quasi a statuire il fatto che da soli non ce la sappiamo cavare. A quanto pare, ce la mettiamo invece tutta - ha concluso Serracchiani - per svuotare la nostra autonomia».

Milano. Pentito: così la 'ndrangheta uccide al Nord
Belnome: «Quattro omicidi in due anni. Uno che ha sgarrato è stato dato in pasto ai maiali»
MILANO - Inizia a parlare a ottobre. Per quasi sei mesi riempie verbali che svelano segreti e omicidi della 'ndrangheta a Milano. Aiuta a scoprire gli autori dell'assassinio del capo della Lombardia, il boss Carmelo Novella, a cui ha partecipato in prima persona. Quelli del delitto di Rocco Cristello, allora capo del locale di Seregno. E svela i luoghi dove la 'ndrangheta ha fatto sparire altri due affiliati: Antonio Tedesco detto l'Americano, freddato il 27 aprile 2009 in un maneggio di Bregnano (Como) e Rocco Stagno, ucciso e dato in pasto ai maiali nella porcilaia di Bernate Ticino il 29 marzo di due anni fa. Entrambi casi di lupara bianca.

Ma Antonino Belnome, 39 anni, nato e cresciuto a Giussano da genitori calabresi, battezzato con la dote del Padrino e capo del locale di Giussano, primo collaboratore di giustizia dell'inchiesta Infinito-Crimine che lo scorso 13 luglio ha portato a 300 arresti tra Milano e la Calabria, sta svelando un mondo fatto di riti d'iniziazione, doti e vendette. Ieri i carabinieri del Ros e gli uomini della Dia hanno eseguito i primi 19 arresti scaturiti dalle sue dichiarazioni ai pm Alessandra Dolci, Cecilia Vassena e al capo della Dda, Ilda Boccassini. «Dichiarazioni fondamentali» le ha definite il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati. Le accuse ai 19 affiliati (12 già detenuti) vanno dall'omicidio all'associazione mafiosa, all'occultamento di cadavere e al porto d'armi. Ma nelle parole di Belnome c'è molto altro.

Nell'avviare la sua collaborazione con la giustizia ha parlato anche di «una 'ndrangheta che affascina centinaia di giovani desiderosi d'essere affiliati». Una «generazione», l'ha definita Belnome. E il pentito ha detto di volersi dissociare dalle cosche per evitare che i suoi figli vengano a loro volta affiliati. Tra i racconti colpisce la ricostruzione dell'agguato a Rocco Stagno, ucciso per vendicare l'assassinio di Cristello. Stagno sparisce a fine marzo 2010, quando i carabinieri trovano la sua auto abbandonata. Viene ucciso a Bernate Ticino, in una porcilaia. Il suo corpo - nonostante giorni di scavi - non è ancora stato trovato: «Dato in pasto ai maiali».
Antonio Tedesco, imprenditore, invece viene attirato in una trappola: i boss lo convocano a Bregnano nel maneggio di Salvatore Di Noto. Inscenano una cerimonia d'affiliazione, è solo un pretesto: l'Americano viene ucciso e sepolto sotto una grossa lastra di pietra. Gli investigatori lo trovano mummificato: al collo una grossa catena d'oro con una croce.
Cesare Giuzzi

Venezia. Terza corsia, è tutto fermo
Tensioni tra Veneto e Friuli
Prima pietra posata a dicembre, ma il cantiere aprirà a giugno. I lavori, che provocheranno inevitabili disagi al traffico, dovrebbero finalmente partire quando inizieranno gli esodi estivi
VENEZIA — Delle due l’una: o a dicembre la posa della prima pietra (fra l’altro simbolica visto che la pioggia ha impedito ai presidenti di Veneto e Friuli Venezia Giulia di prendere malta e cazzuola) è stata una presa in giro, o la terza corsia viaggia almeno con sei mesi di ritardo, visto che dei cantieri tra Quarto d’Altino e San Donà non se ne vede nemmeno l’ombra. Ognuno scelga l’opzione che preferisce fatto sta che fino al 2015, sempre se le cose fileranno tutte lisce a tempo di record come per il Passante di Mestre, l’autostrada Venezia-Trieste sarà ancora l’imbuto del Nord Est. A poco infatti a quanto pare è servita anche la nomina del commissario straordinario per la terza corsia Renzo Tondo (presidente del Friuli Venezia Giulia) visto che procedure accelerate non ce ne sono state o quasi. Ecco uno dei motivi dei ritardi che spinge l’amministratore delegato della Mantovani (in Ati con Impregilo, Consorzio Veneto Cooperativo, So.Co.Stra.Mo e Carron) Piergiorgio Baita a dire: «Spero che i lavori partano a giugno, così potremmo recuperare i mesi di slittamento dei cantieri».

