lunedì 4 aprile 2011

Federali-Sera. 4 aprile 2011. Reggio Emilia. C'è un reparto dell'ospedale Santa Maria Nuova, che in alcune ore della giornata, assomiglia, soprattutto in sala d'attesa, ad un centro accoglienza per stranieri. E' quello degli Infettivi dove alcuni extracomunitari utilizzano sedie e tavoli per dormire. Sono lì sia alla mattina presto sia nel tardo pomeriggio, ma c'è il sospetto che qualcuno si trasferisca lì anche di notte.

Forza Oltrepadani:
Bozen. La Svp attacca: svolta sulla cultura.
Bozen. Il piano per i 25 rifugi ex Cai.
Bozen. Broggi: «Con l'Alpenverein c'è già l'accordo».
Bozen. Gallo: «Il Comune di Bolzano non è un'azienda ma dobbiamo diventare più flessibili e produttivi».
Bozen. Visite private, i primari: Asl senza progetti.
Friuli Vg. REGIONE Dopo le critiche della Corte dei Conti cambio di rotta per sanità, cultura, sport, agricoltura.

Clandestini allogeni:
Una difficile strada obbligata.
Modena. Profughi, chiesti aiuti modenesi. La spedizione parte, ma è inutile.
Reggio Emilia. L'ospedale diventa un centro accoglienza.
Reggio Emilia. Alloggi fantasma sotto la circonvallazione.

Crisi di liquidita':
Portogruaro. Occupazione, va sempre peggio.
Treviso. La Marca evade 1 miliardo all'anno.

Ole':
In Spagna l’energia eolica è leader: e in Italia?


Bozen. La Svp attacca: svolta sulla cultura. Repetto (Udc): «Puntano a un direttore di ripartizione tedesco». di Francesca Gonzato. BOLZANO. Ripartizione cultura: sempre peggio. La gestione delle nomine dirigenziali, con annunciata causa della non confermata Anna Vittorio, fa volare gli stracci in maggioranza. La Svp ne approfitta per tornare all'attacco. Ladinser: «Serve una svolta». Mayr: «Politica culturale deludente».  E' servito a poco il veloce incontro dell'altro giorno tra l'assessore alla Cultura Patrizia Trincanato e alcuni componenti del gruppo Pd in consiglio comunale. Avere lasciato libero il posto di capo ripartizione alla Cultura, senza avere individuato il successore di Anna Vittorio, lascia spazi di manovra a chi, Svp su tutti, proverà, magari attraverso il bando di selezione, a ottenere un direttore di lingua tedesca alla Cultura o almeno il direttore di ufficio. Alla luce del sole c'è poco o nulla, quindi Guido Margheri (Sel) chiarisce: «Se c'è un patto riservato tra qualcuno, meglio che sparisca subito». 
LA SVP ALZA LA VOCE. Proprio nei giorni precedenti ai nuovi incarichi dirigenziali si era mosso un gruppo di associazioni tedesche, segnalando difficoltà di rapporto con l'assessorato dal punto di vista dei contributi. Le accuse vengono ora riproposte (sul Dolomiten) da Moritz Windegger (presidente Mgv, l'associazione dei cori maschili) che lamenta «un ritardo di due anni e mezzo» nell'erogazione dal 2007, difficoltà che sarebbe stata condivisa anche dalla Heimatschutzverein presieduta da Helmut Rizzolli. Nella prima lettera di protesta comparivano tra i firmatari associazioni non iscritte all'albo del Comune (Südtiroler Schwarzes Kreuz, Militärveteranenverein Bozen e Katholischer Meisterverein Bozen). Giuseppe Avolio, avvocato di Anna Vittorio: «E' la dimostrazione di quanto fosse pretestuoso quell'attacco».  Il vicesindaco Klaus Ladinser (Svp) divide il problema in due, per lanciare il proprio affondo: «Quello dei contributi non è un problema politico, ma di funzionamento del servizio. Prima della lettera delle associazioni non avevo avuto sentore di questi problemi, ma se certe lamentele vengono proposte, chi ha la competenza del settore deve fare sì che non si ripetano». Ladinser conferma una sua dichiarazione secondo cui, se le cose andranno come devono la ripartizione verrà guidata da un dirigente di lingua tedesca? «Spetta all'assessore Trincanato farci capire come intende lavorare sulla cultura a Bolzano. Solo dopo la Svp indicherà le proprie proposte». Nell'attesa Ladinser qualche paletto lo pianta: «La politica sulla cultura di Bolzano è molto più importante di quanto non sembri. O si ha la convinzione di portare avanti un progetto che preveda una apertura, o si devono ridiscutere altre tematiche. Non accetteremo di tornare indietro di vent'anni». Così prosegue Georg Mayr, capogruppo in Comune: «La Svp non c'entra con il fatto che l'assessore Trincanato abbia deciso di non confermare il direttore di ripartizione. Adesso va fatto un concorso e dovrà vincere chi ha le carte migliori da mettere sul tavolo. Non sarà una selezione riservata al gruppo italiano e quindi non è detto che il nuovo dirigente debba essere italiano. Di certo dovrà essere bilingue». Tra i nomi italiani che circolano, Umberto Tecchiati e Valeria Trevisan.  Perché il gruppo italiano dovrebbe accettare di perdere un posto apicale? Mayr: «Il rispetto della proporzionale in Comune non ne verrebbe compromesso. Spesso il gruppo italiano dice che prima deve venire il merito, ad esempio in sanità. Perché non sulla cultura?». Anche Mayr parla di una svolta culturale necessaria a tutti i livelli: «Il capoluogo dovrebbe fare di più. Con la lodevole eccezione della musica, non crediamo che si faccia una straordinaria politica culturale». Per una possibile interpretazione ci si può rivolgere a Sandro Repetto (Udc).  
I RETROSCENA. Così Repetto, ex assessore alla Cultura: «La Svp si è infilata nei varchi aperti dalla gestione sbagliata di questa vicenda. Scommetto che alla fine riuscirà a vedere un sudtirolese a capo della ripartizione o dell'ufficio Cultura. Si muovono passo per passo. Ora puntano sul bando di selezione, magari spingeranno perché si presenti qualche candidato al di sopra di ogni discussione, di sicuro studieranno con la lente i curricula di chi si presenterà e si spingerà per il "migliore"». Repetto non scarica tutta la colpa su Patrizia Trincanato: «Chi porta la responsabilità tecnica di questo pasticcio e dei suoi strascichi giudiziari è il direttore generale Moroder: era sua competenza accompagnare giuridicamente l'assessore». Aggiunge Angelo Gennaccaro (Udc): «Il ricorso di Anna Vittorio era scontato. Adesso chi paga?». Franca Berti (capogruppo Pd) ricorda che il conto alla rovescia è iniziato: «Il sindaco Spagnolli ha chiarito che entro pochi giorni dovrà essere trovata una soluzione. L'assessorato non può restare in mezzo alla tempesta».  Ancora più polemico Claudio Della Ratta (Psi), che parla di «fumose spiegazioni» a proposito della mancata conferma di Anna Vittorio, «dirigente molto preparata, equidistante ed imparziale». Il comportamento dell'amministrazione è stato «scorretto». 

Bozen. Il piano per i 25 rifugi ex Cai. Dieci milioni di euro stanziati per le ristrutturazioni. di Gianfranco Piccoli. BOLZANO. Scaduta la concessione dei 25 rifugi in concessione al Club alpino e dal primo gennaio nella disponibilità della Provincia, ora l'amministrazione sta pensando al futuro: il risanamento (o la demolizione e ricostruzione) di alcuni rifugi e la creazione di una società mista tra Avs, Cai e Provincia per la gestione. Com'è noto, i rifugi sono passati dalla proprietà dello Stato a quella della Provincia nel 1999, ma la concessione al Cai è scaduta a fine 2010.  C'è poi un terzo nodo da sciogliere ed è legato alla partita economica tra ente pubblico e Club alpino. Quest'ultimo nel corso degli anni ha effettuato una serie di investimenti nelle strutture e nelle attrezzature, alcuni dei quali non sono ancora stati ammortizzati. Le due parti si incontreranno prossimamente per fare i conti di quanto la Provincia dovrà versare nelle casse del Cai.  I lavori. Lunedì scorso la giunta provinciale ha dato il via libera ad un finanziamento di 10 milioni di euro per interventi sui rifugi: «La metà di questo importo - spiega Florian Mussner, assessore provinciale ai lavori pubblici - è destinata alla demolizione e ricostruzione di tre rifugi, che ormai non hanno più i requisiti minimi per soddisfare le esigenze di chi frequenta la montagna». I tre rifugi destinati ad essere integralmente ricostruiti sono il Ponte di Ghiaccio, il Vittorio Veneto al Sasso Nero e il Pio XI alla Palla Bianca. Per altri sei sono previsti interventi di risanamento, più o meno consistenti, gli altri sedici invece soddisfano i requisiti attuali: «Ma in ogni caso - continua Mussner - non sono previsti ampliamenti di cubatura». Priorità nell'esecuzione dei lavori e tempi devono essere ancora definiti: «Ne parleremo nella prossima seduta della giunta provinciale (domani ndr). Per alcuni rifugi - dice ancora l'assessore ai lavori pubblici - gli interventi sono di poco conto, parliamo di lavori per 30-40 mila euro che possono essere effettuati immediatamente, prima dell'apertura della stagione turistica. Per quanto riguarda le ricostruzioni, non partiremo prima dell'autunno, per permettere così il regolare svolgimento della stagione». Il piano di interventi prevede, tra l'altro, l'allacciamento di tutti i rifugi alla rete idrica, fognaria ed elettrica.   I soldi al Cai. Altro punto da chiarire riguarda il denaro che la Provincia dovrà versare nelle casse del Club alpino per pareggiare i costi sostenuti dal Cai (e non ancora del tutto ammortizzati) per investimenti sulle strutture e in attrezzature: «Saranno i tecnici a fare i conti», ha spiegato il presidente Luis Durnwalder. Non si tratta, in ogni caso, di cifre particolarmente importanti.  La gestione. Partita più complessa riguarda la futura gestione dei venticinque rifugi passati alla Provincia. Per quest'anno, vista la necessità di garantire l'apertura per la stagione estiva, l'ente pubblico ha deciso di rinnovare per un anno, con un apposito ddl, il contratto ai vecchi gestori. Tecnicamente non si tratta di una proroga - ha puntualizzato il presidente del Cai Alto Adige, Giuseppe Broggi - visto che i vecchi contratti erano stati sottoscritti con il Club alpino.  Il presidente Durnwalder ha le idee chiare e intende chiudere la questione entro autunno, per poi procedere con i nuovi bandi di gara per l'assegnazione della gestione: «La strada per me è chiara: bisogna costituire una società mista che comprende la partecipazione di Alpenverein, Club alpino e Provincia - afferma il presidente - ancora non ci siamo trovati attorno ad un tavolo a parlare, ma spero che entro l'autunno la questione possa essere definita per poi procedere». Alpenverein e Cai avrebbero già trovato un accordo, ma non è stato ancora discusso. Il tema, tra l'altro, nei mesi scorsi, quando infuriava la polemica sulla segnaletica di montagna, è diventato motivo di scontro (poi rientrato) con l'assessore al turismo Hans Berger.  Rifugio «Bolzano». Da definire è ancora il destino del rifugio Bolzano sullo Sciliar. L'edificio è di proprietà del Cai Bolzano, ma la Provincia vorrebbe acquistarlo. L'assemblea dei soci proprio nei giorni scorsi ha detto no alla cessione e ha dato mandato esplorativo ad un comitato per verificare la proposta dell'ente pubblico. Che deve essere economicamente rilevante.