In piena estate, con i pendolari del mare, e i vacanzieri in strada per raggiungere le spiagge venete e le località di villeggiatura. Come dire che bisognerà armarsi di pazienza sperando che non accada quanto è successo sabato sulla tangenziale di Mestre quando per lavori programmati di giorno da Autovie Venete migliaia di automobilisti sono rimasti in coda bloccati dalla riduzione di carreggiata. E se il «tappo» della A4 Venezia-Trieste già negli scorsi anni ha creato situazioni di disagio, quest’estate le cose potrebbero andare peggio, anche se le corsie di marcia rimarranno due: «E’ chiaro che non potremmo lasciare l’attuale carreggiata, dovremmo ridurre la larghezza delle corsie andando a limitare il sedime stradale », dice Baita. In lavori saranno in prosecuzione del tratto che arriva da Padova a Quarto d’Altino: da una parte prevedono l’allargamento della strada, dall’altra la costruzione del nuovo ponte sul Piave. Diciotto chilometri e mezzo di lunghezza, per un investimento complessivo di oltre 427 milioni di euro (di cui 34 per gli espropri) a cui dovranno esserne aggiunti altri 35 per il nuovo casello di Meolo. I lavori sono stati consegnati il 3 settembre dell’anno scorso per poter in qualche modo predisporre gli spazi di cantiere, il 22 dicembre è stata posata la prima pietra simbolica, l’11 aprile (a parte qualche lavoro propedeutico come lo sfalcio della vegetazione e la bonifica bellica) i cantieri non si sono ancora partiti. Semplice: manca ancora l’approvazione del progetto esecutivo. Il commissario straordinario, così come aveva fatto Silvano Vernizzi per il Passante di Mestre, poteva utilizzare i poteri speciali per guadagnare tempo e saltare qualche passaggio autorizzativo. Tondo invece ha preferito seguire l’iter normale che prevede prima la validazione del progetto (da parte del Rina e del comitato scientifico interno della struttura commissariale avvenuta poche settimane fa) e poi l’approvazione che dovrebbe avvenire, ma visto l’esperienza passata è sempre meglio usare il condizionale, entro la fine di aprile.

E’ chiaro che la situazione sta preoccupando la Regione Veneto: da una parte i ritardi, dall’altra per l’inizio dei cantieri in piena estate che rischiano di diventare un boomerang per l’assessore alle Infrastrutture Renato Chisso. Anche perché la tensione tra Palazzo Balbi e Friuli Venezia Giulia è quasi alle stelle: l’ultima in ordine di tempo c’è stata sabato scorso con l’assessore veneto imbufalito per i lavori e le code in pieno giorno sulla tangenziale di Mestre a causa dei cantieri di Autovie Venete. Ma in realtà la ruggine ha origini più antiche. La società autostradale infatti ha sempre trascurato il tratto veneto dell’A4 puntando invece sulla parte del Friuli Venezia Giulia (ne è prova anche la presenza fino all’ultimo incidente mortale sulla tratta veneziana di guard rail bassi e poco sicuri). Ma è anche vero che Autovie Venete ha cambiato lo statuto della società di forza estromettendo di fatto (visto il voto contrario) i rappresentanti della Regione Veneto. E che dire delle indicazioni fatte installare al casello di Ronchi dei Legionari da Autovie solo per Lignano e non per Bibione?
Francesco Bottazzo

Venezia. Tangenti a Venezia, trovata una ricevuta di pagamento
Era nello studio del geometra Bertoncello, la firma è quella del funzionario comunale Rudy Zanella, una delle sette persone finite in carcere due settimane fa per il giro di bustarelle scoperte a Ca' Farsetti
di Giorgio Cecchetti
Gli investigatori della Guardia di finanza, durante la perquisizione ad Antonio Bertoncello in studio in calle dei Fabbri e nella sua casa del Lido, hanno anche trovato la ricevuta di una tangente che aveva consegnato al geoemetra comunale Rudy Zanella, che ha confermato. Una ricevuta con tutti i crismi, con la firma di Zanella. Chissà perchè se l'è fatta firmare e soprattutto perchè l'ha tenuta, trattandosi di una prova evidente della corruzione, visto che Zanella è un funzionario pubblico e non può naturalmente ottenere consulenze. I rapporti tra i due erano stretti, ma Bertoncello parlava male del geometra comunale, accusandolo di volere sempre soldi e probabilmente quella ricevuta - giustificava la mazzetta consegnata perchè la pratica edilizia del bad and breakfast di Bertoncello e la moglie in Fondamenta dei Preti a Santa Maria Formosa andasse in porto velocemente - doveva servire nel caso Zanella chiedesse ancora denaro, per ricordargli che era stato «pagato» per i suoi servigi. Un altro particolare curioso spunta dalle indagini che gli investigatori delle «fiamme gialle» continuano a svolgere in questi giorni e rigiuarda l'altra vicenda, quella che ha fatto scattare le manette ai polsi dei due vigili Andrea Badalin e Michele Dal Missier. Chi gestisce l'hotel di lusso sul Canal Grande Palazzina Grassi avrebbe versato a Bertoncello, mediatore tra gli albergatori e i due vigili urbani, non solo 3800 euro, come è riportato nel capo d'imputazione dell'ordinanza di custodia cautelare, bensì cinquemila euro. I vigili si presentavano agli albergatori per degli accertamenti e riuscivano ad ottenere finanziamenti per l'Associazione sportiva della Polizia municipale addomesticando i controlli, evitando le multe e addirittura - c'è solo un caso accertato - dimenticando di applicare il provvedimento amministrativo della chiusura temporanea. L'accusa è quella di estorsione perchè i vigili avrebbero costretto gli albergatori a sponsorizzare il gruppo sportivo della Municipale. I soldi passavano sempre per le mani di Bertoncello: anche nel caso di Palazzina Grassi sarebbe accaduto questo. L'albergatore avrebbe consegnato al geometra quattro assegni per un totale di cinquemila euro, due erano intestati all'Associazione sportiva della Polizia municipale e due, ognuno da 600 euro, erano in bianco. Qualche giorno dopo Bertoncello aveva fatto consegnare le fatture che dimostravano le sponsorizzazione e quei 1200 euro erano finiti alla squadra di calcio dell'isola di Burano. Le indagini proseguono. Ieri, infine, il pubblico ministero Paola Tonini ha interrogato per poco meno di cinque ore Luca Vezzà, il segretario della Commissione regionale di Salvaguardia. Difeso dall'avvocato Alessandro Doglioni, ha decisamente negato di aver incassato mazzette; ha ammesso di conoscere Bertoncello, ma solo perchè vivono entrambi al Lido e ha aggiunto di essere stato probabilmente leggero e distretto nel trattare alcune pratiche, ma negato di esere un corrotto.Oggi, intanto, sei dei sette arrestati compariranno davanti al Tribunale del riesame: i loro avvocati hanno chiesto la scarcerazione o per lo meno gli arresti domiciliari. L'unico a non aver presentato la richiesta è Zanella: i suoi avvocati l'hanno ripresentata al giudice Giuliana Galasso. Tullio Cambruzzi, componente della Commissione di salvaguardia, ha scelto di confessare, sostenendo di aver intascato 30 mila euro in 4 anni per le consulenze a Bertoncello.