Bozen. Broggi: «Con l'Alpenverein c'è già l'accordo». Si punta alla società mista. Durnwalder: «Si decide entro l'autunno». BOLZANO. Giuseppe Broggi, presidente del Cai Alto Adige, per ora si affida a parole molto prudenti. La partita della gestione dei venticinque rifugi tornati in mano alla Provincia (formalmente dal 1999) è ancora tutta da giocare e in ballo c'è anche l trattativa economica per rimborsare al Club alpino italiano gli investimenti effettuati negli immobili e nelle attrezzature e non ancora ammortizzati a conclusione della concessione, nel dicembre dell'anno scorso.  Tra l'altro è ancora fresca la polemica che nei mesi scorsi ha infuocato il dibattito sulla segnaletica di montagna e che ha coinvolto anche e soprattutto Alpenverein e Cai. Per ora, dunque, i vertici del Club alpino altoatesino mantengono le posizioni in attesa di sapere come si muoverà l'ente pubblico sul futuro dei venticinque immobili: il passaggio di questi nelle mani della Provincia autonoma ha di fatto dimezzato il patrimonio del Cai altoatesino in termini di rifugi.  «La partita economica con la Provincia è ancora da definire - spiega Broggi - tutte le sezioni che avevano in gestione i rifugi hanno il mandato di effettuare un inventario dei beni presenti, poi inizieremo a fare i conti, anche se non si tratta di cifre particolarmente elevate». Ad occuparsi però dei rapporti con l'ente pubblico non saranno direttamente i vertici del Cai, ma un legale, cui è stato affidato il compito di portare a termine la trattativa.  Sul nodo della futura gestione delle strutture di montagna, Giuseppe Broggi ha le idee molto chiare: «Noi e l'Alpenverein un accordo lo abbiamo già trovato da tempo, manca solamente il via libera della Provincia e definire. E ancora - continua il presidente del Cai - non sappiamo che tipo di società sarà: se solo con le due associazioni oppure se ci sarà anche la Provincia. Capire il "chi fa cosa" e il "chi paga cosa" - aggiunge - sono i due passaggi più delicati».  Secondo Broggi la gestione congiunta sarebbe una grande opportunità: «Sarebbe bello poter operare insieme con l'Alpenverein, anche perché questi rifugi fanno ormai parte del comparto turistico dell'Alto Adige». (g.f.p.)

Bozen. Gallo: «Il Comune di Bolzano non è un'azienda ma dobbiamo diventare più flessibili e produttivi». Così l'assessore al personale risponde alla pioggia di critiche, arrivata dal mondo dell'economia, alla riorganizzazione degli uffici.
di Antonella Mattioli
BOLZANO. «Il Comune è un'azienda che opera in settori diversissimi, che non produce bulloni ma eroga servizi ai cittadini e non ha come scopo di massimizzare il profitto bensì garantire qualità sociale». Così l'assessore al personale Luigi Gallo risponde alla pioggia di critiche, arrivata dal mondo dell'economia, alla riorganizzazione degli uffici. Annunciata in pompa magna, non incide in maniera determinante sulla macchina comunale e quindi non fa prevedere che ci sarà un aumento di efficienza, efficacia e produttività da parte dei dipendenti come auspicato dai revisori dei conti.

Assessore, è vero che il Comune non produce bulloni ma non fa neppure beneficenza, in particolare in tempi in cui anche gli enti pubblici devono fare i conti con la crisi.
«È vero, ma lo ripeto: non possiamo essere paragonati ad un'azienda, perché nessun privato, ad esempio, garantirebbe farmacie in ogni quartiere anche se non è economicamente interessante e lo stesso discorso vale per impianti sportivi e scuole che ovviamente sono in perdita».
I privati e i revisori concordano sul bisogno di aumentare la produttività.
«Lo stiamo già facendo: negli ultimi 5 anni i numero dei dipendenti è rimasto stabile, ma sono aumentati i servizi e sono stati creati nuovi quartieri. Se va in pensione un usciere non è detto che venga sostituito, ma se ad andarsene è un cuoco delle Materne devono sostituirlo».
I manager che hanno riorganizzato grandi aziende sostengono però che il Comune ha troppi dipendenti, troppi uffici e quindi spese fisse eccessive.
«Tanto per cominciare dei 170 milioni di euro di spese fisse solo il 27% è destinato al personale. Al di là delle cifre comunque, ammetto che i privati sono bravi a razionalizzare».
E allora perché non recepire almeno in parte quella filosofia, per far funzionare meglio l'apparato
burocratico?
«Perché la loro formula è quella di sempre: scaricano sulla collettività i costi sociali (cassa integrazione, prepensionamenti, disagio sociale) e tenersi i profitti. I privati si vantano di ridurre il personale: c'è poco da vantarsi, ridurre le occasioni di lavoro significa ridurre l'occupazione totale e creare crisi sociale».
Imprenditori a parte, i suoi avversari politici dicono che mettere un esponente di Rifondazione all'assessorato al personale è come mettere Dracula a vigilare sulla banca del sangue.
«Non sono Marchionne, ma non credo che i suoi dipendenti siano contenti».
Non saranno contenti, ma l'accordo per Pomigliano e Mirafiori, è stato approvato, ovviamente chi lavora per l'ente pubblico sta meglio, perché ha la certezza del posto di lavoro e una serie di agevolazioni a partire dall'orario.
«E questo è negativo?»
Assolutamente no, ma bisogna sempre tener presente che il denaro che si spende è pubblico.
«Lo sappiamo perfettamente. Vogliamo però anche dare ai dipendenti la possibilità di conciliare lavoro e famiglia offrendo loro la possibilità di fare part-time e flessibilità nell'orario di entrata e di uscita. È anche così che si sostiene la famiglia: si muovono in questa direzione pure molte aziende private».
Giusto: l'importante però è che venga garantita l'efficienza del servizio.
«È garantita eccome. Quello che conta non sono le ore che uno passa in ufficio, ma il risultato».
Tra le critiche c'è anche quella relativa ai dirigenti: troppi e con pochi dipendenti da organizzare.
«I dipendenti dell'ufficio non sono l'unica variabile e nemmeno la più importante per giustificarne l'esistenza. In ogni caso non è facile non rinnovare l'incarico ad un dirigente, le vicende relative alla ripartizione cultura lo confermano. E comunque, dopo 15 anni che uno fa il dirigente, lo devi pagare come tale anche se non gli rinnovi l'incarico».
Insomma, va tutto bene e non c'è bisogno di fare cambiamenti.
«Non serve la rivoluzione, ma è vero che ci sono margini di miglioramento: si può aumentare la produttività ma soprattutto deve esserci più flessibilità da parte de dipendente pubblico e più apertura all'innovazione».

Bozen. Visite private, i primari: Asl senza progetti. L'Ordine: «Questa attività dovrebbe essere sostenuta e non demonizzata».
di Valeria Frangipane. BOLZANO. «Una confusione così non l'ho mai vista. Devo dire che i medici tengono alto l'onore del San Maurizio nonostante i vertici dell'Asl». Giulio Donazzan - primario di Pneumologia all'ospedale e presidente del sindacato dei primari (Anpo) - è sconcertato. «Il direttore generale, Andreas Fabi, scopre che le liste d'attesa in certe specialità sono infinite e prima blocca le visite a pagamento poi spiega che domani le sbloccherà e lo fa senza venirci a dire niente, salvo poi chiederci "collaborazione". Mi sembra che l'Azienda vada avanti a tentoni, che non abbia un progetto».  La pensa allo stesso modo il presidente dell'Ordine dei medici Michele Comberlato: «Le liste d'attesa sono infinite anche perché non esiste alternativa all'ospedale. Aspettiamo da Natale la Riforma del territorio (ovvero di tutte le attività sanitarie che si eseguono al di fuori degli ospedali), non sappiamo ancora niente e siamo arrivati a Pasqua. Non puoi riordinare senza cambiare ma se nessuno vuol decidere, come sembra, vuol dire che andremo avanti a tentoni».  Per Donazzan manca una visione d'insieme. «Capisco Fabi quando ci viene a dire che la legge provinciale non permette la libera professione intramoenia (cioè le visite a pagamento) in quelle specialità con liste che superino i sessanta giorni ma dico anche che se c'è un problema forse è il caso di parlarne insieme. La richiesta di prestazioni è in continuo aumento anche perché la medicina continua a cambiare e ad evolversi ma l'ospedale non può fronte ad una richiesta che continua ad aumentare tagliando medici e facendoci lavorare sempre di più».  In che senso tagliare medici? «Prendiamo per fare un esempio Chirurgia, vanno via tre medici e ne sostituiscono uno e poi il primario dovrebbe fare miracoli. La realtà è che in corsia si lavora "impiccati" e poi Fabi ci spiega che per l'intramoenia chiede la nostra "collaborazione". La verità è che avrebbero dovuto coinvolgerci prima quando organizzavano l'intramoenia. Invece che calare la decisione dall'alto potevano chiedere ai responsabili dei reparti di offrire una soluzione concreta e invece niente». C'è dell'altro? «Certo, siamo qui ad aspettare la Riforma del territorio che dovrebbe sgravare gli ospedali ma nessuno di noi ha visto nulla».  Quindi Comberlato. Lei cosa pensa delle visite a pagamento che l'Alto Adige permette ai suoi medici in orari impossibili (solo il venerdì pomeriggio), contro le 20 di Trento e le 40 del resto d'Italia? «Non capisco perché l'Asl e la politica continuino a demonizzarle. L'intramoenia di solito è un valore aggiunto che aiuta a ridurre le liste d'attesa anche perché i medici che la scelgono effettuano un maggior numero di prestazioni fuori dall'orario di lavoro. In più l'intramoenia sostenuta ed incentivata dalle singole Aziende, penso solo a quella di Trento, riesce a fatturare anche qualche milione di euro che in tempi di vacche magre non si buttano certo via. Mi sembra però che l'Asl manchi di un progetto d'insieme e si sia bloccata». Comberlato da alcuni mesi va ripetendo infatti che senza Riforma del territorio la Riforma clinica dell'intera sanità altoatesina rischia di naufragare. «Se le liste d'attesa sono infinite è anche perché continuiamo a non ripensare il sistema ed a non voler puntare sull'appropriatezza delle prestazioni in parole povere sottoporre il paziente all'esame o alla visita giusta non a quella che chiede. Per fare tutto questo serve un maggiore coinvolgimento dei medici di base, servono strutture che integrino il lavoro degli ospedali ma noi non stiamo andando in questa direzione. Ho la sensazione chiara che l'Asl metta pezze qua e là, che vada avanti a tentoni, che rimandi all'infinito. La Riforma clinica che ci ha visto impegnati in discussioni infinite è ormai in una fase catatonica. Anche per questo il 16 aprile prossimo l'Ordine organizza il convegno "Medicina del territorio come risorsa del sistema sanitario". Servirà - conclude il presidente Comberlato - a far riflettere». 