Padova. Saia e Lega: «Chiudiamo i centri sociali»
Foto e filmati inchiodano 20 no-global. Oggi formalizzate le denunce
di Francesco Patanè. Saranno oltre venti i militanti del Pedro denunciati per gli scontri di sabato pomeriggio in piazza Garibaldi. La Digos in queste ore sta visionando tutto il materiale video e fotografico. Fra le ipotesi di reato violenza privata e resistenza a pubblico ufficiale.  La Digos sta visionando i filmati delle telecamere di piazza Garibaldi, ha acquisito i video dei cineoperatori delle televisioni presenti al sit-in dei precari e le immagini dei fotografi. Tutti i militanti del centro sociale di via Ticino che hanno partecipato agli scontri verranno deferiti in concorso, ma gli agenti agli ordini del vice questore Lucio Pifferi stanno passando in rassegna tutto il materiale soprattutto per accertare le singole condotte.  Sono in via di identificazione i protagonisti dell'aggressione agli agenti di polizia, quelli che materialmente hanno rovesciato e distrutto il banchetto della Lega e i responsabili dell'aggressione al consigliere comunale della lista civica di centro destra Vittorio Aliprandi e a suo figlio Giovanni. Entrambi sabato sera si sono fatti medicare in pronto soccorso per le botte prese in piazza. Il figlio è stato giudicato guaribile in 5 giorni, mentre il padre in otto.  Fra le ipotesi di reato oltre alla violenza privata, per chi ha colpito gli agenti si prefigura la resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Aliprandi e suo figlio è molto probabile che quereleranno per lesioni personali.  STOP AI CENTRI SOCIALI. Gli scontri di sabato hanno rimesso i centri sociali nel centro del mirino del centro destra. Per il senatore Maurizio Saia la misura è colma: «Basta, è ora di finirla con questi teppisti travestiti da militanti - sbotta Saia - Tutti i centri sociali come il Pedro vanno immediatamente chiusi per ridare le città ai residenti. Non è concepibile che 20 delinquenti creino violenza e paura nel cuore di padova il sabato sera». Sulla stessa lunghezza d'onda anche Nicola Finco responsabile nazionale dei giovani padani lancia la proposta di chiudere tutti i centri sociali che vengono denunciati per reati di violenza polica. Infine Luca Littamè consigliere comunale della Lega stasera in consiglio comunale farà un'interrogazione al sindaco Zanonato sul grave episodio di violenza politica di sabato che il leghista definisce un atto vergognoso.

Reggio Emilia. E' allarme-mutui a Reggio decine di famiglie «morose»
Siamo all'allarme mutui. Decine di sfratti esecutivi tutte le settimane e centinaia di famiglie che rischiano di vedersi pignorare la casa anche per debiti da poche migliaia di euro. Le rinegoziazioni non reggono più.
di Roberto Fontanili
REGGIO. Per Federconsumatori, ormai siamo all'emergenza e gli stessi accordi raggiunti nei mesi scorsi con le banche per rinegoziare i mutui mostrano la corda e sono prossimi alla scadenza. Non si arriva ai numeri degli sfatti, dove le cause discusse sono circa una cinquantina a settimana, ma la mancata ripresa occupazionale e l'impossibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro ha ricreato una situazione di forte preoccupazione. Finita la moratoria, le rate del mutuo vanno comunque pagate e i soldi non sempre ci sono. Un problema, a cui si aggiunge ora anche il rischio che i mutui a tasso variabile aumentino, se seguiranno il costo del denaro. «Stiamo già seguendo decine di casi di rinegoziazione di mutui con le banche» conferma il presidente della Federconsumatori reggiana Giovanni Trisolini, per poi aggiungere che a suo parere «oggi siamo arrivati nel cuore dell'emergenza. Il problema si sta riproponendo perché la crisi economica è tutt'altro che finita, l'occupazione non riprende e la cassa integrazione sta terminando. Per cui anche per coloro per i quali con le banche in passato abbiamo concordato la sospensione del pagamento per sei o dodici mesi e rinegoziato il mutuo, la situazione di difficoltà economica si ripresenta di nuovo. Abbiamo solo tamponato un problema che ora sta scoppiando». I casi da affrontare sono tanti, continua Trisolini, e quelli che ci troviamo quotidianamente potremmo suddividerli in due categorie: quelli disperati e quelli, se è possibile ancora più disperati. Questi ultimi riguardano le situazioni in cui in molti casi «ci si è messo di mezzo il promotore finanziario, che al momento dell' acquisto ha aumentato il valore dell'immobile, quando non ha addirittura falsificato le buste paga per ottenere il mutuo dalla banca. L'obbiettivo era quello di arrivare ad avere un importo del mutuo pari al 100% del valore dell'immobile. Il risultato è che oggi il sottoscrittore si trova con una casa o un appartamento che per effetto della crisi immobiliare ha perso molto del suo valore e se poi si trova in cassa integrazione, o in mobilità, il rischio di perdere tutto è elevatissimo». In alcuni casi le banche hanno allungato la durata del mutuo e ridotto il valore della rata, ma se non ci sarà una ripresa economica il problema è stato solo rinviato. Gli istituti di credito a giudizio del presidente della Federconsumatori reggiana, hanno mostrato fino ad ora tutto l'interesse a trovare soluzioni per recuperare il proprio credito e non a prendersi le case e gli appartamenti. Gli istituti di credito nel caso del sequestro di immobili molto difficilmente vendono singolarmente sul mercato gli immobili che si trovano da dover collocare. Nella quasi totalità dei casi, ci hanno detto dal Gruppo immobiliare Tecnocasa, le banche costruiscono dei pacchetti di immobili unici su tutto il territorio nazionale e poi offerti in blocco a investitori privati con grandi risorse a disposizione. Ragion per cui solo il pensare di riscattare la propria casa una volta che è finita in mano alle banche diventa molto complicato, se non impossibile. «Il nostro sportello presso la sede Cgil in via Bismantova è sempre aperto il giovedì mattina - conclude Trisolini - e invitiamo tutti coloro che si trovano nella necessità di ricontrattare il mutuo di rivolgersi a noi anche per un appuntamento telefonico, perché non esiste una unica soluzione e le situazioni vanno affrontate caso per caso».