Friuli Vg. REGIONE Dopo le critiche della Corte dei Conti cambio di rotta per sanità, cultura, sport, agricoltura. Friuli, la scure sui contributi
Non un solo giuro dato senza documentazioni e motivazioni legate alle leggi e norme in vigore
Dopo la decisione alcuni malumori tra gli assessori La Corte: trasparenza
TRIESTE La sede della Presidenza della Regione Friuli Venezia Giulia
TRIESTE - Il Friuli Venezia Giulia volta pagina sul fronte degli impegni di spesa e in particolare dei contributi. Sanità, cultura, sport, agricoltura. Tutti i canali di spesa dell'amministrazione dovranno subire un autentico giro di vite sotto le insegne della qualificazione della spesa. A sancirlo è una dettagliata circolare trasmessa a tutte le Direzioni e Agenzie della Regione dal ragioniere generale, Antonella Manca, che è frutto di una serie di rilievi formalizzati dalla Sezione di controllo della Corte dei conti, a Trieste, in sede di dichiarazione di affidabilità del rendiconto 2009. D'ora in poi e più di sempre ogni provvedimento di erogazione dovrà qualificare la spesa con espliciti richiami a leggi o almeno regolamenti che la giustifichino. Non solo, in base alla circolare sarà necessario dotarsi in ogni occasione di parametri trasparenti e ben definiti: non soltanto riferimenti generici, ma precisi percorsi prestabiliti in seno ai quali iscrivere l'impegno finanziario pubblico. Tutto questo, naturalmente, va a comprimere decisamente la volontà politica nell'attribuire sostegni economici. Ed è comprensibile che non tutti gli assessori siano stati assaliti da un attacco di
gioia alla lettura della missiva del ragioniere generale, al punto che la questione potrebbe essere affrontata anche attorno al tavolone della Giunta. Magari fin da domani con la seduta straordinaria convocata dal presidente Renzo Tondo e dedicata al riassetto del personale. Ma perché d'ora in poi il visto di ragioneria sugli impegni di spesa sarà più prezioso? La Corte dei conti ha messo nero su bianco che «i criteri su cui fondare le valutazioni di ammissibilità della spesa debbono essere chiari, predeterminati e riferiti a principi desumibili da una fonte di livello almeno regolamentare». Tutto questo «in ossequio a una fondamentale regola di trasparenza dell'azione amministrativa». E sia chiaro per tutti: il paletto non è aggirabile con manovre diversive, visto che i magistrati
contabili avvertono: «La fonte regolamentare non è surrogabile da atti di diversa natura». Nell'invitare le Direzioni della Regione a verificare se per ciascun canale contributivo esistano già norme di legge o regolamenti che lo prevedono e disciplinano, la Ragioneria generale chiarisce che dove manchino le regole - ad esempio perché fino
a oggi si è provveduto con "semplici" deliberazioni della Giunta - diventa urgente darsi un regolamento. La circolare contempla una bozza indicativa da seguire e articolata in 27 punti: dalle finalità ai soggetti beneficiari e ai requisiti, dal divieto di cumulabilità degli incentivi al loro ammontare, fino alle sospensioni dell'erogazione, alle ispezioni e ai controlli in genere. E comunque ogni decreto di concessione deve imperativamente indicare, nei paragrafi di premessa alla parte dispositiva, «il percorso logico che ha portato - conclude la circolare - all'individuazione del beneficiario, alla determinazione della spesa e alla quantificazione dell'incentivo».

Una difficile strada obbligata. GIOVANNA ZINCONE La Stampa.it - Sono in troppi ad avere un disperato bisogno di consenso. Tutti i principali soggetti coinvolti nell’emergenza immigrazione in Italia non possono farne a meno. E questo complica di molto le cose. Partiamo da Sarkozy, che si trova con le elezioni presidenziali alle porte e il fiato di Marine Le Pen sul collo. Perché non dovrebbe applicare il Trattato di Chambéry che prevede la restituzione al mittente degli irregolari che valichino i confini tra i due Paesi? L’accordo era del 1997.

Peraltro l’agognato ingresso dell’Italia nell’area Schengen, a partire dal 1998, ci impone di riprenderci i «nostri» irregolari da qualunque Paese dell’area in cui fossero arrivati. Per inciso, siamo anche tenuti a riprenderci eventuali richiedenti asilo che siano arrivati da noi e volessero essere accolti in un altro Paese europeo. Il Trattato di Dublino prevede, infatti, che a occuparsene sia il primo «Paese sicuro» dove sono approdati, e certo l’Italia è (fortunatamente) considerato tale. Si sostiene che la direttiva Ue del 2001 sui rifugiati imporrebbe una ridistribuzione del carico tra i Paesi dell’Unione in caso di flussi straordinari. Ma si riferisce, appunto, ai rifugiati e non ai clandestini, e la valutazione della straordinarietà degli arrivi è comunque affidata alla discrezione degli altri Paesi. La distribuzione dei carichi all’interno dell’Unione europea ha una discutibile base giuridica, e soprattutto si profila molto difficile in pratica.

Non siamo infatti nei tempi migliori per giocare la carta della solidarietà europea. La Germania e altri partner pesanti sono da tempo molto critici sulla gestione degli irregolari da parte dei Paesi del Sud Europa: troppe regolarizzazioni di massa e magari poca capacità di controllo. Difficilmente Merkel può intenerirsi proprio ora, dopo la batosta elettorale nella sua ex roccaforte del Baden-Württemberg; anche lei ha oggi un disperato bisogno di consenso. Non stupisce invece la solidarietà all’Italia espressa dal presidente Barroso: viene non a caso da un esponente del Sud Europa, area che condivide i nostri problemi migratori, ma per la quale la necessità di supporti finanziari da parte dell’Unione di fronte alla crisi del debito pubblico rende difficile giocare un ruolo determinante su altri temi. La commissaria Malmström ha espresso la posizione dominante nell’Ue: l’Italia ha ricevuto molte risorse per il controllo delle frontiere, per l’integrazione degli immigrati, per i rimpatri assistiti; si può al massimo ragionare sulla possibilità di una diversa utilizzazione di quei fondi che privilegi i rimpatri. È possibile persino che l’Italia spunti un aumento delle risorse, molto meno probabile appare una redistribuzione su scala europea dei clandestini.