Sarokozy sparando alla Libia ha impallinato l'Europa
di Pierluigi Magnaschi  
Per capire come vanno le cose non bisogna seguire i media italiani che, a proposito dell'incontro a Milano fra il ministro dell'interno Maroni e il suo omologo francese sul tema dell'immigrazione clandestina dal Nord Africa, hanno detto che i due erano andati d'amore e d'accordo e avevano trovato dei punti di intesa dopo le scaramucce dei giorni precedenti. Questo era il succo dei comunicati ufficiali. Ma il Figaro di ieri (che è il più diffuso quotidiano francese e, tra l'altro, di simpatie sarkoziste) ha invece spiegato che il ministro dell'interno d'Oltralpe, Claude Guénant, ha confermato a Maroni che la Francia «si sente in diritto di riportare in Italia» tutti gli immigrati che volessero entrare clandestinamente in Francia (come se questi non fossero entrati clandestinamente in Italia, oltretutto fuggendo alle bombe che la Francia sta entusiasticamente sganciando sulla Libia). Il ministro francese ha anche spiegato che sarà organizzato un pattugliamento comune, marittimo e aereo per «bloccare le partenza dalla Tunisia». È questo ciò che hanno riportato in media italiani. Ma sul Figaro, sempre di ieri, si legge che tali pattugliamenti «si svolgeranno nel quadro dell'agenzia Frontex che è l'agenzia europea di sorveglianza delle frontiere». Non c'era bisogno dell'incontro bilaterale Francia-Italia per mobilitare Frontex che è un organismo a guida comunitaria, che è cronicamente sprovvisto di uomini e i mezzi, che non dipende da nessuno dei due Paesi e che, nel primo arrivo di migranti dalla Tunisia a Pantelleria, aveva dislocato due unità simboliche navali in Corsica! Sempre il Figaro riporta che «i due paesi inviteranno Bruxelles ad approntare una vera politica di sviluppo in direzione della Tunisia per aiutarla a creare dei posti di lavoro e a dotarsi di strutture adeguate di sorveglianza delle sue coste» . Cioè, campa cavallo che l'erba cresce. Gli effetti degli aiuti per creare posti di lavoro si sentiranno, se tutto andrà bene, fra una decina di anni. Non solo: coloro che oggi fuggono dalla Tunisia, sono in minima parte dei tunisini ma, in massima parte, sono degli africani che lavoravano in Libia e che sono rimasti senza lavoro anche a causa dei bombardamenti. Ieri, poi, anche la Germania ha detto da Bruxelles che non accetterà nemmeno uno degli attraccati a Pantelleria. Ma, almeno, la Germania non li bombarda. Malta inoltre, dopo aver salvato un centinaio di profughi in difficoltà in mare, pretendeva di farli sbarcare a Lampedusa. Voleva fare la generosa con il portafoglio degli altri. E c'è anche rimasta male. Ecco perché l'Europa esce sfigurata da queste vicende. Esprime l'egoismo dei più forti, non la solidarietà fra 27 paesi.

Il ritorno all'Europa delle nazioni
BORIS BIANCHERI
Il nulla di fatto con cui si è concluso il Consiglio dei ministri dell’Interno europei a Lussemburgo e il «no» opposto dagli Stati membri alle richieste italiane di collaborazione nelle attività di prevenzione e di assorbimento dell’immigrazione clandestina non è cosa che potrà essere facilmente dimenticata. Raramente abbiamo chiesto all’Europa qualcosa con tanta insistenza. E ancor più raro che gli altri abbiano risposto seccamente di no, malgrado una certa comprensione dimostrata verso la posizione italiana da parte della Commissione europea.

Il problema è che, in un certo senso, tutti hanno ragione. Ha ragione il governo italiano quando dice che l’afflusso sulle nostre coste di 25.000 clandestini che non possono essere lasciati affogare, e soprattutto delle centinaia di migliaia che potrebbero seguirli, costituisce per noi una vera emergenza. Lo dice perché così l’ha giudicata senza esitazione l’opinione pubblica italiana, a Roma, a Lampedusa, nei Comuni e nelle Province del Sud come in quelli del Nord, e tutta la televisione e la stampa italiana si sono fatte coralmente interpreti di questa emergenza. Ha anche ragione il governo italiano quando dice che il Trattato di Schengen non è stato concepito unicamente allo scopo di evitare ai viaggiatori europei di fare la coda alle frontiere, ma è stato concepito per fare dell’Europa uno spazio territoriale omogeneo dove si circola, si lavora e si vive liberamente. I francesi che respingono, o i tedeschi che minacciano di respingere, le persone di pelle un po’ scura alle quali l’Italia dà un permesso di soggiorno temporaneo, sono forse in regola con la lettera ma non interpretano lo spirito del trattato.

Ma hanno anche ragione coloro che ribattono che, per una nazione come l’Italia di 57 milioni di abitanti, 25.000 rifugiati sono poca cosa e che al tempo delle guerre balcaniche loro ne hanno accolti ben di più. E che non è colpa loro se l’Italia possiede delle isole così vicine alle coste africane che si possono quasi raggiungere a nuoto. Tutti hanno ragione, dunque. Ma siccome ieri a chiedere c’era uno solo e a dir di no erano in tanti, il risultato è stato quello che sappiamo. Ci si può chiedere: si doveva agire diversamente? E’ la nostra politica estera, la nostra diplomazia che ha fatto fallimento?

Certe frasi forti pronunciate dal nostro presidente del Consiglio o dai suoi ministri forse non hanno aiutato. Ma con ogni probabilità, quale che fosse stata la strategia, il risultato sarebbe stato lo stesso. Il controllo dell’immigrazione costituisce oggi uno dei temi politicamente più sensibili per tutti: per noi per primi, come la Lega sottolinea ogni giorno e come gli italiani confermano giudicando 25.000 immigrati un’emergenza; ma anche per Sarkozy che ha fatto al riguardo rigorose promesse al suo elettorato; o per Angela Merkel che dichiara che il multiculturalismo è ormai finito. L’immigrazione è allo stesso tempo il sintomo e la causa di una ri-nazionalizzazione dell’Europa fin troppo evidente.

Quale che sia la delusione, parlare di uscire da Schengen (per non dire di uscire dall’Europa) non ha evidentemente alcun senso. Intanto nessuno ci crederebbe. I 25.000 che sono entrati finiranno alla lunga con l’andarsene in buona parte altrove, in Francia speriamo per loro. Questo, a dire il vero, rischia poi di attirarne altri. Ma soprattutto è bene tener presente che, ove i flussi di immigrazione clandestina dovessero moltiplicarsi, ci toccherà farvi fronte da soli e cercare di controllarli con azioni o accordi bilaterali come quelli che a suo tempo facemmo con Gheddafi e che ora cerchiamo di fare con la Tunisia. Senza illusioni che altri intervenga per farlo in vece nostra. Quanto a una certa debolezza della nostra politica estera e a un atteggiamento di alcuni nostri partners europei che tendono a sottovalutare le nostre esigenze e il nostro ruolo internazionale, tutto ciò che si può dire è che non potrebbe essere diversamente dato che hanno sotto gli occhi i girotondi, le risse, gli insulti che caratterizzano ogni aspetto e ogni giorno della vita politica italiana e ai quali la triste giornata di ieri fornirà sicuramente nuovi spunti.

Treviso. Profughi, Genty attacca Bossi
Lo sceriffo furioso. E a Maroni: «Così non va bene»
di Giorgio Barbieri
Bossi e Maroni sono troppo tolleranti con i profughi africani. Parola dello sceriffo Gentilini, che su Radio Padania non usa mezzi termini per commentare cosa sta accadendo in questi giorni a Lampedusa. E non risparmia i leader del Carroccio. «A Maroni - afferma il vicesindaco - dico con che non può continuare così. Deve blindare i nostri confini con il blocco navale».  Ma ce ne sono anche per il numero uno del Carroccio. «Bossi - aggiunge Gentilini - ha prima detto clandestini fuori dalle balle e poi ha accettato il permesso di soggiorno temporaneo. Così non va». Lo sceriffo spara a tutto campo: «Esigo in nome della Lega che ci sia un cambiamento di rotta, dobbiamo tornare ad essere un movimento di battaglia. Maroni, Calderoli, Bossi, vi voglio combattenti e legionari in difesa del popolo veneto».  Nel corso dell'intervento a Radio Padania sul tema dell'immigrazione, ha poi spiegato che Lega negli ultimi tempi ha perso il suo spirito rivoluzionario: «Il popolo si meraviglia di tanto buonismo. Noi siamo leghisti combattivi, quindi dobbiamo tornare ad essere un movimento rivoluzionario. Le sedie non ci interessano a me interessa il popolo, stare in mezzo al popolo e rispondere al popolo. La nostra gente ha creduto in noi, ha votato noi e adesso si ritrova a veder girare per le strade questa gente senza arte né parte».  Il linguaggio, come suo solito, è colorito. Parla di «paccottiglia di delinquenti», i migranti arrivati in Italia non meritano alcuna ospitalità e sbaglia il governo a concedere loro il permesso temporaneo. «Il popolo non capisce - ha aggiunto lo sceriffo - questi sono tutti clandestini e la battaglia della Lega è sempre stata "fuori dalle balle i clandestini". Invece la gente mi ferma e mi dice che non bastavano gli altri problemi, adesso c'è anche questa paccottiglia di delinquenti che rapinano strade intere, case dappertutto».  Ed a questo punto Gentilini tira in ballo anche Bossi e Maroni, anche loro responsabili, secondo il vicesindaco di Treviso, di quanto sta accadendo a Lampedusa: «Bossi ha detto fuori dalle balle e fuori dalle balle non va d'accordo con i permessi temporanei. Maroni, non continuare così. C'è troppo buonismo, troppa tolleranza, troppo permissivismo».  E sulla questione stranieri interviene anche il sindaco Gobbo: «L'Europa non li vuole. Non li vuole la Francia, non li vuole la Germania. Se gli altri dicono di no perché noi dobbiamo dire sì?». Gobbo però difende il permesso breve: «Diciamo che era l'unico modo per far scoprire le carte all'Europa. Per capire fino a che punto erano disposti a arrivare».