Anche il governo italiano ha un dannato bisogno di consenso, perché si avvicina un test elettorale che vede coinvolte città molto significative. E al consenso elettorale conquistato in passato dal centrodestra non è stata indifferente la promessa di controllare l’immigrazione, anzi, soprattutto il successo della Lega deve molto a quella promessa. Si capisce quindi che le incrinature che già si profilavano nel patto di ferro Bossi-Berlusconi si stiano evidenziando e rischino di trasformarsi in crepe, e il premier non può certo rischiare che queste aprano il varco a una frattura. La proposta, da poco ventilata, di applicare l’articolo 20 del Testo Unico sull’immigrazione concedendo ai tunisini sbarcati in Italia un permesso di soggiorno di protezione temporanea per motivi umanitari ha suscitato forti obiezioni leghiste. Non sono infondate. È dubbio che una misura, nata per affrontare esodi di massa dovuti a condizioni drammatiche del Paese di partenza, si possa applicare oggi alla Tunisia impegnata in una transizione democratica attualmente pacifica. Quella misura fu infatti adottata in Italia nel 1999 a fronte del dramma del Kosovo e, non a caso, in quell’occasione anche altri Paesi, europei e non, accettarono di accogliere quote di rifugiati. Ma il punto non è il fondamento giuridico della misura, visto che di norme in Italia se ne stiracchiano parecchie. Il fatto è che questa decisione equivarrebbe a gettare la spugna: visto che l’esecutivo non è in grado di trattenere nei centri i clandestini, visto che non riesce a imporne l’accoglienza neanche ad alcune delle regioni e delle città che governa, visto che, insomma, non è in grado di gestire la situazione, lascia liberi tutti.

Dunque, trattare con Tunisi appare oggi come l’unica residua strategia credibile, ma non vuol dire che sia facile da praticare. Infatti, anche il fragile governo tunisino ha un disperato bisogno di consenso: deve ancora affrontare il test delle prime elezioni libere. Disfarsi di giovani maschi disoccupati e potenzialmente riottosi gli fa molto comodo, e se tra quegli emigrati ci fossero pure alcuni criminali, la capacità di scaricare all’estero anche quel fardello rappresenterebbe solo un vantaggio in più. Se Tunisi non dirà di no, di certo alzerà molto il prezzo per concedere l’applicazione, anzi il rafforzamento del vecchio accordo di riammissione, che la obblighi a riprendersi gli emigrati clandestini. I contatti con Sarkozy, il suo appoggio, l’appoggio dell’intera Unione su questa strategia potrebbero servire molto. E su questa linea anche Barroso potrebbe credibilmente influire. Ma nell’insieme, ora, quella di Berlusconi che parte per Tunisi, stressato dalle sue vicende giudiziarie e da iter legislativi ad esse collegate, appare tutt’altro che un’impresa facile. Come cittadini italiani, però, siamo tenuti ad augurargli «in bocca al lupo». Contenere almeno parzialmente gli esodi non solo solleverebbe il nostro Paese da un serio problema, ma ridurrebbe le sofferenze, i rischi, le morti di coloro che attraversano il Mediterraneo sognando un’Europa che non è pronta a riceverli.

Modena. Profughi, chiesti aiuti modenesi. La spedizione parte, ma è inutile. Una missione riuscita a metà, quella di quattro vigili del fuoco modenesi, partiti lo scorso 25 marzo per il campo profughi di Manduria in provincia di Taranto e rientrati dopo cinque giorni senza nemmeno avere scaricato i camion. Eppure la richiesta era arrivata direttamente dal Ministero dell'Interno: servivano docce e bagni chimici per allestire la tendopoli di Manduria dove far confluire parte degli immigrati nordafricani sbarcati a Lampedusa. La macchina organizzativa modenese si è messa in moto immediatamente e il nostro contingente in vigili del fuoco e ha raggiunto Ascoli. Dalla città marchigiana è partita la colonna dei vigili del fuoco: 6 mezzi e 12 autisti. Ma na volta arrivati a Manduria al campo profughi non è mai arrivata l'autorizzazione a scaricare il materiale. Evidentemente dicono i vigili rientrati a Modena, non servivano più. E così per cinque giorni i pompieri partiti da Ascoli sono rimasti a controllare i camion e a osservare... l'incontrollabile. Cioè la fuga dei profughi. Troppo poche le forze dell'ordine per riuscire a controllare l'intera area del campo, hanno raccontato: gli immigrati si nascondevano dietro ai camion prima di allontanarsi in mezzo ai campi di ulivo. I nostri pompieri si sono dati da fare in altro modo: alcuni a fare la guardia ai camion, gli altri ad aiutare a montare le tende al campo profughi. Intanto, sull'arrivo di profughi (e forse anche di clandestini) a Modena interviene il Siulp, sindacato di polizia che invita le autorità a "riflettere e meditare". Il Siulp ricorda che la nostra città sta già facendo il suo dovere nel contrasto all'immigrazione irregolare. È infatti sede del Cie, che già ospita 50 migranti sbarcati sulle coste siciliane. «Il Cie assorbe mezzi e uomini delle forze dell'ordine - afferma il segretario Bruno Fontana - Un nuovo invio di clandestini sarebbe impossibile da gestire non solo con le attuali dotazioni di organici, ma anche per la mancanza di altri luoghi idonei». Discorso diverso per il Siulp è quello per i profughi e richiedenti asilo che al momento sono una piccola minoranza. Insomma, gli agenti non si sottraggono all'impegno umanitario, ma sottolineano che già ora le condizioni lavorative sono assai difficili.