Mestre. Lega e clandestini, D’Alema attacca
«Incapace nella gestione dei migranti»
A Mestre il convegno organizzato dalla Cgia «Italiani forse, europei quando?». Il leader democratico: «Il federalismo ha solo danneggiato i sindaci». Critiche anche al governatore Zaia: politiche vuote
MESTRE — L’attacco più pesante alla riforma federalista voluta dalla Lega viene da un costruttore di barche a vela amico di Massimo D’Alema che ricorda come per ottenere un permesso di ampliamento acqueo adesso ci si debba rivolgere sia alle autorità statali che a quelle regionali e comunali, mentre prima dell’avvento di Calderoli bastava inviare una domanda alla Capitaneria di porto. «Non è più un problema di politica - spiega l’ex presidente del consiglio intervenuto a Mestre al convegno della Cgia «Italiani Forse, Europei quando» insieme al segretario degli artigiani Giuseppe Bortolussi e al direttore del Corriere del Veneto Alessandro Russello, che ha condotto una lunga intervista al leader del Pd - è una questione di professionalità e competenze: l’attuale governo ha dimostrato di non essere capace di fare nulla. Questo decennio è stato il più dannoso e buio della storia d’Italia».

Il presidente del Copasir non ha risparmiato nessun attacco al Carroccio a partire dal modo in cui gli uomini di Umberto Bossi hanno affrontato «l’ampiamente prevista e annunciata» vicenda dell’emergenza nordafricana schiantandosi sulla risposta negativa dell’Eurovertice e dell’Europa tutta che ha abbandonato l’Italia di fronte all’arrivo dei profughi. «La Lega che ha sempre sparato sull’immigrazione oggi chiede la solidarietà delle Leghe che sono potute nascere più a Nord - continua D’Alema -. La Francia ha rispedito al mittente i migranti dopo che lo stesso Maroni li ha definiti clandestini creando una confusione alimentata anche dalla sua minaccia di uscire dall’Europa se gli altri stati non collaboreranno». A sentire D’Alema se l’Italia uscisse veramente dall’Unione ci troveremmo invece di fronte a una situazione pericolosa e del tutto paradossale. «Non so dove voglia andare Roberto Maroni senza l’Europa - punzecchia D’Alema - forse non si rende conto che allora tutta Italia dovrà chiedere un permesso di soggiorno in Nord Africa». D’altra parte «la Lega mostra la sua ignoranza e la sua incompetenza anche attraverso le parole del governatore del Veneto Luca Zaia».

Il leader del Pd infatti non manca di sottolineare che in un’intervista al Messaggero, il presidente della Regione ha sottolineato le differenze tra l’emergenza kosovara del 1999 e quella di oggi ricordando che la Tunisia non confina via terra con l’Italia e che i tunisini sono portatori di una cultura diversa da quella italiana perché di religione musulmana. «Il Kosovo e l’Italia sono separati dal mar Adriatico e i kosovari sono musulmani come i nordafricani - attacca D’Alema - ma chi come Zaia si occupa più che altro di agricoltura forse non sa molto di acqua. Credo che chi ha l’onore di governare una terra nobile come il Veneto avrebbe il dovere di studiare un po’». Per l’ex presidente del Consiglio sarebbero infatti «personaggi come Zaia e politiche vuote come il sindacalismo territoriale della Lega» che impediscono al Veneto di avere un’adeguata rappresentanza in Italia. «Purtroppo le Regioni non sono più efficienti o meno corrotte di Roma e di certo da quando c’è la Lega al governo Roma non è meno ladrona di prima», chiosa D’Alema.

Il federalismo ha per il momento solo appesantito la situazione dei sindaci e non ha portato vantaggi ai cittadini. Anzi. «Basta guardare i numeri e le statistiche per capire che la vita dei cittadini e delle imprese si è complicata e che il federalismo non porterà niente agli italiani, né a Nord né a Sud», spiega D’Alema. Secondo il presidente del Copasir era necessario prima di tutto riformare le funzioni della pubblica amministrazione per evitare le sovrapposizioni di competenze e lo spreco di denaro e solo allora si sarebbe potuto parlare di federalismo. «Ma per questo ci vogliono professionalità e competenza e alleanze di grande respiro che vedano il Pd come perno perché i poli in natura sono due non tre. Gli slogan rozzi, le dichiarazioni barbare, i governatori che non conoscono la geografia o i presidenti del consiglio che vanno in giro con presunte nipoti di Mubarak rendendosi ridicoli agli occhi del mondo fanno solo male a tutto il paese», conclude D’Alema.
Alessio Antonini

Ferrara. «Noi qui non li vogliamo»
Il sindaco Carli: non sulla costa. Il 'muro' di Pdl e Lega
«Niente profughi in Romagna!», è l'urlo di battaglia del deputato del Carroccio Gianluca Pini. A Comacchio gli fa eco il sindaco Paolo Carli: «Non possiamo ospitare gli immigrati sul litorale, per il turismo sarebbe un colpo tremendo». A Ferrara a rilanciare il messaggio è il Pdl: «Gli arrivi siano dirottati in altre province».  Il centrodestra adotta la regola dei due piedi in due stanze: a Roma programma di spalmare gli immigrati su tutto il territorio nazionale, in periferia si attiene al codice di comportamento suggerito dall'acronimo 'nimby' (tradotto: non nel mio cortile). Ad un mese dall'appuntamento delle urne che il 15 e 16 maggio che coinvolgerà gli elettori di oltre 1300 Comuni italiani (7 a Ferrara) l'imminente sbarco degli immigrati divide le forze politiche tra chi vuole erigere le barricate e chi ha deciso di aderire al piano di accoglienza diffusa. Da Roma il governo (sorretto dall'alleanza Pdl-Lega-Responsabili) richiama il principio della solidarietà, ma in periferia, Ferrara compresa, i due maggiori alleati del centrodestra non sembrano affatto propensi a farsi acritici portavoce dell'invito impartito dalla capitale. In città il segretario provinciale della Lega Nord risponde al sindaco Tiziano Tagliani: «E' vero che l'emergenza a Roma è coordinata dal ministro leghista Maroni, ma qui - ribatte Giovanni Cavicchi - a prendere le decisioni sono persone che hanno i nomi di Vasco Errani, presidente della Regione, Marcella Zappaterra, presidente della Provincia e Tiziano Tagliani, sindaco di Ferrara. Sono loro che faranno le scelte inerenti il nostro territorio, non Maroni». Il consigliere comunale di Ferrara, Luca Cimarelli (Pdl), invita le amministrazioni locali a farsi carico di un problema: «Non voglio affatto negare che queste persone possano avere bisogno di assistenza - afferma il consigliere - invito gli enti locali, però, a considerare le condizioni socio-economiche della provincia. Ferrara non ha la capacità di assorbire un afflusso di centinaia di immigrati, non ci sono i soldi, non c'è il lavoro». E allora? «Allora sui tavoli giusti si difenda questa posizione e si chieda ad altre province che stanno meglio di noi di offrire spazi e strutture». Gli ultimi due week di sole hanno attirato sui lidi frotte di turisti e il sindaco di Comacchio, Paolo Carli, si sfrega le mani: «La stagione sta iniziando bene e bisogna sperare che prosegua così. Sentiremo domani cosa uscirà dal summit in Provincia, abbiamo visto che i numeri sono contenuti ma deve essere chiaro che il litorale questa volta non potrà dare un suo contributo». Oggi, intanto, sono previsti tre incontri: il primo alle 10 in prefettura, dedicato agli arrivi imprevisti (clandestini, ma non da Lampedusa), il secondo alle 16 in Castello, dove si dovrebbe tracciare la mappa dei due livelli di accoglienza, cioè gli arrivi e gli smistamenti successivi (non sono escluse tensioni tra i partecipanti), il terzo in Regione, tra gli esponenti della Protezione civile. Domani cabina di regia in Regione.

Italia, ripresa troppo lenta: l’Fmi chiede altre misure di bilancio
April 12, 2011
Il Fondo monetario internazionale lascia l’Italia nella categoria di Paese con crescita lenta, che ha bisogno di maggiori sforzi sul versante conti pubblici. Con il quadro attuale, e un’Europa caratterizzata da una ripresa graduale e disomogenea, l’Fmi non riesce a prevedere un calo del rapporto deficit/Pil italiano sotto il 3% né nel 2012 e né nel 2013, nonostante il Governo abbia presentato in sede Ue come obiettivo un rapporto al 2,7% già nel 2012.

Le nuove stime. Nel nuovo rapporto semestrale dell’Fmi, il World economic outlook, è prevista per l'Italia una crescita dell’1,1% nel 2011, dall’1% stimato a gennaio dallo stesso Fondo, e dell’1,3% nel 2012, dato che conferma, invece, le previsioni di gennaio.
Tutto questo a fronte di una crescita prevista per l’eurozona dell’1,6% quest’anno e dell’1,8% l'anno prossimo.
“In Italia si prevede che la ripresa rimanga debole dal momento che problemi di competitività esistenti da lungo tempo limitano la crescita dell'export e il consolidamento di bilancio previsto pesa sulla domanda privata”, si legge nel rapporto semestrale pubblicato oggi.
L’Italia risulta, comunque, in posizione più vantaggiosa rispetto al gruppo dei ‘Paesi periferici’, vale a dire Grecia, Irlanda, Portogallo, dove, per l'Fmi, “la crescita sarà molto più bassa”, soprattutto “a causa di una brusca e prolungata contrazione di bilanci privato e pubblico necessaria per assorbire gli squilibri di bilancio e di competitività”.