Reggio Emilia. L'ospedale diventa un centro accoglienza. Alcuni stranieri «invadono» la divisione Infettivi del Santa Maria Nuova. REGGIO. C'è un reparto dell'ospedale Santa Maria Nuova, che in alcune ore della giornata, assomiglia, soprattutto in sala d'attesa, ad un centro accoglienza per stranieri. E' quello degli Infettivi dove alcuni extracomunitari utilizzano sedie e tavoli per dormire. Sono lì sia alla mattina presto sia nel tardo pomeriggio, ma c'è il sospetto che qualcuno si trasferisca lì anche di notte. Di quanto sta avvenendo in quel reparto, il primario Giacomo Magnani ne è a conoscenza, così come in tanti - che durante gli orari di visita si recano a portoro conforto a parenti e amici - hanno notato quelle presenze. Non è tra l'altro la prima volta che negli Infettivi si verificano episodi di questo tipo. Un anno fa, per «liberare» la sala d'attesa, erano intervenute le volanti della polizia che aveva identificato gli stranieri, obbligandoli a lasciare il reparto. Perché l'ospedale non è certo un centro d'accoglienza e sorprende come quegli stranieri abbiano scelto quell'ala del Santa Maria Nuova. Il sospetto è che gli stranieri non abbiano trovato aiuto da coloro che invece dovrebbero prendersene cura. Dalle parrocchie, al mondo del volontariato, passando dai servizi sociali del Comune per arrivare all'assistenza fornita dalla Caritas. L'impressione, invece, è che quegli stranieri abbiano trovato invece nel reparto degli Infettivi un'area dove sostare, magari in attesa che qualcuno proponga loro una soluzione dignitosa. Poco lontano, c'è la chiesa di San Pellegrino che da sempre ospita una comunità di persone in difficoltà. La parrocchia di via Tassoni è al gran completo e gli stranieri che si sono trasferiti all'ospedale, probabilmente non hanno trovato posto nella chiesa vicina. Certo è che i cittadini che frequentano quel reparto, a volte rimangono sorpresi nel vedere gli stranieri che stazionano in sala d'attesa. Nessuno, però, almeno per il momento ha segnalato la loro presenza alle forze dell'ordine e nessuno, ha denunciato aggressioni e comportamenti contro la legalità. Il reparto degli Infettivi rimane però un luogo di cura, uno stabile all'interno del quale i malati vivono sofferenza e quei corridoi non possono trasformarsi in una specie di dimora per senzatetto. Sono altri che dovrebbero prendere in mano la situazione, non certo l'ospedale tramite medici e infermieri. Vanno poi verificate le segnalazioni della presenza degli stranieri anche durante le ore notturne. Il reparto degli Infettivi, come tutti gli altri reparti del Santa Maria Nuova, sono controllati dal servizio di vigilanza delle guardie giurate che non hanno segnalato la presenza di «invisibili».

Reggio Emilia. Alloggi fantasma sotto la circonvallazione. Da una grata in via Guasco si accede a un rifugio ricavato a quatto metri di profondità. REGGIO. Qualcuno, venerdì sera, passeggiando all'incrocio tra viale Timavo e via Guasco si sarà forse chiesto se quella che stava vivendo era una serata nella «sua» Reggio o se all'improvviso, qualcuno lo avesse capultato a Bucarest, capitale della Romania. Se in quella capitale è cosa normale per chi vive in povertà sfruttare le gallerie delle fogne per costruirsi un alloggio di fortuna, a Reggio non è così. O meglio, non dovrebbe esserlo. Una novità «sbarcata» in circonvallazione, proprio all'incrocio tra via Guasco e viale Timavo, a pochi passi dal supermercato Esselunga, vicino al palaBigi, a cento metri in linea d'aria dalle sedi di Provincia e Prefettura. Gli invisibili, sono anche qui. E si sono ricavati una nicchia sotto i viali della circonvallazione. Un rifugio prima scoperto dai cittadini e poi controllato dagli agenti della questura. La grata Vivono sotto i viali dell'esagono in un anfratto al quale si accede sollevando una grata di ferro che si trova a ridosso del chiosco che fino a una decina di anni fa era meta per gran parte dei giovani per gustarsi bombolone e cappuccino del dopo discoteca. Al piano terreno il chiosco è in abbandono: le vetrate lasciano intravedere sporcizia e degrado, ma la sorpresa è proprio lì sotto. Sul lato del piccolo immobile che si affaccia su via Guasco, eccola la grata. Sotto, a circa quattro metri di profondità, si intravede un sacco a pelo, ma basta alzarla per scoprire un modo parallelo. Materassi, vestiti, una cucina di fortuna, scarpe, detersivi e una porta in legno che pare portare ancora più in profondità. Forse serve per incamminarsi lungo le gallerie - quelle storiche - delle antiche fognature. La sorpresa A scoprire quel nascondiglio sono stati alcuni cittadini che venerdì, dopo aver parcheggiato l'auto lungo i controviali della circonvallazione, si sono incamminati verso il centro storico. Arrivati in prossimità del chiosco ecco quello che non ti aspetti. Uno di quei cittadini sale su quella grata, ma all'improvviso sente una spinta che arriva da sotto i suoi piedi. Si sposta, non sa cosa pensare. Ma le sue domande presto hanno risposta. La grata si sposta e in un attimo spuntano due persone. Come se niente fosse si allontanano. Parte una segnalazione alla polizia che sabato mattina, poco prima delle 7, esegue un sopralluogo. Gli agenti sollevano la grata e trovano sette persone, tutte di origine rumena. Vivono sotto la circonvallazione da chissà quanto tempo, preferendo quel nascondiglio ai casolari abbandonati e diroccati disseminati in periferia. Ecco, anche Reggio ha i suoi invisibili. Come Bucarest.




Portogruaro. Occupazione, va sempre peggio. Aumentano i senza lavoro: 185 contro i 132 di marzo 2010. di Stefano Zadro. PORTOGRUARO. La crisi occupazionale non accenna a placarsi, è necessario pensare ad un piano di sviluppo per tutta l'area del Veneto Orientale, una tra le più colpite a livello nazionale.  Durante l'ultimo consiglio comunale è stato aggiornato lo scenario lavorativo del territorio: «Gli effetti negativi della crisi - ha spiegato il consigliere Paolo Bellotto - si stanno continuando a manifestare, soprattutto per quanto riguarda la dinamica dell'occupazione, anche in questi primi mesi del 2011». Se nel 2009 i licenziamenti individuali e collettivi hanno avuto il loro picco massimo, con circa 400 licenziamenti nel portogruarese e oltre 700 nel sandonatese, e nel 2010 da stime pressoché definitive si può supporre che rimarremo sugli stessi livelli dell'anno precedente, i dati che arrivano dal centro per l' impiego di Portogruaro, dati riguardanti i residenti degli 11 comuni del portogruarese, dicono che gli iscritti alle liste di mobilità tra gennaio-marzo 2011 sono già 130, contro i 117 di gennaio-marzo 2010, mentre quelli in grandi aziende sono già 55 contro 15 del 2010. In provincia di Venezia le aziende che hanno presentato domanda di cassintegrazione in deroga al 31 dicembre 2010 sono 669 con un organico complessivo di quasi 9300 dipendenti, per circa 3 milioni di ore di cassa autorizzate e 1040 domande formalizzate. «Bisogna pensare - ha concluso Bellotto - a un vero e proprio «Patto per lo Sviluppo» per il Veneto Orientale a lungo termine, che possa definire linee guida il più possibile condivise, forti ed intersettoriali e coinvolte tutte le istituzioni pubbliche e private interessate, capaci finalmente di individuare scenari di riferimento che vadano oltre le singole visioni particolari».