Occorrono nuove misure. Anche se il nostro Paese non ha problemi fiscali della stessa entità dei Paesi periferici, il Fondo segnala che occorre fare più sforzi per il bilancio nazionale, anche perché solo la locomotiva tedesca sta centrando gli obiettivi dichiarati a inizio anno.
“Tra i principali paesi della zona euro, tutti si sono impegnati a ridurre il deficit sotto il 3% entro il 2013. Tuttavia, in base alle misure annunciate ad oggi e alle previsioni di crescita del World economic outlook, solo la Germania dovrebbe raggiungere questo obiettivo, lasciando a Francia e Spagna e, in minor misura, Italia la necessità di identificare nuove misure”.
In merito al rapporto deficit/Pil, l’Fmi vede un calo al 4,3% quest'anno e al 3,5% nel 2012, mentre il rapporto debito/Pil è stimato al 120,3% quest'anno e al 120% il prossimo.
Il Governo, dal canto suo, si è impegnato a ridurre il deficit al 3,9% nel 2011 e sotto il 3% nel 2012, poiché le sue attese di crescita prevedono un Pil a +1,3% per il 2011 e +2% nel 2012.
Sul fronte del debito pubblico, come si evince dal rapporto semestrale dell’Fmi, i sacrifici richiesti all'Italia nel lungo periodo non sembrerebbero ‘lacrime e sangue’, visto che, per riportare il debito al 60% del Pil entro il 2030, l'aggiustamento del saldo primario corretto per il ciclo economico è tra il 3 e il 4% del Pil, come per la Germania.
Per l’Eurozona, infine, l’Fmi fa riferimento a rischi al ribasso per quanto riguarda la crescita e sottolinea i problemi di breve periodo che potrebbero derivare dalle “tensioni sui sovrani della zona euro più vulnerabili”, dalle debolezze ancora radicate nel settore bancario e dall'aumento dei prezzi delle materie prime.
Marco Notari

È ufficiale: Fukushima come Chernobyl
Nuova scossa, evacuato l'impianto
Alzato il livello di gravità a 7, come nel disastro del 1986. «La fuoriuscita di radiazioni potrebbe essere superiore»

MILANO- L'Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale del Giappone ha alzato da 5 a 7 il livello di gravità della crisi nell'impianto nucleare di Fukushima Daiichi, che è ora lo stesso di quello del disastro di Chernobyl del 1986. Fukushima è l'impianto che più ha subito le conseguenze del terremoto, e soprattutto del successivo tsunami, dell'11 marzo scorso. Un funzionario della Tepco, la società che gestisce l'impianto, ha evocato addirittura la possibilità che i livelli di radioattività siano superiori: «La perdita radioattiva non si è ancora arrestata completamente», ha spiegato, «e la nostra preoccupazione è che possa anche superare Chernobyl». Intanto una nuova cossa di magnitudo 6,3 (valutazione preliminare) è stata registrata nel pomeriggio di martedì (attorno alle 7 del mattino in Italia) Giappone, con epicentro proprio la prefettura di Fukushima. La Tepco ha ordinato ai lavoratori di evacuare l' impianto.

LA FUGA DI RADIAZIONI - Il sistema di raffreddamento della centrale nucleare, a seguito del sisma dello scorso 11 marzo, si è interrotto facendo aumentare la temperatura all'interno dei reattori e causando, per effetto dei problemi conseguenti, la fuoriuscita di radiazioni. La decisione è stata annunciata alla televisione nazionale da un funzionario della commissione per la Sicurezza nucleare. La quantità di radiazioni che fuoriescono dalla centrale, ha spiegato, è pari a circa il 10% di quella di Chernobyl. Tuttavia, secondo quanto dichiarato dai funzionari Nisa, uno dei fattori alla base della decisione è che l'importo complessivo di particelle radioattive rilasciate nell'atmosfera dall'inizio della crisi ha raggiunto quantità tali da soddisfare un incidente di livello massimo sulla scala dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica. A ciò si aggiunge, appunto, la dichiarazione della Tepco sui timori di un quantitativo di perdite radioattive che alla fine possa essere nel complesso superiore a quello registrato nel caso Chernobyl.

«GRAVE INCIDENTE» - Secondo l'Aiea di Vienna, il nuovo ranking significa un «grave incidente», con «conseguenze più ampie» rispetto al livello precedente. «Abbiamo alzato il livello di gravità a 7 perché la fuoriuscita di radiazioni ha avuto impatto nell'atmosfera, nelle verdure, nell'acqua di rubinetto e nell'oceano», ha detto Minoru Oogoda, della Nisa appunto. La revisione si è basata su un controllo incrociato e valutazioni dei dati sulle perdite di iodio-131 e cesio-137, ha spiegato un altro uomo Nisa, il portavoce Hidehiko Nishiyama. «Abbiamo evitato - ha continuato - di fare dichiarazioni finché non abbiamo avuto dati certi. L'annuncio è stato fatto adesso perché è stato possibile guardare e controllare i dati raccolti in due modi diversi», ovvero le misurazioni di Nisa da un lato e della commissione per la Sicurezza nucleare dall'altro. Nishiyama ha sottolineato che a differenza di Chernobyl non ci sono state esplosioni del nocciolo dei reattori dello stabilimento, anche se ci sono state esplosioni di idrogeno. «In questo senso - ha concluso - questa situazione è totalmente diversa da Chernobyl». Tuttavia la Tepco ha ammesso per bocca del portavoce Junichi Matsumoto che sono ancora in corso le operazioni per stimare la quantità totale di materiale radioattivo che potrebbe essere rilasciato nell'incidente e questa potrebbe addirittura superare quella di Chernobyl.

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