Treviso. La Marca evade 1 miliardo all'anno. L’Agenzia delle Entrate pubblica una nuova banca dati: Treviso nasconde 20 euro ogni cento pagati di imposte. TREVISO. I trevigiani evadono un miliardo di euro l'anno. La stima proviene da un'elaborazione dei dati dell'Agenzia delle Entrate, che ha messo a punto il nuovo data base informativo denominato Dbgeo per agevolare il recupero dell'evasione fiscale in Italia. Un dettagliato programma che incrocia i dati sulla ricchezza, il patrimonio, la pressione fiscale di ciascuna delle 107 province. E dal quale emerge che nel Sud si evade di più in percentuale, ma non in termini assoluti. Ma l'esperto della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, avverte: «E' un tasso di evasione in media europea».

Secondo questa banca dati, la provincia di Treviso si trova nella cosiddetta «Zona 2», dove si evadono 20,2 euro ogni cento di imposte versate al fisco. Calcolando che, solamente di Irpef (che incide per il 70% della pressione fiscale complessiva) il Trevigiano frutta allo Stato 2,6 miliardi di euro, la stima è presto fatta. La Marca «evade» circa un miliardo di tasse all'anno. Non ci sta Bortolussi, che fa un ragionamento diverso: «Per carità, l'Agenzia delle Entrate fa bene ad affinare gli strumenti di dettaglio. Ma, diciamo la verità: in Italia la pressione fiscale è troppo alta. E il tasso di evasione veneto è nella media europea».Bortolussi fa l'esempio del condominio: «Se l'amministratore di un condominio spende cento e le cose funzionano, questa è la Germania. Nel nostro condominio l'amministratore spende 150 e le cose non funzionano. In altre parole: lo Stato spreca parte del denaro che raccoglie dai cittadini. E allora dico: giusto combattere l'evasione, ma questa è figlia anche di una cattiva gestione centrale dello Stato».

La nuova banca dati dell'Agenzia delle Entrate, secondo Bortolussi sposta il problema: «Indica il dito invece che la luna. Viceversa va fatto seriamente un piano di risparmi per tutti. Perchè l'Italia ha una pressione tributaria di oltre cinque punti superiori alla Germania. Un paio sono imputabili al debito pubblico, ma gli altri tre? Lo Stato gestisce male il condominio e accusa i condomini di fare gli evasori. Esiste certamente questo fenomeno, ma che lo Stato impari a fare il proprio mestiere». C'è un altro elemento che Bortolussi invita a tenere in considerazione: che gran parte dell'evasione è legata al sommerso. La stima dell'Istat è che circa un sesto della ricchezza prodotta dal paese non è censita perchè, appunto, sommersa. «C'è un grande sommerso nell'agricoltura, nel turismo, nei servizi. E c'è la piaga nazionale delle società di capitale che, per la massima parte, dichiarano redditi negativi per non pagare le tasse» osserva Bortolussi. «Ma complessivamente i nostri contribuenti non possono essere tacciati di essere evasori, la nostra evasione è nella media europea» conclude il segretario della Cgia di Mestre, che su questi temi ha appena pubblicato un libro dall'eloquente titolo: «Tassati e mazziati».

L'Agenzia delle Entrate, con questo nuovo strumento, conta di ripetere il boom di recupero dell'evasione registrato nel 2010 in tutta Italia: 11 miliardi di euro.


In Spagna l’energia eolica è leader: e in Italia?
di Giovanni Greco 4 aprile 2011 -
A marzo in Spagna l’energia generata dal vento ha superato la produzione di energia elettrica con le tecnologie tradizionali.
Così sono state ridotte le importazioni di petrolio per un valore di 250 milioni di euro ed evitate emissioni di CO2 nell’atmosfera pari a 1,7 milioni di tonnellate.
A renderlo noto è stata la Red Electrica Espanola.
E’ la prima volta che l’energia eolica si afferma come energia leader in un Paese europeo, e visto quello che è successo a Fukushima in Giappone che ha messo fortemente in discussione il nucleare non è una notizia da sottovalutare.
Secondo i dati ufficiali, le centrali eoliche spagnole hanno coperto il 21% della domanda e hanno stabilito un record mensile, con una generazione di 4.738 GWh, in crescita del 5% in più rispetto al marzo 2010.
In Spagna l’insieme delle tecnologie rinnovabili ha coperto a marzo il 42,2% della domanda di elettricità, rispetto al 48,5% del 2010.
Nel il primo trimestre del 2011, le fonti rinnovabili hanno coperto il 40,5% della domanda, un po’ meno rispetto allo stesso periodo del 2010, quando hanno raggiunto il 44%.
Nel corso del 2010, le altre fonti rinnovabili sono stati la fonte primaria di produzione di energia elettrica con il 32,3% dei punti di energia elettrica.
Come dire scusate se è poco, ma abbandonare il nucleare è possibile ed informazioni come queste tracciano la rotta giusta verso energie pulite, rinnovabili e soprattutto non pericolose.
Peccato che in Italia si cerchi di andare sempre verso l’opposta direzione condannando il paese a rimanere ultimo in questo genere di cose.

Nessun commento: